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Autore: earlgreytea68    23/11/2014    8 recensioni
Sherlock Holmes, studente.
Sì, in pratica è tutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saving Sherlock Holmes

 

 

 

 

Settembre era stato un mese insolitamente calmo. 
Non per quanto riguardava la politica globale, ovviamente, no, quella era come sempre un problema, bensì nei riguardi di Sherlock. 
Tutto taceva su quel fronte, il che rendeva Mycroft nervoso oltre ogni dire. 
Era ormai abituato a un crescendo di telefonate provenienti da funzionari della scuola in difficoltà. Le prime vacanze dell’anno si stavano avvicinando e normalmente, a questo punto, aveva già avuto modo di parlare con il tutor, il coordinatore ed il rettore, e stava valutando a quanto avrebbe dovuto ammontare il primo assegno per far sì che Sherlock non venisse espulso. Il suo telefono, invece, era rimasto silenzioso: non un solo squillo per problemi relativi a suo fratello; il che significava che o loro avevano perso il suo numero o Sherlock era morto, concluse Mycroft. 
Perciò telefonò a Eton, così, per essere sicuro. 
Il coordinatore sembrò divertito di sentirlo. “Signor Holmes, non posso negare di aver sentito la mancanza delle nostre chiacchierate. Ne deduco che sono mancate anche a lei?”
“Non so cosa fare senza,” commentò Mycroft, sinceramente. “Non mi ha mai chiamato dall’inizio di questo semestre.”
“Non l’ho fatto perché non avevo niente di cui lamentarmi.”
Mycroft sentì la paura serrargli lo stomaco. “Cos’è successo a Sherlock?”
Il coordinatore rise. “Niente. Sembra stare bene. Non ha parlato di lui con il suo nuovo tutor?”
Sulla sua scrivania c’erano due diverse pile di documenti: una relativa al peggioramento della situazione nel Medio Oriente, l’altra a Sherlock. La seconda era la più grande.
Proprio in cima era in bella mostra un fascicolo su Gregory Lestrade, il suo nuovo tutor. La maggior parte degli alunni dell’ultimo anno aveva la facoltà di scegliere il proprio tutor, ma era stato il rettore a scegliere quello di Sherlock. 
Mycroft aveva accettato senza problemi che fosse lui a prendere quella decisione, ma era stato incerto su Lestrade: certamente qualificato ma con un’esperienza ben diversa da quella dei tipici professori di Eton. Non si era preso la briga di contattarlo, convinto che si sarebbe fatto sentire lui stesso in tempi brevi con la solita litania di lamenti su Sherlock. 
Ora si chiese se le persone normali fossero abituate a parlare con i tutor per informarsi sui progressi, senza limitarsi semplicemente ad aspettare le brutte notizie. 
“No,” disse Mycroft. “Non ho parlato con lui. Ma lo chiamerò.”

 

***

 

Greg aveva ricevuto un messaggio da Mycroft Holmes. 
Riconobbe il nome, ovviamente, e esitò prima di richiamarlo. Principalmente perché aveva davvero pensato che le cose stessero andando bene con Sherlock; forse, però, si era sbagliato e il ragazzo si era lamentato con il fratello. 
Prese un bel respiro, compose il numero e gli rispose una voce femminile. Greg chiese di Mycroft Holmes. La donna disse, “Per favore, attenda,” con tono ufficiale e lui pensò che era stato leggermente folle ad accettare quel lavoro, ritrovandosi così catapultato nel mondo di quelle persone che hanno delle segretarie a rispondere per loro. 
La maggior parte del tempo Eton gli piaceva: i ragazzi erano svegli e non così malvagi, avevano solo bisogno di qualcuno che non li trattasse sempre come se fossero speciali; ma di tanto in tanto, in momenti come questo, si sentiva disperatamente fuori luogo. 
“Signor Lestrade,” disse la voce all’altro capo del telefono, fine e sottile, con un accento più snob di quello che aveva Sherlock. “Grazie per avermi richiamato subito.”
“Nessun problema,” disse Greg, arrotolando il cavo del telefono attorno al dito. “C’è per caso qualcosa che non va?”
“Volevo farle io questa domanda,” disse Mycroft Holmes. “Sa, normalmente a questo punto dell’anno sono subissato di chiamate inerenti alle numerose cose che non vanno bene con Sherlock. Lei, invece, non mi ha ancora contattato neanche una volta.”
“Non c’è niente che non va. Sherlock si sta comportando bene.”
Ci fu un silenzio così lungo dall’altra parte che Greg disse, “Pronto?” Non aveva sentito il segnale di linea libera, ma il silenzio gli era sembrato durare troppo. 
“Ci sono,” lo rassicurò Mycroft. “Stavo solo pensando. Che aspetto ha mio fratello?”
“Che aspetto ha?” ripeté Greg, incerto. 
“Di che colore sono i suoi occhi?”
“Sono... Non saprei. Blu? Bluastri? All’incirca.”
“Sembra una giusta descrizione dei suoi occhi,” concesse Mycroft, pensieroso. 
“Aspetti,” Greg capì il perché della domanda di Mycroft. “Pensa che Sherlock mi abbia in qualche modo ingannato, facendomi credere che un altro studente fosse lui?”
“Non incolperei lei. Sa essere brutalmente ingegnoso.”
“E lei è estremamente sospettoso.”
“Affatto. Sono estremamente realistico.”
Greg ne fu infastidito. “Sherlock si sta comportando bene,” ripeté. 
“Mi perdoni, ma devo chiederle quale magia ha compiuto per trasformare mio fratello in uno studente modello.”
“Sa, era solo annoiato,” commentò Greg. 
“Lo so. Raramente mi dice qualcosa di diverso.”
“Perciò gli ho dato un enigma.”
“Che tipo di enigma?”
“Un crimine irrisolto. Uno dei più famosi.”
“Gli ha dato un crimine irrisolto? Perché?”
“Perché lo risolva, è chiaro.”
“Ha senso.” La voce di Mycroft risuonò come se stesse finalmente mettendo insieme tutti i pezzi. “A Sherlock piacciono i misteri e lei aveva iniziato criminologia prima di decidere per biologia. Hmm, e chimica, anche. Calza a pennello con i suoi interessi.”
“Sta leggendo un fascicolo su di me?” chiese Greg, incredulo. 
“No, sto leggendo il fascicolo su di lei,” rispose Mycroft con leggerezza. 
Greg considerò l’idea di arrabbiarsi, ma decise che davvero non era il caso. Chiunque Mycroft Holmes fosse - e Sherlock non parlava mai di suo fratello, o di qualsiasi cosa che non fosse il mistero del Taman Shud - aveva chiaramente accesso a cose che Greg avrebbe preferito continuare a pensare fossero inaccessibili. Invece, optò per il riportare la loro conversazione su Sherlock. “Ho preso accordi con gli altri suoi professori per far sì che debba continuare a seguire solo i corsi che realmente gli interessano. E’ comunque troppo sveglio anche per quelli, ma almeno li tollera e non li vede come una totale perdita del suo tempo. E il rettore mi ha dato il permesso di riempire il resto della sua scheda con quello che abbiamo deciso di chiamare ‘studio individuale’.”
“Astuto,” disse Mycroft, suo malgrado impressionato. “Ha avuto un’ottima idea. Perché non sono stato contattato per essere messo al corrente di questi cambiamenti?”
“Dovrebbe chiedere al rettore, è stato lui a darmi il via libera. Non credevo rientrasse nei miei compiti anche l’ottenere il suo consenso.”
“Quale caso irrisolto gli ha dato?”
“Un uomo non identificato trovato morto sulla spiaggia di Somerton in...”
“Il Taman Shud,” lo interruppe Mycroft, sorprendendolo. “Molto bene. Quello dovrebbe tenerlo impegnato per un bel po’ di tempo.”
“Fino a questo momento sembra aver funzionato. Sherlock non le ha detto nulla in proposito?”
“Non abbiamo avuto modo di parlare.”
“Non avete avuto modo di parlarvi... da quando?” chiese Greg, confuso. 
“Dall’inizio del semestre, naturalmente,” rispose Mycroft, come se fosse una cosa ovvia. “Lo vedrò a breve per il fine settimana di vacanza; glielo chiederò allora.”
Greg disse, “Ad ogni modo, lui sembra davvero preso dal caso. Dovrebbe vedere quanto si sta impegnando: un’intera parete della camera di John è ricoperta da appunti e altre cose che nessuno di noi riesce a capire, ma...”
“John?” lo interruppe Mycroft. 
Oh, realizzò Greg. Mycroft non aveva parlato con Sherlock dall’inizio dell’anno. “Già. John Watson. Un nuovo ragazzo al suo ultimo anno, ha la stanza vicino a quella di Sherlock. Sono diventati buoni amici.”
“Deve essere in errore,” disse Mycroft. 
Greg non riuscì a capire il perché di quella reazione. “Su cosa?”
“Sherlock non ha amici.”
Diverse volte quella conversazione lo aveva irritato, ma ora era decisamente arrabbiato. “E’ una cosa orribile da dire su suo fratello.”
Mycroft lo derise. “Oh, per cortesia, lo ha incontrato. Sa che è la verità.”
Greg sapeva che Sherlock, apparentemente, non aveva altri amici oltre John: non era il tipo di ragazzo che sarebbe mai diventato popolare. Questo, però, non sembrava infastidirlo: per quanto ne sapeva Greg, l’unica opinione di cui gli interessava almeno un po’ era quella di John. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma accettava quella verità: Sherlock Holmes avrebbe preferito avere un solo John Watson che dozzine di altri amici. 
Alle volte aveva provato a immaginare come fosse stato per lui stare lì prima di quest’anno: annoiato a morte e senza nessuno; non lo sorprendeva neanche un po’ che Sherlock fosse stato considerato difficile: tutti, anche coloro non inclini a essere scortesi, arroganti, insofferenti geni come lo era lui, avrebbero fatto i difficili. 
Greg davvero non pensava fosse giusto che Mycroft discutesse dell’argomento con tale leggerezza. “Sa,” cominciò, duramente, “l’unica cosa che non va con Sherlock è che ha imparato a essere grande, senza prima imparare a essere buono.”
“Oh, immagino che incolpi me di questo?” 
“No, incolpo chiunque lo abbia cresciuto.”
Io l’ho cresciuto.”
“Allora sì, incolpo lei,” disse Greg, incurante del pericolo. 
“Io sono sempre gentile con lui. Lui non è gentile con me.”
“Una risposta incredibilmente adorabile e matura,” commentò Greg. 
“Il suo atteggiamento è completamente inappropriato.”
“Ecco qualcosa che suo fratello e io abbiamo in comune. Può benissimo chiudere la chiamata e andare a lamentarsi di me con il rettore. So che è quello che più di ogni altra cosa vuole fare al momento, ma dovrebbe davvero riflettere sul fatto che per la prima volta da quando Sherlock è a Eton, non ha ricevuto una singola chiamata di lamentele per tutto il mese di Settembre. E non intendo una chiamata da parte nostra, ma da Sherlock.”
Mycroft rimase in silenzio e Greg capì di aver avuto pienamente ragione. 
“Ho una lezione,” mentì, perché credeva fosse il caso di smettere di parlare con Mycroft Holmes prima di dire qualcosa che avrebbe finito per farlo licenziare. “C’è qualcos’altro di cui voleva discutere?”
“No,” disse Mycroft, seccamente. 
“Bene. Arrivederci, allora.” 
Non aspettò di ricevere risposta prima di chiudere la telefonata. 

 

***

 

Mycroft raramente era stupefatto.
Il che era specialmente vero per quanto riguardava Sherlock: niente di quello che faceva lo sorprendeva più, a questo punto. Era sicuro di poter ormai prevedere le sue scenate melodrammatiche, senza tuttavia conoscerne i dettagli. Ma fino ad oggi non ce n’era stata neanche una e questo era sorprendente. 
Sherlock, volendo credere al suo nuovo tutor, stava allegramente indagando su un crimine irrisolto. Sherlock, sempre stando al suo attuale tutor, aveva un amico
Mycroft non sapeva cosa pensare. Era possibile che un tumore al cervello stesse alterando la sua personalità. 
A chiunque altro, pensò, quelle notizie avrebbero fatto un immenso piacere; invece in lui non creavano altro che preoccupazione: non sembrava nemmeno più Sherlock. 
Ovviamente, proprio il giorno in cui avrebbe dovuto andare a prenderlo per il fine settimana, fu costretto ad occuparsi di una dozzina di problemi inaspettati; così mandò un autista in sue veci, e quando lui stesso raggiunse la tenuta era molto più tardi di quanto aveva voluto. 
Sherlock preferiva la tenuta di campagna: aveva detto che odiava tornare nella casa di Londra e Mycroft lo aveva accontentato. Anche la signora Hudson era più contenta così, perché in questo modo era più vicina alla sorella; Mycroft pensò che quindi andava più che bene per tutti. 
Le sue scarpe scricchiolarono sulla ghiaia del viale mentre raggiungeva l’entrata e fu sorpreso di vedere la porta aprirsi prima ancora di averla raggiunta, la luce dell’atrio che delineava la sagoma della signora Hudson. 
“Mycroft,” disse lei, un velato rimprovero nella voce. “Non avresti dovuto guidare così tardi.”
“Se avessi aspettato fino a domattina,” rispose stancamente, “Sarei a mala pena riuscito a vedere Sherlock prima di doverlo riportare a scuola; e poi qualche altro impegno avrebbe potuto trattenermi a Londra.”
“Entra,” disse la signora Hudson, affaccendandosi attorno a lui. “Vado a prenderti qualcosa da mangiare.”
“Lei non è la mia governante,” le ricordò Mycroft, gentilmente, seguendola in cucina e togliendosi il cappotto. 
La signora Hudson gli sorrise con affetto e cominciò a prendere vari ingredienti. Toast al formaggio con pomodori fritti, dedusse Mycroft, e decise che era un’idea meravigliosa. 
Prese posto al tavolo e disse, “Dov’è Sherlock?”
La signora Hudson stava affettando il pane, un’appetitosa pagnotta del negozio in città, e Mycroft sentì l’acquolina in bocca. “Dovrebbe star dormendo, ma sappiamo entrambi che non è così. Se sei ansioso di vederlo, sono sicura che sta leggendo al piano di sopra. Ha portato con sé un’enorme pila di libri. Dice di star risolvendo un omicidio.” 
Rise, mettendo il pane a tostare e cominciando a tagliare il formaggio. 
“Le sembra stia bene?” chiese Mycroft. 
Era concentrata sui pomodori, ma sollevò di scatto la testa e sembrò sul punto di mettersi a piangere. Mycroft sentì il peso di tutte le paure che erano andate crescendo durante quel silenzioso Settembre. 
“Cos’ha che non va?” chiese, sperando di non suonare tanto terrorizzato quanto in realtà era. 
La signora Hudson scosse il capo e disse, la voce tremante, “Oh, Mycroft, non sta bene.”
Mycroft ipotizzò tutte le cose che potevano star andando male, processando rapidamente, catalogando dove avrebbero trovato i migliori dottori, tutto ciò che i soldi potevano comprare, ma le successive parole che sentì fermarono quel treno di pensieri. 
“E’ felice.”

 

***

 

Quando andò a letto non avrebbe saputo dire se Sherlock stesse dormendo oppure no. La luce nella sua camera era ancora accesa, filtrava da sotto la porta, ma non sarebbe stata la prima volta che si addormentava senza spegnerla. Decise che, tutto considerato, la cosa migliore sarebbe stata parlargli in mattinata. 
Sherlock si degnò di scendere a fare colazione sul tardi, indossando ancora la maglietta a mezze maniche e i pantaloni del pigiama in cui aveva chiaramente dormito; aveva con sé un libro, un piccolo taccuino e una penna. I capelli erano una massa disordinata e Mycroft pensò che era un po’ troppo magro; non salutò nemmeno prima di lasciarsi cadere su una sedia, gli occhi fissi sul suo libro. 
Mycroft, però, capì esattamente perché la signora Hudson aveva detto che era felice. 
C’era in lui una lucentezza rilassata e casuale che non aveva mai visto e non poté evitare di sentirsi irrazionalmente irritato per questo. Nel giro di un mese, Gregory Lestrade, con o senza l’aiuto di John Watson, era riuscito a far scattare un qualcosa in Sherlock che lui non era mai neanche riuscito a trovare. Il che era dannatamente fastidioso. 
“Buongiorno,” disse a Sherlock, un po’ più duramente di quanto avesse voluto; la signora Hudson, mentre poggiava una tazza di tè sul tavolo, gli lanciò un’occhiata sorpresa e carica di disapprovazione. 
Sherlock sollevò brevemente lo sguardo dal libro. “Sei ingrassato,” commentò. 
Mycroft si accigliò. “Anch’io sono contento di vederti.”
“E’ perché il tuo è un lavoro da ufficio che ti tiene occupato tutto il tempo: quando sei impegnato mangi automaticamente senza nemmeno accorgertene,” gli spiegò Sherlock, come se lui non fosse già perfettamente consapevole della cosa, prima di bere un sorso di tè. 
“Signora Hudson,” disse Mycroft, sarcastico, “come riusciamo a vivere tutti i giorni senza le illuminanti osservazioni di Sherlock?”
Sherlock gli sorrise e tornò a guardare il suo libro. 
Mycroft prestò attenzione al titolo per la prima volta. “Stai leggendo il Rubaiyat?”
“Sì,” rispose lui seccamente, prendendo nota di qualcosa. 
“L’originale? In Persiano?”
“Come farei altrimenti a essere sicuro di che cosa parla? Non puoi fidarti dei traduttori, sono degli idioti.”
“Non sapevo conoscessi il Persiano.” Mycroft tentò di non far trapelare il suo stupore. 
“L’ho imparato.”
“In questo mese?” Cercò di non suonare tanto impressionato quanto era in realtà. 
Sherlock sbuffò con impazienza. “Questa conversazione è importante? Perché non ho tempo da perdere.”
La porta secondaria che dava sulla veranda si aprì, Molly Hooper guardò verso di loro e disse, la voce carica di allegria nervosa, “Toc toc!”
“Oh, Dio,” borbottò Sherlock, il tono abbastanza alto da essere facilmente udibile da tutti. 
La signora Hudson lo guardò male e lui si nascose dietro il libro. 
“Molly, cara,” disse gentilmente la signora Hudson. “Perché non vieni a sederti? Sherlock stava proprio per fare colazione.”
“No, non è vero,” disse lui da dietro il libro. 
“Devi mangiare qualcosa,” commentò Mycroft, capendo il perché della sua eccessiva magrezza: Sherlock non mangiava quando era occupato a pensare a qualcosa. Che razza di amico era quel John Watson per non accorgersene?
“Tu mangi a sufficienza per entrambi.”
“Se solo fosse davvero così,” disse Mycroft; si girò verso Molly, seduta su una sedia e combattuta fra il fissare con sguardo adorante Sherlock - il che significava guardare in adorazione il suo libro - e l’agitarsi per l’imbarazzo. 
Molly viveva in città e aveva cominciato le sue visite alla tenuta quando la signora Hudson, esperta pettegola, aveva sentito dire che era intelligente e interessata alla scienza. La loro biblioteca traboccava di libri sull’argomento, grazie all’apporto delle mentalità scientifiche di diverse generazioni Holmes, così la signora Hudson le aveva proposto di venire a consultarli e Mycroft non si era opposto. Che lei si sarebbe poi infatuata di Sherlock non lo aveva previsto nessuno, meno di tutti Sherlock che disapprovava sia lei che la sua cotta. 
Mycroft non ci vedeva nulla di male e apprezzava Molly a sufficienza, ma dubitava che lei sarebbe riuscita a gestire Sherlock alla fine. O anche solo al momento. 
“Buongiorno, signorina Hooper,” le disse. “Spero che stia bene.”
Molly gli sorrise raggiante, sollevata per quell’accoglienza. Mycroft non era mai stato meno che educato con lei, ma ciò non le impediva, apparentemente, di comportarsi come se temesse che lui potesse staccarle la testa a morsi alla prima occasione. 
“Molto bene, grazie. Ho pensato di fare un salto visto che questo poteva essere un fine settimana festivo.” Lanciò un’occhiata veloce al libro di Sherlock. 
“Ottima deduzione, Molly,” disse lui da dietro il suo scudo. 
“Sherlock, smettila di fare il maleducato e parla alla tua ospite,” lo rimproverò la signora Hudson. 
“Non è mia ospite; non l’ho invitata,” replicò Sherlock. 
Molly si colorò di rosso, ma la signora Hudson lo ignorò e le disse, gentilmente, “Vorresti qualcosa da mangiare?”
“No. Sto bene. Sono passata solo per dire che io e altri ragazzi andremo a vedere un film, stasera, Sherlock. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere venire?” Guardò il libro piena di speranza. 
“Accodarmi a un mucchio di stupidi idioti che vogliono solo discutere di chi ha baciato chi e quando e dove e dell’eventualità che si tratti di ‘tradimento’ o dell’esistenza di un ‘triangolo’, e che poi, quando non staranno parlando di tali futilità, guarderanno un film talmente stupido da istigare le loro cellule cerebrali alla fuga, dichiarandosi infine anche divertiti da cotanta visione? Assolutamente no.”
“Sherlock!” esclamò la signora Hudson. 
“...Oh,” disse Molly, non sapendo cos’altro dire, un sorriso forzato sulle labbra. “Va bene, allora. Magari un’altra volta?”
Sherlock girò pagina. 
“Forse,” disse al posto suo Mycroft, pensando che quella fosse la cosa più stupida che avesse mai detto, ma provando al contempo dispiacere per la povera Molly. 
Lei gli lanciò un veloce sorriso e disse, alzandosi, “Immagino che ci vedremo in giro. Passa un buon fine settimana, Sherlock.”
Sherlock mugugnò qualcosa e Molly corse via, salutando velocemente con la mano. 
La signora Hudson aspettò che la porta si chiudesse prima di strappargli via il libro dalle mani. 
“Sei stato molto scortese, Sherlock Holmes,” gli disse, severamente. “Le piaci.”
Sherlock, in mancanza del libro, sbocconcellò la sua colazione. “Esattamente. E’ estremamente fastidiosa.”
“Dovresti essere gentile con lei,” gli disse la signora Hudson. 
“Così peggiorerei le cose,” rispose lui. 
“E’ una ragazza così dolce e vuole solo portarti al cinema con sé. Cosa c’è di tanto sbagliato?”
“Sarebbe noioso. Mycroft, diglielo.”
“Sarebbe noioso,” convenne Mycroft. Aveva evitato di andare al cinema con ragazze dolci quanto Molly da quando aveva avuto modo di verificare in prima persona che era davvero noioso. 
La signora Hudson sospirò, lasciò il libro di Sherlock sul tavolo e si mise a lavare i piatti. 
“Però dovrei farti andare in città per scusarti con lei,” continuò Mycroft. 
Sherlock lo guardò con incredulità. “Scusarmi per che cosa?”
“Per essere stato scortese. Sei incredibilmente pessimo nel coltivare le tue conoscenze.”
“Non ho bisogno di coltivare le mie conoscenze. Ho te per quello.”
Mycroft avrebbe voluto chiedergli del suo apparente amico John Watson, ma Sherlock sembrava sul punto di mettere il broncio, ben più nervoso di quando era sceso, e non gli sembrò il caso di parlarne mentre era di cattivo umore. 
Azzardò, invece, “Come va la scuola?”
“Noiosa,” rispose automaticamente Sherlock. 
“Non mi hai chiamato per lamentarti di questo, recentemente.”
“Perché non ascolti mai le mie lamentele,” ribatté con leggerezza lui. “E’ come parlare a un muro di mattoni.”
“Sono terribilmente irragionevole,” disse Mycroft.
Spaventosamente irragionevole,” disse Sherlock e aprì di nuovo il suo libro. 

 

 

 

 

§

 

 

 

“Non puoi fidarti dei traduttori, sono degli idioti.”
Awww, Sherlock sì che mi capisce.
Sappiate che se siete tutti d’accordo con lui entro in sciopero. u.u



















 

   
 
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