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Autore: G K S    24/11/2014    2 recensioni
Agorafobia, demofobia, acluofobia, sociofobia, fobofobia, agyrofobia.
Queste sono tutte le facce di Kell, tutti i suoi demoni, tutte le sue fobie.
L’unica cosa che ha sempre potuto fare è resistere, contro ogni convinzione e anche contro il suo stesso volere, ha quasi diciassette anni e l’unica cosa che vorrebbe fare è vivere.
E dove finisce? Beh, il Quattrocentoventisette è un istituto correttivo per ragazzi affetti da fobie, proprio come lei. Troverà Cecely, Victor e anche Jeh, il fantasma del suo passato, il ragazzo sfigurato con l’occhio di vetro che non ha mai dimenticato e le cose per lei non sembrano andare troppo male...
Solo che le cose non sono esattamente come sembrano, anzi, le cose in realtà sono ancora più complicate di quelle che sono...
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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16. Intromissione



Fece un bel respiro profondo, tirando dentro aria, l’odore familiare di qualcuno, così stranamente simile al suo, le si insinuò nelle narici, non voleva aprire gli occhi non aveva voglia, non voleva ricominciare; strinse la nuca del ragazzo in modo da avvicinarlo di più a se. Un momento dopo sentì chiaramente il collo liscio contro la superficie del suo viso, la testa premuta contro la sua la circondava. Kell non si ricordava più l’esatta posizione in cui si era svegliata la mattina dopo la caduta di Catherine, ma ricordava quell’alone di perfetta coesistenza con le persone che la circondavano. 
Dieci minuti e sarebbe suonata la sveglia, segnalatrice della mezzora di tempo per prepararsi a una nuova estenuante giornata di scuola, di macchinazioni e di problemi.
A un tratto sentì lui che questa volta la stringeva di più, voleva parlare, voleva dire qualcosa, ma non sapeva cosa e non sapeva come sarebbe venuto fuori.
Alla fine aspettò pazientemente che quell’oasi di pace e mutismo avesse fine; anche se... la sveglia cominciò a suonare, Jeh non si staccò immediatamente da lei come credeva avrebbe fatto, sbadigliò quando lei si sporse oltre il bordo del letto – mentre lui era ancora aggrappato alla stoffa leggera del suo pigiama – per spegnere quella fastidiosa sventurata della sveglia.
«Dormito bene?» 
Jeh sfoderò un sorriso ironico dei suoi: «Guarda la mia faccia distrutta, non ti basta come risposta?»
«No.» Kell afferrò il cuscino con entrambe le mani facendogliela sfuggire da sotto la testa e gli rifilò una cuscinata in pieno viso.
«E a te questo basta come risposta o ne vuoi ancora?» Lo sentì ridere da sotto il cuscino mentre cercava di soffocarlo per divertimento, seppe in quell’esatto istante che la pace era finita.


Jeh, dopo averle rifilato a sua volta una cuscinata in testa per vendicarsi filò in camera sua a mettersi l’occhio di vetro, Kell ancora piuttosto assonnata si diresse direttamente in sala. 
Doveva fare colazione con gli altri come ogni giorno e spiegare; non appena riuscì a sedersi tra loro, ancora abbastanza intontita dal recente risveglio cominciò subito a raccontare della telefonata.
Prima di sedersi si sentiva ancora tranquilla, si guardava intorno in attesa della comparsa di Jeh, e pensò che avrebbe preferito aspettare che ci fosse anche lui ma dopo un paio di minuti saltò su con le parole che la Urlik quella notte le aveva scaricato addosso.
Anluan annuì almeno trenta volta nel giro di cinque minuti, Itsuko attaccò a parlargli, sembrava estremamente combattiva come al solito, proprio l’atteggiamento giusto. Cecely e Victor cominciarono a parlare fra loro: «Non spetta a te.» Le disse lui.
«E neanche a te.» Victor alzò gli occhi al cielo: «Ma potrei...»
«No.» Fece Kell, non voleva essere troppo dura ma assunse comunque un tono perentorio: «Tu ci servi fuori da questo, non possiamo buttarci tutti a capofitto nel piano della Urlik sarebbe anche piuttosto sospetto, no Vic.»
Unire due universi di Cecely: Victor e Emeric, equivaleva a fare andare in collisione il vecchio e il nuovo, non era quello che le serviva, non era necessario fare altro male. Voleva preservare.
«Stessa cosa tu Cely, e Jeh naturalmente.»
«Capisco.» Disse la ragazza, accavallò le gambe come al solito strette dei suoi costosissimi stivali con le stringe, un altro paio, Kell non li contava più ormai.
Guardò Victor con i suoi occhi verde scuro e un sorriso ironico: «Allora si torna ai vecchi tempi.»
Il sorriso forzatamente rassicurante sul viso di Kell per un secondo si affievolì: «Solo noi tre.»
«Hey.» Anluan le scoccò un’occhiataccia: «Dobbiamo solo sedurre un paio di persone, non partiamo per l’Alaska.»
L’espressione “sedurre” fece arricciare il naso a Kell: «Non dobbiamo sedurre nessuno.» Anluan rise da di fianco a lei, una fiancata lo riportò al mondo reale: «Dobbiamo semplicemente avvicinarci.»
«Bene.» Itsuko annuì: «So come fare.»
«Davvero?» Kell tirò un sospiro di sollievo, Jeh si sedette al suo fianco, arpionò una fetta biscottata con la forchetta che aveva appena preso e la depositò nel suo piatto già messo al suo posto come al solito.
«Sì, dobbiamo aggiornati Jeh, la Urlik...» Kell stava per intervenire ma Jeh la precedette con un gesto sbrigativo della mano: «Kell me l’ha già detto.» 
«Ah, bene, allora cominciamo a parlare del piano.»
«Lascio il diario da leggere a...» «A me.» Jeh glielo tolse di mano e lo aprì: «Okay?» Sapeva perfettamente di non poter rifiutare: «Okay.» Anche gli altri si dissero d’accordo.
«Che cos’hai in mente?» Chiese Kell a Itsuko, tutti i si voltarono a guardare la diretta interessata.
«Io e Anluan conoscevamo abbastanza Catherine, se diciamo a Nikki di sapere qualcosa come...»
«Come: “Catherine e Michael stavano insieme”?» Suggerì Kell.
«Perfetto.» Itsuko batté le mani: «Le diciamo che ce l’aveva detto Lucy, e poi chiamiamo Lucy a confermare, è abbastanza per farci entrare nelle sue grazie.»
«Credo proprio di si.» Disse Anluan «E poi dobbiamo cercare qualcosa con cui spingerla a dirci la verità quando Emeric non sarà presente, se è stato lui… lei meschina com’è potrebbe arrivare a...» «A vantarsene.» Completò Cecely inghiottendo la saliva: «Ci serve qualcosa come...»
Jeh puntò il dito su una pagina: 
«Come... “sappiamo che Emeric aveva le chiave del balcone”?»
«Oh no.»
«Oh si.» Jeh sorrise passandole il diario sotto il naso, la faccia di Itsuko non lasciava spazio a dubbi: «Qui dice proprio che Michael ha visto Emeric con le chiavi. Lo ha visto!»
Si ricordò di quando Micheal aveva scritto di aver visto Emeric parlare con la Patricks, ma nessuno le parlava mai solitamente, tutto cominciava ad avere un senso.
«Fantastico.» Kell si alzò in piedi: «Manderò una foto alla Urlik dopo le lezioni.» E ora era ora di andare in classe.
«Quando cominciamo?» 
«Proviamoci oggi stesso a cena.» Disse Itsuko: «Io, Anluan e Kell ci sediamo ad un tavolo, ci facciamo presentare, per il momento è il massimo, magari si siede con noi, poi arriva Emeric, a piccoli passi.» Disse Itsuko lasciando nel piatto un pancake fumante: «Può funzionare?»
«Potrebbe, sì.»


Un’ora dopo, durante l’ora di letteratura Cecely le passò un biglietto sotto gli occhi.
Hai detto che la Urlik ti ha telefonato alle tre di notte e tutti sappiamo che Jeh si sveglia sempre all’ultimo minuto, c’è qualcosa che non mi dici?
Ci mancava questa ora, le scoccò un’occhiataccia, aveva occhio Cecely, era innegabile: «Sono così socialmente inetta da non avere neanche il coraggio di venirtelo a dire se fosse successo qualcosa?» Scosse la testa e Cecely sospirò: «E allora dovrei presumere che questa mattina ti sei precipitata...» «Non presumere niente.» Cercò di tenere il tono di voce basso per evitare che lui la sentisse: «Ieri notte avrà avuto voglia di fare due passi e ha visto che c’era della luce sotto la porta di camera mia.»
La bocca di Cecely si aprì e si richiuse: «Ah, coincidenza fortuita.» Kell annuì, inghiottì e si decise a confessare: «E dopo è rimasto con me.»
Cecely prese il libro di geografia e lo usò per dargli una bella botta sulla spalla: «E perché cavolo non me l’hai detto?»
«Ssh! Vuoi farti sentire da tutta la classe?»
Jeh e Victor si girarono verso di loro interrogativi, Kell li liquidò con un gesto della mano, meglio chiudere il discorso.
«E allora perché tu non mi hai detto niente di niente di Vic?»
Cecely sospirò atterrita: «Non mi piace parlare di queste cose e poi non c’era proprio niente da dire.»
«Beh ti sei risposta da sola allora, neanch’io ho niente da dire.»
Cecely rise di gusto a sentirla dire quelle parole: «Se io e Vic avessimo dormito anche solo nella stessa stanza...»
«Sì, ma tu e Victor...» 
«Cosa c’è di diverso?»
Kell si sentì mancare l’aria, agguantò una bic e la strinse tra le dita, stappandola e chiudendola convulsamente: «Sai com’è fatto Jeh.» Abbassò la voce più che poté, Cecely sospirò improvvisamente era a terra: «Ascolta, con te lui è diverso, la storia dei ‘dieci anni fa’ ha cambiato tutto.» Kell scosse la testa: «Non cambia abbastanza e non posso farci niente.»
Cecely la picchiò di nuovo con il quaderno: «Non dire che non puoi farci niente razza di idiota!» Kell alzò gli occhi al soffitto, ancora: «Non posso farlo Cely.» Si ritrovò a dire, la sua verità, il suo limite massimo, la linea invalicabile: «Non chiedermelo, per favore.»
Cecely la scrutò interessata e rattristata insieme: «Lo so benissimo Kell, lui è difficile, non vuole accettare certe cose rivolte a se stesso, non ci riesce... ma non può evitare delle altre cose, che accadono inevitabilmente se devono succedere, ecco tutto.»
Kell la guardò, ringraziandola con gli occhi per non aver detto troppo: «Ne sono cosciente, fin troppo e onestamente vorrei non saperlo.»
Voleva non pensare.
La professoressa rientrò in classe, la lezione ripartì speditamente.


La consistenza delle polpette quel giorno aveva un che di lunare. Kell alzò lo sguardo verso il tavolo degli altri tre di loro rimasti “fuori” dal piano; Cecely le sorrise timidamente, visto che era di schiena Jeh si voltò seguendo il sorriso dell’amica con lo sguardo, sorrise anche lui nel modo un po’ severo che divertiva tutti quelli che gli volevano bene. Kell abbassò lo sguardo sulle polpette. Il loro tacito accordo di segretezza resisteva e visto che le parti non erano invertite non c’era il rischio che uno di loro tre saltasse in piedi e prendesse per il colletto della camicetta Nikki Dason con l’intenzione di rimetterle in ordine i connotati.
Erano a un altro tavolo, nel mezzo della sala, e aspettavano.
«Arriva.» Sussurrò Itsuko, saltando, come previsto però, in piedi: «Nikki vieni a sederti con noi dai!» A Kell, nonostante fosse seduta, mancò il terreno sotto i piedi, era lei, era lì, più vicina di quanto lo fosse mai stata prima di quel giorno.
Sorrise, abbassò lo sguardo su Anluan che ricambiò lo sguardo e poi il saluto con garbo, poi passò a Kell, si sedette, di fianco a lei, le strinse la mano, si presentò, lei fece lo stesso.
I capelli, evidentemente, ora se ne rendeva conto, tinti di un rosso scuro le facevano risaltare le sopracciglia quasi nere mentre i suoi occhi castani con sfumature verdastre le donavano un accenno ancora più particolare; ma Kell dovette riconoscerlo, non aveva un bel viso, quei nei, non la adornavano, la bocca carnosa stonava, pareva maldestramente contratta in ogni particolare.
Non reggeva il confronto con Catherine, la ragazza dorata, no, neanche lontanamente, sebbene Kell preferisse i tono più scuri pensava che Catherine ne avesse più dentro.
Intanto, la conversazione era già partita.
«Sì, assolutamente, dopo quello che è successo dubito che i professori ci faranno rimanere ancora per molto, Em è ancora... fragile ma si rimetterà e usciremo di qui prima possibile con il nostro diploma.» Kell registrò le informazioni: “Lei non sa che Emeric vuole andare via, lasciarla qui”.
Si chiese se fosse davvero così.
«E’ parecchio che non ci facciamo una bella chiacchierata tu e io eh?» Ammiccò a Anluan: «Che mi dici di quel ragazzo che avevi puntato un mese fa, pare che sia di nuovo single...»
Per un quarto di secondo Kell pensò che si stesse rivolgendo a Itsuko, sfoderò un’espressione quantomeno disinteressata, se doveva fare la parte della nuova amica intima dei due era ridicolo che non sapesse una cosa del genere di Anluan.
«Non mi interessa più.» Rispose lui alzando le spalle, volutamente si rese conto, evitò di guardarla.
L’aveva capito, Kell si schiaffeggiò mentalmente ricordandoselo, ma il fatto che tra Itsuko e Anluan ci fosse stata una storia rotta pochi mesi prima, rotta ma mai completamente, gliel’aveva fatto considerare un dettaglio superfluo.
«Starà arrivando.» Disse Nikki riferendosi a Emeric.
«Come vanno le cose fra voi?»
«Alti e bassi, dopo quello che ha fatto quel pazzo di Michael...» Nikki si sfiorò il collo con la mano sinistra, Kell si trattenne dal ridere, perlomeno evitava di mentire spudoratamente dicendo loro che folli risate si facessero insieme.
«Davvero un pazzo.» Disse Kell scuotendo la testa caustica, Nikki si voltò a guardarla come ricordandosi tutto a un tratto della sua esistenza, il tutto mentre Emeric compariva tra loro, cupo e smagrito come una rondine affamata con gli occhi verdi.
«Oh Em, guarda chi c’è, lei è Kallan Hall.» 
Sapevano chi era lei? Davvero? Seriamente?
Naturalmente si sentì sbiancare leggermente non appena Emeric fece segno di notarla, si sedette al tavolo con loro, annuì a Nikki, gli occhi ancora vacui, sempre vacui: «Tenta.» Disse a Nikki, Kell aggrottò le sopracciglia.
«C’è una mia amica, Sibille, non so se la conosci, ha le punte dei capelli celesti.» Spiegò, Kell annuì, ce l’aveva presente eccome, una bella ragazza, alta, con un sorriso splendente e bei denti bianchi, per essere in un posto come quello si faceva notare: «Beh Sibille ha una fissa colossale per quel tuo amico, quello con l’occhio di vetro, Jesse giusto? Da almeno un’eternità! Magari potresti aiutarmi a combinare qualcosa, tra loro due capisci...»
Vide Anluan e Itsuko irrigidirsi, Kell cercò un appiglio, si voltò a guardarli interrogativa, cosa fare?
«Ehm...» Non poteva dire di no, anche se voleva dire di no, anche se la sola idea di svendere Jeh la mandava in bestia, era necessario trovare qualcosa con cui interagire con loro con un motivo plausibile, era una buona idea; specialmente dopo aver parlato con Lucy e essersi sentita dire che non voleva rientrare in contatto con quei due, neanche per incastrarli, non avrebbe avuto carne la fuoco, senza appigli sarebbe stato ancora più difficile Itsuko glielo comunicò chiaramente con lo sguardo, Anluan annuì dandole l’okay.
«Lui sta con te?» Chiese Emeric, con l’aria di uno a cui non interessa un fico secco della risposta. 
Nikki invece si accese: «Ah, sta con te! Avrei dovuto...»
«No no.» Negò, forse con eccessivo ritardo, ma come scattavano quei due: «No, non sta con me, siamo solo amici, ehm, per quanto riguarda Sibille, potremmo presentarli tanto per cominciare.»
Jeh l’avrebbe ammazzata.
«Oh! Non so come ringraziarti, Sibille farà i salti di gioia.» Nikki scattò in piedi: «Chiama Jesse, io vado da Sibille.»
Chiama Jesse? Era più corretto dire: va a supplicare in ginocchio Jesse e pregalo di non ucciderti con le posate di plastica.
Pranzo finito, pranzo pronto per essere rigettato fuori.
C’era ancora Emeric lì, mentre Nikki zampettava tra i tavoli, non poteva neanche confessare la propria costernazione a Anluan e Itsuko, la ragazza per l’appunto si sporse verso Kell giusto un secondo: «Se la facciamo contenta sarà più facile dopo, va da Jeh, se glielo chiedi tu farà questo sforzo.»
Sforzo. Kell si alzò in piedi, gettandosi un’occhiata preoccupata alle spalle, Nikki aveva già arpionato il braccio della ragazza di nome Sibille, la ragazza la guardava sconvolta sorridendo a trentadue denti mentre Kell raggiungeva il tavolo a lei più familiare.
«Non ce la facevi più a stare senza di noi?» Scherzò Cecely, Kell la ignorò cercando di raggiungere di nuovo un certo contegno.
Si sedette di fianco a Jeh, gli piantò una mano sulla spalla, rassicurante sperava: «Ci servi tu.»
«Io?»
«Sì, per favore.» Jeh sorrise senza capire: «Perché?»
Kell prese un respiro di rincorsa: «C’è questa ragazza, si chiama Sibille, Nikki e Emeric vorrebbero...» «Oh mio dio.» Jeh smise di guardarla negli occhi, la sua mano sinistra raggiunse la cicatrice: «E’ la ragazza con le punte dei capelli turchesi, è carina, dai lo so che hai capito di chi parlo, gli piaci, devi solo scambiarci due parole, ci sarò anch’io e Anluan e Itsuko, è un buon modo per instaurare un rapporto con loro, si fideranno.» Jeh si prese la faccia tra le mani e Kell per un attimo temette solo il peggio.
«Hey Jeh.» Tentò Cecely: «Magari dopo ti lascia perdere.»
Lui si mise in piedi: «Ma certo che mi lascia perdere.» Sbuffò spazientito, chiaramente agitato, Kell si sbrigò a rassicurarlo guardandolo un po’ nel panico mentre lui si alzava in piedi per mettersi in marcia.
«Odio letteralmente dovertelo chiedere, non voglio che pensi che ti sto usando, gli avrei detto di no e basta ma Itsuko e Anluan vedono il bene superiore, loro non sanno abbastanza di te.»
Jeh prese il suo braccio camminando: «Sembri tu quella che deve sorbirsi le smanie di una riccastra rincretinita, Kell sta tranquilla, lo odio, mi disgusta ma posso fare finta di niente, o almeno ci proverò, se non altro si renderà conto che sono una causa persa.»
«Come puoi dirlo? Tu non sei una causa persa.»
«Per lei sarò una causa persa.» Rettificò lui.
«Magari lei non è...» «Mi ha notato solo perché non ho un occhio e ho una gigantesca cicatrice sulla faccia, tutto qui Kell, smettila di vedere il bene dove non c’è, è questa la verità e non pensare che io ci stia male.» Si fermò a meno di venti passi dal tavolo, Nikki e Sibille non erano ancora lì.
Lo sapeva che non ci stava male, non gli importava, lo odiava, lo disgustava e basta, e forse era ancora peggio.
«Non vedere eccezioni dove non ce ne sono.» Kell gli annuì in faccia amareggiata abbassando lo sguardo sul suo braccio. 
«Tu sei un'eccezione.» A Kell mancò ancora il pavimento sotto i piedi.
«Mi consideri un'eccezione?»
«Ma certo.» 
E all’improvviso le sembrò come se si fosse accorto di averla stupita quando non se lo sarebbe aspettato.
«Tu mi hai visto. Kell, ti senti bene?»
La stessa frase del secondo trauma, della post confessione, prima di ritrovarsi Nikki schiacciata addosso intenta a ridacchiare e a commentarle nell’orecchio i discorsi che Sibille e Jeh tentavano di lanciarsi a vicenda.
Anluan e Itsuko furono a dir poco colpiti dal modo in cui Jeh resse sulle proprie spalle l’ansia di dover parlare con una ragazza completamente sconosciuta, guardandola persino negli occhi a tratti. Sibille era una bella presenza, piacevole parlantina, sguardo curioso, per un po’ Kell temette che Jeh ci avesse preso gusto, a metà della prima mezzora, mentre Nikki e Sibille ridevano di un loro racconto troppo ricco di nomi e trascorsi sconosciuti in modo da far capire loro, si ritrovò davanti agli occhi lo sguardo di Jeh talmente annoiato da spingerla a pizzicargli il braccio e ridere insieme.
Lui forse non aveva capito che lei non voleva che cercasse persone come Sibille, non voleva che si rendesse conto troppo dell’esistenza delle ragazze che lo notavano semplicemente perché era un bel ragazzo con il viso sfigurato, non voleva che pensasse di se stesso di non essere nient’altro oltre che quella faccia scalfita, ma forse ora capiva.
«Allora domani sera ci riuniamo di nuovo!» Esclamò Nikki entusiasta, Sibille strinse la mano a Jeh, ovviamente ci sarebbe stata anche lei il giorno dopo.
«Fantastico.» Commentò Itsuko non appena si furono lasciati: «Direi che è già presissima da noi.»
«Non abbastanza da confessare un omicidio.»
«No.» Ammise Anluan: «Ma abbiamo altri assi nella manica o no?» Alludeva alla chicca della relazione tra Catherine e Michael e alla scoperta di Emeric con le chiavi del balcone.
«Ce la possiamo giocare.»


Jeh si girava i pollici con una certa ossessività da circa dieci minuti, Nikki, Emeric e la ragazza destinata a Jeh, Sibille, stavano per arrivare tra loro, niente cena insieme quel giorno, i ragazzi erano stati impegnati in una litigata all’ultimo sangue con Lucy, e di qualunque cosa si fossero detti, Nikki aveva un diavolo per capello a dir poco, di conseguenza, anche Emeric non era messo meglio.
«Ma quanto ci mettono?» Itsuko era a dir poco scocciata.
«Meglio, mi danno il tempo di prepararmi psicologicamente.»
Anluan scoccò a Jeh un’occhiata sconsolata e al tempo stesso irritata: «A me sembra simpatica oltre tutto il resto.» Disse Anluan accennando, quantomeno chiaramente alla sua bellezza, Itsuko sospirò guardandolo con la sua classica aria teneramente atterrita si rese conto Kell.
Jeh alzò il sopracciglio dell’occhio di vetro: «In realtà fa battute abbastanza stupide.» Itsuko rise di gusto, risollevandosi dall’umore tetro di quella sera, rendendosene conto Jeh continuò: «E il fatto che non abbia mai avuto il fegato di venire a parlare con me denota se non un disinteresse di fondo una passività assolutamente non concordante con il suo personaggio, insomma se davvero...» Si bloccò, come se fosse rimasto stupito dalle sue stesse parole, Kell le ripercorse velocemente, capì all’istante e scostò lo sguardo da lui. «Kell non volevo... la situazione è completamente diversa.» 
Kell sbuffò scuotendo la testa: «Te lo assicuro.» Gli disse: «Se non fossi stato amico di Cecely la cosa non mi avrebbe minimamente fermato.» Sapeva che era la verità, Jeh annuì che ci credesse o meno, situazione differente o no, quel pensiero le fece venire i brividi, al mondo non c’era davvero cosa peggiore di essere passivi, non riuscire a reagire, guardare inermi il mondo che va avanti mentre noi... ma era così che andava la sua vita prima inutile girarci intorno. La porta di camera di Anluan si aprì, interrompendo i suoi pensieri.
Emeric, Nikki scuri in viso e una Sibille radiosa si riversarono all’interno della camera di Anluan.


E una ventina di minuti dopo: «Lucy sta degenerando sempre di più.» Borbottò Nikki, pareva seriamente turbata, come se un ombra le fosse calata sugli occhi, il giorno prima a confronto pareva una creatura errante, raggiante, quasi come prima della sventura.  Emeric era sempre a un metro di distanza o più dalla ragazza con i capelli rossi, come se in qualche modo starle troppo vicino non fosse sicuro. Voleva andare via dal Quattrocentoventisette anche perché aveva paura di lei?
«Sto cercando di tagliare i ponti con lei.» Disse Itsuko, sempre la più centrata tra loro. «Anch’io.» Disse Anluan, «E fate bene.» Disse Kell cercando sempre di sembrare quantomeno spocchiosa, era appoggiata al bordo del letto, sapeva che Itsuko stava per attuare la prima parte del piano ma non riuscì a evitare di volgere lo sguardo per un attimo e Jeh e Sibille, erano sotto la minuscola finestra, distanti dai loro discorsi, esattamente come Nikki aveva voluto anche se con maggiore disinteresse rispetto a ieri. Lei lo guardava con occhi a dir poco sognanti,  neanche si fosse ritrovata davanti una scatola regalo straripante di diamanti, seduti sul tappeto l’uno davanti all’altra parlavano, se Kell avesse voluto avrebbe potuto sentire quello che si stavano dicendo, comprese le impacciate parole di Jeh, mentre con le dita giocherellava nervosamente con i fili del tappeto di Anluan senza guardare la ragazza, ora Kell escludeva completamente che in lei ci fosse anche una minima parte di disinteresse. Si passò una mano tra i capelli cercando di dare l’impressione di ravvivarli, era una giustizia ingiusta ma Sibille meritava una chance.
Itsuko partì con il piano e la sua attenzione venne deviata ancora: «Pensa un po’ Lucy ci ha persino detto che Catherine e Michael stavano insieme, da tipo due settimane e mezzo prima della sua morte.» Nikki strabuzzò gli occhi come se l’avessero schiaffeggiata in pieno viso, si morse il labbro inferiore, Kell non le aveva mai vista farlo.
Emeric sorrise, non sembrava minimamente stupito: «Vi ha detto questo?» Kell annuì per tutti cercando di sembrare nient’affatto colpita.
«Strano non ti pare?» Chiese Nikki direttamente al ragazzo con gli occhi verdi che le rispose subito per le rime: «Sì, ma tu lo sapevi già, no Nikki?»
Kell per poco non si sentì la mascella staccarsi e cadere sul pavimento freddo, Emeric la stava prendendo in giro, Emeric sapeva che Nikki gli aveva mentito, ora sapeva che Catherine non stava con Michael alle sue spalle...
«Già.» Nikki alzò le spalle fingendosi sorpresa dal suo tono.
Kell si tirò su le maniche mentalmente, quello poteva essere un buon momento per colpire e affondare forse, valeva la pena tentare: «E non è tutto, sentite questa!» Attirò la loro attenzione, Emeric come il giorno prima tendeva a ignorarla completamente mentre Nikki di tanto in tanto le lanciava occhiatine affettuose, forse perché era anche merito suo se Sibille sprizzava contentezza da tutti i pori, la cosa la inquietava e non poco. «Ha detto anche che secondo lei Catherine è stata uccisa, e indovinate chi è stato secondo lei?» Nikki e Emeric si scambiarono uno sguardo, si soppesavano a vicenda? Chi di loro era il più sospettoso, di chi si poteva dubitare sulla sincerità, forse nella loro mente nessuno dei due lo era abbastanza da sovrastare l’altro.
«Me o Emeric?» Chiese Nikki, pareva impaziente.
«Emeric.» Rispose Kell e poi si rivolse direttamente a lui, mentre persino Sibille si era girata a guardarli: «Dice di averti visto con le chiavi del balcone, dice che te le aveva date la Patricks sicuramente, che era una cosa... come ha detto?» Kell cercò dentro di se l’aria più spocchiosa che avesse mai fatto: «Premeditata? Sì, ha detto che secondo lei l’avevi premeditato tu Nikki, tutto quanto e poi Emeric aveva fatto il resto.»
«Ah davvero?» Emeric rise, gettò la testa all’indietro e rise, come Kell non l’aveva mai visto fare, forse come neanche Cecely doveva averlo mai visto fare; con lo stomaco invece che con la pancia, scrollandosi di dosso un po’ di ansia accumulata in quella lunga giornata, dopo la discussione con Lucy. In quel momento Kell vide che prima di chiudere la relazione con Nikki lui doveva aver passato settimane intere a subire passivamente quello che la ragazza voleva che facesse. Il senso di colpa, il male, sembrava attutito, sparito per una buona metà perché tutti ricordavano i momenti in cui bianco come un lenzuolo vagava per il Quattrocentoventisette probabilmente, Kell dovette capacitarsene ora, imbottito per la maggiore di psicofarmaci, mentre Nikki gli sorrideva poggiandogli la testa rossa sulla spalla. Kell aggrottò un momento le sopracciglia, quant’era anormale se Nikki era lì, se Nikki aveva voluto che Catherine morisse? 
«Mi delude.» Si lasciò sfuggire Emeric: «A te no Nikki?»
La ragazza annuì; Kell, Itsuko e Anluan si scambiarono uno sguardo per uno, poi si fermarono a osservare i due; lei allungò una mano, forse con l’intenzione di toccargli una spalla, ma lui la schivò finendo sdraiato sul tappeto. Era chiaro, il periodo che aveva preceduto questo – Nikki sbuffò sonoramente – era finito.
«Sta zitto Em.» Lo disse senza apparente rabbia, sembrava più che altro rassegnata, come se non si aspettasse niente di diverso da lui.
Chissà se Nikki si era pentita di quello che aveva tanto attentamente macchinato in silenzio, plagiando Emeric e l’idea che lui aveva di Catherine; lui non le dava quello che lei sognava, o aveva sognato, ma se era così era perché non se l’era meritato pensò Kell, se aveva spinto Emeric a uccidere Catherine non poteva aspettarsi niente di differente da lui.
«Sapete, io e Cat volevamo andarcene in qualche località sperduta all’estero, in vacanza, per tutta l’estate possibilmente, ero stato a casa sua per natale, persino i suoi genitori ci avevano dato l’okay.» Kell vide Nikki scroccarsi le dita, lo sguardo arrabbiato, deluso, vedeva persino rancore represso, dopo tutto quello che aveva fatto era ancora invidiosa. 
«Ricordo quando siamo tornati all’istituto dopo le vacanze di natale, è stato l’ultimo momento di felicità che abbiamo avuto insieme prima che tutto crollasse.» Nikki sbuffò, impaziente: «L’ultimo momento felice che hai vissuto prima che lei morisse.»
«E anche dopo naturalmente.» Continuò Emeric irritandola ancora di più, a Kell venne da pensare quasi volutamente, quella volta: «In realtà non credo che sarò mai più felice.» Alzò le spalle: «Non so neanche come ho fatto a sopravvivere.»
Kell inghiottì la saliva: «Come mai tu e lei avete rotto?»
Emeric fece uno sbuffo che suonò come una risata attutita: «Sono intervenute forze maggiori.» Disse, poi si voltò a guardare Nikki e sorrise, un’espressione che cozzava con le altre che aveva usato fino ad adesso, quasi affettuoso: «Non ti sto dando tutta la colpa; e tu lo sai.» Specificò, anche Nikki sorrise, si guardarono, complici, Kell ebbe l’impressione di assistere a un attimo privato, quasi intimo, quasi come se i ragazzi si fossero dimenticati della presenza di altre cinque persone.
«Sei troppo buono Emeric Allord, e questa sarà la tua rovina.»
Kell schiacciò contro il bordo dei pantaloni la superficie del telefono, stava registrando ogni singola parola per la Urlik grazie al cielo, di qualsiasi cosa stessero parlando quei due, poteva essere importante.
Era quasi come se volessero prendersi entrambi la colpa.
Nikki si alzò in piedi: «Ci rivediamo domani a cena, Lucy a parte è sempre divertente stare con voi.» Emeric diede un bacio per guancia a tutti e tre, la cosa irritò terribilmente Kell ma cercò di non darlo a vedere stampandosi in faccia un sorriso amorevole: «D’accordo?» «Certo.» Non riusciva a pensare, era ancora disgustata da quella manifestazione d’affetto, si era appena resa conto che Emeric non aveva nessuno oltre Nikki, e solo lui poteva sapere quanto quella ragazza gli ricordasse ogni singolo momento quello che era successo quella notte con Catherine, l’unico modo per spingere Emeric a rimanere, sempre che fosse possibile, cosa non da poco, era cercare di dargli un appiglio, lanciargli una scala di corda da salire, per redimersi, confessare, smettere di essere così disperatamente insofferente alla verità.
«Sibille, vieni con noi?» Le chiese Emeric vedendo la ragazza con le punte dei capelli celesti alzarsi anche lei in piedi: «Sì, facciamoci due chiacchiere eh Nikki?» La ragazza annuì, lei e Jeh si salutarono nel modo più impacciato e adorabile che Kell avesse mai avuto occasione di vedere in vita sua.
Meno di due minuti dopo erano tutti fuori.


«Non ci sto capendo niente.» Fece Anluan tutt’altro che ironico.
«Ascolta.» Kell si stropicciò stancamente gli occhi: «Se vogliamo che Emeric rimanga, ed è fondamentale perché il piano vada a compimento, dobbiamo aiutarlo.» «Aiutarlo?» Ripeté Itsuko allibita. Non era affatto un’idea nuova, nonostante i dubbi e la probabile colpevolezza di Emeric sapeva anche qual era la strada più semplice, quella più comoda, quella più giusta. 
«Già, esattamente.» Confermò Kell: «Dobbiamo rompere il guscio che Nikki gli ha costruito attorno, senza di lei potrebbe sciogliersi, oggi non si neanche lontanamente censurato come avrebbe dovuto, ha detto molto ma noi non possiamo capire perché non ci siamo ancora dentro, facciamolo, proviamoci.»
Itsuko non sembrava affatto convinta dalle sue parole ma Anluan invece si, la convinse con un paio di occhiate e assensi facciali, Kell gliene fu riconoscente, se si fosse dovuta mettere a convincere le persone ora sarebbero stati ancora al punto di partenza.
«Dovete stare attenti.» Jeh era già in piedi, intenzionato a dirigersi verso la porta: «Vuoi aiutare un assassino. Sarà anche una persona fondamentalmente bisognosa di aiuto ma resta sempre un assassino.» Kell si alzò in piedi, intenzionata a seguirlo. 
«E come tale verrà trattato.» Disse con la voce ferma; ma non stava dicendo la verità. 
No, non era quello che Kell aveva in mente, non davvero.


Emeric guardava fuori dalla finestra, era perso nel vuoto dei suoi pensieri e dei suoi ricordi. In quel momento, guardando il ragazzo dai brillanti occhi verdi non riconobbe lo spensierato protagonista che aveva sbagliato tutto credendo alla persona sbagliata; vide quello che era ora, qualcuno di sfiduciato, solo, qualcuno che vuole solo scappare.
Erano passati tre giorni da quando erano stati tutti insieme in camera di Anluan, tre giorni di niente e di pura macchinazione e arrovellamento. Aveva delle idee ma prima di quel giorno non aveva avuto la più pallida idea di come metterla in pratica, o forse aveva troppo timore di vedersi respinta. E ora c’erano solo lui e Kell: «Stai bene Em?» Le venne spontaneo chiamarlo in quel modo, Nikki non gli ispirava fiducia, Nikki era una traditrice senza scrupoli mentre lui era l’altra vittima, che fosse anche l’assassino di Catherine diceva Cecely era un’altra verità.
«Sì, sto bene.» Lui si voltò a guardarla, avevano parlato poco e niente ma da un’ora a quella parte, da quando Kell l’aveva portato via dalla sala da pranzo dicendogli di salire da lei per fargli vedere una stupida collezione di cd, erano sfuggiti insieme a Nikki, erano sfuggiti a Sibille e Jeh, stavano miracolosamente meglio così e il piano sotto procedeva.
«Sto bene.» Ripeté, poi si sfregò le nocche delle mani tra loro, come se fosse nervoso: «Dev’essere lo stress.»
«Già.» Si disse d’accordo Kell: «Ma starai meglio, vedrai.»
Lui scosse la testa, erano distanti, Kell non si sentiva a disagio a guardare quell’essere sconsolato, forse era veramente solamente una sua idea, forse era attratta davvero da quel cupo malessere che contraddistingue quella condizione.
«Non voglio stare meglio; voglio solo andarmene da qui.»
«Andartene da qui?» «Sì.» Emeric buttò fuori un lunghissimo sospiro, poi si passò le mani sulla faccia, stava con la schiena al muro, si era appena aperto con lei.
«Sarà difficile scappare da Nikki perché lei non vuole capire che dopo quello che è successo...» Kell si sentì rabbrividire: «Non c’è mai stata nessuna speranza, ma me ne andrò da qui e allora dovrà starsene alla larga da me, per sempre, capisci?»
Kell annuì, era notte, la luce della lampada appena arrivava a illuminargli il viso ma lei ne l’esse l’assoluta totale verità senza nessun problema.
«Tu sei stranamente sincero Emeric.» Lui sorrise stancamente, scosse la testa, Kell annuì di rimando: «Lascia che faccia lo stesso.» Emeric sospirò di nuovo, ma le fece cenno di parlare: «Em, Nikki è quello che è, ma tu sei quello che sei, penso che dovresti ricordati di quello che eri, la persona che Catherine amava...» 
Emeric rise di gusto, tristemente, drammaticamente, sapevano entrambi cosa si stavano dicendo, Kell sentì con certezza che quel ragazzo distrutto avesse capito cosa lei mimasse dietro quelle parole: «Emeric, lascia che ti spieghi perché scappare non è la scelta giusta.»
  
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