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Autore: SmartieMiz    23/11/2014    1 recensioni
Haruka Nanase non parla molto o meglio, non parla più. Si esprime tramite la musica che è il suo tutto.
Makoto Tachibana non parla poco o meglio, forse parla anche troppo, ma sa rispettare i silenzi e ogni singola nota di Haru. Non capisce un granché di musica, ma quella di Haru lo avvolge. Teme l'acqua, ma accanto ad Haru non ha paura.
Con lui, Makoto dimentica ogni preoccupazione. Saranno l'uno l'ancora dell'altro.
Fino alla fine.
“Dimmi, allora, cosa si celava nei suoi occhi?
Vi era l’oceano. Erano blu come il mare, gelidi come il ghiaccio e travolgenti come la musica che suonava.”

[Lievemente ispirata a “La leggenda del pianista sull’oceano” | Pairing MakoHaru | Angst a palate]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Haruka Nanase, Makoto Tachibana
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: Tasti neri e tasti bianchi (della nostra vita)
Rating: giallo
Genere: angst/drammatico/romantico
Pairing: MakoHaru

 

Note: sono mesi che non aggiorno e no, questa storia non è morta. Penso sempre a questa ff e so anche cosa scrivere, il problema è il tempo che manca sempre! Mi scuso immensamente per il ritardo, mi dispiace aggiornare così tardi.
Spero vi possa piacere il capitolo!
Piccolo appunto: Haruka. Spero non sia troppo OOC in questo capitolo, non vorrei aver fatto un guaio! A voi il giudizio ;) 
Ringrazio tutti coloro che leggono, seguono e recensiscono! Buona lettura <3

 


 

Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

~  Tasti neri e tasti bianchi (della nostra vita)



 






Atto IV
Confidenze custodite dalle tenebre

 


Sei come un animo… libero, sì. Sei come un animo libero rinchiuso in una sorta di prigione. È questo ciò che mi trasmetti.
 
Le parole di Makoto frullavano ancora nella testa di Haruka.
Libero.
Quella breve conversazione ne rievocò un’altra del passato.
 
«Libero? Vuoi essere libero, Nanase?».
«Sì».
«Cosa vuol dire?».
«Non lo so. Voglio poter essere libero».
«Beh, di certo non sarai libero rinchiuso in una nave per sempre!».
«Ancor meno se rinchiuso nel mondo».
Lo aveva guardato, stralunato. «Cosa intendi dire? La Terra è enorme, ti sentirai libero… libero di poter fare ogni cosa! Se solo scendessi da questa nave… potresti vedere un mucchio di cose! Non ne hai idea!».
«Ovvero sarei prigioniero. Prigioniero in un mondo così vasto di cui non posso vedere la fine. È una prigione immensa, la Terra. Questa nave è una piccola prigione dove posso trovare la mia libertà…»
 

~

 
«Ci sarà una sorpresa per voi stasera».
«Che cosa?».
«Ho appena detto che si tratta di una sorpresa!».
«E dai, fratellone! Voglio saperlo!».
«Non posso dirtelo, Ran! Che sorpresa sarebbe altrimenti?».
«Voglio saperlo anch’io!».
«Daiii! Diccelo!».
Ran e Ren si precipitarono su Makoto, solleticandogli i fianchi. Il ragazzo arrossì vistosamente, incominciando a ridere. «Fidatevi di me… e smettetela! Piuttosto mangiate prima».
I due bambini risero per poi mangiare con grande appetito la cena offerta dalla signora Doyle.
Makoto prese soltanto un pezzetto di pane per sé. «Fratellone, ce n’è altro!», gli disse Ran.
«Vuoi un po’ di dolce?», gli chiese invece Ren.
Il ragazzo scosse il capo con un piccolo sorriso. «Sto bene così, davvero. Grazie».
Circa dieci minuti dopo, Makoto si sistemò i capelli come meglio poté e si rivolse ai bambini. «Pronti?».
«Sì!», risposero, entusiasti.
«Sono curiosissima, fratellone!», esclamò Ran.
Makoto si limitò a sorridere. «Però mi dovete promettere una cosa».
«Che cosa?».
«Non dovete parlare e fare rumore».
«Non lo faremo! Promesso», lo rassicurò Ren.
Il ragazzo uscì dalla stanza con i suoi fratellini. Attraversò l’intero corridoio in completo silenzio, per poi raggiungere le zone riservate ai passeggeri di prima classe.
Come sempre, l’angolo di Makoto era vuoto.
«Venite qui», esortò i suoi fratelli.
Ran e Ren fecero come detto. «E adesso?», sussurrò la bambina, sempre più impaziente.
«Ancora un paio di minuti», fece Makoto: «Non parlate. Dovete ascoltare».
I due bambini tacquero, in attesa di udire qualcosa.
Non passò molto tempo quando finalmente si susseguirono le note di un pianoforte.
«Il signor Haruka!», mormorò Ren con un grande sorriso: «È lui, è inconfondibile».
«È lui il pianista della nave, non può esserne un altro!», lo rimbeccò Ran.
Makoto si limitava a tacere, lasciandosi avvolgere dalla musica.
La musica di Haru aveva una certa influenza su di lui. Ne era diventato dipendente in così poco tempo.
Haru si esprimeva tramite le note di un pianoforte. Non una semplice espressione dei propri sentimenti, delle proprie emozioni. La sua musica erano parole taciute, emozioni e sentimenti soppressi. La visione di un mondo. La sua vita, forse. Magari anche il suo passato.
Aveva un che di misterioso quella musica, e Haruka stesso.
 

~
 

Donne in abito lungo e uomini vestiti elegantemente danzavano, parlottavano e ridacchiavano.
Haruka aveva appena finito un componimento malinconico e molto personale per suonare un pezzo allegro richiesto della platea. Sembrava piuttosto scocciato. A giudicare dall’aria, non vedeva l’ora di andarsene di lì.
«Dunque, com’è che si chiama?».
Una ragazza con un lungo abito rosso stava conversando con un giovane uomo con un paio di lunghi baffi. Si erano messi in disparte e non erano molto lontani dal pianista che poté udire gran parte della conversazione.
«Haruka Nanase, signorina».
«Molto bravo, davvero. Ha la musica che scorre nelle vene. È anche un ragazzo affascinante».
L’uomo rise, sommessamente. «Con tutto il rispetto che nutro per lei, signorina, ma non le suggerirei di avvicinarsi a lui».
«Qual è il problema?».
«È una persona molto introversa e anche insolente, oserei dire. Un misantropo».
«Non parla con nessuno?».
«Nessuno è alla sua altezza», fece l’uomo, sarcastico: «È un gradasso. Ho sentito dire che non ha nemmeno nobili origini. Ha tutti i suoi privilegi solo perché sa combinare qualche nota, tutto qui».
«Non credo si possa parlare soltanto di combinazione di qualche nota. Il fatto che abbia talento è un dato di fatto».
«Talento che non sa sfruttare. Precisiamo», sottolineò l’uomo: «È un peccato essere dotati di un dono così grande e non saperlo rendere. Sono anch’io un artista, un pittore precisamente, e mi do da fare, signorina. Capisco queste cose, e le occasioni vanno colte al volo. Quando può ricapitare una tale opportunità? Non farlo significa essere maledettamente stupidi o terribilmente altezzosi. A lei la scelta».
«In effetti non ha senso restare a suonare su una nave se può farlo per il mondo. Riscuoterebbe un gran successo… diventerebbe ricchissimo! Potrebbe suonare con i più grandi pianisti di tutto il mondo, viaggiare ovunque… vivere una vita completamente diversa, ma grandiosa».
«Esattamente. Ma noi non possiamo farci proprio niente. Possiamo soltanto assistere alla morte lenta e dolorosa di questo talento destinato a marcire…».
La musica s’interruppe bruscamente. Haruka Nanase si era alzato di scatto dalla sua postazione.
Le persone lo guardarono, sconcertate. Il pianista fissò la coppia di signori che lo avevano deriso per tutto il tempo con assoluta freddezza, per poi lasciare la sala senza dire una parola.
 

~

 
«Non suona più?», bisbigliò Ran, tirando la manica della camicia del fratello per attirare la sua attenzione.
«Non so… dev’essere successo qualcosa», rispose Makoto, confuso.
Haruka uscì dalla sala. Gli sguardi di Makoto e Haruka s’incrociarono. Quest’ultimo gli si avvicinò, silenziosamente.
«Haru», sussurrò il ragazzo.
Provò a dire qualcosa, ma fu interrotto da una Ran molto preoccupata. «È successo qualcosa?».
«Niente, piccola», rispose il pianista con un sorriso impercettibile.
Makoto sospirò. «Bambini… è ora di andare a dormire. Vi accompagno in cabina».
«Ma io voglio parlare con il signore Haruka!», replicò Ran.
Makoto la guardò, serio in volto come non mai. «Ran, penso che Haru non abbia molta voglia di parlare e poi è tardi».
La bambina sbuffò. «Possiamo salutarla, signor Haruka?», parlò per la prima volta Ren.
Haruka rise, una risata sincera e cristallina. Makoto si ritrovò a pensare che non vi fosse un suono più angelico di quella risata. Nessuna melodia poteva essere paragonata a quel suono così dolce così leggero.
«Certo, non c’è bisogno di chiedermelo», rispose Haruka: «E chiamatemi Haru».
La piccola Ran sorrise. «Allora ciao, Haru!».
«Buonanotte, Haru», esclamò Ren: «A domani!».
Makoto si voltò verso Haru, lanciandogli uno sguardo d’intesa. Il pianista si limitò ad annuire.
 

~

 
Haruka aspettò nel cantuccio segreto di Makoto per un paio di minuti.
«Sono qui», Makoto ricomparve, e in un bisbiglio disse: «Spero stiano dormendo».
Haru non disse niente. Si limitò a fissare Makoto e a muovere leggermente il capo.
«Il signor Nanase?».
«Sì, proprio lui, il pianista della nave».
Sulla soglia della grande sala, due uomini stavano confabulando tra loro.
«Se dovesse continuare con quest’atteggiamento sarò costretto a cacciarlo».
«Signore, non vorrei contraddirla ma è da ben diciannove anni che assume una condotta a dir poco disdicevole».
«Ma adesso sta oltrepassando i limiti. Dove si sarà cacciato… se lo trovo, oh… se mi sentirà!».
«Haru… ti stanno cercando», mormorò Makoto.
«Lo so».
«Dovresti tornare, o ti manderanno via…» .
«Io non ci torno. Non stasera».
Inaspettatamente, Haruka afferrò la mano di Makoto con decisione senza dare spiegazioni, per poi muoversi nell’ombra e condurlo chissà dove.
Makoto si limitò a seguirlo, curioso e agitato allo stesso tempo.
Haruka lo portò nella stiva della nave. Vi era una porticina che apriva ad un minuscolo stanzino.
«Qui non ci troveranno. È un magazzino dimenticato», asserì Haruka, mentre chiudeva la stanza a chiave.
Makoto annuì, guardandosi intorno. Era buio, riusciva soltanto a distinguere le sagome degli scatoloni. Dovevano esserci quintali di polvere in quei pochissimi metri quadrati a giudicare dalla tosse del ragazzo.
«Incomincio a sentirmi un po’ strano…», mormorò Makoto, sbottonando il primo bottone della camicia: «È un posto troppo buio ed angusto…».
«Solo dieci minuti», fece Haru, guardandolo negli occhi. Anche se non lo espresse ad alta voce, sembrava lo stesse supplicando. Makoto non poté dire di no a quei due tasselli d’oceano che non riusciva a vedere, ma sapeva che lo stavano fissavano con aria implorante.
«E va bene… solo dieci minuti».
Haruka si lasciò andare contro la parete, distendendo le lunghe gambe sul pavimento. Makoto si sedette sopra ad uno scatolone, provocandone l’involontaria rottura.
«Ti converrebbe sederti accanto a me», gli disse Haru, serio, anche se le sue labbra erano incurvate in un leggero sorriso.
Makoto si sistemò accanto a lui, appoggiando la schiena contro la parete.
«Sono un disastro».
Haru scosse il capo. «No. Sei soltanto goffo».
«Grazie eh! Molto spiritoso», rispose l’altro.
Haru non disse niente ma Makoto sapeva che, almeno per una frazione di secondo, il suo cuore era diventato leggero, quasi spensierato. Riusciva ad avvertirlo, quasi come se il cuore di Haru appartenesse a lui.
Calò un silenzio imbarazzante che si protrasse per qualche minuto. Makoto non sapeva che cosa dire, non voleva risultare indiscreto. Voleva che fosse l’altro a parlare se avesse voluto.
Gli sembrò essere passata un’eternità quando udì il suo nome sussurrato dall’altro.
«Makoto».
«Haru?».
«Cosa pensi di me?».
Makoto lo guardò, sgranando gli occhi. «Io? Io cosa penso di te?».
«Sì».
«Beh… sicuramente non sei divertente! Darmi dell’imbranato… non è carino, sai?».
«Cerco di essere oggettivo. Non è colpa mia se sei così maldestro».
«Peggiori soltanto le cose così», commentò Makoto, fingendosi risentito.
«Tralascia la mia brutale schiettezza, allora».
«Beh, Haru… io… io non ti conosco bene», iniziò Makoto: «Anzi, in realtà non ti conosco affatto. Quando ti ho conosciuto?».
«Ieri sera».
«Ecco. E mi parli ufficialmente da qualche ora. Strambo, vero? Eppure mi sembra di conoscerti da sempre. È assurdo. Non è una cosa che capita tutti i giorni».
Haru non parlò, limitandosi ad ascoltare. «Sei silenzioso, Haru. Molto calmo e riservato, devo dire, ma non sei affatto timido. Sei passionale, lo percepisco dalla tua musica. Ci metti te stesso e ogni singola parte di te. Nei tuoi occhi è celato un mondo… mille emozioni, mille parole… sei libero, Haru. Lo sei di natura, ma vuoi esserlo per davvero perché non ti senti tale».
Makoto si meravigliò delle sue stesse parole. Arrossì vistosamente. «Devi perdonarmi… a volte mi dimentico che non sto scrivendo un’opera teatrale, bensì parlo con qualcuno… non so cosa mi è preso!».
«No. Non ti devi scusare per niente», fece Haru: «Piuttosto… lo pensi davvero?».
«Sì… è ciò che penso».
«Sei la seconda persona che la pensa diversamente da tutti gli altri», confessò Haruka.
Makoto non disse niente. Lasciò che l’altro continuasse a confidarsi. «Tutti pensano che io sia uno spaccone e che mi dia delle arie. La prima persona diceva invece che ero molto chiuso e testardo, ma forte. Tu pensi che io sia riservato, passionale e libero… il problema è che io non so davvero chi sono».
Haruka parlava con assoluta pacatezza, ma sembrava parecchio frustrato.
«Haru… non farti dare delle definizioni e delle etichette e non dare mai peso a ciò che gli altri pensano di te, sono sempre pareri dettati dall’ignoranza oppure pareri molto soggettivi. Sei tu l’artefice del tuo destino. Un giorno le parole degli altri andranno al vento… l’importante è ciò che pensi tu di te stesso».
Haruka aveva il capo chino e lo sguardo fisso a terra, ma assorbì ogni parola di Makoto.
«Sta a te prendere decisioni proprio perché è la tua vita, e deve appartenere a te, non a qualcun altro. Solo questo posso dirti».
Haruka annuì, lievemente. «Sì. Grazie, Makoto».
«Figurati! Non devi ringraziarmi», gli rispose l’altro con un sincero sorriso.
«Se vuoi possiamo andare via».
«Sì, va bene, anche se è così buio… non riesco a vedere niente».
Haruka si alzò e si avvicinò alla porta, camminando lentamente. «L’ho chiusa a chiave».
«Sì, e dove sono le chiavi?».
«Non sono in tasca».
Makoto dovette impallidire, anche se Haruka non poté vederlo. «Cosa?! Scherzi?! Siamo rimasti chiusi qui dentro!».
«Niente panico».
«Come fai ad essere sempre così tranquillo?!».
«Ricordo di averle appoggiate su uno scatolone, ma sarebbe preferibile prenderle domani quando potremo usufruire della luce del sole. Non vorrei perderle per davvero».
«I miei fratelli dormiranno da soli stanotte… non è sicuro!».
«Hai chiuso la loro cabina?».
«Sì, ho le chiavi con me, ma…».
«… e allora non accadrà niente. Tranquillo. Domattina passiamo a prenderli e andiamo insieme dalla signora Doyle».
Makoto sospirò, afflitto. «Non ci voleva proprio…».
«Non avrai mica paura del buio?».
«Smettila!».
«È una domanda».
«Non riesco a vedere niente, nemmeno te».
«Adesso sentirai dei passi. Non spaventarti, sono io».
Makoto voleva morire di vergogna e di paura. «Staresti cercando di sdrammatizzare la situazione?!».
Haruka si sedette a terra, sistemandosi accanto a Makoto. «Buonanotte, Makoto. Fai sogni tranquilli. Non c’è motivo di aver paura».
«Mi prendi in giro?!».
«No. Siamo chiusi dentro, non può entrare nessuno».
Makoto sbuffò. «D’accordo. Buonanotte anche a lei che è così coraggioso, signor Haruka».
Sentì Haru tremare al suo fianco, nel tentativo di trattenere una risata.
Passarono ben cinque minuti, ma Makoto non aveva chiuso occhio.
«Haru?».
«Mm?».
«Dormi?».
«No».
«Ci vorrebbe proprio un po’ di musica. Mi rilasserebbe».
«Non ho un pianoforte al momento».
«Lo so. Che peccato».
Cadde nuovamente un silenzio che sembrò durare una vita.
«Makoto?».
Questa volta fu Haruka a spezzarlo.
«Sì?».
«Non riesci proprio a dormire?».
«No…».
«Puoi appoggiarti su di me se stai scomodo».
«Ti ringrazio, Haru…».
Makoto posò il capo sulla spalla di quel misterioso pianista che, come un’onda, aveva travolto la sua esistenza in così poco tempo.

 

~



 

Angolo Autrice  ~

Come sempre ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui! c:
Ancora una volta possiamo vedere come Makoto riesca a capire Haru con una sola occhiata, un solo sguardo, una sola parola. Come già ho detto altre volte, è questa la cosa che più amo e che più mi affascina del loro rapporto. Spero soltanto di riuscire a rendere giustizia a quella che è la complessità e la bellezza di questo loro "linguaggio", questo loro modo di esprimersi e capirsi, non vorrei combinare guai!
Come ho già scritto nelle note a inizio capitolo, Haru a volte mi sembra un pochino OOC, anche se non riesco a vederlo in un altro modo. Anche il fatto che si sia confidato con Makoto... alla fine non svela chissà che cosa, resta sempre sul vago, ma da una parte mi sembrava giusto che ne parlasse con Makoto anche se lo conosce da pochissimo. Che cosa ne pensate?
Spero vi sia piaciuto il capitolo e spero di non farti aspettare ancora così tanto, a presto! :D

   
 
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