Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: axellina87    30/10/2008    1 recensioni
Gli abitanti di quel posto non sapevano molte cose sui Janko, tranne che erano di origini giapponesi e che il più anziano, il signor Matsumoto, era arrivato in America molti anni fa, con sua moglie e le sue tre figlie. Poco più tardi però, la signora Yoshiko era morta a causa di una malattia, si diceva che avesse troppa nostalgia della sua terra d’origine, ma nessuno versò una lacrima per lei, né se ne interessò. Anzi, la maggior parte della gente in quella città pensava quasi che fosse stato un bene la morte della signora Janko, perché era una donna anormale. Giravano strane voci su quella famiglia, molti pensavano che fossero una misteriosa setta satanica, con poteri terribili, e che fossero in grado di chissà quali cose. Insomma, i Janko non furono mai ben visti fin dal loro arrivo, ma la situazione era veramente peggiorata qualche anno prima, quando decisero di mettersi contro tutti quanti per loro scelta…
Genere: Romantico, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 10

 

 

 

-“NON SONO PRONTA”-

 

 

 

“Suddenly I know I'm not sleeping”

 

                                    “Hello”, Evanescence

 

Era una mattina più fredda delle altre, il gelido vento di fine dicembre soffiava forte, sollevando dai marciapiedi sporadiche cartacce o pagine di vecchi quotidiani. Ciononostante, il corso principale era affollato, le persone stavano facendo gli ultimi acquisti per il tradizionale cenone di fine anno e ovunque c’erano visi felici, sorrisi e bambini entusiasti, la tipica atmosfera di serenità che in genere il periodo natalizio porta con sé non si era fatta attendere. Un gruppo di adolescenti faceva sentire le proprie risate a tutta la strada, evidentemente si stavano divertendo molto, progettavano di vedersi prima della mezzanotte per assistere al concerto che si sarebbe tenuto nella piazza della città.

Oren lanciò loro uno sguardo carico di triste invidia e per un attimo, in un remoto angolo del suo inconscio, provò il fugace desiderio di unirsi a quei ragazzi e lasciarsi alle spalle la sua vita. Accanto a lei, Beatrix si strinse nel lungo cappottino foderato di pelliccia. Non avevano parlato molto da quando erano uscite di casa. Nessuna delle due era molto in vena. Come dar loro torto? Non era certo il Natale più felice delle loro vite.

Rabbrividendo, Oren guardò il negozio di dolci all’angolo, e poi quello di vestiti dove delle ragazzine stavano guardando una bella gonna in vetrina. Fu allora, in quel preciso momento, che cominciò a rendersi veramente conto che quelli erano probabilmente i suoi ultimi giorni. Fino ad allora avevano lottato e combattuto contro la minaccia della Bryant, ma ci si erano trovati in mezzo così, senza neanche capire come; non si era mai lamentata di questo, le faceva male il fatto di non avere amici e di essere trattata alla stregua di una criminale, ma non aveva mai avuto problemi a battersi contro cyborg e creature deformi, amava le Arti Marziali e la sua famiglia. Le venne in mente quella volta in cui Piuma era rimasto ferito e dal letto d’ospedale le aveva detto che nessuno della sua famiglia capiva veramente in che guaio si erano cacciati, che la prendevano quasi come un gioco, ma non era così, si sbagliavano di grosso perché quella assurda faccenda era tutto tranne che un gioco e presto o tardi la realtà sarebbe piombata loro addosso. Oren capì che aveva ragione. Non aveva mai pensato che quella che loro chiamavano “guerra” lo era per davvero e tutte le guerre non portano mai a niente di buono, provocano solo morte e dolore. Perché, perché non ce ne siamo andati da qui? Perché siamo in questo casino? Perché ci siamo messi in mezzo? Si ritrovò a pensare. Mai come allora sentì che diciassette anni erano pochi, veramente pochi… Guardò la strada davanti a lei, le luci, il piccolo ristorante giapponese dove una volta, quando era molto piccola, sua madre si era lamentata perché gli involtini primavera non erano preparati secondo la tradizione. Non era pronta… Che cosa intendeva con “attacco finale”? Aveva usato lei stessa questa espressione, ma che cosa voleva significare? Andare in massa alla sede della Bryant e prendere a calci chiunque si ponesse davanti al suo cammino? Uccidere mostri e robot, ma anche gli uomini che proteggevano il capo. Ed era pronta per questo? Non aveva mai ucciso nessuno e non era per niente certa che ne sarebbe stata capace, anche pensando al suo nipotino in pericolo non aveva abbastanza coraggio per commettere simile atto. Ma chi si credevano di essere? Era una cosa troppo grande per loro, un gioco troppo pericoloso in cui aveva perso ancor prima di cominciare la partita. Adesso capì perché il nonno aveva esitato tanto, perché non aveva mai voluto sferrare un attacco diretto… Forse anche lui aveva paura, forse non voleva che i loro nipoti diventassero degli assassini, forse cercava sempre di rimandare il momento, che però sapeva sarebbe arrivato. Ho paura pensò Oren, ho tanta, tanta paura e nessun pensiero le era mai sembrato tanto pesante, da soffocarle lo stomaco e gelarle il cuore…

« Forse non è stata una grande idea festeggiare anche Capodanno » disse Beatrix, nell’evidente tentativo di apparire forte e distaccata come al solito.

« E’ per Alex » rispose Oren meccanicamente. Ormai tutto ciò che facevano era per Alex, ogni singola azione o gesto.

« Sì, ma a che serve? Di certo non abbiamo da festeggiare un anno di merda come quello che è appena passato… e quello nuovo si preannuncia ancora più schifoso, quindi… »

« Potrebbe essere l’ultimo per lui. »

« Anche per noi. »

Oren si volse a guardarla. Indossava un cappellino nero di lana, ciuffi di capelli fuoriuscivano, leggermente mossi dal vento, il freddo rendeva la sua pelle ancora più chiara del solito. Sembrava più piccola, più indifesa della giovane donna dal portamento orgoglioso che appariva di solito. « C’è qualcosa che non va, Beatrix?... Qualcos’altro? »

La ragazza scosse la testa, con lo sguardo fisso verso il basso. Poi disse: « Mark non l’ho più sentito… Non è mai stato via tanto a lungo senza mettersi in contatto con me nemmeno una volta… »

Oren all’inizio non capì e stava per replicare qualcosa, poi comprese e le parole le morirono in gola.

« Harry e mio padre avevano ragione: non avrei mai dovuto coinvolgerlo » proseguì Beatrix.

« Forse… » Oren esitò. « Forse non è come pensi… Non arriviamo a conclusioni affrettate. »

« Ci sono solo due possibilità, Oren. Mi ha preso in giro…  ci ha riferito un sacco di balle e adesso sta raccontando qualcosa di noi al suo capo. E spero sia così… »

Oren la guardò con aria interrogativa.

« …Perché se non è così vuol dire che hanno scoperto che faceva il doppio gioco e adesso probabilmente… è già morto. » Nonostante gli sforzi, non riuscì a trattenere due lacrime silenziose e traditrici. « Siamo degli stupidi, Oren. Siamo dentro una cosa ben più grande di noi e ormai non ci possiamo più tirare indietro. Abbiamo sbagliato a pensare che questo non sarebbe mai arrivato… Io ho passato gli ultimi anni a chiudermi fuori dal mondo, per non farmi illusioni sul futuro, invece come una sciocca ho sempre represso il timore di questo momento, ho sempre inconsciamente sperato che non sarebbe mai accaduto nulla di tutto ciò, quasi pregavo affinché tutto rimanesse com’era, avrei sopportato un’eternità di battaglie, purché non arrivasse questo giorno. Perché so, io so che quello che abbiamo passato finora ci sembrerà un ricordo dolce come una torta se sopravviveremo. »

Oren non rispose, sua cugina aveva dato voce ai suoi pensieri e ascoltare lei faceva ancora più male che ascoltare la sua coscienza… Si sentiva oppressa oltre ogni immaginazione, erano pensieri troppo grandi che non riusciva ancora a comprendere bene, o meglio, una parte di lei si rifiutava ancora di accettarli; come accettare l’idea della morte? Come accettare l’idea che probabilmente, poco prima di morire, lei stessa sarebbe diventata un’assassina, uccidendo altri esseri umani? Dentro di lei, solo una cosa era chiara, un concetto doloroso, che non faceva altro che aumentare il suo male: Non sono pronta…

Ma non contava, l’ora era giunta e nessuno poteva più tirarsi indietro. La strada davanti a lei si offuscò… i suoi occhi erano colmi di lacrime.

 

 

I Janko avevano deciso di cenare a casa di Kiyomi e Rudy, visto che da entrambi i lati su cui affacciava lo spettacolo dei fuochi d’artificio era strabiliante. La zia aveva cominciato a cucinare molto presto quella mattina, ma non con il solito entusiasmo e neppure i commensali in verità si dimostrarono particolarmente soddisfatti delle portate come invece accadeva sempre. A tavola si sentiva solo il tintinnio delle posate sui piatti di porcellana, nient’altro rompeva quell’insopportabile silenzio. « Prendete e mangiatene tutti… » mormorò Ethan spezzando il pane.

« Ma che dici? » disse Maki.

« Beh, sembra l’ultima cena. »

« Non sei troppo lontano dalla realtà » disse Rudy con distaccata noncuranza, riempiendosi il bicchiere di vino.

Oren li guardò a uno a uno, ma il suo sguardo si posò più a lungo su Danka. Non aveva mangiato niente quella sera, anzi, a giudicare da come si era deperita probabilmente non aveva mangiato molto ultimamente. Il viso, una volta luminoso e solare, era più magro e gli occhi a mandorla, accesi e pieni di vita, adesso erano spenti e perennemente persi nel vuoto. Alex dormiva fra le sue braccia; Oren notò che non lo lasciava mai. L’appetito già scarso le passò in un colpo. Posò la forchetta sul piatto, inspirando profondamente. Nella tasca dei pantaloni aveva ancora quella famosa pagina del rito… Non aveva ascoltato il nonno e negli ultimi tre giorni l’aveva guardata ancora, rimanendo della stessa opinione. Le parole le uscirono come se a pronunciarle fosse stato qualcun altro: « Vi prego, facciamo quel rito. »

Il nonno si irrigidì. « Oren, ti avevo avvertito. »

« Non me ne importa! È l’unica possibilità che abbiamo, lo vuoi capire?! »

« L’unica possibilità che abbiamo per morire! » ribatté il nonno.

« Non capisci! Dobbiamo salvare Alex e tu sai che non possiamo abbandonare la città, la Bryant ce lo impedirebbe e finiremmo solo per accorciare i tempi! Perciò con questa contromossa riusciremo a… »

Matsumoto si alzò in piedi scagliando indietro la sedia bruscamente. « Non salverò un nipote per perderne un’altra! »

Oren non sapeva se essere felice perché il nonno dopo tutte queste controversie comunque aveva a cuore la sua vita, oppure se essere esasperata. In tutti i casi avrebbe voluto urlare a squarciagola, invece sferrò un pugno sul tavolo; colpì invece il piatto e tutto il contenuto si riversò sulle sue ginocchia. Si passò una mano fra i capelli e poi sugli occhi… era stanca. Stanca di tutto. Gli altri non sapevano che dire, anche loro erano combattuti esattamente come lei. « Vieni, ti presto qualcosa… » disse Beatrix.

 

Beatrix aveva l’armadio colmo di abiti, la maggior parte cuciti da lei stessa alla perfezione. Aveva sempre avuto un talento naturale per questo genere di lavori e aveva anche uno spiccato senso estetico, una grande fantasia per immaginare completi e vestiti di ogni genere. Quando Oren le aveva detto, tempo prima, che aveva un futuro da stilista, lei aveva alzato le spalle e scosso la testa; in fondo al suo cuore le sarebbe piaciuto, le sarebbe piaciuto davvero tanto, ma sognare non era nella sua indole. Meglio non pensare mai al futuro.

Le due ragazze erano entrambe abbastanza magre, ma Oren aveva i fianchi più larghi che le davano una taglia in più, perciò i pantaloni della cugina le stavano stretti. Dovette perciò indossare un vestitino “alla Beatrix”, con le maniche lunghe e lo scollo ampio e rotondo; era corto fin sopra al ginocchio. Oren si guardò con aria scettica, decisamente non era il suo stile! « Almeno è nero » disse Beatrix, volendo far notare che non era un capo del tutto estraneo al guardaroba della cugina. Lei ridacchiò, osservando il suo riflesso nello specchio: con quegli anfibi logori l’abito perdeva buona parte della sua eleganza.

Si osservarono per qualche istante, entrambe in silenzio, ciascuna persa nelle proprie riflessioni. Lo specchio rifletteva due giovani, molto belle anche se in modo estremamente diverso, cresciute troppo in fretta, specie in quegli ultimi giorni, che cercavano in qualche maniera di apparire forti all’esterno; ma gli occhi non mentivano sulla loro anima sofferente. I Janko non si arrendono, diceva sempre il nonno, eppure stavolta non era stato così. Oren si sentì all’improvviso strana, una forma di inquietudine differente da quella che la aveva accompagnata fino ad allora stava prendendo forma dentro di lei; sentì il desiderio impellente di abbracciare sua cugina, ma si trattenne.

Beatrix sospirò e si avviò verso la porta. Oren la chiamò: « B.… » Cosa voleva dirle? Che le voleva bene? Che era stata una fortuna e un onore crescere insieme a lei? Che la ammirava per il suo coraggio? Che le sarebbe mancata… Perché pensava quelle cose… non lo sapeva bene nemmeno lei. E in tutti i modi, avevano sempre odiato quelle scene melodrammatiche, non si erano mai dette nemmeno una volta quel “ti voglio bene”, così ovvio e palese, dimostrato ogni giorno attraverso piccole cose e gesti apparentemente normali. « …Dovresti tagliare un po’ i capelli. Guarda come sono diventati lunghi, tra poco ci spazzerai il pavimento! »

Beatrix sorrise dolcemente. « Ok… » Anch’io ti voglio bene, Oren. È stato bello essere tua amica.

 

23,00

Oren non si era mai sentita così in ansia. Andò a sedersi sul divano, accanto a Danka e Ethan; quest’ultimo giocherellava con Alex, il quale si divertiva parecchio a osservare e toccare il suo pollice (che doveva sembrargli gigantesco fra le sue manine) con tanto di anello. Ethan se lo sfilò e fece per porgerlo al bambino, ma Danka glielo impedì. « No, dai, se lo ingoia… »

« Ma che ingoia! »

« E comunque non è igienico. »

Guardò i suoi fratelli battibeccare ancora, aveva il sospetto che Ethan insistesse di proposito al solo scopo di sentire ancora una volta la voce di Danka, che non parlava più ormai. Suo fratello era fatto così, con la stessa calma e serenità del nonno; Oren sentì il bisogno di avere un po’ del suo ottimismo, della sua capacità di prendere le cose con leggerezza anche quando sembrava tutto perduto… Come avrebbe fatto senza Ethan? Si spaventò a quel pensiero e andò in cucina con passo spedito. L’angoscia era però dovuta al fatto che non la smetteva di porsi queste domande senza senso. Nessuno l’avrebbe mai separata della sua famiglia, se si trattava di attaccare la Bryant l’avrebbero fatto insieme, probabilmente il giorno dopo stesso, ma comunque insieme.

Harry la incrociò nel corridoio. Anche lui sembrava ancora più magro del solito e preoccupato, ma le sorrise. Forse si era accorto che stava male… Oren tuttavia non si sentì meglio, un sorriso del suo fidato Harry non bastava più per tranquillizzarla.

Entrò in cucina. Zia Kiyomi stava lavando i piatti sporchi, zia Maki li ripuliva con uno straccio man mano che glieli passava: zia Maki che sbrigava le faccende domestiche, chiaro segno di anormalità. Probabilmente le era sembrata l’unica cosa da fare per stare un po’ occupata e impedirsi di pensare. Zio Rudy e zio Richy erano seduti al tavolo. Richy prese la caffettiera e si versò del caffé caldo, ma Rudy si appropriò della tazzina e bevve il liquido in un sorso, lasciando l’amico con un palmo di naso. Oren provò l’impulso di ridere, ma anche quella piccolissima sensazione di gioia, era come pervasa da nostalgia. Quante risate si era fatta insieme ai suoi zii, ricordava che anche durante i combattimenti a volte facevano certe battute assurde... Una parte di lei avrebbe voluto sedersi con loro e farsi raccontare qualche aneddoto divertente della loro adolescenza, magari uno dei mille scherzi che avevano combinato a suo padre, ma un’altra parte volle allontanarsi. Raggiunse la terrazza attigua, suo padre era appoggiato alla balaustra fumando una sigaretta. Si voltò a guardarla e Oren notò che sulla sua fronte c’erano delle rughe e che gli stavano spuntando i primi capelli bianchi, non ci aveva mai fatto caso. Non si radeva da qualche giorno, ma la barbetta incolta gli donava… pensò che suo padre era una brava persona, che lo amava tanto anche se non glielo dimostrava quasi mai e non si parlavano spesso, ma entrambi erano di poche parole. Con quello sguardo però si dissero molte cose…

 

23.30

Dalla finestra del salotto si aveva una visuale completa del dirimpettaio intento a sistemare i fuochi d’artificio e altre cose del genere sul balcone, quell’uomo viveva solo per quel suo piccolo istante di gloria. Oren lo fissò a lungo, a un certo punto quell’uomo si arrabbiò, perché i suoi figli avevano dimenticato di comprare qualcosa, si infuriò di brutto. Beatrix gli indirizzò un’occhiata di sufficienza, mista a incredulità. « Ecco i veri problemi della vita » mormorò in tono piatto.

Junior era disteso sul pavimento a pancia in giù a guardare la televisione, ma il volume era al minimo, e Oren dubitava che stesse davvero seguendo qualcosa, cambiava canale in continuazione. Non ci aveva mai riflettuto prima, ma Junior era probabilmente quello che ci aveva rimesso di più per colpa di quella storia. Lei e i suoi cugini avevano vissuto qualche anno in pace e tranquillità, lui invece era nato quando ormai la guerra era già cominciata; non aveva mai assaporato una vita normale, il che poteva essere anche un bene, perché in fondo non conosceva altri modi di vivere diversi dal suo, ma Junior era un bambino molto intelligente e Oren sospettava che soffrisse per quella situazione e capisse più di quanto si potesse immaginare. In più, era sicura al cento per cento che zia Maki non gli avrebbe mai permesso di prendere parte alla battaglia… sarebbe rimasto solo.

Ancora una volta, Oren sentì il bisogno di muoversi, non sopportava la presenza di nessuno di loro, ma al tempo stesso avrebbe voluto non lasciarli mai. Percorse il corridoio buio, in camera da letto, il nonno se ne stava da solo, con il viso dietro le persiane semiaperte. Non si accorse di lei; a cosa stava pensando? Forse che era colpa sua, solo colpa sua se erano arrivati a quel punto. Oren avrebbe voluto odiarlo. Ma non era così semplice, perché dentro di lei era convinta che al suo posto avrebbe fatto la stessa cosa. E se avesse potuto tornare indietro, a quella famosa sera, quando il primo cyborg seminò panico e morte nella piazza della città, che cosa avrebbe fatto? Avrebbe preso i suoi parenti e sarebbe andata via da quella città infernale?... Non lo sapeva. E questa era già una risposta. Dopo tutto quello che stavano patendo, non era ancora certa di poter davvero cambiare il passato.

 

23.50

Oren non riusciva a placare quel senso di inquietudine in alcun modo. Guardò Leon accarezzare i capelli di suo figlio, nonostante tutto, non riusciva a non ridere felice e orgoglioso quando lo guardava. Oren si alzò e andò in cucina, ormai deserta, facendo dei respiri profondi. Andò ancora in salotto, si sedette sul bracciolo della poltrona, ma si alzò un secondo dopo per andare di  nuovo alla finestra. Alla TV trasmettevano il consueto programma di fine anno, e già era cominciato il conto alla rovescia. Ma perché lei stava così in ansia? Non se lo spiegava… Peggiorava di minuto in minuto, era una sensazione insopportabile.

 

Cinque minuti alla mezzanotte.

L’ansia cresceva, ormai Oren era scossa da un lieve tremito e il cuore le batteva come un tamburo. Serrò forte le palpebre, poi corse in bagno. Le veniva da vomitare, ma riuscì a trattenersi. Si sciacquò il viso con acqua molto fredda, specchiandosi si accorse di essere pallidissima e l’eye-liner leggermente colato disegnava una linea nera un po’ più marcata di prima intorno ai suoi occhi. Che cosa le stava succedendo? Anzi… cosa stava per succedere a tutti quanti? Perché di questo era certa, una catastrofe li avrebbe colpiti di lì a pochi istanti.

Fece per tornare dagli altri, tremante più che mai, quasi con l’affanno, con le lacrime agli occhi. Sua madre la bloccò in cucina. « Oren, ma che cos’hai? È tutta la sera che ti comporti così, che succede? »

« Io… non lo so… »

Sentirono da fuori la gente che urlava gli ultimi dieci secondi del 2004…

« Ti senti male? »

« Io… sta per succedere… »

Sei… cinque… quattro…

« Che cosa sta per succedere? »

« Sta venendo per lui… lo prenderà… »

« Che stai dicendo,Oren!? »

Tre… due…

« Oren! »

Uno…

« E’ qui. »

 

 

Un rumore, come uno scoppio. Buio totale. Un urlo. Veniva dal salotto. « Danka! » strillò Oren, già pronta a correre in quella direzione, ma sua madre la fermò.

« Non è lei… E’ di qua, sulla veranda della cucina. Non voleva che Alex si spaventasse per il troppo rumore. »

Sia Oren che Kaory rimasero ferme indecise sul da farsi, correre da Danka e il piccolo Alex, o in salotto, dove Junior aveva appena lanciato un urlo? Per fortuna arrivò Leon, o almeno seppero che era lui dalla sua voce, dato che non riuscivano a vedere assolutamente niente. « Danka! Stai bene? Auh! »

« Che succede? Chi ha urlato prima? » domandò Kaory.

« Ho urtato lo stipite della porta… credo. »

Oren, accertatasi che gli altri stessero bene, corse fuori per raggiungere sua sorella, che sedeva su una sedia a dondolo con il bambino. Il suo volto illuminato parzialmente dalla luna e dai fuochi colorati nel cielo era spaventato. « Che è successo? »

Gli altri le raggiunsero. « Deve essere saltata la corrente in tutto il quartiere, perché anche i lampioni sono spenti… Junior si è spaventato, così gli è… »

Ma Oren non ascoltava più le parole di zia Maki. Come se le sue gambe si muovessero da sole, si sporse dalla ringhiera e guardò giù.

Un’ombra si muoveva nell’oscurità, quasi si mimetizzava con l’ambiente circostante… Era coperto da un mantello fino al cappuccio e sembrava scivolasse sull’asfalto anziché camminare. Quando arrivò proprio sotto il balcone dei Janko, pian piano i suoi piedi si staccarono dal suolo e continuò a salire sempre più alto, come tirato da un gancio, fino a quando poté guardarli tutti dall’alto. Galleggiava nell’aria proprio davanti a loro, il mantello nero che fluiva nel vento rifletteva i colori dei fuochi artificiali alle sue spalle. I Janko lo fissarono incapaci di proferire verbo, erano pietrificati.

Reid Bryant era appena entrato in scena.

 

 

NdGil. Hola miei pochi lettori ^^ Erika, come vedi Oren non avrà nemmeno il tempo di disubbidire al nonno… In effetti, povera ragazza, le faccio patire le pene dell’inferno. E questo non è ancora niente! K A presto per l’ultimo capitolo della prima parte!

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: axellina87