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Autore: Nadie    23/11/2014    3 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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9. Verità nascoste
 



«Io abito qui.»
Su Dublino ha cominciato a piovere copiosamente.
La ragazza con gli occhi verdi tiene stretta la figlia sotto la giacca, tentando di ripararla dalla pioggia.
Tira fuori dalla tasca dei jeans un mazzo di chiavi che utilizza per aprire un cancelletto verniciato di scuro, fa cenno ad Occhi Bui di seguirla e si ritrovano a correre attraverso un giardino con prati incredibilmente verdi ed una strada grigia, raggiungono un portone ed entrano in un condominio che ha muri bianchi e ruvidi.
Salgono le scale e si fermano al primo piano, Occhi Verdi apre la porta di un appartamento piccolo e caldo che odora di biscotti.
«Togliti pure la giacca, puoi appenderla là.» gli dice, indicandogli l’attaccapanni appeso dietro la porta.
Anche Lei si toglie la giacca, e posa a terra la figlia che ha i capelli più arricciati del solito, le guance arrossate e guarda assorta le piccole conchiglie che è riuscita a raccogliere sulla spiaggia di Portrane e che ora tiene tra le mani piccole.
«Le faccio un bagnetto veloce e la metto a letto, tu puoi sederti sul divano o… fare quello… quello che vuoi.» Occhi Bui annuisce e la osserva attentamente mentre prende per mano la suo piccolina e scompare lungo il corridoio.
Lui si guarda intorno smarrito e poi si siede su un divano rossiccio, in un piccolo salotto pieno di foto.
Si avvicina al tavolino accanto al bracciolo del divano, e studia attento le tre fotografie ritte in piedi dentro le loro cornici argentate.
La foto che sta nel mezzo ritrae un neonato con due grandi occhi aperti e curiosi.
Leila, pensa.
Dentro la fotografia di destra ci sono Prudence e sua figlia che fanno la linguaccia, gli scappa un sorriso e scuote la testa divertito.
Nell’ultima foto, quella a sinistra, c’è un bambino biondo con due grandi occhi blu che sta ridendo in modo incontenibile e sembra felicissimo.
È Jude. Lo ha riconosciuto. Non se lo è mai dimenticato.
Un stretta inaspettata gli stringe lo stomaco.
Vorrebbe vederlo, parlargli, chiedergli come sta, se anche lui si ricorda di otto anni fa e se gli piacciono ancora i Rolling Stones; vorrebbe riavvolgere il tempo e impedire a quel legame di rompersi di nuovo, salvare il filo sottile che li lega e non ti preoccupare Jude, non romperemo mai questo filo e, se vorrai, andremo ad ascoltare i Rolling Stones che suoneranno solo e soltanto per noi.
La finestra del salotto è aperta e ad un tratto Occhi Bui sente una canzone lontana intrufolarsi in casa di Prudence.
I Beatles scivolano indisturbati in quella stanza, sente le dita di George Harrison accarezzare la sua chitarra, le bacchette di Ringo Starr battere il tempo della canzone e le voci di Paul McCartney e John Lennon che si intrecciano.
Roll over Beethoven! Roll over Beethoven!
Se solo lui potesse essere così chiaro, incisivo, forte e intenso come uno di quei quattro!
Vorrebbe poter mettere insieme tutte le loro parole più belle e cantarle a Prudence.
Cara Prudence,
prendi queste ali spezzate ed impara a volare.
Cara Prudence,
non essere pessimista! Prendi una canzone triste e rendila migliore, ricorda di lasciarla entrare nel tuo cuore, e dopo potrai iniziare a renderla migliore.
Cara Prudence,
ieri i miei problemi sembravano così lontani!
Cara Prudence,
chiudi gli occhi e ti bacerò, domani sentirò la tua mancanza, ricorda che sarò sempre sincero. E mentre sarò via, scriverò a casa ogni giorno e ti manderò tutto il mio amore.
Cara Prudence,
non mi interessa molto dei soldi, i soldi non possono comprare il mio amore!
Cara Prudence,
non ho bisogno di nessun’altra amante.
Cara Prudence,
tutto ciò di cui hai bisogno è amore.
Cara Prudence,
lascia che sia.
Cara Prudence,
ti prego dimmi che lascerai che io sia il tuo uomo, e ti prego dimmi che lascerai che io stringa la tua mano.
Cara Prudence,
il sole splende, il cielo è blu, è bellissimo e lo sei anche tu.

Cara Prudence,
Cara Prudence,
Cara Prudence.
E potrebbe continuare, andare avanti e sempre più avanti, ma Occhi Verdi compare all'improvviso e lo distrae da qualunque altro pensiero.
Ha i capelli gocciolanti ed indossa una canotta quasi completamente bagnata.
«A Leila piace schizzare l’acqua.. scusa.» gli dice, stringendo la canotta tra le dita.
«Figurati.»
Lei sorride, gli si avvicina e gli siede accanto.
«Aspetti qui finché non smette di piovere?» lui annuisce, e intanto la stretta allo stomaco continua a fargli male, sempre più male.
Non sa che fare né cosa dire.
Non gli bastano le parole dei Beatles, vorrebbe usarne di sue, dirle qualcosa, qualsiasi cosa e poter essere compreso, capito fino in fondo.
Vorrebbe poter dar vita a parole animate, parole come messaggeri alati dei suoi sentimenti più segreti ma niente, solo un ammasso di lettere nude sulla sua lingua impotente.
Vorrei tu potessi leggere nella mia mente, cara Prudence, così sapresti quanto mi stai dentro, giù, in fondo, oltre la carne ed io non so come dirtelo, non so come riuscire a farti comprendere che io sono soltanto se anche tu sei, ma mi hai respinto tante volte e mi hai raccontato verità a metà e forse è stata colpa mia, forse non sono riuscito a dirti quanto avrei voluto dirti.
E tu? Tu cosa mi hai detto?
Domande intrecciate, ammassate vorticano confuse nella sua testa, punti di domanda che premono per avere risposte.
Chi sei stata in questi otto anni? Ed ora sei diversa? E ci hai pensato a noi due, anche solo per caso, per sbaglio? E hai perso per sempre tuo fratello? E dov’è tuo padre? E il padre di Leila?
La ragazza con gli occhi verdi si stringe le ginocchia al petto e trema, deve avere freddo.
Lui si fa più vicino, le circonda le spalle con un braccio ed Occhi Verdi non lo respinge, ma poggia la guancia sul suo petto e si lascia stringere dal ragazzo-uomo che le siede accanto.
E allora lui sorride e chi se ne frega di tutte le parole, le domande, le risposte ed il resto che c’è da dire, chiudiamoci la bocca per una buona volta e parliamoci con la pelle e con le mani e con questi occhi, i miei occhi e i tuoi occhi e lascia pure che il silenzio ci avvolga!
Senti che bel suono ha, questo silenzio.
Lascialo parlare, lascialo intromettersi in questo mondo fatto sempre e solo di parole sbagliate e parole, parole, parole, ma le parole rovinano sempre tutto mentre il silenzio è così innocuo, calmo, piatto.
Silenzio spalmato sulla nostre labbra ed il resto del corpo che può parlare, sa parlare, lascialo parlare.
E con le dita intrecciate alle tue saprò dirti quanto ti ho amata, e con la guancia poggiata sul tuo capo ti farò capire quanto ti ho pensata, e con le braccia strette attorno a te saprai quanto mi sei mancata.
I suoi occhi cadono di nuovo sulla fotografia del bambino con gli occhi blu, e vorrebbe soffocare le domande ma non ci riesce, non può, non può lasciare appese ad un filo verità che vuole assolutamente conoscere.
«Quella foto di Jude è bellissima.» le dice, senza particolare inclinazione nella voce.
«Già.»
«Quanti anni aveva?»
«Sei. Lui… lui aveva sei anni quando è stata scattata.»
«Sembra piuttosto divertito.»
«Sì, mi ricordo che non voleva essere fotografato e continuava a tenere il broncio, allora, per farlo ridere, ho cominciato a fare le boccacce e non è più riuscito a trattenersi.»
Affiora un sorriso sulle labbra delle ragazza che stringe tra le braccia, ma ad un tratto il sorriso scompare e lei si copre il viso con una mano, tenta di nascondere lacrime che vengono ricacciate dentro brutalmente.
«Scusa.» gli dice.
 Lui rafforza la stretta e le scosta piano la mano dal viso.
«Perché non me lo racconti?»
«Cosa?»
«Tutto. Tutto, Prue, dall’inizio fino ad ora, tutto quello che è successo.»
«Perché sei così ostinato? Perché ti interessa tanto?»
«Perché ti amo.»
Le parole scivolano fuori dalle sue labbra, si muovono sole e silenziose e gli lasciano un sapore strano in bocca.
Mastica le sillabe di ciò che ha appena detto.
Perché ti amo.
Ti-a-mo.
Amo te.
Che verbo strano, che parole ridicole, le aveva pronunciate per finta qualche centinaia di volte, mentre vestiva i panni di qualcuno che non era lui.
Ma adesso è diverso, adesso non ci sono copioni da seguire o platee da impressionare, ci sono solo lui e Lei e un ti-amo-amo-te che ha un sapore mai assaggiato, che ha un suono diverso da qualunque altra parola lui abbia mai pronunciato prima in vita sua.
Vorrebbe ripeterlo.
Ti-amo-amo-te.
Un’altra volta.
Ti-amo-amo-te.
E poi ancora, ancora, ancora, riempire di ti-amo-amo-te gli otto anni che gli pesano sulle spalle, vorrebbe dire ti-amo-amo-te per altri otto anni e recuperare i giorni perduti e irrecuperabili di un passato troppo orgoglioso per essere salvato.
Ti-amo-amo-te.
Ed è la verità, e forse l’amore non esiste ma in questo mondo vogliono farci credere che sia così, e allora illudiamoci, e allora diciamocelo.
Ti-amo-amo-te
E se l’amore non esiste, lo inventeremo noi due.
Occhi Verdi alza il capo e lo guarda, sguardo indecifrabile di chi resta in silenzio anche se ha un fiume di parole da far straripare.
Ma Lei lo osserva silenziosa, sorride mentre intreccia le dita tra i suoi capelli, mentre segue con l’indice il profilo di quel viso di ragazzo diventato uomo, e quanto è cambiato!
E quanto è rimasto uguale!
Che cambiamento invisibile-evidente che c’è su quel viso!
«È una storia noiosa, la mia.»
«Raccontamela lo stesso.»
«Sei tornato per questo? Per le spiegazioni?»
«Esatto: spiegami tutto di te, aiutami a capire.»
«Magari non mi importa di essere capita da te.»
«Magari ti ho già capita e cerco solo una conferma.»
«Magari ti sopravvaluti.»
«Quanti ‘magari’. Che gran bella parola! Magari ritorneremo indietro nel tempo, magari salveremo questi otto anni, magari mi dirai la verità, magari mi ami, magari no.»
Lei sorride e abbassa lo sguardo sulle mani di Occhi Bui.
«È una storia lunga.»
«Non mi sta aspettando nessuno.»
Occhi Verdi annuisce, poi prende un bel respiro e comincia a raccontare.
Comincia a raccontare la storia di una donna che amava fotografare ogni più piccolo centimetro del mondo e che un giorno scivolò irrimediabilmente dentro a due occhi blu che la fecero affogare; racconta di una bambina che chiudeva fuori dalla porta di camera sua urla così forti da sovrastare anche i suoi pensieri e il rumore di oggetti fragili frantumati contro il pavimento, e anche quella bambina si sentiva spaccata in mille pezzetti sopra un pavimento troppo freddo ed era così piccola e troppo impaurita per intervenire, per salvare qualche piatto, per rimettere insieme i cocci di ciò che si era rotto irreparabilmente; racconta di una mattina grigia e fredda in cui la bambina ha sentito una porta chiudersi per sempre ed un padre correre via senza nemmeno voltarsi e quanto avrebbe voluto rincorrerlo, afferrarlo per un braccio, fermo! Per favore, non lasciarci così! Ma si ricordò delle urla e dei cocci sopra il pavimento che ancora le tagliavano la pelle e pensò che forse era meglio lasciare che quel padre continuasse a correre lontano; e poi racconta di un fretellino con gli stessi occhi blu del non-padre, una creaturina così fragile, appena arrivato da chissà dove e già con una madre piena di alcol, lacrime e amori malsani ed un padre neanche mai visto.
Lei avrebbe voluto scusarsi con lui. Scusami, piccolino, se il mondo non è un gran bel posto, ma che ci posso fare? Ho chiesto tante volte a Dio di renderlo migliore, ma è troppo occupato a costruire nuvole per ascoltarmi.
 
La voce si interrompe, riprende fiato, manda giù qualche lacrima da non far scappar via, e ricomincia a raccontare.
 
E c’era una volta un piccolo appartamento a cui mancava spesso la luce, e la bambina – che ormai era diventata una ragazza – doveva darsi da fare perché aveva un fratellino a cui dar da mangiare, e allora scivolava tra le strade grigio-verdi di Dublino e cambiava lavoro quasi ogni due giorni e, se le avanzava un po’ di tempo, prendeva in mano una rubrica mai usata e ci scriveva sopra tutte le parole che le passavano per la testa. Oggi voglio scrivere tra le pagine di una C, che lettera buffa, un sorriso al contrario! E giù parole e parole che cadevano sulla pagina bianca.
Poi un giorno trovò una lettera dentro alla posta, aveva un aspetto così solenne, era piegata in modo meticoloso dentro ad una busta perfettamente sigillata, la scartò curiosa, la tirò fuori, la lesse seduta sulla scale del suo condominio.
Che presto non sarebbe stato più il suo condominio.
Doveva andarsene.
O almeno, così diceva la lettera.
Se solo avesse avuto abbastanza soldi avrebbe potuto distruggerla, quella lettera.
Ma soldi non ce n’erano più.
E c’era una volta un piccolo appartamento a cui mancavano le persone, perché chi c’era prima fu costretto ad andarsene.
La ragazza avrebbe tanto voluto proteggere il suo fratellino, ma il mondo non è un gran bel posto e Dio non ascoltò mai le sue richieste d’aiuto.
Una mattina suonò al campanello di una villa elegante e con un giardino curato e rivide il non-padre, che quasi non riuscì a riconoscerla.
Ci conosciamo? le chiese e lei avrebbe voluto ridergli in faccia, avrebbe voluto lanciargli contro tutti i cocci caduti sul pavimento freddo, questi li riconosci, non-padre?  Li hai spaccati tu e hai spaccato anche me, e avrebbe voluto piangere ma pensò no, non te la meriti questa soddisfazione, caro non-padre.
Caro non-padre che urlava ogni giorno, caro non-padre che frantumava cose fragili, caro non-padre che sei andato via, caro non-padre che ‘caro’ non sei stato mai.
E affidò al non-padre il fratellino, perché lei non aveva più tempo per recuperare rapporti interrotti e quasi mai iniziati, ma lui sì, era così piccolo e aveva così tanto tempo per dimenticarsi di lei ed imparare a conoscere un padre fino ad allora mai esistito.
Lo affidò al non-padre perché era la cosa migliore, la cosa giusta, giusta, giusta, continuò a ripetersi quella parola senza fermarsi, giusta, e il fratellino le diceva ‘aspettami’, giusta, e il fratellino scomparì tra i corridoi di quella villa così ricca, giusta, e non lo aspettò ma corse via.
E non lo rivede più.
Mai più.
La ragazza cominciò a servire ai tavoli di un bar, lavorava a lungo, fino a notte fonda e le piaceva osservare i clienti ed ascoltarli parlare, guardarli vivere la loro vita e quanto avrebbe voluto sentirsi leggera come loro, quanto avrebbe voluto potersi sedere ad un tavolino a parlar del nulla con persone vuote, quanto avrebbe voluto non conoscere fino in fondo il mondo ma solo la parte più superficiale.
Ma il mondo non è un gran bel posto, e lei lo sapeva bene.
Un giorno una band si esibì nel bar, il bassista si chiamava Maxwell e sognava di diventare il nuovo Sid Vicious.
Le si avvicinò dopo la chiusura del locale e la accompagnò a casa, ma si fermò prima di oltrepassare il portone.
Il giorno dopo si fermò prima di salire le scale.
Quello dopo ancora si fermò prima di varcare la soglia del suo appartamento.
Il seguente non si fermò più, oltrepassò portoni, salì scale e varcò soglie che forse non avrebbe mai dovuto varcare.
Poco tempo dopo volò in America con il suo basso.
La ragazza restò incinta.
Non lo disse a nessuno, nemmeno alla madre partita per chissà dove.
Rimase un segreto, spesso persino lei, la quasi-madre, fingeva di non saper nulla di ciò che le stava accadendo.
Ma quando ritornava a casa, la notte, ed era consapevole di essere terribilmente sola, posava le mani sul ventre ancora piatto ed osservava Dublino dalla finestra.
E nel frattempo cresceva l’esserino nascosto, e cresceva l’impazienza di conoscerlo e lei provò a riempire quell’attesa lenta e silenziosa con le parole.
Raccontava a chi le stava dentro tutto ciò che sapeva sul mondo e si sentiva così viva e piena, con quella presenza invisibile al suo interno sentiva di poter fare qualunque cosa.
Cominciò a pensare al futuro, a come sarebbe stato il primo incontro con sua figlia.
Piacere, piccola creatura, io mi chiamo Prudence e da oggi fino a quando il mondo non crollerà e anche dopo, sarò la tua mamma, e non ci perderemo mai, io e te, mai.
Te lo prometto.
 
La voce smette di parlare.
La storia si interrompe.
Non ci sono più parole da dire, niente più da raccontare.
La ragazza con gli occhi verdi fissa il soffitto e tiene le mani premute contro la sua pancia vuota.
Lui non sa che dire, quali parole scegliere e quali frasi formulare.
Cosa può aggiungere a quella storia?
Mi dispiace, Prudence.
Così scontato, sbiadito ed inutile.
Mi dispiace.
Mi dispiace, Prudence, che il mondo non sia un gran bel posto, che Dio costruisca nuvole invece che ascoltarti, che tuo padre non sia stato un padre, che oggetti fragili si siano frantumati sul pavimento di casa tua, che casa tua non sia più casa tua, che tu non sia riuscita a tenerti stretta tuo fratello, che Maxwell abbia amato il suo basso più di te e di tua figlia, che tua figlia non abbia un padre.
Non lo dice, si tiene strette le sue parole di dispiacere, mai pronunciate e che cosa le dico a fare? Lei lo sa, Lei sa che le penso, sa che se potessi riavvolgerei il tempo e le darei ciò che non ha avuto e ciò che ha perso troppo presto e senza motivo.
No, lui non dice niente, basta solo il silenzio, un silenzio più forte di qualunque altra parola.
Silenzio e osserva la ragazza con gli occhi verdi che ha cominciato a piangere.
Lui le asciuga le lacrime con le mani, le passa un braccio attorno alla spalle e se la stringe forte al petto, baciandole la fronte.
L’ascolta piangere, piangere e piangere e gli sembra piccola e fragile come una bambina, bambina caduta da un’altalena troppo alta, bambina con le ginocchia sbucciate, bambina che fa brutti sogni, bambina che non sa che fare davanti ad una vita così grande, enorme, immensa.
L’aveva vista piangere solo un’altra volta, tre anni prima, quando era entrato come una furia dentro una metropolitana di Dublino e le aveva gridato addosso parole cattive e poi tirato uno schiaffo secco e rabbioso.
Rafforza la stretta attorno alle sue spalle.
Lei continua il suo pianto silenzioso e soffocato.
Non ti preoccupare, Prudence, io non posso ridarti il tempo perduto, un padre mai esistito ed un fratello lasciato andar via, ma posso rimanere.
Rimango io al posto di chi se n’è andato, resterò qui, in silenzio, ad asciugarti lacrime che aspettavano da troppo tempo di essere piante.
Rimango io al posto di chi se n’è andato.
E sarò padre, sarò fratello, sarò compagno e tutto ciò che ti è mancato.
 
 
 
 
 
 
Orcaloca quanto sono ritardataria!
Dovete perdonarmi, ma in questo ultimo periodo non ho avuto un attimo per scrivere!
Il prossimo capitolo è ancora in costruzione, perciò, come sempre, non posso anticiparvi nulla.
Grazie a chi legge, grazie di cuore!
A presto,
C.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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