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Autore: ___Page    24/11/2014    1 recensioni
Spalancò gli occhi, sollevandosi con la schiena dal materasso, in un gesto secco e improvviso.
Una mano tatuata andò a posarsi sullo sterno, contro cui il cuore batteva impazzito, mentre cercava di regolarizzare il respiro e calmare l’affanno che gli smuoveva il torace.
Chiuse gli occhi, deglutendo.
-Calma… Calma…- mormorò a se stesso, mentre riprendeva il controllo e il ronzio alla testa diminuiva pian piano.
[Non è un AU]
*Fan Fiction partecipante al LawxMargaret day*
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Margaret, Penguin, Trafalgar Law
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Contro ogni legge, contro ogni regola,
per quegli occhi di ghiaccio capaci di incendiarle il cuore







 
Spalancò gli occhi, sollevandosi con la schiena dal materasso, in un gesto secco e improvviso.
Una mano tatuata andò a posarsi sullo sterno, contro cui il cuore batteva impazzito, mentre cercava di regolarizzare il respiro e calmare l’affanno che gli smuoveva il torace.
Chiuse gli occhi, deglutendo.
-Calma… Calma…- mormorò a se stesso, mentre riprendeva il controllo e il ronzio alla testa diminuiva pian piano.
Dannato, stupido sogno!
Erano mesi che non gli capitava ma una volta gli era bastata e avanzata.
Si sentiva incredibilmente idiota, con il panico che gli scorreva nelle vene a causa di un assurdo prodotto della propria attività onirica, per quanto realistico fosse e per quanto avesse sentito rimbombargli nelle orecchie quel colpo di mortaio.
Si passò una mano sul viso sudato, faticando a controllarne il tremito, prima di alzarsi e avvicinarsi alla finestra della sua stanza, sul sottomarino emerso e ancorato nella baia di Amazon Lily.
La socchiuse per inspirare a pieni polmoni l’aria tiepida e profumata dell’isola, permettendo alla brezza notturna di asciugare le gocce che gli imperlavano la fronte.
Era stato esattamente identico alle altre volte.
C’era lui e lo strano senso di inquietudine che continuava a perseguitarlo anche dopo il risveglio.
C’era Penguin, che non era mai Penguin ma aveva quei nomi ridicoli, Publio, Porter e Ga.. Ga-qualcosa.
C’erano le emozioni vere e autentiche, provate sulla pelle.
C’era la sensazione che non si trattasse di sogni ma di ricordi.
E poi c’era lei.
Lei che era stata fino a quella sera un’incognita, senza nome e senza volto, e che ora finalmente era riuscito a identificare.
E per qualche inspiegabile motivo la cosa lo faceva sentire ancora più inquieto del solito.
Perché la vestale, la regina e l’infermiera avevano tutte e tre le fattezze della giovane Kuja con cui si era scambiato appena un paio di battute cinque giorni prima.
Margaret, così l’aveva chiamata la sua compagna quando l’aveva vista parlare con lui.
Era rimasto colpito dalla sua audacia, al punto da non riuscire a usare il suo solito modo di fare, sarcastico e fintamente cortese.
L’aveva vista sinceramente preoccupata per Cappellaio e ansiosa di conoscerne le condizioni ma, soprattutto, fiduciosa nei suoi confronti e nelle sue capacità quando gli aveva quasi ordinato di guarirlo.
Ghignò nel ripensare a quella scena e il cuore nel petto accelerò di nuovo i battiti quando i ricordi gli riportarono alla memoria anche le strane sensazioni provate.
Gli era parso di averla già vista e, per quanto lo avesse negato anche a se stesso, non era più riuscito a levarsela dalla testa.
Ora che quel sogno era tornato a tormentarlo, un pensiero si stava facendo strada in lui.
La presenza di Penguin lo aveva sempre rassicurato sul fatto che si trattasse solo di un prodotto del suo cervello, nonostante il sogno fosse sempre identico al punto che lo conosceva ormai a memoria e, in fondo, la presenza stessa della Kuja confermava la sua teoria.
Ma era inutile negare che già in un’altra occasione si era domandato se non si trattasse di reminiscenze di qualche vita parallele, per quanto ridicolo suonasse.
Lui non credeva a queste cose, non credeva a nulla che non fosse concreto e tangibile sotto le mani, ma doveva ammettere che le sensazioni che gli si appiccicavano addosso quando gli succedeva e soprattutto quelle che aveva provato la prima volta che aveva sollevato il proprio sguardo su Margaret lo stavano facendo vacillare.
Forse…
-Andiamo, Trafalgar, non essere ridicolo!- si rimproverò da solo, allontanandosi dalla finestra e fermandosi al centro della propria cabina, il ponte del naso stretto tra pollice e indice.
Era assurdo e patetico anche solo pensarlo, eppure non riusciva a levarsi dalla testa l’idea che lui e quell’amazzone potessero essere degli spiriti affini.
Non poteva negare di avere provato quella tipica sensazione di soddisfazione e sollievo nel vederla, come se avesse appena ritrovato qualcosa che cercava da tempo, ma non vi aveva dato peso fino a quel momento.
Quel momento in cui sembrava che i pezzi stessero tornando ognuno al proprio posto.
Scosse la testa, infastidito da quei ragionamenti così poco da lui, e si concentrò a scrutare nell’ombra per recuperare i pantaloni leopardati e una maglietta nera, deciso a recarsi in cucina per bere un bicchier d’acqua.
Si avviò lungo il corridoio a pieni nudi, riflettendo, suo malgrado, sul da farsi.
Sarebbe potuto andare a cercarla, certo, ma a che scopo?!
Parlarle?! Per dirle cosa?!
Sedurla?!
Che senso avrebbe avuto?!
Era una Kuja, non avrebbe mai ceduto a un uomo e poi a lui non interessava possederla così, carnalmente e solo per togliersi uno sfizio.
Si bloccò, colpito dal suo stesso pensiero.
Quando mai era stato un problema sedurre una donna per semplice piacere?!
Lo faceva sempre, senza mai l’ombra di uno scrupolo.
Perché Margaret sarebbe dovuta essere diversa, tralasciando il fatto che era una Kuja?!
E perché quella crescente sensazione di euforia mista ad ansia non lo abbandonava?!
Riportò la propria attenzione sulla porta della cucina, aggrottando le sopracciglia nel trovarla semiaperta.
Con le sue tipiche cautela e diffidenza, che usava persino in casa propria, posò un palmo sulla superficie metallica e la spalancò.
Penguin, in tenuta notturna e senza il suo ridicolo cappello, era appoggiato di schiena al bancone e beveva un bicchier d’acqua.
Si girò a guardarlo, mentre deglutiva, quando percepì il suo sguardo su di sé.
-Oh! Ciao Capitano- lo salutò sottovoce, ottenendo solo un cenno in risposta -Tutto a posto?!-
-Ho sete- si limitò a commentare avvicinandosi alla dispensa per recuperare un bicchiere -E tu?- chiese poi voltando appena il viso mentre richiudeva l’anta.
Penguin si strinse nelle spalle, posando il proprio bicchiere sul bancone e afferrando la bottiglia dell’acqua.
-Ho fatto un sogno strano!- spiegò, stringendosi nelle spalle e facendo sobbalzare appena il capitano.
Law si girò del tutto e si soprese nel trovare Penguin pronto a versargli l’acqua, aggrottando un attimo le sopracciglia al gesto del sottoposto prima di allungare il braccio verso di lui e perdere lo sguardo nel vuoto, mentre il rosso inclinava la bottiglia e gli riempiva il bicchiere.
Era la notte dei sogni strani a quanto pareva!
Si riscosse quando un paio di gocce fredde si infransero sul dorso del suo piede nudo.
Riportò la propria attenzione prima sul bicchiere, per niente colmo, e poi su Penguin.
-Che ti prende?!- domandò, accigliandosi.
-A me niente, Capitano! Sei tu che tremi!- gli fece notare, non nascondendo un velo di preoccupazione.
Con stupore, Law spostò le iridi grigie sul proprio arto, trovandolo effettivamente malfermo.
-Grazie- borbottò, portandosi il bicchiere alle labbra.
Si avvicinò al bancone, affrettandosi per sottrarsi allo sguardo indagatore di Penguin, e vi si appoggiò con un mano, infossando uno sguardo truce sulla superficie gialla, arrabbiato dalla sua incapacità di controllarsi.
Dannazione!
-Come mai eri sveglio?!- chiese Penguin, tornando al suo fianco e appoggiando la bottiglia proprio mentre Law appoggiava il bicchiere, continuando a stringerlo spasmodicamente, rischiando di romperlo.
Perché?!
Perché non riusciva a controllarsi?!
Perché si sentiva così?!
-Anche io un sogno strano- mormorò, puntando lo sguardo di fronte a sé, al limite della sopportazione.
Voleva scendere dal sottomarino.
Voleva andare sull’isola.
Contro ogni logica e prudenza, voleva correre da lei.
Ma non poteva.
Avrebbe dominato quell’istinto con la stessa freddezza che gli consentiva di operare senza mai perdere la calma, perché non aveva nessun valido motivo per agire come il cuore gli stava disperatamente suggerendo.
Con la coda dell’occhio intravide Penguin addossarsi al bancone con gli avambracci e guardare di fronte a sé, proprio come stava facendo lui.
Stava per salutarlo e allontanarsi, diretto nuovamente in camera quando il suo sottoposto parlò, anticipandolo.
-Sembra quasi che sia successo veramente, no?!- domandò, facendogli trattenere il fiato.
A occhi sgranati si girò a guardarlo proprio mentre anche lui voltava il viso per incrociare gli occhi del suo capitano.
-Quel sogno dico… Il soldato, il cavaliere, il bombardamento… Sembra di essere stati lì, di averlo vissuto per davvero! È così anche per te, vero?!-
Law fissò sconvolto il compagno, interdetto dalle sue parole.
-Tu… Tu come fai a… sapere che…- tartagliò, sbattendo le palpebre per riprendersi.
-Che abbiamo fatto lo stesso sogno?!- concluse per lui, stringendosi poi subito nelle spalle -Non lo so! Istinto! Per me te lo si legge in faccia!-
Attese una qualche reazione differente dal boccheggiare e dal fissarlo come se fosse un fantasma da parte del Capitano ma, quando questa non arrivò, decise di proseguire.
-Questa volta aveva un volto definito anche lei. La Kuja bionda che ti si è avvicinata l’altro giorno- mormorò, scioccandolo ancora di più, per quanto sembrasse impossibile.
Era impossibile per Law identificare quello che gli si stava gonfiando al centro del petto in quel momento.
Si sentiva in debito di ossigeno e frastornato dalla potenza del suo stesso battito cardiaco, che sembrava sul punto di frantumargli il costato.
Quella non poteva essere una semplice coincidenza.
Vide Penguin lasciarsi andare a un mezzo sorriso, mentre lui si sentiva ormai sul punto di esplodere.
-Credo che dovresti andare a cercarla…- mormorò, scoccandogli un’occhiata eloquente.
 

§
 

Non sapeva da quanto stesse correndo.
Non sentiva nulla.
Né il fischio del vento nelle orecchie e tra la zazzera scura, libera dal cappello, né la nuda terra sotto i piedi scalzi, né il cuore che pompava impazzito per supportare la sua folle corsa.
Aveva un solo obbiettivo, raggiungere il villaggio Kuja.
Anche se era pericoloso.
Anche se era potenzialmente mortale.
Doveva vederla, non gli importava di rischiare la vita.
Doveva vederla e capire se era tutto un caso o un grosso scherzo o se c’era sotto di più.
Non ci aveva mai voluto credere al destino, lui.
Ma in quel momento della sua coerenza, delle sue convinzioni, gli importava ben poco.
Non poteva partire da quell’isola con il dubbio di averci lasciato un pezzo di cuore, un pezzo bello consistente, insieme con la donna della sua vita.
Perché se la sua ipotesi, condivisa da Penguin, che non si trattasse di sogni ma di ricordi di vite parallele era vera, allora Margaret doveva per forza essere questo.
Se era vero, il fatto di trovarsi lì non era un caso.
Erano destinati ad incontrarsi, se era vero.
Fu un movimento dal lato opposto della radura dove era appena entrato a obbligarlo ad arrestare la sua scorsa, spruzzando terriccio intorno e sbilanciandolo all’indietro.
Si concentrò sulla figura a pochi metri di fronte a sé quando recuperò l’equilibrio e si ritrovò a trattenere di nuovo il fiato nel riconoscerla.
Lo seppe in quel momento che era tutto vero.
Lo capì dalla sensazione di completezza che lo invase, dalla percezione di sentirsi a casa.
E lo lesse nel suo sguardo, incredulo ed emozionato, che anche lei aveva sognato, o forse era più corretto dire ricordato, ogni cosa.
Si fissarono a occhi sgranati per un tempo che a loro parve interminabile, mentre i loro petti continuavano ad alzarsi e abbassarsi per l’affanno e l’emozione.
Come rispondendo a un segnale entrambi mossero un passo l’uno verso l’altra.
-Stai per chiedermi…- cominciò la guerriera, recuperando il fiato tra una frase e l’altra -…cosa ci faccio qui… vero?!-
-Sei… venuta a cercarmi…- rispose prontamente Law, annuendo.
Margaret trattenne il fiato un istante, prima di puntargli contro un dito.
-Se stai per dirmi che… è pericoloso… sappi che…-
-Non t’importa! Lo so!- rispose.
Un sorriso si disegnò sul volto della Kuja, illuminandolo, nel riconoscere quello scambio di battute.
E quando scoppiò a ridere anche Law sorrise, un sorriso vero, non il suo solito ghigno, prima di coprire rapidamente la poca distanza che li separava e prenderla tra le braccia.
Le cinse saldamente la vita, sorridendole senza riserve mentre lei posava le mani sul suo petto e si alzava in punta di piedi per accarezzargli la guancia con la punta del naso.
-Mi hai trovato…- mormorò, commossa ed emozionata.
Law non si era mai sentito così in vita sua.
Così felice, così euforico, così incapace di gestire le proprie emozioni e contento di non riuscirci.
Il freddo chirurgo della morte si era dissolto nel nulla, lasciando spazio a un uomo che aveva appena trovato la sua perfetta metà.
Si scambiarono un bacio che aveva un sapore familiare e nuovo al tempo stesso, mischiando i loro respiri per la prima ed ennesima  volta, cercandosi e stringendosi disperatamente.
Desiderandosi come si può desiderare l’aria nei polmoni e il sole sulla pelle.
-Margaret, aspetta…- la bloccò quando tornò alla carica dopo una breve pausa per riprendere fiato.
La Kuja lo guardò interrogativo.
-Non… Hai visto com’è andata a finire le altre volte! Non dobbiamo cedere, io non voglio che…- ma la sua carnosa bocca arrivò lesta a interrompere quel discorso senza senso.
Si separò nuovamente dalle sue labbra, riluttante, senza staccare le mani dal suo viso squadrato e guardandolo intensamente negli occhi.
-Non questa volta, amore mio-
Lo baciò e amò con un’esperienza che non era la sua mentre lui baciava e amava lei in un modo del tutto nuovo per il tipo di uomo che era stato fino a quel momento, in quella vita.
Mentre si esploravano e spogliavano per la prima volta, si resero conto di conoscere a memoria il corpo dell’altro, così come il ritmo dei gemiti che scandiva il loro amplesso, il profumo della loro passione che si mischiava a quello della pelle.
Le labbra disegnavano percorsi familiari sulla cute sconosciuta dell’amante, soffermandosi nei punti giusti senza indugio e curando ferite invisibili, segno di una disperata ricerca mai conclusasi con un finale felice.
Ma non quella volta.
Quando Margaret crollò addormentata sul suo petto, Law decise che avrebbe ridotto al minimo i rischi.
Lì erano troppo esposti, lo sapeva.
Sapeva anche che le leggi delle Kuja erano dopotutto flessibili ma, viste le esperienze precedenti, non si fidava.
L’adagiò al suo fianco, per potersi rivestire almeno dei boxer e dei pantaloni, e la coprì con la propria maglietta, prima di caricarsela in braccio e avviarsi al sottomarino.
Si arrestò un istante, una volta fuori dal groviglio di vegetazione, per concedersi di ammirarla alla luce della luna e ghignò di sghembo nel vederla così profondamente addormentata, con il capo abbandonato sul suo petto.
Le posò un bacio tra i capelli mentre riprendeva a camminare, deciso e determinato.  
Perché nessuno gli avrebbe portato più via il suo paradiso.
Mai più. 
  
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