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Autore: Impossible Prince    26/11/2014    2 recensioni
«Il vuoto è misterioso. Se tu guardi dentro il vuoto, il vuoto poi guarda dentro di te e ti consuma»
Dream è un giovane di venticinque anni con una grandissima carriera di allenatore alle spalle e un presente da giornalista per il più importante quotidiano nazionale.
Sfiduciato e poco stimolato dal mondo degli allenatori, Dream si ritrova in poco tempo, senza opporre resistenza, in balia di party aristocratici, Campioni incompetenti e amici incapaci di stimolare e risollevare la sua vita dalla noia, che ormai è diventata le fondamenta su cui si basa la sua esistenza.
Il ragazzo dovrà destreggiarsi così in un contesto politico precario, dove il Presidente del Consiglio Giovanni porta avanti politiche sempre più autoritarie e liberticide e ricordi di un passato apparentemente invalicabili che costituiscono una pesante ombra sul suo futuro.
Tutti i capitoli sono stati oggetto di una profonda riscrittura.
Genere: Commedia, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni, N, Nuovo personaggio, Red, Team Rocket, Vera
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime, Videogioco
Capitoli:
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Capitolo 19 – Il Campione
 
C’era un’aria fredda quella sera in mare. Rigida, quel tipo di vento che ti entra tra le ossa e ti fa tremare. E infatti tremava Chanson, un pilota seduto con le gambe a penzoloni in una delle cabine della Portaerei Kyogre in attesa di istruzioni.
Lo avevano chiamato quella mattina presto, mentre stava dormendo con accanto la sua ragazza. La voce dura del colonnello non lasciava alcuno scampo: doveva farsi trovare alle undici al molo di Aranciopoli, doveva partire in missione immediatamente. E come lui altri piloti, altri soldati, altri marine tutti a Kanto per imbarcarsi su due portaerei, ordini dal Governo Federale.
E così a poche decine di miglia di distanza, la Portaerei Suicune inseguiva, navigando in quella massa scura dirigendosi a est, verso Kalos.
Una missione militare pensata e messa in pratica nella notte precedente, senza andare ad interpellare l’intera piramide militare.
Giovanni necessitava di una prova di forza, doveva mostrare i muscoli alla Repubblica, dimostrare che nessuno avrebbe potuto mettere i bastoni tra le ruote al suo Governo. Doveva dimostrare che non sarebbe stato fermato dalla Repubblica di Kalos e i suoi asili politici donati a pioggia, non sarebbe stato fermato dalla Corte Costituzionale, che aveva cominciato il processo in cui Repubblica Nuova apparve sin da subito invischiata, e soprattutto voleva mostrare all’opinione pubblica che lui i muscoli li aveva e che poteva utilizzarli quando e quanto voleva.
Ma nel privato, dietro le porte delle stanze dei bottoni, il dramma si consumava. I nervi nella compagine governativa erano a fior di pelle, e la stessa cosa all’interno del Partito. L’influenza di Giovanni, la stella polare, aveva in pochi giorni perso luminosità e alle sue orecchie erano giunte voci di corridoio che parlavano di creazione di “correnti” all’interno dell’organizzazione politica. Sì, quelle “correnti” che rischiavano di mettere a rischio la disciplina ferrea mantenuta fino a quel momento, il partito dal pensiero unico si stava cominciando a sgretolare, con la stessa resistenza che ha un castello di sabbia davanti ad un’onda marina.
Qualcuno nei piani alti aveva parlato. Gli aggettivi si sprecavano. C’è chi lo definiva “una spia”, chi “un Giuda”, chi invece “un comunista traditore al soldo degli Stati Uniti”, come lo definì Archer. E cominciò il caso nel caso, perché questo qualcuno aveva aperto bocca e la partita processuale stava finendo in una brutta direzione. I PM che si occupavano del caso, una bella mattina di novembre, ricevettero una grossa scatola con all’interno fotocopie di documenti privati e nastri con registrazioni telefoniche. Materiale che scotta, bollente, incandescente, più caldo del nucleo terrestre, più caldo della superficie del Sole.
Registrazioni di conversazioni di Giovanni e i suoi sottoposti, con l’ausilio di cimici, in cui si descrivevano nei minimi dettagli come rendere il risultato elettorale più vicino ai loro bisogni.
E così l’avvocatura di Stato già all’inizio del processo si era trovata a dover gestire uno tsunami, con decine e decide di prove schiaccianti messe agli atti e poco importavano le minacce di Giovanni che li ammoniva di staccare loro la testa e di appenderla ai cancelli delle loro abitazioni per spronarli a far meglio. Sin da subito lo scandalo raggiunse dimensioni incredibili e mai come in quel momento Parlamento e Governo cominciarono a tremare.
E così, le due portaerei cariche di Jet-Latios e Jet-Latias vennero fatte partire per tentare di contenere la situazione, che in realtà divenne ancora più calda.
Non appena venne comunicato al Ministero della Difesa kalosiano che parte della flotta navale e aerea era in viaggio per le loro coste e che avrebbero utilizzato la forza militare se non avessero consegnato i rifugiati politici, il Presidente del Consiglio dello stato indipendente si mise immediatamente in contatto con gli alleati della NATO che fecero sapere di essere disponibili a mandare rinforzi.
E così, dopo un’ora dalla minaccia proveniente dalla repubblica, una decina di jet di Kalos cominciarono a sorvolare lo stato, mentre tre cacciatorpediniere di classe “DDG” venivano rilasciate a largo di Petroglifari e Altoripoli.
Il Segretario di Stato degli Stati Uniti ammonì immediatamente il governo della Repubblica di cessare le loro operazioni o avrebbero fatto di tutto pur di impedire che un membro NATO potesse venire attaccato da questo atto di guerra, e altrettanto fecero gli altri Paesi aderenti al Patto Atlantico.
L’iniziativa di Giovanni si era mutata rapidamente in un boomerang, lui che non sbagliava neanche un colpo dalla fretta di organizzare una contromossa mediatica si era ritrovato una guerra alle porte.
 
«Avete cercato anche in casa sua?» gridò Giovanni a pochi centrimetri dal volto di Mondo, il Ministro dell’Interno. Poi si voltò e si diresse verso la finestra, scostando la tenda e osservando la città, mentre a qualche metro sotto di lui stava andando in onda una violenta manifestazione contro il Governo. Il cielo era nuvoloso, non c’era alcuna stella che brillasse.
«Sì, Presidente, abbiamo anche sequestrato tutti i suoi beni... quelli che sono rimasti, ma dei pokémon non ce n’è neanche l’ombra» pronunciò lui con gli occhi chiusi.
«Come sarebbe a dire “quelli che sono rimasti”?» chiese il Presidente voltandosi e rendendo i suoi occhi come delle fessure minacciose, che da un momento all’altro si sarebbero trasformate in un lanciafiamme.
«Nel senso che... la casa di Dream è stata trovata completamente... vuota».
«E i mobili? Non si possono essere volatilizzati i mobili. Dove cazzo sono finiti i suoi fottuti mobili?». Gridava. Gridava così tanto che per un momento sembrava vicino all’implosione. Le vene lungo il collo si gonfiarono, i suoi occhi si aprirono e la sua bocca sembrava poter inghiottire Mondo.
«Sono spariti. Nel nulla, nell’appartamento sono stati trovati soltanto alcuni petardi che sono scoppiati una volta che la polizia ha fatto irruzione».
«Sì ma al diavolo i mobili, i suoi cazzo di pokémon, dove sono finiti? C’erano più pokémon nei suoi box che in tutta la Repubblica. Dove sono quei fottuti pokémon?».
Mondo sorrise imbarazzato.
«Cos’hai da sorridere, si può sapere?».
«I pokémon sono... scomparsi anche loro, Presidente».
Giovanni si riavvicinò alla faccia del suo Ministro. Delicatamente, con voce bassa, pronunciò, scandendo bene le parole: «Cosa significa che “sono scomparsi anche loro”, Mondo?».
«I box sono stati completamente svuotati».
«Nessuno sparisce nel nulla, Mondo, nessuno. I registri? Te lo devo dire io di guardare i registri?» continuò Giovanni sempre sottovoce.
«Li... li abbiamo controllati i registri, signore. I pokémon sono stati portati fuori dalla Repubblica nelle settimane o giornate precedenti all’arresto».
Giovanni scoppiò a ridere, si sedette sulla poltrona che abitualmente occupava nel suo ufficio e rise. Rise tantissimo, si mise le mani in faccia, poi sui capelli.
«Alzati in piedi, Mondo, alzati in piedi».
Il Ministro dell’Interno obbedì, e si alzò in piedi, sistemandosi l’abito ormai completamente bagnato di sudore.
«Contro la parte, Mondo. Contro. La. Parete».
Osservando per un istante in maniera turbata il suo capo, Mondo si mise davanti alla parete, ricoperta da una grande libreria in legno massiccio.
Giovanni con un salto, balzò sul tavolino basso, afferrò il posacenere di vetro e lo scaraventò in direzione di Mondo, colpendo lo scaffale qualche centimetro più a destra di dove si trovava il ragazzo.
«Sei un coglione, uno scarafaggio, un incapace. Lo sapevate che stava per essere arrestato, vi ho detto di monitorare i suoi movimenti e voi gli permettete di svuotare non solo il suo appartamento, ma anche i suoi box pokémon.
E non so se te ne rendi conto, ma io... noi abbiamo bisogno di quel dannatissimo Mewtwo per distruggere quei cazzo di... socialisti che rompono i coglioni.
Trovami Mewtwo o ti prometto che le prossime pokéball che userai saranno i tuoi coglioni. E ora togliti di torno, prima che cambi idea e la prossima cosa che ti lancerò non ti mancherà».
 
La Torre Prisma illuminava l’intera Luminopoli con i suoi mille fari e con il grande fascio di luce montato sulla sua cima, che si muoveva in maniera circolare, arrivando a lambire la gran parte dei tetti.
Con i suoi 350metri di altezza, la Torre Prisma era il simbolo di Luminopoli e di tutta Kalos, un altro monumento lasciato in eredità dalla sua colonizzazione francese.
Dream rimaneva in piedi, con le mani posate alla ringhiera ad osservarla, tra l’incantato e il demoralizzato. La vista, per quanto romantica, non ricordava minimamente quella della grane Fiordoropoli, e anzi, sembrava più una piccola cittadina di periferia, ai suoi occhi, piuttosto che una Capitale. Non c’erano grattacieli che inghiottivano intere porzioni di cielo, le case erano alte massimo sei piani, e nessuna terrazza in cui scatenarsi ai ritmi delle canzoni più in voga del momento. O se i party c’erano, lui non era invitato. Sì, insomma, quando i telegiornali parlarono del suo arrivo a Luminopoli, nessuno di loro citò la sua vita mondana sui tetti della Capitale della Repubblica. Piuttosto snocciolarono le sue capacità di allenatore, che apparvero ancora più sensazionali in uno Stato in via di decadimento come quello di Kalos.
La crescita demografica era negativa e questo si ripercuoteva inevitabilmente sull’economia, con uno bilancio statale da finanziare pressato per l’elevato ammontare delle pensioni, mentre i consumi non decollavano e il welfare veniva costantemente tagliato.
Una via d’uscita per trovare un po’ di respiro era unirsi, economicamente e politicamente alla Repubblica Federale di Pokémon, ma piuttosto che aggregarsi ad uno “Stato fascista” preferirono una lenta agonia.
E così la Lega Pokémon di Kalos aveva un’importanza quasi nulla e tutte le prospettive di divenire un interessante polo per gli allenatori si erano frantumate quel giorno d’agosto in cui si uscì dallo status di osservatore.
 
Il fascio di luce emesso della Torre Prisma, durante il suo roteare, illuminò per un attimo un’ombra alta nel cielo, che mosse le ali. Dopo qualche istante, la luce colpì ancora la sagoma che sembrava essersi avvicinata ulteriormente. E ancora, ancora e ancora.
Senza dare il tempo a Dream di capire di che cosa si trattava, un paio di artigli color marrone, con tre unghie nere si posarono sulla ringhiera del balcone.
Erano unite al resto di un corpo dalla forma ovale con due possenti zampe e due ali di media grandezza. La punta delle ali era nera, così come erano nere le piume che formavano la coda. Il resto del piumaggio era rosso e grigio, grigio e rosso. Il suo becco affilato era nero, i suoi occhi erano circondati da della pelle gialla, la sua espressione era inespressiva.
Non sembrava neanche fosse vero. Non respirava. Era un Talonflame, un pokémon Volante e Fuoco, molto comune a Kalos.
Il Governo se ne serviva per mandare comunicazioni. Un detto degli ultimi tempi recitava “E’ più facile bucare il sistema informatico del Pentagono che abbattere un Talonflame”. Avevano un attacco formidabile, una difesa non da meno e una grandissima velocità. Chiunque cercasse di attaccarli non solo era destinato a fallire, ma era destinato a perire.
Al collo del pokémon era stata messa una collanina di metallo, con una molletta piatta e larga, sempre di metallo. C’era una lettera. Carta pregiata, l’apertura era stata chiusa con della cera lacca colore viola e il simbolo della Repubblica di Kalos sopra. Poco più in alto, spostata leggermente verso destra, una scrittura delicata, elegante, in corsivo comunicata “Indirizzata all’Egregio Signor Dream”.
Dream la afferrò e chiamò Rosso.
«E ora? Che gli dico?» disse imbarazzato, indicando il pokémon Volante, che non sembrava voler lasciare casa.
Rosso osservò la lettera nelle mani di Dream e sorrise: «Penso che se ne andrà solo nel momento in cui tu gli consegni una lettera. Fallo entrare, prima che gli caschi una bomba addosso» concluse osservando un jet militare che stava sorvolando le loro teste in quell’istante.
Dream indicò il salotto dell’abitazione al pokémon sussurrandogli «Prego» e il pokémon balzò dapprima sul pavimento e poi entrò all’interno della casa. Il ragazzo aprì così la busta che aveva in mano e ne lesse ad alta voce il contenuto:
«“Il Governo di Kalos vuole rassicurare i presenti Dream e Rosso, rifugiati politici dalla Repubblica Federale di Pokémon che l'asilo non verrà revocato a causa delle tensioni militari che si stanno consumando tra i due Paesi. Fiduciosi che le relazioni possano stabilizzarsi presto, rinnoviamo gli auguri di buon soggiorno all'interno della Repubblica di Kalos.
Il Ministero degli Interni si augura, inoltre, che l’abitazione concessa sia di vostro gradimento, parallelamente, il Ministero dell’Economia, concede l’autorizzazione per il pagamento del fitto passivo come richiesto.
Il Ministro dell’Interno inoltre comunica al Signor Dream che la sua richiesta di porre il pokémon Mewtwo in un posto segreto è stata accettata e già messa in esecuzione e verrà comunicata all'allenatore dal Ministro in persona in un colloquio da fissare presso la segreteria del Ministero stesso, porgendo la seguente lettera.
 
Distinti saluti,
Il Governo della Repubblica di Kalos"».
 
Era passata ormai una settimana da quando Dream approdò a Luminopoli e dopo un colloquio con i Ministri dell'Interno e della Giustizia, ottenne l'asilo politico poiché proveniente da una nazione che non rispettava i canoni di libertà individuali e di democrazia. Per ringraziare ed evitare di attirarsi l'odio da parte dell'opinione pubblica si offrì di non farsi pagare le spese di mantenimento, ma anzi di utilizzare parte della somma di danaro trasferito a Kalos con l’aiuto di Rosso che stava preparando da settimane l’arrivo di Dream con l’aiuto delle forze governative del Paese.
«Che cari... sembra tipo il comitato di benvenuto di quei resort turistici che paghi con due polmoni, un rene e una porzione del pancreas» disse Dream posando la lettera sul tavolo e dirigendosi verso la scrivania posta affianco alla televisione per prendere un foglio di carta, una busta delle lettere e una penna, in cui scrivere i ringraziamenti da consegnare a Talonflame.
«Sei sempre così critico verso tutti, non ti stanchi mai di non farti mai andare bene?» chiese Rosso facendo zapping alla televisione.
Dream non rispose. Diede la lettera a Talonflame e poi si sedette sul piccolo divanetto a due posti osservando in maniera disinteressata la televisione.
«Rosso... io non credo di averti mai fatto un regalo, sai».
«Ma no, cosa dici. Sputtanarmi nelle interviste lo ritengo un buon regalo, invece».
«Mediocre nella mediocrità» pronunciò con voce fredda, calma, bassa.
«Ma vaffanculo!» esclamò Rosso, guardandolo infastidito.
«Era il mio regalo, non mi hai neanche ringraziato».
«Beh, gran bel regalo di merda, te lo posso dire?» continuò l’amico, sempre più infastidito, ricominciando ad osservare un programma sportivo.
«Ma te lo puoi far incidere come epitaffio sulla lapide. Nessun amico regala cose di questo genere».
«Ti ho già detto dove voglio mandarti?» chiese alzandosi e dirigendosi verso il bagno.
Dream ricambiò lo sguardo con un sorriso, poi i suoi occhi si posarono sulla televisione.
La telecamera cominciò a riprendere i due anchorman seduti in maniera elegante alla scrivania dello studio televisivo, dopo che il servizio sulla Palestra di Romantopoli terminò.
«E’ ormai notizia di una settimana fa che il Campione Dream è rifugiato politico del nostro stato. Ebbene, siamo entrati in possesso delle riprese televisive che mostrano la battaglia che lo ha incoronato per la prima volta Campione, aveva dieci anni e combatteva contro un ragazzo di vent’anni, Lance, attuale Campione reggente della Lega di Johto.
Dream, dopo la sua prima battaglia, diverrà Campione altre otto volte, rifiuterà nel 2013 l’incarico di Campione reggente della Lega di Johto e inizialmente accetterà la candidatura come Capopalestra di Fiordoropoli, da cui si ritirerà per questioni mai ben definite.
Ma ecco qui, il filmato, noi, come di consueto, ci salutiamo e ci rivedremo settimana prossima, sempre in onda su questa rete».
«Oh!» esclamò lui, sorridendo immediatamente.
Quanti anni che non vedeva il filmato della sua prima vittoria, ma il ricordo era fresco dentro la sua testa, come se non fosse passato molto tempo.
Si alzò, raggiunse il divano e alzò il volume. Rimanendo in piedi, come incantato da quelle immagini e pensò infondo che la battaglia era l’unica cosa conosciuta di quella storia, ma nessuno raccontava mai la tensione che provava nel corridoio di pietra adiacente al campo di gioco. Si sentiva bloccato lì, in preda ad un qualche maleficio e nessuno ne parlava perché fu una di quelle cose che tenne per sempre per sé, così come quando sottovoce maledì l’idea di esser diventato allenatore ed essere partito per quel viaggio. L’ansia lo aveva fatto impazzire.
 
La gamba tremava nervosamente e la testa era appoggiata al muro, faceva ampi respiri per tentare di allentare il nervosismo che secondo lui lo avrebbe annientato.
Non era mai stato così ansioso, nervoso o timoroso, mai. Aveva sconfitto senza troppe difficoltà le otto Palestre di Johto, aveva collaborato con un grande allenatore, Lance, per sgominare una rete criminale che voleva estendersi sull’intera Repubblica, eppure sentiva di essere incapace di affrontare quella che si presentava come la sfida più grande della sua vita, la sua prima Lega Pokémon.
I Superquattro e il Campione lo avrebbero messo alla prova, ne avrebbero testato le capacità e spremuto come mai nessuno prima d’ora.
«Hey, Dream» disse un ragazzo avvicinandosi.
Dream aprì gli occhi mentre con la bocca soffiava fuori l’aria da poco inalata. Era Michele uno dei suoi compagni di classe. Il compagno di classe più alto era diventato ancora più alto. E i suoi capelli, biondo cenere, erano stati fatti crescere così tanto da esser legati in una lunga coda.
«Ciao, Michele» lo saluto Dream sforzando un sorriso. Non era entusiasta di vederlo, non aveva voglia di vedere nessuno. Voleva solo che la lotta cominciasse il prima possibile, perché dentro di sé percepiva la sensazione che la sconfitta e il suo più grande fallimento erano imminenti e quindi meglio finire il tutto il prima possibile per tornare a casa e non uscire mai più, piuttosto che rimanere in quel corridoio a soffrire per l’ansia.
«Allora, ce l’hai fatta!» si congratulò il suo compagno. La sua gioia era costruita, finta. Nascondeva a fatica la sofferenza di non trovarsi nei panni di Dream.
«Fidati, vorrei essere al tuo posto in questo momento…».
«Ma non dire così – disse mentre si sedette affianco a Dream – lo sapevo che saresti stato tu ad accedere al girone finale» e gli posò la mano destra sulla spalla, per rassicurarlo.
Dream non rispose, continuò a fare ampi respiri, come quando le donne sono al corso pre-parto e si immaginano sdraiate sul lettino a gridare per i dolori.
Passò un minuto di silenzio tra i due, mentre fuori, sugli spalti, i tifosi davano il loro meglio tra cori e ole messicane.
«Tu lo hai sempre saputo, non è vero?» disse Michele togliendoli la mano dalla spalla e cominciando ad osservare il vuoto davanti a lui.
Dream si alzò in piedi con uno scatto, si sgranchì le gambe e diede una fugace occhiata al suo Pokégear, per controllare l’orario. Mancavano solo cinque minuti. Completamente disinteressato chiese: «Cosa?».
«Saresti arrivato qui. Tu lo hai sempre saputo» il tono della voce di Michele diventò dichiaratamente malinconico e affranto, «E poi a te non te ne è mai fregato nulla, degli altri intendo. Hai sempre seguito l’ambizione, la voglia di vincere e il successo. O forse non li hai mai seguiti, sono loro che sono nati con te. Ecco perché tu non avevi bisogno di nessuno per il viaggio, ti bastava il tuo ego».
Dream guardò stupito, provò a trovare una frase convincente all’interno della sua testa. Aveva sempre saputo che Michele era un ragazzino particolare, un po’ sensibile e complesso, ma mai si aspettava che potesse dire quelle cose a lui, specie in quel momento: «Michele, so che sei dispiaciuto, ma sono sicuro che non si misura la grandezza o la bravura di un allenatore da una sconfitta, anche se questa avviene alla Conferenza Argento. Un buon allenatore, prima di tutto, pensa ai suoi pokémon e a come vengono cresciuti. Poi, solo in seguito, pensa alla vittoria e a tutte le cose che la costruiscono come la strategia e un buon set di mosse da utilizzare. Se la vita fosse una guerra, tu hai perso solo una battaglia, non l’intero conflitto».
«Io… io credo di odiarti» pronunciò con voce rotta Michele, come se tutto quello che Dream avesse detto non fu minimamente ascoltato. «Tu sei più bravo di me e diventerai anche Campione, io che cosa ho combinato nella vita? Nulla! I miei genitori non sono fieri di me!» le lacrime cominciarono a solcare il suo viso mentre i singhiozzi si fecero via-via più frequenti.
«Oh no», Dream alzò gli occhi al cielo e si mise in ginocchio, prendendo con forza la faccia di Michele e ordinandogli di guardarlo dritto negli occhi: «Ora voglio che mi ascolti bene. Hai sconfitto otto Capopalestra, otto allenatori eccezionali. Sei partito per un viaggio con un altro ragazzo che a metà strada ha deciso di tornare a casa e sei andato avanti da solo, ma sei andato avanti. E questo perché? Perché volevi anche tu arrivare qui, Michele. E ce l’hai fatta. Sei arrivato al girone degli allenatori… va bene, hai perso. Ma preferivi forse tornare a casa con quattro medaglie? No! Ne hai otto! Hai costruito una buona squadra su cui devi passare più tempo, questo è vero. Ma non conta il punto di arrivo, conta il percorso che hai fatto. Guarda indietro di un anno. Guardati alla premiazione: ti sentivi forse pronto per tutto quello che hai affrontato? Ti sentivi pronto per passare una settimana all’interno della Via Vittoria? Io no! Eppure ce l’abbiamo fatta, eppure abbiamo superato quella grotta orrenda e siamo arrivati qua!
Non sarai forse il più grande allenatore della storia, ma quello neanche io, suvvia. Ma sarai comunque una bellissima persona, ed è questo che conta. Sono sicuro che i tuoi genitori saranno fieri di te. Mi hai capito bene? – Dream aspettò che il ragazzo annuì con la testa. I suoi singhiozzi si erano placati e le lacrime erano finite - Fra pochi minuti io sarò chiamato e dovrò affrontare i Superquattro, mi segui? Voglio che torni sugli spalti, cerchi un posto vicino ai miei genitori e guardi la battaglia. Ho bisogno che tu creda in me e faccia il tifo per me».
Dream si alzò in piedi e diede un’ultima occhiata al ragazzo. Con la coda dell’occhio vide un uomo, con una giacca rossa avvicinarsi a lui, «Signor Dream, siamo pronti per accoglierla», indicando l’uscita dal corridoio, che portava al campo di battaglia in terra rossa dove avrebbe affrontato gli ultimi allenatori.
Si girò, mise la mano destra sulla pokéball di Feraligatr e cominciò ad incamminarsi teso verso la luce.
Appena la figura di Dream si rese visibile agli occhi del pubblico, un enorme boato si alzò. E proprio quando Dream mise piede sul terreno, il Sole sbucò fuori dalle nuvole. Forte, intenso, illuminava l’intero Monte Argento e la regione di Johto. Era una bellissima giornata di inizio agosto.
«Sembra quasi che anche il Sole voglia vedere l’ascesa di un nuovo allenatore, Jimmy» disse il noto cronista sportivo David Friedrich al suo inseparabile collega, Jimmy Tennel.
Le televisioni a Borgo Foglianova erano tutte sintonizzate sulla Conferenza Argento, tutti facevano il tifo per il piccolo Dream, allenatore di 11 anni che era partito quasi un anno prima premiato dal Professor Elm, che sedeva proprio affianco ai genitori di Dream.
 
I Superquattro Pino, Koga, Bruno e Karen caddero tutti uno dopo l’altro senza grosse difficoltà. Feraligatr non sembrava un pokémon qualsiasi, sembrava essere un carro armato inarrestabile con l’unica capacità di mietere vittime.
«Incredibile, David! E’ la prima volta nella storia della Lega che un allenatore arriva al Campione avendo utilizzato un solo pokémon!».
«A prescindere dal risultato con Lance, possiamo già dire senza alcun problema che questo ragazzo è la storia, Jimmy».
I Pokégear e le linee telefoniche diventarono bollenti: il passaparola su quello che aveva realizzato Dream diventò incessante e continuo. Il numero di ascolti che la rete sportiva totalizzò per la sfida diventò uno dei programmi più seguiti dell’anno. Persino chi non era un fan della Lega Pokémon accese il suo televisore.
Lance entrò allo stadio, seguito anche lui da cori di benvenuto oltre che di una bellissima coreografia presente sul settore posto alle sue spalle. Il Campione era caratterizzato da una grande popolarità e un gran numero di fan. Indossava un abito nero, con un grande mantello con l’interno rosso e un paio di stivali in pelle nera. I suoi capelli a spazzola, di color rosso, erano il suo marchio di fabbrica.
«Benvenuto, Dream. Ero sicuro che ti avrei incontrato qui, per questo grandioso evento. Devo farti i complimenti: non ho mai visto nessuno gestire con grande maestria i pokémon. Ma non basterà questo, credimi, per sconfiggermi e non ti farò  sconti di sorta. Perciò… - Lance prese in mano una sfera poké e la lanciò in aria – Vai Gyrados!».
«Feraligatr, andiamo!» gridò Dream.
Feraligatr e Gyrados si osservarono al centro del campo per qualche secondo, poi i due allenatori diedero inizio alle dance.
«Speravo nel tuo Typhlosion! – commentò ironico il Campione – Solo un pazzo manderebbe in campo un pokémon che ha già combattuto quattro battaglie. Gyrados, non dargli scampo, Iper Raggio!».
«Feraligatr, corri verso di lui».
Il pokémon Mascellone si mise sulle quattro zampe e cominciò a correre verso il pokémon Atroce, mentre questi cominciava a formare all’interno della propria cavità orale un fascio di luce rossa che dopo pochi secondi cominciò a lanciare in maniera continua verso Feraligatr. La corsa di Feraligatr era irregolare e i colpi di Gyrados non andavano a segno. Poi Feraligatr lo raggiunse la coda di Gyrados e la superò con un balzo. Gyrados, completamente concentrato solo sul seguire il pokémon avversario, sparò l’Iper Raggio che venne schivato dal pokémon di Dream e anzi, colpì la propria coda, alzando la testa al cielo gridando di dolore.
«Feraligatr, finiscilo: Morso!» gridò Dream.
Feraligatr, si girò rapidamente su se stesso, corse verso Gyrados e con balzo gli saltò al collo, mordendolo più forte che poteva. Ci vollero pochi secondi prima che il pokémon del Campione cadde a terra esausto.
«Allora, Lance, cosa dicevi a proposito del mio Feraligatr?» chiese ironicamente Dream, poi ordinò al suo pokémon di tornare vicino a lui.
«Dragonite, vai!» gridò il ragazzo dai capelli rossi lanciando in campo il suo pokémon Drago.
Dragonite uscì fuori dalla Pokéball e fece un grosso inchino a Dream, che ricambiò divertito e onorato.
«Dragonite, paralizzalo con Tuononda» disse pacatamente Lance, indicando il pokémon avversario.
Dragonite fece uscire dalle antenne poste sulla sua nuca delle scosse elettriche che cominciarono a viaggiare verso il pokémon acqua. «Feraligatr – ordinò Dream – ribatti con Geloraggio!».
Se il proprio pokémon fosse stato colpito dal Tuononda sarebbe stato paralizzato ed era una situazione da evitare, pur avendo nella borsa diversi strumenti di cura, come l’Antiparalisi o la Cura Totale. Perdere tempo somministrando medicine al suo pokémon poteva rivelarsi fatale.
Feraligatr, prontamente, rispose all’attacco del Drago con il suo attacco Ghiaccio.
Il Tuononda e il Geloraggio si scontrarono al centro del campo e ci rimasero, senza che nessuno dei due attacchi potesse prevalere sull’altro.
«Dragonite, più deciso!» gridò Lance, e il pokémon Drago si concentrò ulteriormente e spinse il Tuononda alla massima potenza. Il Geloraggio cominciò a retrocedere spinto dall’attacco Elettro, ma Dream non diede ordine di incrementare la forza o la potenza. Aspettò che le onde elettriche fossero a pochi centimetri dal colpire il suo pokémon quando gli ordinò di correre verso il suo avversario.
Feraligatr si posizionò sulle quattro zampee interruppe improvvisamente l’attacco, saltando sul lato destro ed esattamente come prima cominciò a correre in tutta fretta verso il pokémon di Lance, che si librò in aria lanciando con le proprie ali l’attacco Tornando.
Il pokémon Acqua, preso di sorpresa, venne colpito in pieno, volando fino poi a cadere facendo un gran tonfo.
La polvere si alzò disturbando la visuale dei due allenatori, «Feraligatr sarà ancora in grado di combattere?» domandò uno dei due cronisti.
Con un salto in avanti, il pokémon di Dream si rialzò in piedi pronto per tornare ad affrontare l’avversario e Dream cominciò a sorridere.
«Feraligatr, usa Gelopugno!»
«Dragonite, colpiscilo ancora con Tornado».
Feraligatr ricominciò la corsa verso Dragonite, che, esattamente come prima lanciò verso l’avversario alcuni turbini. Questa volta però, il pokémon Mascellone osservò dapprima l’arrivo dei tornado e li evitò frenando e cambiando direzione in maniera irregolare, ma ben precisa. Si prese tutto il tempo necessario per procedere evitando i turbini per arrivare davanto Dragonite; spiccò un salto in avanti, caricò il pugno destro e colpì in pieno stomaco l’avversario con il suo Gelopugno.
L’attacco fu super-efficace, tanto da far perdere l’equilibrio e farlo precipitare a terra.
Feraligatr distava pochi metri dal pokémon di Lance e lo osservava con uno sguardo pieno di sfida.
«Dragonite, presto, rialzati!» incitò Lance, ma Dragonite fece fatica a tornare sulle due zampe.
«Feraligatr, finiscilo con Lacerazione!».
Dragonite non fece in tempo a tornare sulle zampe posteriori, ancora confuso dal colpo ricevuto che venne ferito, definitivamente, da Lacerazione.
«Oh, Dream. E’ solo l’inizio dei giochi questo. La battaglia è appena cominciata…», Lance prese in mano un'altra pokéball, premette il pulsante al centro, la ingrandì sul palmo della mano e fece uscire il pokémon che aveva al suo interno, un altro Dragonite.
Dentro di sé Dream urlava dal terrore. Se il primo Dragonite era stato un osso duro, tanto da riuscire ad infliggere un danno piuttosto consistente, questo sarebbe riuscito a mandare KO il suo pokémon; decise così di richiamarlo, gli diede una Ricarica Totale, dando il tempo a Lance di attaccare.
«Sono stufo. Dragon, termina Feraligatr con un gran Tuono!».
Dragonite si alzò in volo e a gran velocità si diresse verso il pokémon Acqua, sollevando una gran polvere. Quando fu a pochi metri dall’avversario, le sue antenne generarono un’altra scossa, questa volta per la mossa Tuono.
«Feraligatr, evitalo e contrattacca con Gelodenti» gridò Dream, correndo alla sua sinistra, per evitare che il Drago colpisse anche lui.
Feraligatr attese che il colpo fu lanciato da Dragonite per fare una capriola sulla sinistra, correre di un metro in avanti dando il tempo a Dragonite di superarlo e poi cominciò a correre nel senso opposto, prendendo di mira l’ala destra del Drago.
Con un balzo improvviso e inaspettato, le fauci del pokémon Acqua stringevano forti Dragon che urlava di dolore e batteva le ali furiosamente, tentando di liberarsi in tutti modi della presa del pokémon Mascellone. Decise, quindi di attaccare con Tornado, ma più si muoveva e più provava dolore poiché i denti affilatissimi di Feraligatr penetravano ulteriormente nella sua carne. Fu così che Lance gli ordinò di alzarsi in volo e raggiunta una certa quota voltarsi e quasi schiantarsi al suolo con tutta la forza necessaria, ma quando la salita venne invertita e il suolo incominciò ad avvicinarsi sempre più, ecco che Feraligatr mollò la presa e utilizzò Idropompa sia come forza propulsiva per non cadere violentemente al suolo, sia per colpire senza pietà Dragon che perse il controllo del volo e cadde a terra privo di forze.
 
Fine del primo round.
Quando metà della squadra del Campione o del suo sfidante veniva sconfitta, si aveva un quarto d’ora di tempo per preparare gli altri pokémon. Era vietato però dare strumenti curativi o cambiare gli oggetti tenuti dai pokémon all’inizio della battaglia.
«Feraligatr, credo che tu debba fermarti e lasciar combattere gli altri» disse Dream in maniera scocciata.
Gli ultimi due pokémon erano stati degli ossi troppo duri e un pokémon sconfitto era quello che voleva evitare.
Feraligatr simulò quella che era una risata, strappò la cintura con le pokéball dai pantaloni di Dream e si mise a dormirci sopra. Non aveva intenzione di fermarsi, voleva solo riposare per tutta la pausa prima di ricominciare la battaglia. Dream non poté far altro che sedersi affianco a lui e guardarsi attorno.
Lance, nel frattempo, aveva lasciato il campo di battaglia.
I suoi stivali creavano un eco particolare all’interno di uno dei corridoi che si potevano raggiungere dal terreno di gioco. Arrivò davanti ad una grande porta di metallo, la accarezzò delicatamente con le mani e spinse all’interno della serratura una grossa chiave che aveva tirato fuori dalla sua cintura. Sui ambo i lati, scritto in verticale, era stato inciso a caratteri cubitali “SALA D’ONORE”. Girò la chiave per tre volte e poi la porta si aprì.
Il pavimento era di marmo nero lucido e dello stesso materiale erano le mattonelle che coprivano i muri. Schioccò le dita di entrambe le mani e i candelabri appesi alle parete si illuminarono, mostrando quello che sembrava un tavolo d’oro al centro della stanza. Si avvicinò lentamente e posò il proprio indice destro in una concavità che immediatamente si illuminò di verde e fece accendere il grande bancone d’orato.
Posò la schiena su uno dei lati del tavolo, si mise le mani sul volto e cominciò a ridere di gusto. Non aveva dubbi al riguardo, Dream era il nuovo Campione della Lega di Johto. Il secondo round, per quanto necessario, era pura e semplice formalità.
Charizard, Aerodactyl e il suo primo Dragonite, non sarebbero riusciti a sconfiggere il giovane allenatore di Borgo Foglianova. Decise di chiamarli a sé, gli disse che non sarebbe stato facile, ma che anche in caso di sconfitta lui sarebbe stato fiero di loro. Poi fece tornare il pokémon Fossile e il Drago all’interno della sfera e tornò sul campo di battaglia seguito dal pokémon di Fuoco.
 
La trasmissione si interruppe di colpo. Al suo posto apparve una signorina dai capelli biondi legati, vestita con un tailleur color beige chiaro, da cui si intravedeva una camicetta bianca. Nonostante il fiatone, tentava di rimanere composta davanti la telecamera, mentre si infilava l’auricolare con tutta la classe necessaria.
In sovraimpressione, in alto a sinistra, il logo del canale all-news.
«Interrompiamo la normale programmazione per un importante aggiornamento che ci giunge dalla città di Fiordoropoli, nella Repubblica Federale di Pokémon. Alle ore ventuno e cinquanta, un ordigno è esploso distruggendo gran parte del Grand Hotel posto sulle colline nella zona est della città. Ecco, ci giungono ora le immagini».
Il Grand Hotel di Fiordoropoli era una grattacielo di circa quaranta piani costruito con uno stile chiaramente riconducibile al Chrysler Building di New York e all’Art Déco. Oltre ad essere un hotel a cinque stelle rinomato in tutto il mondo, al suo interno aveva più volte ospitato le conferenze e i congressi dei partiti conservatori, tra cui Repubblica Nuova.
Una telecamera riprendeva senza che si muovesse di un solo centimetro le altissime fiamme che coprivano tutti i piani compresi tra il ventinovesimo e il trentasettesimo, mentre frammenti di quelli che sembravano tende o mobili schizzavano a velocità impressionanti fuori dalla struttura.
Dai piani superiori si vedevano delle ombre che si agitavano verso l’alto «Ecco, mi pare di capire che ci siano delle persone intrappolate nei piani superiori a dove è avvenuta l’esplosione. Siamo in collegamento da Fiordoropoli con il nostro corrispondente, Alberto, ci sei?»
Si sentì un chiaro rumore di sirene e poco dopo la voce dell’uomo si fece strada nelle televisioni di Kalos.
«Sì, eccomi. La situazione qui a Fiordoropoli è davvero caotica. Si tratta senza dubbio di un attentato terroristico, poiché come mi stavano spiegando alcune lavoratrici dell’albergo, a quei piani non sono presenti zone da cui possa nascere un incendio di così ampie dimensioni»
«La polizia ha già un’idea di chi possa essere l’artefice?»
«No, assolutamente no. Ma ho avuto modo di intervistare un membro del Governo e secondo lui può trattarsi del Team Galassia, viste le recenti rivendicazioni di questi giorni per altri attentati».
Il Team Galassia era rimasta l’unica organizzazione criminale a rimaner fuori dalla fondazione di Repubblica Nuova, e anzi, i colloqui che Cyrus, il capo dell’organizzazione, aveva avuto con Giovanni, Max e Ivan non avevano fatto altro che incrementare una sorta di odio e a spingere l’ideazione di attacchi terroristici contro la Repubblica rea di aver inglobato Sinnoh all’interno dello Stato.
Il Governo allora aveva messo in atto una serie di provvedimenti efficaci per combattere la criminalità organizzata che per la prima volta non erano di matrice governativa, ma di origine esterna.
Dream si alzò lentamente, raggiunse la scrivania e scelse una sigaretta dal suo pacchetto. La posò delicatamente tra le sue labbra, e poi, con l’accendino in mano, la accese, sedendosi sul divano.
Il telegiornale continuava a descrivere la situazione, cominciando a supporre un numero di vittime in base a quante persone lavoravano nell’albergo o in base ai registri, quanti avevano affittato una stanza all’interno di quei piani.
Il fumo proveniente dalla sua bocca si fermò per un attimo davanti ai suoi occhi.
«Poi vedi queste cose e ti vengono a dire di credere in Dio... ma dimmi tu come fai a crederci!» pronunciò sottovoce Rosso, come se non volesse disturbare la visione di quelle inquietanti immagini.
Dream alzò la testa verso il soffitto, soffiò fuori tutto il fumo e rimase fermo, in silenzio.
«Dio... Dio... Dio è morto» disse il Campione di Johto, «Ma non ti preoccupare, con me sei al sicuro».
Poi aspirò ancora i fumi della sigaretta, rigettandoli dopo poco in aria, creando una leggera nuvola. Chiuse gli occhi e tornò con la memoria a quel giorno di molti anni prima quando le preoccupazioni su Dio, gli attentati, e i morti erano conversazioni da adulti.
 
Sudava freddo Dream. Feraligatr era in piedi al centro del campo che respirava faticosamente. Era stanco e necessitava di riposarsi, ma non ne voleva sapere di entrare nella pokéball e lasciare il posto a Typhlosion.
Il risultato della battaglia era ormai scontato, Lance poteva usufruire solo di un solo pokémon, un altro Dragonite, il terzo della sua squadra ma evoluzione di quel Dratini che ottenne dai saggi di Ebanopoli all’età di dieci anni.
Il Campione non lo annunciò nemmeno, lanciò la sfera e Dragonite si presentò sul campo. La situazione era surreale, lo stadio, che fino ad un momento prima era nel pieno di cori, con la sconfitta di Aerodactyl cadde nel silenzio più profondo, assurdo, irreale. A Borgo Foglianova la situazione non era differente.
Per un momento, Dream pensò che anche i suoi pensieri e i battiti del suo cuore potessero esser percepiti e ascoltati da tutto il pubblico.
«Dragonite, diamo il tutto per tutto. Oltraggio!».
Il Pokémon non diede il tempo di terminare la frase, che si alzò immediatamente in volo e veloce, come un razzo, si diresse verso il pokémon Acqua. Dragonite stava già caricando il suo pugno sinistro verso Feraligatr quando Dream gli ordinò di controbattere con Gelopugno.
Proprio quando Dragonite era in procinto di impattare sul corpo di Feraligatr, il campo si riempì di cloni del Drago a causa del suo Doppioteam e tutti le copie cominciarono a colpire il pokémon di Dream, ma solo una lo stava ferendo davvero, il problema era capire quale. Feraligatr era confuso, tanto da cominciare a barcollare sul campo.
«Feraligatr, distruggi quelle copie con Surf!», il pokémon obbedì e creò una gigantesca onda d’acqua che invase l’intero campo di battaglia, solo un Dragonite si librò in volo tanto da oscurare il sole.
«Fuocobomba, Dragonite!» una pioggia di palloni di fuoco piombarono sul terreno, esplodendo all’impatto. Per quanto potesse correre cercando di immaginare dove il Fuocobomba avrebbe colpito, non riuscì mai ad esserne sicuro, tanto da venire colpito da un paio di essi.
«Bene, usa Tuono!» gridò Lance. La partita sembrava essersi sbloccata. Sembrava che finalmente aveva la chiave per sconfiggere Feraligatr. Dentro di Dream incominciò a riformarsi quella reale paura di esser sconfitto. Prima Feraligatr, poi Typhlosion, poi Meganium, poi Arbok, poi Espeon e poi Pidgeot.
No, era fuori discussione. Non aveva fatto fuori cinque dannatissimi Drago per poi perdere all’ultimo. Tutti quelli sforzi per arrivare fino a lì non sarebbero stati resi vani da quel ragazzo con i capelli rossi e il mantello nero.
Non avrebbe fatto la fine di Michele, di Davide, Alessio o Daniele. Non sarebbe stato sconfitto.
Ed eccolo che il fuoco della passione, che si era spento con l’entrata in campo di quell’ultimo dannato Dragonite, si era riacceso.
Osservò la situazione da un punto di vista oggettivo. Non c’era possibilità che Dragonite si posasse a terra. Da lassù aveva la situazione in pugno. Bisognava quindi portare in alto Feraligatr. Ma come? E la risposta venne da sé, “forza propulsiva”, quella che aveva utilizzato per abbattere uno dei due Dragonite utilizzati nel primo round.
«Feraligatr, Idropompa».
«Stolto! Dragonite, evitalo!»
«Ma non è per voi l’attacco» sogghignò maliziosamente Dream, «Feraligatr, usa l’attacco per lanciarti in aria» e il pokémon rivolse il suo sguardo al terreno, chiuse gli occhi e aprì le fauci, facendo uscire un getto d’acqua che dalla potenza lo scaraventò in aria.
Feraligatr aprì gli occhi in tempo per osservare che si era lanciato più in alto del Pokémon Drago, che distava pochi centimetri sotto di lui.
«Vai con Geloraggio!», fu una questione di pochi secondi. Feraligatr cominciò a colpire furiosamente Dragonite con l’attacco Ghiaccio che non poté far altro che piombare a terra, inerme.
L’attacco superefficace unito con un impatto di una decina di metri lo avevano finito.
Lance ritirò nella pokéball Dragonite, poi cominciò ad attraversare a piedi il terreno, godendosi ogni singolo passo. Dream chiamò nella propria sfera Feraligatr prima che questo potesse precipitare e si avvicinò al suo sfidante.
Non si rendeva conto ancora di quello che era successo, non capiva per quale motivo l’intera Nazione era scoppiata in un unico boato e non capiva per quale motivo Lance lo stesse abbracciando con tanta forza: «…È finita. E’ una sensazione così strana. Non sono arrabbiato per aver perso. Al contrario, sono felice. Felice di annunciare l'ascesa di un nuovo Campione!».
Dream aveva vinto e non solo era il nuovo Campione della Lega Pokémon di Johto, ma anzi, era entrato nella storia per la sua incredibile battaglia.
L’intero stadio venne ricoperto di petali rosa e blu, mentre da Fiordoropoli a Ebanopoli, da Mogania ad Azalina si festeggiava la nascita di un Campione.
Passò la notte a piangere tenendo stretto a sé un cuscino. In quelle lacrime era presente tutta la sua felicità, la commozione ma anche paura e terrore di non farcela. Stava buttando fuori con forza tutta la paura di deludere. E fra tutte le persone che temeva di deludere una spiccava in particolare: se stesso.
 
Giovanni entrò nella stanza, davanti a sé, alla scrivania, il Presidente della Repubblica, Antonio Darco, era impegnato nella lettura attenta di un foglio illuminato dalla luce della lampada da tavolo.
«Presidente, sono giunto appena mi hanno comunicato che voleva vedermi».
Gli occhi azzurri del Presidente si alzarono dalla carta e cominciarono a squadrare Giovanni da dietro gli occhiali. Se li tolse e fece un cenno al Presidente del Consiglio di sedersi davanti a lui.
Quando Giovanni fu seduto comodamente, Darco lo guardò sorridendo. Le rughe sui lati della bocca si fecero ancora più profonde.
«Sì, la volevo vedere perché... – si piegò sul lato destro, aprendo un cassetto e tirando fuori un foglio – ecco, si è dimenticato di apporre la sua firma sulla sua lettera di dimissioni».
Giovanni strabuzzò gli occhi, poi sorrise imbarazzato: «Quale lettera, Presidente? Non ho firmato nessuna lettera di dimissioni».
«Oh, al contrario invece, lei ha intenzione di dimettersi quest’oggi».
La situazione gli stava sfuggendo di mano. Il mite Antonio Darco, uomo che non aveva mai messo i bastoni tra le ruote, promulgando ogni qualsiasi legge che il Governo faceva approvare, aveva deciso di non mettere un semplice bastone, ma di infilare tra i raggi della bicicletta di Giovanni l’intera foresta amazzonica.
«Mi spiace, Presidente, ma debbo insistere, non ho alcuna intenzione di dimettermi da Presidente del Consiglio Federale. Sono stato eletto con un mandato e durerò altri cinque anni».
«Giusto – rispose con un sorriso sincero l’uomo – perché prima di dimettersi deve firmare quest’atto, me ne stavo quasi dimenticando».
Si piegò ancora sul lato, riaprì il cassetto e tirò fuori un altro foglio, che fece passare sul tavolo.
«Si è dimenticato di firmare anche questo foglio, Presidente Giovanni. L’ordine per il ritiro delle forze armate a largo di Kalos».
Giovanni prese in mano entrambi i fogli, li guardò e li strappò.
«Io non vado da nessuna parte, le è chiaro?».
Il Presidente si alzò in piedi, fece il giro del tavolo, si passò una mano tra i folti capelli bianchi e poi posò il bacino alla scrivania, osservando dall’alto Giovanni, che sedeva affianco a lui.
«Allora, le spiego come stanno le cose, Presidente Giovanni. Io sono il Presidente della Repubblica, lei è il Presidente del Consiglio. Io decido il Presidente del Consiglio, il Parlamento gli da la fiducia e io firmo quello che mi passano.
Tutto molto semplice, no? L’ho spiegato al mio piccolo nipotino di sette anni – disse con gli occhi che brillavano – non è riuscito ad entrare alla Scuola per Allenatori e fa la seconda elementare. L’ha capito anche lui, quanto è sveglio...
Comunque, dicevo, ecco. Sì, lo so che sarebbe una forzatura farle firmare delle dimissioni che lei non vuole, ma sinceramente sotto la mia Presidenza non ci sarà un Governo condannato per aver manomesso le elezioni. Ed ecco che qui entra in scena lei. Perché le sto offrendo di salvare la faccia e di dimettersi».
Ritornò a sedersi al suo posto, sulla grande poltrona con il legno colorato d’oro e il tessuto rosso scuro.
Riprese i due fogli dal cassetto e li passò nuovamente a Giovanni, «Firmi».
«Io non ho alcuna intenzione di dim...» ma Giovanni venne interrotto. Il Presidente batté i pugni sul tavolo, si alzò in piedi e cominciò a fissare Giovanni con lo sguardo che definire furioso era un eufemismo.
«No, Giovanni, non ci siamo capiti. Tu non hai più alcun potere contrattuale. Tu ora firmi questi fogli e darai la fiducia al prossimo governo che devo formare per permettere che questa Repubblica abbia un minimo di dignità che tu e i tuoi amici con i vostri giochi criminali avete tolto. E non mi interessa se il prossimo Presidente del Consiglio è di tuo gradimento. Io voglio che il tuo partito, compatto, voti la fiducia a quel dannato Governo o quanto è vero Iddio, renderò impossibile la vita al tuo Governo. Firma questi dannati fogli».
«Antonio, se tu ora sei nella posizione di parlarmi in questo modo è perché io ti ho dato i miei voti per realizzare la tua ambizione».
«Bravo, ti sono molto riconoscente. E dovresti esserne anche tu visto il guaio dove ti sei cacciato, Giovanni. Proprio perché ti sono riconoscente ti sto facendo questo regalo. Firma quei fogli, è un ordine dal Presidente della Repubblica».
Giovanni si sedette, prese la biro e siglò prima l’ordine di ritiro delle forze armate e poi la lettera di dimissioni.
«Questa non è la fine, sappilo» ringhiò Giovanni alzandosi dalla sedia e dirigendosi verso la porta d’uscita.
«Giovanni, fermo. Sul tavolino davanti al divano c’è una busta. C’è un biglietto aereo, sola andata, per il Venezuela. Prendilo» disse sorridendo Il Presidente della Repubblica.
Giovanni lo afferrò e senza prestare molta attenzione uscì dalla stanza, lasciando il Palazzo della Repubblica senza lasciarsi avvicinare dai giornalisti.
Antonio Darco vide l’ormai ex Presidente del Consiglio abbandonare il cortile a bordo della sua macchina: «Già, Giovanni. Questo è solo l’inizio».

 
   
 
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