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Autore: Fidaide    31/10/2008    2 recensioni
Corre l'anno 1955... Qualcosa di strano accade a Malfoy Manor.
"La tensione crebbe palpabilmente. Pensieri tumultuosi mulinarono nel cervello di Hilda, che, abbrancata da una fitta di paura, si voltò di scatto, mentre il viso del maggiordomo, ritto dinnanzi a lei, sembrava essersi impietrito. Nelle loro vene il sangue fluiva veloce e raggelato.
Alla servitù non era concesso di entrare nella stanza delle armi, la camera preferita dei signori Malfoy, Abraxas e Lysiart, che conteneva una sfilza di stemmi e fucili Babbani, insieme con un mucchio di stampe antiche provenienti da tutte le parti del globo. Ma l’infermiera, colta dal terrore e dall'ansia, dimenticò ogni divieto. Afferrò la maniglia e spalancò la porta della sala sfarzosa. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante..."
Scritta a quattro mani da Fidia e Alaide.
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXIX

Il silenzio continuò a pesare sulle quattro donne. Deirdre pareva non riuscire a trovare la forza di iniziare ad incamminarsi verso il cancello della magione. Charlotte sembrava essersi concentrata unicamente sul piccolo Lucius, il quale, incurante di quello che accadeva intorno a lui, giocava con i capelli della bambinaia. Megan, distolto lo sguardo astioso dalla giovane, l'aveva riportato su Rosamund, fissandola con i piccoli occhietti neri, ancora più piccoli se paragonati a quelli enormi dell'Auror.
«Credo che sia tempo per me di lasciarvi - disse la storiografa, rompendo il silenzio - Le mie ricerche mi sono state veramente molto utili.»
«Quali ricerche, se non sono indiscreta? L'ultima volta che l'ho vista ho unicamente colto che sta scrivendo un nuovo libro.» domandò l'Auror, fissando incuriosita Deirdre.
«Esattamente, signorina Jameson. Si tratta di un saggio sull'alchimia tra i secoli XV e XVI. Immagino saprà che prima che i Malfoy acquistassero il Manor, questo fu di proprietà di Elwood Svenson, uno dei più importanti alchimisti inglesi del suo tempo. Una figura sicuramente affascinante, per quanto vi sia un che di agghiacciante che lo circonda. - la giovane donna fece una pausa, abbozzando un sorriso a mo' di scusa - Mi perdoni, signorina Jameson. Ogni volta che parlo dei miei studi parlo troppo. Margie la chiamava esaltazione da vicende vecchie e dimenticate.»
«Margie?» domandò l'Auror.
«Hilda, intendevo dire. Quando arrivò a casa nostra ero troppo piccola per pronunciare bene il suo nome, così iniziai a chiamarla Margie, utilizzando il suo secondo nome, e da allora non ho smesso di utilizzare questo nomignolo.»
Charlotte, che, da quando Deirdre aveva iniziato a parlare, seguiva con attenzione la conversazione, notò la tristezza che si era fatta lentamente strada nella voce della storiografa. Con un gesto impulsivo strinse maggiormente a sé Lucius.
«Non voglio trattenerla oltre, signorina O'Connor. - disse l'Auror, gentilmente - Spero unicamente di poter leggere quanto prima il suo saggio. Deve essere veramente un argomento affascinante.»
Deirdre arrossì leggermente, per modestia, poi fece qualche passo, bloccandosi quasi subito, scuotendo appena il capo.
«Sono un'incredibile sbadata. Sento la borsa stranamente più leggera. - una lieve pausa e un sorriso di scuse - Sono certa di aver scordato qualcuno dei libri che ho portato con me in biblioteca.»
Rosamund annuì leggermente, anche a nome della padrona di casa, che pareva essere terribilmente tesa in quel momento, mentre faceva girare lo sguardo sulle altre tre donne, come se non riuscisse a fermare mai la propria attenzione su nessuna di loro. La storiografa mormorò qualche parola di congedo e rientrò all'interno della magione.
Questo sembrò dare il via alle altre tre donne per muoversi. Con una sola occhiata Megan invitò Rosamund a seguirla. L'Auror salutò cortesemente la bambinaia, facendo un piccolo complimento, malgradito dal bambino, a Lucius, accarezzandogli appena, in maniera giocosa, il braccio e la manina. Lasciando Charlotte all'estero, l'Auror e la padrona di casa entrarono nell'ampio ingresso, il cui lampadario in vetro di Murano, spandeva una fioca luce, forse troppo fioca per il cielo grigio che si vedeva all'esterno. Due persone stavano parlando a voce piuttosto alta nei pressi della porta che immetteva nell'anticamera alla loro sinistra.
«Non c'è nulla da dire, Zephyrus. - stava dicendo decisamente seccata Deirdre - Te l'ho già detto e già ripetuto. Sono passati sei anni da allora. Perché devi assillarmi a questo modo?»
«Possibile che tu non capisca, Deirdre?» ribatté l'altro.
Entrambi erano ignari della presenza di Rosamund e Megan che, vinte da una dose naturale di curiosità, si erano poste in ascolto, fermandosi sulla soglia dell'ingresso, cercando di dare un senso alle parole del bibliotecario e della storiografa.
«Cosa dovrei capire, Zephyrus? - sbottò la giovane donna - Ti ho pregato di chiudere l'argomento, ti ho detto e ripetuto che ti ho già detto tutto quello che c'era da dire sei anni fa. Mi stai rendendo impossibile la vita, spero che tu te ne renda conto.» concluse leggermente più calma e pacata.
«Dannazione, Deirdre, adesso non ci sono più os…» l'uomo si interruppe di colpo, scuotendo il capo, sconvolto.
«Cosa vuoi dire, Zephyrus?» domandò l'irlandese.
Megan percepì perfettamente che la voce della storiografa si era fatta improvvisamente tesa, affilata quasi. E pareva che l'intero andito d'ingresso fosse come colpito da questo cambiamento di tono.
«Nulla….nulla…» disse l'altro, freneticamente, scuotendo più volte il capo.
Per diversi istanti Deirdre e Zephyrus rimasero immobili, poi la giovane donna, approfittando forse del silenzio dell'uomo, si voltò e scomparve oltre alla porta dell'anticamera. Il bibliotecario sembrava essersi ancorato al pavimento di pietra, dal momento che, anche quando Rosamund e Megan ripresero a camminare, facendo rimbombare il tacchettio delle loro scarpe per l'ampio locale, si mosse o disse qualcosa.
Le due amiche raggiunsero la scalinata e la salirono rapidamente, raggiungendo il primo piano. La padrona di casa si guardò intorno con fare leggermente furtivo, poi svoltò a sinistra, raggiungendo il salotto dove prendevano la colazione, vuoto a quell'ora del giorno.
«Credi che qui nessuno ci possa sentire, Megan? - domandò l'Auror - È già stato piuttosto increscioso che qualcuno ci stesse spiando presso gli alberi.»
«In questa stanza, forse. - disse l'altra donna, lanciando un'occhiata all'amica, prima di proseguire - Ma nessuno penserà che noi potremo essere in quella. - con un gesto della mano indicò una porta sulla parete settentrionale del salotto - Nessuno vi entra mai. È tenuta chiusa a chiave. So che non ci sono allarmi per determinare se qualcuno vi metta piede, perché una volta, vinta dalla curiosità, lo ammetto, l'ho vista.»
«Perché mai una stanza è tenuta chiusa a chiave, nel Manor?» domandò Rosamund, sgranando appena i grandi occhi verdi.
«Non lo so. È una decisione che è stata presa prima che io giungessi qui. Una volta ho chiesto ad Abraxas, ma ha soltanto scosso la testa, quanto a Lysiart è impallidito.» spiegò rapidamente la padrona di casa, mentre si avvicinava all'uscio, aprendolo con un semplice alohomora.
Oltre la porta si apriva un locale confortevole, una piccola libreria che scorreva ai lati delle pareti, con al centro alcune comode poltrone. Le due donne entrarono, chiudendosi rapidamente la porta alle spalle.


Deirdre raggiunse la biblioteca, quasi correndo, stringendo, poi, con le mani, come a volersi sostenere, uno dei tavoli di lettura. Sentiva ancora la rabbia, il fastidio, soprattutto, per quello che era avvenuto poc'anzi. Scosse appena il capo. Non riusciva a credere che Zephyrus potesse essere così tremendamente insistente, così pronto a opprimerla con domande di cui conosceva già la risposta.
Trasse uno o due sospiri fino a che non si calmò. Aveva cose ben più importanti da fare che non pensare al bibliotecario. Era tornata all'interno della magione con una misera scusa che, a quel che pareva, Megan Malfoy aveva preso per buona. Chi l'avesse conosciuta avrebbe sicuramente compreso che lei non avrebbe mai scordato uno dei suoi preziosi libri. Con uno scatto si recò fino alle scale di servizio che portavano al primo piano. Appena fu giunta sul pianerottolo, incappò nel maggiordomo.
Per un qualche miracolo non lasciò fluire dalle labbra il sospiro che aveva trattenuto, quando aveva notato una sagoma ed aveva capito che era troppo tardi per nascondersi. Temeva di incontrare una delle tre donne a cui aveva mentito. Non aveva nessuna scusa da propinare loro, nessuna che fosse plausibile. Scosse appena il capo, affrettandosi a rispondere alla domanda che Green le aveva rivolto gentilmente.
«Avrei necessità di vedere il signor Malfoy.»
«Credo che si trovi nel suo studio. È dove va di solito dopo aver superato una crisi epilettica. L'ho sentito, una volta, dire al suo defunto fratello, che riflettere su qualche oscuro ritrovato medico l'aiuta a tornar del tutto cosciente di se stesso.»
Deirdre sorrise appena alla cortesia del maggiordomo, annuendo, aggiungendo che non era necessario che l'accompagnasse.
Mentre saliva le scale che portavano al secondo piano pensava a come avesse potuto meditare un modo così contrario alle sue abitudini. In un'altra occasione avrebbe agito in maniera diretta. Sarebbe andata a cercare il padrone di casa e gli avrebbe parlato. Invece in quel frangente aveva preferito fingere di uscire, per poi rientrare nella magione con una scusa e poter così raggiungere il signor Malfoy, nella speranza che il tempo che le era occorso fosse stato sufficiente per far sì che l'uomo tornasse nel suo studio.
Percorse in fretta il corridoio del secondo piano, fino a raggiungere la porta che immetteva nello studio di Abraxas Malfoy, che pareva, per uno strano scherzo ottico, chiudere il corridoio orientale, il quale, ci si accorgeva in seguito, proseguiva in una stretta curva, circondando la parete della stanza, palesemente asimmetrica rispetto al resto della magione, ma la cartina che aveva trovato le rendeva noto il motivo di tale stranezza.
Si bloccò davanti alla porta, poi, con fare più deciso di quanto credesse veramente possibile, bussò alla porta. Non ci volle molto prima che qualcuno venisse ad aprire. Abraxas Malfoy sembrava corrucciato nell'incontrare il suo volto, ma la fece accomodare ugualmente.
«In cosa posso esserle utile, signorina O'Connor?» domandò, dopo che la giovane donna fu entrata.
«Si ricorda che le ho fatto delle domande sulla presenza di passaggi segreti nella magione…- lasciò la frase in sospeso, mentre frugava appena nella borsa, estraendone la mappa, tenendola piuttosto vicina al corpo - All'interno della coperta delle memorie di Svenson ho trovato una planimetria del Manor com'era all'epoca dell'alchimista. Vi sono segnati per lo meno due passaggi. Quando ho notato la cosa…beh…io non pensavo di fare nulla di sbagliato, dato che lei mi aveva detto che non era a conoscenza di nessun passaggio segreto all'interno della casa.»
«Dove vuole arrivare, signorina O'Connor?» domandò con una certa secchezza l'uomo, squadrando con attenzione il volto lievemente lentigginoso di Deirdre.
«Io… - la studiosa si umettò appena le labbra, prima di proseguire speditamente - ho scoperto che lei conosce perfettamente l'ubicazione di uno dei due passaggi…intendo quello che si trova in questa stanza.»
Entrambe le sopracciglia di Abraxas schizzarono verso l'alto, mentre il suo volto si faceva palesemente teso. Avrebbe volentieri maledetto quella storiografa ficcanaso, ma di certo, si disse, risponderle malamente o scacciarla di casa, non era il modo ideale per impedirle di spifferare ai quattro venti l'esistenza del laboratorio.
«Forse sarebbe stato meglio se avesse chiesto il permesso di vagare nella magione alla ricerca di vecchi passaggi.» decise di dire infine con tono neutro.
«Me ne rendo conto, signor Malfoy, e per questo le chiedo di perdonarmi. - Deirdre fece una pausa. Sembrava che la su buona stella per il momento la proteggesse. Si era aspettata una reazione ben diversa dal padrone di casa. Trasse comunque un leggero sospiro prima di continuare. - Però non riesco a capire perché mi abbia nascosto la presenza di questa stanza.» con il capo indicò la nuda parete sotto il diploma in medimagia.
«Non ritenevo che fosse di fondamentale importanza per lei conoscere una stanza del genere, piena di alambicchi medici e niente di più.»
«Eccetto delle sostanze proibite.» intervenne con una certa sfacciataggine Deirdre, pentendosi quasi subito delle sue parole, sotto lo sguardo improvvisamente cupo di Abraxas.
«Sono soltanto dei farmaci, signorina O'Connor. Credo che lei sappia cosa significhi farmaco in greco antico.» affermò l'uomo con una calma così contrastante con lo sguardo tempestoso che fece rabbrividire Deirdre.
«Sì. Un farmaco può essere sia salvare la vita che toglierla.» mormorò la giovane donna.
«Può ben capire però, signorina O'Connor, che, qualora entrasse nel laboratorio una persona non addentro alla medimagia, potrebbe accadergli anche qualcosa di grave. Basta inalare il contenuto di alcune sostanze per morire. - l'uomo fece una pausa, continuando a fissare con attenzione la storiografa - Per questo nessuno dovrà conoscere l'ubicazione del laboratorio. Nemmeno gli altri abitanti del Manor ne sono a conoscenza. Soltanto Lysiart, quand'era ancora in vita. Mi vedo costretto a chiederle di non farne parola nel suo saggio. - fece una breve pausa - Le posso assicurare che non v'era nulla, quando ho scoperto casualmente il passaggio. Soltanto una stanza ampia, vuota e polverosa.»
La donna annuì piano, senza parlare. Era certa che Abraxas Malfoy avesse ben altri motivi per tenere nascosta l'ubicazione del laboratorio. In fondo vi teneva sostanze proibite a norma di legge e questo non poteva far di certo piacere alle autorità. D'altro canto, però, non credeva nemmeno che il padrone di casa le utilizzasse per altro che non fosse la ricerca medica e, forse, fu questo a farla acconsentire.
«Poco fa ha parlato di un altro passaggio, signorina O'Connor.»
«Sì.» confermò Deirdre, mettendo a tacere qualsiasi altro pensiero.
«Dov'è ubicato?» domandò improvvisamente incuriosito l'uomo.
La giovane rimase per qualche istante immobile, poi poggiò la mappa sulla scrivania ordinatissima dell'uomo, mostrandogliela nella sua interezza.


Ottilia giunse al Manor il giorno successivo, un luminoso venerdì di luglio, che tanto contrastava con il giovedì precedente così colmo di lampi e fulmini, e pioggia. Teneva per mano il piccolo Timothy, il quale, ardeva dal desiderio di vedere la zia. Pareva quasi che stare accanto a Lotte fosse diventato un suo chiodo fisso e la madre, notando che soltanto quello pareva rendere il figlio più vivo, meno rattrappito nel suo dolore incolmabile, aveva deciso di accontentarlo.
Come l'altra volta fu Green a venire ad aprire loro. Il maggiordomo sorrise mestamente alla donna, mentre li faceva entrare dal cancello e li guidava lungo il sentiero. Timothy lo fissava arrabbiato e stranito. Non riusciva a capire cosa volesse dalla mamma quell'uomo allampanato e con il mento troppo lungo, tanto che nei momenti di rabbia, in cui pensava che volesse sostituire il padre, lo chiamava Mento-Lungo. Aveva sorriso alla mamma e quel sorriso non gli era piaciuto, però, forse alla mamma faceva piacere. Però se alla mamma faceva piacere, voleva forse dire che alla mamma non dispiaceva della morte di papà?
Il bimbo scosse il capo. Non poteva pensare una cosa del genere. La mamma aveva pianto tanto. La sua unica vera paura era che la mamma scordasse il papà per Mento-Lungo e lui non voleva che Mento-Lungo prendesse il posto di papà. Forse zia Lotte sarebbe riuscita a rassicurarlo, zia Lotte riusciva sempre a rassicurarlo, si disse.
Il maggiordomo confabulò appena con Ottilia, quando raggiunsero l'andito d'ingresso. Annuì e la condusse su per le scale, fino al secondo piano.
«Tua sorella dovrebbe essere nella stanza dei giochi. - disse, indicando la porta corrispettiva - Se non dovesse trovarsi lì, vienimi a cercare. Sono sul corridoio settentrionale di questo piano a controllare che gli elfi non facciano disastri nel pulirlo.»
«Ti ringrazio, Laurence. Per tutto.» mormorò rapidamente Ottilia, avvicinandosi all'uscio in noce, lucido, tanto lucido, da potercisi quasi specchiare. Si bloccò di colpo, quando sentì delle voci, attraverso il legno. Non fu tanto udire Charlotte parlare con Abraxas a stupirla, quanto le frasi che captò. Thimoty al suo fianco la guardava stranito, chiedendosi perché la mamma non bussasse alla porta.
«Sì…tua moglie ha detto chiaramente che non è educato ascoltare le conversazioni private…e proprio in quel momento è arrivata la Jameson.»
«Dannazione…- Ottilia accostò meglio l'orecchio alla porta. Al contrario dell'altra volta che aveva origliato la sorella non si sentiva così tanto in colpa. - …dobbiamo… - la voce si allontanò troppo dall'uscio per permettere alla donna di udire - …andrà tutto per il verso giusto, Lotte.»
«Lo spero, Abraxas. Mi sembra tutto così incerto, come se mi trovassi su un pavimento che sta per crollare.»
«Credo sia una sensazione comune, ad entrambi.» rispose di rimando l'uomo.
«Mamma, perché non entriamo?» mormorò Thimoty a voce bassa, per fortuna, si disse Ottilia.
La donna si voltò verso il figlio e si accucciò davanti a lui.
«La zia sta parlando e non è educato disturbarla. - fece una pausa - Ancora pochi istanti e la potrai vedere.»
Il bambino, nella sua ingenuità, o forse nel suo desiderio impellente di vedere zia Lotte, annuì, mentre la madre tornava a prestare attenzione alla conversazione oltre l'uscio.
«Ho trovato poco al riguardo. - stava dicendo in quel momento la sorella. Ad Ottilia parve che i due avessero cambiato improvvisamente argomento. - Pare che gli autori di storia babbana siano parchi di queste informazioni, o per lo meno lo siano quelli che ho consultato. E comunque nessun nome mi dice nulla.»
Ottilia scosse appena il capo, chiedendosi di cosa stessero parlando in quell'istante Charlotte e Abraxas Malfoy. Trasse un sospiro, ma prima che potesse bussare, un impaziente Thimoty aprì la porta di scatto. La donna lo seguì all'interno, chinando il capo, con fare di scusa, di fronte allo sguardo leggermente corrucciato del padrone di casa, o forse, si disse, la verità era che non voleva vedere la sorella in faccia.
«Tim! - esclamò Lotte, inginocchiandosi, poco istanti prima che il nipote l'abbracciasse forte - Non mi aspettavo di vederti così presto.»
«Volevo stare un po' con te, zia.» biascicò piano il piccolo, mentre la giovane gli accarezzava piano i capelli. Durante questo breve scambio di battute, Abraxas si ricompose e salutò cortesemente Ottilia, mentre il figlioletto, tra le sue braccia, osservava incuriosito Thimoty, la testolina voltata verso di lui.


Il foyer del teatro era pieno di donne abbigliate con ricercati abiti da pomeriggio, per quanto alcuni risultassero leggermente pacchiani, di uomini in perfetti vestiti tendenti al blu o al grigio. Alcuni raggi del sole di quella domenica di luglio illuminavano gli stucchi e gli affreschi. Il fumoir era già semipieno di gentiluomini che discutevano tra di loro, in mezzo alla lieve foschia grigiastra che le loro sigarette producevano. Solo qualche rara donna stava in loro compagnia, munita di bocchino.
Abraxas Malfoy, entrando nel fastoso ingresso di quel teatro di provincia, addobbato a festa, storse appena il naso di fronte a certe usanze babbane che riteneva di assoluto cattivo gusto. Eppure, doveva ammettere, che vi passava sopra pur di poter godere di qualche ora di buona musica. Ed in fondo chi lo avesse visto in quel momento non avrebbe mai potuto pensare di riconoscere in lui un mago. Sicuramente qualcuno di quegli azzimati gentiluomini di campagna o qualcuna delle loro spose, fin troppo imbellettate, sarebbe svenuto se lo avesse visto materializzarsi solo poco tempo prima in un boschetto che si trovava non troppo distante dalla piccola cittadina. Al suo fianco Charlotte, abbigliata con un vestito blu, l'unico vestito elegante da pomeriggio che possedesse, si teneva accanto all'amante, osservando attentamente quella moltitudine di volti. Le sembrava lontanissimo il momento in cui l'uomo aveva annunciato la mattina stessa che quel pomeriggio si sarebbe recato a teatro con lei, lo sguardo tagliente di Megan e il suo strano silenzio, gli occhi tra l'incredulo e il sorpreso di Laureen, lo stupore di Green, quel costante sentimento allucinato di Zephyrus. In quell'istante, mentre avanzavano all'interno del foyer illuminato da mille luci elettriche, così più violente delle candele a cui era abituata, le sembrava che l'atmosfera cupa e opprimente di Malfoy Manor fosse distante mille miglia, che tutto potesse andare veramente per il verso giusto.
Stavano quasi per raggiungere le scale, a sinistra dell'ingresso della platea, che li avrebbero portati nel palco che Abraxas aveva ereditato da una vecchia zia da parte di madre che aveva un amore pari al suo per la musica e l'opera, quando una voce li bloccò di colpo.
«Signor Malfoy! - disse un uomo sulla mezza età, con radi capelli grigi e due occhi di un incredibile blu scuro - Non avrei mai pensato di trovarla qui.»
«Signor Tovey, - rispose Abraxas, celando perfettamente i sentimenti che provava in quel momento, di certo non favorevoli a colui che lo aveva salutato - nemmeno io pensavo di trovarla lontana dal suo ufficio.»
Tutto dentro l'animo di Malfoy pareva prendere fuoco. Aveva pensato di non incontrare nessuno all'infuori di poco più di settecento babbani, quando aveva parlato con Charlotte di quella rappresentazione pomeridiana. Sembrava quasi che un demone maligno stesse volutamente giocando una qualche partita in suo sfavore.
«Sinceramente non sarei mai venuto se mia sorella, Iridia, non so se se la ricorda, non avesse insistito per portarmi con sé, dal momento che mio cognato si è preso una bruttissima febbre. Sa, con la tempesta di ieri… - l'uomo fece una pausa per trarre fiato, mentre la sua attenzione si focalizzava sulla giovane accanto al mago. Aggrottò appena le sopracciglia. Per quanto i coniugi Malfoy frequentassero raramente l'alta società magica, era pronto a mettere la mano sul fuoco che quella donna non era la moglie di Abraxas. - Temo di non conoscere la signorina.» aggiunse con un fare cortese che nascondeva la curiosità impellente.
«Charlotte Zurrey. - disse forse troppo rigidamente l'altro uomo, presentando la bambinaia - Edgar Tovey.»
«Piacere di conoscerla, signorina Zurrey. - disse affabilmente Tovey - Immagino di vedere nei paraggi, molto presto, anche sua moglie, signor Malfoy.»
Fu per un forte senso di controllo che Abraxas non congedò in malo modo quel maledetto ficcanaso. Rimase per qualche istante in silenzio, facendo uno sforzo su se stesso per non voltarsi verso Charlotte e sorriderle rassicurante.
«Mia moglie non è potuta venire, purtroppo. - rispose infine, tentando di dare alla voce un tono assolutamente mondano - Ma non potevo per alcun motivo perdermi questa rappresentazione di The Turn of the screw e non solo perché non ho mai avuto il piacere di assistervi prima, per quanto avessi progettato di andarla a vedere a Venezia alla sua prima assoluta l'anno scorso, ma per la presenza del compositore stesso sul podio.»
«E lei, signorina Zurrey? Per quale motivo si trova qui?» domandò Tovey, lasciando perdere per qualche istante la cortesia in nome della curiosità. Se vi fosse stata Iridia, che era andata in bagno a sistemarsi per l'ennesima volta il trucco, avrebbe potuto fare una domanda più sensata, ma era troppo interessato a conoscere che scusa si sarebbe inventata quella che aveva già etichettato come la giovane amante di Abraxas Malfoy.
«Ho avuto già modo di ascoltare altri lavori del signor Britten e li ho trovati tutti assolutamente interessanti.» affermò Charlotte con voce più sicura di quanto non si credesse capace.
«Capisco. Entrambi amanti della musica, a quanto pare.» commentò l'uomo, chiedendosi cosa avesse potuto attrarre un uomo come Malfoy verso quella giovane così ordinaria e sicuramente di famiglia decaduta, considerando quanto il vestito che indossava fosse assolutamente fuori moda. Soltanto in un secondo momento gli tornò in mente il rovescio che aveva subito la famiglia Zurrey poco più di trent'anni prima. Proprio un modo strano, con una donna assolutamente non della sua altezza, quello con cui Abraxas decideva di tradire per la prima volta la moglie, ancor più bizzarro se si considerava che stava portando l'amante a teatro, come se questa fosse la cosa più naturale del mondo.
«Esattamente.» rispose stringatamente Abraxas.
«Non vi trattengo oltre. - disse Tovey - Noto che la massa ha quasi del tutto abbandonato il foyer. È stato un piacere incontrarla signor Malfoy, signorina Zurrey.»
Charlotte trattenne a stento un sospiro di sollievo, quando ripresero a camminare, raggiungendo ben presto la porta del palco sedici di primo ordine, che Abraxas le aprì, facendola entrare. La giovane si accomodò su una delle due poltrone accanto al parapetto, mentre l'uomo si poneva a sedere sul divanetto alle sue spalle, come altri dei gentiluomini presenti in sala.
«Abraxas… - mormorò Lotte, voltandosi verso l'amante, osservandolo negli occhi - …io…sento…»
«Lo so. - la interruppe con un bisbiglio l'uomo, leggendone l'espressione - È un'altra cosa che condividiamo, ma ormai, lo sai….ne abbiamo già parlato.»
«Sì.» riuscì a dire la giovane, prima che si spegnessero le luci.
Non appena ciò accadde, subito dopo che Benjamin Britten fu accolto da degli scroscianti applausi, sentì una mano di Abraxas stringere la sua con forza e decisione.


Ottilia arrivò a Malfoy Manor quella stessa domenica pomeriggio verso le tre e mezza. Non teneva il figlio per mano, quel giorno. Era sola ed il suo unico desiderio era poter parlare al più presto con la sorella.
Fu sorpresa quando vide Laureen Mallory avvicinarsi al cancello della magione. La cugina dei Malfoy scrutò per qualche istante la donna più giovane, mentre la faceva entrare. Era soltanto una casualità se si trovava così accanto all'ingresso principale al parco della villa. Forse voleva unicamente rimanere sola a riflettere, in mezzo alla natura, nella solitudine del prato soleggiato, sugli ultimi avvenimenti.
«Immagino sia venuta per vedere sua sorella, signora Zurrey?» domandò Laureen, osservando accuratamente il volto pallido, gli occhi leggermente cerchiati da occhiaie di Ottilia.
«Esattamente, signorina Mallory.» confermò la giovane donna.
«Allora, credo che rimarrà delusa dall'apprendere che sua sorella non si trova a Malfoy Manor in questo momento.» commentò Laureen, continuando a studiare la Zurrey e le sue reazioni.
Ottilia per diverso tempo, mentre avanza lungo il viale al fianco dell'altra donna, non disse nulla. Il suo volto mostrava la più viva sorpresa e una certa inquietudine.
«Dove è andata mia sorella?» domandò infine.
«All'opera. - rispose lapidaria Laureen, prima di aggiungere, parlando in maniera più sciolta - È uscita poco dopo le due, insieme ad Abraxas.»
«Sono andati solo loro due?» domandò Ottilia faticosamente.
«Sì. Può ben immaginare la tensione che l'annuncio di una tale decisione ha scatenato a tavola. - la donna fece una breve pausa, fermandosi davanti all'ingresso della magione, quando lo raggiunsero - Un comportamento effettivamente non esemplare da parte di mio cugino e sua sorella, ma non vorrei sembrare una persona che giudica troppo duramente le debolezze dell'animo umano… - Laureen si interruppe, mentre continuava a scrutare con attenzione il volto di Ottilia che pareva farsi sempre più pallido - Però le suggerirei di parlare anche di questo con sua sorella. Provare a ragionare con mio cugino, quando si è messo in testa una cosa che gli sta particolarmente a cuore è pressoché impossibile, ma forse la giovane Charlotte potrà dare retta a lei.»
«Ne dubito, signorina Mallory. Forse un tempo le avrei detto il contrario, ma ormai faccio fatica a crederlo.» mormorò quietamente Ottilia, quasi con rassegnazione.
«Cosa intende fare, adesso, signora Zurrey? Tornare a casa o attendere il ritorno di sua sorella?» domandò Laureen, ponendo una mano sulla spalla dell'altra donna, quasi la volesse sostenere in un momento così palesemente difficile per lei.
«La attenderò, sempre che non rechi disturbo.»
«A me no di sicuro. - rispose affabile Laureen - Ma le consiglierei di non farsi vedere da Megan. Credo che, per quanto lei non abbia nulla a che fare con le decisioni di sua sorella, potrebbe trovare assolutamente sgradevole e odioso incontrare una qualche componente della famiglia Zurrey. - la donna fece una breve pausa, riprendendo ad avanzare, salendo il primo dei quattro gradini che portavano al portone d'ingresso, subito imitata da Ottilia - Immagino le farebbe piacere scambiare quattro chiacchiere con Green, oppure con Deirdre O'Connor che è ancora qui a fare le sue ricerche. È veramente instancabile, signora Zurrey.»
Mentre Laureen parlava le due donne avevano raggiunto l'ampio andito d'ingresso. Ottilia rimase per qualche istante in silenzio, prima di chiedere il più neutralmente possibile di essere condotta nel luogo in cui poteva trovare il maggiordomo.


Megan Malfoy vagava senza una meta precisa per la grande magione. Di tanto in tanto i suoi occhietti piccoli e neri si puntavano su uno dei quadri appesi alle pareti, distogliendoli però immediatamente. I volti degli antenati del marito le davano uno strano senso di disagio e di indignazione. Le sembrava che gli occhi chiari, i capelli biondi di quei Malfoy vissuti secoli prima fossero quelli di Abraxas. Era come se quei volti vorticassero rapidamente intorno a lei, facendole provare un senso di oppressione talmente forte da farle poggiare una mano alla parete del corridoio del secondo piano.
Scosse di colpo il capo, mentre fissava lo sguardo sulla parte di parco che si vedeva dalla finestra posta nelle sue vicinanze. Il sole illuminava ancora ogni cosa, in una maniera che alla donna parve assolutamente beffarda nei suoi confronti. Tentò di valutare a occhio quanto tempo fosse trascorso da quando aveva iniziato a vagare per l'abitazione. Furono i cinque rintocchi di una campana in lontananza, nella campagna, a renderla cosciente dell'ora che aveva passato a camminare piegata sotto il fardello dei pensieri che occupavano la sua mente.
Si staccò, con un gesto repentino, dalla parete, iniziando a camminare più rapida, più decisa, fino alla scalinata che portava al primo piano. Raggiuntolo, svoltò a destra, entrando nel salottino estivo. Quasi sospirò quando si ritrovò nella stanza, forse quella che preferiva dell'intero Manor, forse l'unico luogo, in quel momento, dove poteva trovare un po' di tranquillità.
Si lasciò sprofondare in una delle poltrone, passandosi una mano sulla fronte, massaggiandosi subito dopo le tempie. Soltanto in quel momento si rendeva conto di quanto le dolesse la testa, di un dolore persistente e pulsante. Rimase a lungo immobile prima di alzarsi. Su un tavolinetto stavano, come ogni giorno da che lei era arrivata a Malfoy Manor, la brocca con la tisana, una tazza e un cestino con dentro una mela, una mela, quel giorno, di piccole dimensioni dal colore verde-giallastro.
La donna si avvicinò al ripiano di legno e si versò un'abbondante tazza di tisana. Fuori dalla finestra un vento leggero mosse appena le fronde di un albero, ma Megan vi prestò poca attenzione, mentre sorseggiava in maniera assente la sua bevanda. Posò la tazza con un moto deciso, facendola picchiettare appena sul piattino dalle leziose decorazioni a fiori rosa. La donna scosse il capo, concentrandosi quasi volutamente su questo particolare irrisorio, rispetto a ciò che la preoccupava e le impegnava realmente la mente.
Allungò una mano verso la mela e se la rigirò appena tra le mani, pregustando il momento in cui l'avrebbe addentata. La passò da una mano all'altra, poi la portò alla bocca staccandone un morso, che inghiottì poco dopo.
La mela cadde sul pavimento, con un tonfo che a Megan parve tremendamente sordo. Sentiva un fastidioso sapore acido per tutta la bocca. La gola era in fiamme. Il primo pensiero fu di andare in cucina a ordinare una qualche punizione per l'elfo sventato che le aveva dato una mela avariata. Si alzò in piedi, ma un improvviso bruciore allo stomaco la bloccò.
Con un gesto istintivo si portò una mano alla gola, come per far cessare quel fuoco che, partendo da essa, sembrava divorarla all'interno. Tossì forzatamente, ma la sensazione aumentò. Si chinò per raccattare la mela dal suolo, ma il dolore divenne così intenso da farla cadere per terra e da farle venire le lacrime agli occhi.
Improvvisamente un lampo di consapevolezza le illuminò il volto, improvvisamente sentì la paura montare dentro di lei, una paura che tanto somigliava ad un terrore profondo, sordo, sovrastante. Rimase paralizzata per alcuni minuti, scanditi dal ticchettare di una pendola, poi poggiò le mani sul pavimento, riuscendo ad alzarsi a fatica in piedi, mentre quella sensazione di star lentamente bruciando dall'interno aumentava.
Una sola cosa le rimaneva da fare: cercare qualcuno.
Fece qualche passo, ma avanzare ancora le fu impossibile. Con una mano si afferrò al ripiano di uno stipo. Tutto intorno a lei iniziò a diventare confuso. Sbatté gli occhi, fino a quando non riuscì a rimettere nuovamente a fuoco la stanza.
Una figura stava in piedi sulla soglia, immobile.
«Aiuto…» riuscì a biascicare Megan, prima di cadere nuovamente in ginocchio.
La sagoma incorniciata sulla porta non si mosse per qualche breve istante, che alla padrona di casa parve pari ad una lunga ed estenuante ora. Poi si avvicinò rapida, inginocchiandosi accanto alla donna.
«Megan, cosa ti succede?» chiese con voce soffocata quella che a fatica l'interpellata riconobbe come Laureen.
«La… - la voce le si bloccò di colpo. Anche parlare era diventato difficoltoso. Le fiamme interne, quel bruciore che la faceva piangere lacrime di dolore, pareva bloccarle il fluire delle parole dalle labbra. Con un gesto convulso e faticoso allo stesso tempo, riuscì ad indicare la mela - …aiuta…mi…»
«Sì, Megan. - mormorò l'altra donna, facendo per alzarsi, ma una mano gelida e tremante le afferrò malamente il braccio - Lasciami andare, Megan, sto andando a chiamare aiuto.»
Quelle parole parvero come risvegliare la padrona di casa, che scosse il capo più e più volte, sotto lo sguardo di Laureen che tentava di comprendere come una mela potesse far stare così male la donna. Il colorito cadaverico di Megan non prometteva nulla di buono e così anche il tremito della sua mano. Un brivido percorse il corpo della cugina dei Malfoy.
«Nes…aiuto…Laury.»
Un improvviso attacco di tosse scosse il corpo di Megan, una tosse che le era sorta dal profondo del suo essere. Il bruciore aumentò di intensità al punto da far precipitare il corpo della donna al suolo. Altro dolore si aggiunse a quello, estenuante. Con un gesto disperato riuscì a puntellarsi sulle mani e, aiutata da Laureen, a mettersi dritta. Aprì la bocca per parlare, ma nessuna parola uscì dalle labbra secche e bluastre.
Trovando una forza che la sua mente ormai affaticata e lontana non sapeva da dove le uscisse, scansò Laureen e prese a strisciare sul pavimento, allungando una mano verso una piccola scrivania, poggiata alla parete su cui stava una statuetta in porcellana, raffigurante una donna dai capelli più lunghi del suo stesso corpo, in abiti medievali, con un'espressione a metà strada tra l'estasi più assoluta e l'orrore più nero, che dava all'insieme un che di perverso, forse acuito dalla posa languida della fanciulla. Megan allungò una mano verso di essa, sotto gli occhi sconvolti di Laureen, poi cadde al suolo, il volto piegato di lato, il braccio ancora proteso verso la statuetta.
L'ultima cosa che vide prima di morire, fu il volto dell'altra donna chino su di lei e una lacrima solitaria solcarlo.


Ecco a voi un nuovo capitolo! Invitiamo tutti coloro che leggono a proporre un qualche sospettato (saperlo è una cosa che ci farebbe veramente piacere)
Un grazie particolare a:

Vekra: Speriamo che questo capitolo abbia portato più ordine e più chiarezza. Sappici dire cosa ne pensi e se la morte di Megan ti porta a fare nuove ipotesi.

Thiliol: Grazie mille per la tua recensione! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo e della morte di Megan. Qualche sospetto?

Un grazie alle persone che hanno messo la storia tra i preferiti e a chi legge soltanto.

  
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