DAL ROSSO AL NERO
L'aria gelida le feriva la pelle;
distrattamente, si portò le mani sulle spalle, stringendosi in un abbraccio
solitario.
Fu una reazione automatica del suo
corpo al freddo, perché i suoi pensieri erano in tutt'altro luogo. Erano a casa
sua, nell'atrio, aggrappati a delle labbra calde di un uomo; le
sue.
Era andata lassù, sul tetto
dell’ospedale, per riflettere in tranquillità sulle possibili conseguenze di
quello che era accaduto la notte prima, o sulle cause che potevano aver portato
a quello. Si era imposta di ragionare su cosa diavolo era passato per la testa
ad entrambi. Insomma, voleva del tempo in solitudine per razionalizzare, per
riuscire a calmarsi. Ma nonostante tutte le buone intenzioni e le sue capacità
di controllarsi, proprio non ci riusciva: i suoi pensieri continuavano a
riportarle alla memoria, con violenza, il calore di quella stretta, il sapore
della sua bocca, l’odore della sua pelle. Era fresco, sapeva di
sapone.
Strinse le dita, con forza, finché
non sentì le unghie premerle contro la pelle, protetta solo da un leggero
maglione di cotone. La scarica di dolore, debole ma acuta, l’aiutò a tornare con
i piedi per terra.
Era stato un
errore.
Una svista.
Un momento di
debolezza.
No.
Non era vero.
Chiuse gli occhi, e li strinse finché
moscerini colorati non incominciarono a danzarle davanti, spazzando via
l’oscurità, nonostante fossero parte di essa.
Quel bacio era stato così, uno
spruzzo di colore su una tela nera; il colore però si stava asciugando, e tra
poco sarebbe rimasto solo un alone visibile controluce.
E lei non voleva che quel colore
sparisse.
Era stanca di mentire a se stessa,
era stanca di costringersi ad essere sempre dura e intaccabile, era stanca di
fuggire dai suoi sentimenti, di tenerli segregati in una scatola
sigillata.
Quel bacio non era stato un errore,
per lei.
Lo aspettava, da
anni.
Lo voleva, lo
desiderava.
Lo aveva anche immaginato qualche
volta, vergognandosene, e cacciandolo dalla mente subito.
Sapeva che sarebbe
arrivato.
L’ospedale era di Lisa Cuddy, tutto,
tranne il tetto. Quello era di Gregory House.
Avevano un tacito accordo su quel
luogo: se lui voleva sfuggirle si nascondeva lì, e nonostante lei sapesse,
quello era l’unico posto dove non lo cercava. Era il suo posto
sicuro.
Questa volta però era
diverso.
Questa volta tutte queste cose non
contavano.
Lo sentì avvicinarsi, e fermarsi
dietro di lei.
Né troppo vicino, né troppo
lontano.
Un metro forse.
Percepiva lo sguardo di lui
percorrerle le gambe, i fianchi, la schiena, per poi indugiare sulle sue dita
che spuntavano da sopra le spalle. Probabilmente avrebbe trovato infantile quel
tentativo di proteggersi dal freddo, magari anche tenero, oppure stupido, ma sul
suo viso non sarebbe letto nulla di tutto questo. Sul suo viso non si sarebbe
letta nessuna emozione.
Sapeva che toccava a lei, che lui
aveva già fatto abbastanza venendo lassù, nel suo posto, questa volta
come ospite.
Si voltò, stringendosi ancora di più
le spalle, come se dal gelo dei suoi occhi ci si sarebbe potuti proteggere
così.
Aprì la bocca per dire qualcosa,
qualunque cosa, ma lasciò perdere quando si accorse che le labbra le tremavano.
Gli sorrise, di un sorriso triste.
“Ho ricevuto il tuo messaggio.” si
limitò a dire House.
Nessuna battuta sarcastica sul luogo
dell’appuntamento, il suo tetto, né sul momento, il
tramonto.
Lisa non sapeva se essere felice o
preoccupata per questo.
Tornò a dargli le spalle, e allungò
lo sguardo all’orizzonte, dove ciò che restava del sole, calava dietro colline
lontane.
“Volevo parlarti.” disse, quando
House fu accanto a lei.
Vide con la coda dell’occhio che
annuiva, guardando davanti a sé.
Una folata di vento arrivò
improvvisa, facendoli rabbrividire.
Percepì l’uomo muoversi accanto a se,
impercettibilmente; dopo qualche istante, però, tornò a fissare immobile
l’orizzonte.
Come se avesse voluto fare qualcosa,
ma ci avesse ripensato.
“Io ho bisogno di sapere cos’è stato
per te.” Lisa lo disse in un soffio, senza smettere di guardare davanti a sé;
solo un leggero tremito della sua voce, tradì il suo
imbarazzo.
Si aspettava un silenzio, un lungo
silenzio seguito dal rumore dei passi di House che si allontanavano, e così
sussultò quando lui parlò subito, come se si rigirasse quelle parole sulla
lingua da ore, pronto a buttargliele addosso.
“Dimenticati quel
bacio.”
Sentì una forte angoscia
attanagliarle lo stomaco, mentre le lacrime le salivano ancora agli
occhi.
Senso di impotenza, rabbia.
Rabbia.
Lo guardò, guardò il suo profilo
avvolto dalla luce resa rossa dal tramonto, e combatté contro la voglia di
colpirlo.
“Mi dispiace, Cuddy.” lo disse senza
guardarla, come se si vergognasse di qualcosa. Forse delle sue stesse
parole.
“Ti dispiace?!” questa volta non le
importò di quanto la sua voce fosse tremante, o incrinata, o sconvolta. Non le
importava più di nulla. “Ti dispiace di avermi baciata?! Ti dispiace di essere
venuto a casa mia e di aver approfittato di me?! O ti dispiace di aver avuto
pena di me, e di avermi dato quel bacio solo per quello?! Di cosa ti
dispiace House?!” Lo afferrò per la manica della giacca, costringendolo a
guardarla.
Si aspettava distacco, si aspettava
freddezza e disprezzo nei suoi occhi; quello che vide però non se lo aspettava.
Era turbato, e si leggeva chiaro sul
suo viso.
“Mi…” distolse lo sguardo da lei,
abbassandolo per qualche istante, per poi tornare a guardarla. “Mi dispiace che
ti abbiano portato via Joy. Saresti stata una brava
madre…”
“Questo me l’hai già detto. Ieri
sera.”
E poi mi hai
baciata.
Non lo disse, ma quelle parole
risuonarono comunque, invisibili, tra loro.
“La tua vita è già un casino così.”
enunciò ad un tratto House, questa volta con tono deciso, come se in quella
frase si racchiudesse il senso di tutto.
Lisa scosse la testa quasi
impercettibilmente. “Cosa…”
“Devi già combattere contro i tuoi
demoni, senza che mi ci metta anch’io a complicarti la vita…più di quanto già
non faccia.”
La donna non rispose, smarrita dal
senso che quelle parole stavano dando a tante altre parole del passato, a tanti
sguardi silenziosi, a tante frasi lasciate a metà.
“Guarda cosa è successo a Wilson…ad
Amber. Tredici che si impasticca e Taub che rischia il divorzio. Per questo è
meglio lasciar perdere… E’ meglio per te che dimentichiamo tutto, e andiamo
avanti.” il suo tono era sicuro, non tradiva la minima emozione. Come se fosse
una semplice verità, mai messa in discussione, così ovvia e che non poteva
lasciar dubbi sul da farsi. Dimenticare quel bacio, dimenticare
tutto.
“Tu non hai nessun diritto di
decidere cosa è meglio per me.” Lisa era più tranquilla ora, come se fosse tutto
chiaro, tutto sistemato.
L’angoscia l’aveva abbandonata, lasciandole uno strano senso di pace. House, senza saperlo, aveva risposto a tutti i suoi perché. Sapeva dove doveva arrivare, e che ci sarebbe arrivata.
Il sole era tramontato, lasciandosi
indietro solo qualche macchia di colore rossastra, che volgeva rapidamente al
nero.
La vista era bellissima, non potevano
permettersi di perderla.
Lisa indicò il punto in cui era
calato il sole, guidando verso l’orizzonte anche l’attenzione di
House.
Si appoggiò al parapetto, e lei fece
lo stesso.
Premette la sua spalla contro il
braccio di House, rubandogli un po’ di calore.
Non si stupì quando lui si scostò,
lentamente.
E neanche quando quel braccio che
sembrava scappare le avvolse le spalle, stringendola a sé.
Aspettò che il giorno li abbandonasse
completamente, prima di parlare, protetto dall’oscurità e dalle ombre. “Non
volevo baciarti ieri. Volevo fermarmi, ancora prima di bussare alla tua porta.
Non so perché l’ho fatto, non so cosa significa. E anche se riaccadrà, non è
detto che io lo scopra.”
“Non importa…” appoggiò la testa
contro il suo petto, chiudendo gli occhi come se fosse tutto
perfetto.
Non lo era, forse non lo sarebbe mai stato.
Però…
Però sentì la barba di lui pizzicarle
sulla tempia, e scendere lungo la sua guancia liscia. Sentì il calore del suo
respiro nell’incavo del suo collo.
Tentò di far durare quel momento di
attesa, così invitante, il più a lungo possibile, ma dopo pochi secondi non
riuscì più a resistere.
Cercò le labbra di House con le sue,
e si fece avvolgere dal sua abbraccio, senza mai aprire gli occhi.
Quello però…
Quello era
perfetto.
Quella era la loro macchia di colore
sul nero della notte.
Vally