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Autore: Shadowings_Proteam    25/11/2014    0 recensioni
Un addio, o forse un arrivederci. Un treno in partenza. Un cucciolo. E un'esplosione.
Rico non crede a ciò che gli sta accadendo, perché proprio quel treno? Perché proprio adesso? Era solo una coindicenza? Lui c'entrava qualcosa? Tante domande che si intrecciano insieme alla trama di altri personaggi in un intrigo di invenzioni innovative ed interessi politici ambientati in un mondo steampunk.
Genere: Avventura, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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«Uff.. Ma che diavolo è?» Jasper fece finta di lamentarsi del suono sordo che annunciava l’arrivo di una missiva per farsi sentire dai colleghi, ma in realtà era ben felice di prendersi una maledetta pausa di pochi minuti e togliersi quegli enormi occhiali da lavoro che gli premevano la faccia ogni giorno. Era il capo lì, certo, ma la sua filosofia di vita era sempre stata quella di dare per primo il buon esempio.

Appoggiò le lenti vicino al generatore che stava controllando nella sua officina e si diresse verso il sistema di tubi pneumatici che distribuiva lettere in tutto il settore industriale immaginandone già il contenuto.



 

Caro Jasper,

per qualche giorno dovrò stare fuori città,

puoi dare tu da mangiare ad Astro?

Dovrebbe esserci cibo per almeno una settimana,

e in ogni caso io tornerò al massimo tra tre o quattro giorni.

Scusa il disturbo,

Rico.

 

Scusa il disturbo, Rico….”, rilesse mentalmente le ultime due righe come per convincersi che quella fosse la prima volta che riceveva una richiesta del genere, ma in realtà non era così. Da un po’ di tempo - anzi, da quel giorno - il suo amico d’infanzia non era più stato lo stesso. Pienamente comprensibile, ma Jasper non poteva fare a meno di chiedersi cosa diavolo facesse Rico ogni volta che lasciava la città e soprattutto perché aveva adottato quel cane se poi non aveva tempo di occuparsene. E poi perché non poteva portarselo dietro?

«Che cazzo…» Sbuffò e alzò gli occhi, scorgendo per un attimo i suoi due dipendenti che lo fissavano curiosi per poi distogliere subito lo sguardo. Tornò senza dire nulla al suo generatore e si rimise gli occhiali. Sapeva che avrebbe dovuto lavorare più in fretta del solito per poter essere a casa di Rico per l’ora di cena. E sapeva anche che non l’avrebbe trovato.

Si sdraiò imprecando accanto al grande ingranaggio che costituiva il cuore del dispositivo, passandosi una mano tra i capelli che ormai stavano iniziando a colorarsi di bianco. Appena il tempo di agguantare una chiave inglese e una stridula voce lo interruppe ancora una volta:«Professor Jasper Elroy?».

Alla pronuncia di quel titolo, il nervosismo che aveva già accumulato a causa del lavoro e di Rico crebbe esponenzialmente: la preoccupazione penetrò dentro di lui e per un attimo un brivido di paura lo percorse per tutto il corpo. Come avevano fatto a trovarlo? E chi?

Arrivato sull’uscio, davanti ai suoi occhi comparve la figura di un bambino, all’apparenza di una famiglia molto povera e con un viso scarno. Lo osservò senza dire nulla con la faccia più stupita che riusciva ad esprimere e il piccolo ripeté timidamente:«Professore?». Jasper respirò profondamente, deciso a non prendersela con quel povero bambino che probabilmente stava solo portando un messaggio in cambio di un tozzo di pane raffermo:«Professore? Non so di cosa tu stia parlando, piccolo. Questa è un’officina.»

Un tempo Jasper era stato un rinomato scienziato ed aveva contribuito enormemente al progresso e alla crescita industriale della cittadella di Stout, tanto da essere stato invitato nella capitale ad un congresso sulla cosiddetta “rivoluzione elettrica”, al quale però non aveva potuto partecipare. Ormai erano passati anni da allora e non voleva più pensare a ciò che aveva perso a causa di quell’incidente che lo ha costretto a fuggire e cambiare vita, nascondendosi da tutti e tutto. Il bambino però non fece caso alle sue parole e riferì comunque ciò che aveva da dire:«Se a lei compiace, signore, un suo vecchio allievo mi ha mandato qui per darle un appuntamento. Dice che ha fatto una scoperta grandiosa e che -per sua stima- vorrebbe farle vedere per primo. Questa sera un’ora prima del tramonto all’incrocio tra la Route 12 e Wiston Boulevard!».

Jasper rifletté qualche secondo sulle strane parole del giovane e poi rispose:«Un mio vecchio allievo? Ma che cosa significa? Non ho allievi qui, ho solo dipendenti. Ma chi ti ha mandato, si può sapere?»

Il viso del bambino mutò, in un misto tra paura e determinazione:«Non so nient’altro, signore, ho riferito solo quello che mi è stato detto!»

«Beh, allora fai sapere a quel tizio, se lo reincontri, che ha sbagliato persona e che io non ho tempo da perdere,  ho un’officina da mandare avanti qui. Vattene!»

L’espressione del bambino si fece dura, come di rimprovero, e poi il piccolo corriere corse via per le strade del quartiere senza aggiungere altro.

Jasper tornò finalmente al suo generatore, ansioso di sistemarlo per poi andarsene di lì: i suoi dipendenti conoscevano bene il lavoro che facevano, ma nessuno -nessuno- era esperto dei generatori quanto lui. Non vedeva l’ora di potersene andare da lì per scoprire qualcosa sul suo misterioso “inseguitore”. E sulle sue intenzioni.

 

[...]

 

Come immaginava, Rico se l’era già svignata per evitare domande quando lui arrivò a casa sua, ma il vapore usciva copioso dalla cappa sul tetto, segno che Rico doveva essere stato lì fino a pochi minuti prima.  Inserì nella toppa il doppione della chiave e sentì i meccanismi al suo interno muoversi rumorosamente fino a sbloccare la serratura; non fece in tempo ad aprire la porta che un enorme cane nero a pelo lungo lo gettò a terra scondinzolando, osservandolo con due occhi verde smeraldo.

«Hai fame, eh, Astro?» Disse prima di raggiungere la cucina e prendere dallo scaffale un po’ di cibo che il cane divorò senza pensarci due volte.«E così il tuo padrone ti ha lasciato qui da solo ancora una volta…»

Mentre lo accarezzava si mise ad osservare la casa: non molto grande, ma abbastanza spaziosa per una persona e il suo -seppure ben cresciuto- cane. In mezzo al silenzio si poteva sentire solo il ticchettio degli ingranaggi dell’orologio e lo scorrere dell’acqua calda nel sistema di riscaldamento che portava tepore nelle stanze in quel freddo autunno.

Si alzò pronto a salutare Astro quando notò un foglio di carta a terra sulla porta della camera di Rico. Si chinò per raccoglierlo gettando uno sguardo all’interno della stanza, e notò un cassetto ribaltato e il letto completamente sfatto; si rivolse ad Astro come per sgridarlo del casino che aveva combinato, quando lesse una frase scarabocchiata velocemente sul foglio che teneva in mano: “Ormai è troppo tardi”.

 
 
   
 
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