Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
Segui la storia  |       
Autore: Philly123    28/11/2014    3 recensioni
Londra.
Jamie vive da solo nel suo appartamento in centro, da qualche tempo si sente vuoto e anche i suoi amici non si fanno vivi.
Dorotea è una ragazza londinese con la passione per la pittura e il disegno.
Si incontreranno, più volte.
Qualcosa si nasconde nel passato di lei.
Jamie Campbell Bower sarà troppo assorbito dalla mondanità per prestare attenzione a una ragazza comune?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non vedevo i miei genitori da più di un mese, precisamente dalla prima volta in cui avevo incontrato Dorotea. Era strano per me portare una ragazza a casa loro, ma probabilmente le cose con Dori stavano prendendo una piega piuttosto seria. Non ero nemmeno cosciente del momento in cui erano diventate così serie.
Inizialmente era solo interesse, una curiosità fomentata dal suo non essere una mia fan, o comunque una che avrebbe pagato solo per stare vicino a me. In seguito mi ero sentito in dovere di proteggerla, dopo avere scoperto il suo passato, provavo anche attrazione fisica per lei, ma non era questa la reale motivazione che mi spingeva a starle accanto. Infine me n’ero innamorato, l’avevo scoperto nello stesso modo in cui si scopre una pietra preziosa nascosta sotto la sabbia: lei c’è sempre stata, magari era sotto il tuo palmo, ma appena te ne rendi conto diventi felice ed euforico.
-Jamie? Hai sentito quello che ti ho detto?- esplose una voce al mio fianco.
-Cosa?- chiesi, atterrito.
-Ma dove hai la testa, oggi? Non avremmo dovuto portare qualcosa? Che ne so, un regalo o il dolce?-
Dorotea portava degli abiti nuovi, il regalo di Hannah e Oliver a quanto pareva, con delle scarpe alte, e aveva il viso leggermente truccato. Il verde degli occhi risaltava grazie alla matita nera e le labbra, tinte di rosso, sembravano più grandi e carnose. Mi facevano venire voglia di baciarle.
-No… credo. Scusa, penso di essermi distratto di nuovo.-
-Sei impossibile- mi rispose tediata, aggiungendo un lungo sbuffo dopo l’ultima parola.
I tacchi di Dorotea risuonavano lungo Dartmouth Park road, mentre ci avvicinavamo all’entrata della casa in cui ero cresciuto. Gli edifici, in quella zona, erano minuziosamente curati. Si innalzavano per due o tre piani, con facciate di mattoni e finestre dagli infissi bianchi. Solo i ricchi potevano permettersi una casa ad Highgate.
Aprii il cancelletto che delimitava il piccolo giardino frontale. Presi le chiavi dalla tasca e spalancai la lucida porta rossa, dal pomello dorato, su cui era posta una ghirlanda di una qualche pianta profumata.
-Mamma!- gridai.
Sentii dei passi veloci sbattere sulle scale di vetro e poi sul parquet finché non vidi mio fratello correre e raggiungere la porta. Portava una maglietta di tre taglie più grande e dei pantaloni neri. Non aveva scarpe, soltanto dei calzini grigi e logori.
-Jamie!- urlò mentre mi si gettava addosso, abbracciandomi.
-Come stai, Sammy? Oh, questa è Dorotea- gli dissi, indicandola. Era piuttosto imbarazzata e continuava a mordersi un’unghia.
-Tu devi essere la nuov… la ragazza di Jamie!- balbettò lui. Gli lanciai uno sguardo di rimprovero anche se sapevo che non era stato un atto di cattiveria a soltanto un lapsus. Al contrario dei miei, lui aveva conosciuto tutte le mie ragazze.
-Piacere, sono Dorotea. Sei Samuel, giusto?-
 
Mentre loro continuavano le presentazioni, io lasciai il cappotto sull’appendiabiti e mi addentrai nella casa, cercando gli altri abitanti. Scesi i due gradini che separavano l’ingresso dal resto dell’abitazione e mi addentrai in soggiorno attraverso la porta sormontata da una libreria a parete, rividi i tomi antichi e gli oggetti di design, accostati a monili giapponesi, vecchi di secoli. Anche in quella stanza non c’era nessuno, così mi sedetti in uno dei lunghissimi divani in pelle nera, di fronte al camino che crepitava. Accanto alla finestra c’era un albero di Natale più alto di me.
Gli altri due entrarono qualche istante dopo. Dori era decisamente impressionata dalla magnificenza della casa, studiava gli oggetti come fosse in un museo, senza toccarli o avvicinarsi troppo.
-Dove sono mamma e papà?- chiesi a Sam.
-Sopra, mi hanno detto di scendere a tenervi compagnia. A quanto pare vi aspettavano più tardi, non credevano che fossi puntuale.-
-La gente cambia, Sammy, e loro si sono fatti trovare impreparati. Sono sicuro che non se lo perdoneranno mai.-
-Oh, dai. Non fa niente se aspettiamo, mi piace guardare tutte queste cose. Vorrei proprio poterle disegnare- esclamò Dorotea con aria pacificatoria, mentre si sedeva accanto a me e io le mettevo un braccio attorno alle spalle.
-Sono contento che questa casa ti piaccia- sentenziò una nuova voce, appena oltre l’entrata.
Ci girammo tutti istantaneamente, come se fossimo stati colti in fallo. Mio padre, capelli biondi, corti e spettinati, carnagione cerea e barbetta incolta, era poggiato allo stipite della porta.
-Piacere, Dorotea!- esclamò lei alzandosi in piedi, sempre più imbarazzata. Lui si avvicinò con un grande sorriso sul volto, tendendo la mano. La superava in altezza di almeno dieci centimetri.
-Io sono David, e questa è mia moglie, Anne.- La donna bionda, dalla fronte alta e un grosso neo sulla guancia destra spuntò dietro mio padre. Anche lei scosse forte la mano di Dorotea e le sorrise.
-Jamie, sono mesi che non ci vediamo! Non ti fai mai sentire, ho più contatti con tuo fratello che abita in un altro Paese- esclamò mia madre, stringendomi a sé mentre l’uomo mi dava una potente pacca sua spalla.
-Quindi tu non vivi a Londra?- chiese Dori, evidentemente intenta a dissipare il suo imbarazzo.
-No, abito a Copenaghen e…-
-Ragazzi, che ne dite di continuare a tavola? Shann ha appena sfornato la prima portata, sarebbe un peccato farla freddare.-
Tutti si avviarono in sala da pranzo, così presi Dorotea per un braccio e le feci l’occhiolino.
-Come sta andando? Devi sapere che Shannon è la cameriera, e se te lo stai chiedendo, i soldi non ci mancano. I miei lavorano entrambi nell’ambito della musica, è anche per questo che so suonare.-
-Credo che ci fosse bisogno di chiarirmi che siete ricchi, mi era quasi sfuggito- rispose lei, sarcastica, mentre entravamo nella stanza dal lungo tavolo in vetro e dalle sedie in tappezzeria rossa, entrambi rifiniti in ferro battuto. Sulla tavola imbandita erano posti dei candelabri accesi e Shann faceva frettolosamente spola dalla cucina.
 
Una decina di portate e molte chiacchiere dopo mi ritrovai a sbottonarmi i pantaloni per la quantità di cibo che avevo ingurgitato. Dorotea, invece, aveva appena toccato ogni piatto ed era piuttosto pallida. Era parecchio strano ma imputai la colpa al suo imbarazzo, almeno finché non scattò in piedi, interrompendo il chiacchiericcio all’improvviso.
-Scusate, io… io devo andare in bagno!- esclamò mentre si allontanava dal tavolo e si dirigeva nella stanza in cui era già stata mezz’ora prima.
Gli altri commensali mi fissarono, come per chiedermi cosa stesse succedendo.
-Vado a vedere se c’è qualcosa che non va.-
Bussai più volte nella porta bianca in legno, ma dall’interno sentivo soltanto l’acqua che scorreva, troppo forte per essere quella di un solo rubinetto.
-Dori, tutto a posto?- chiamai forte, cercando di superare il rumore.
Sentii la chiave girare nella serratura, e il suo viso, se possibile più cinereo di prima, si affacciò timidamente da uno spiraglio della porta.
-Sto bene, tranquillo- disse con una voce roca.
-Non mi sembra proprio, che è successo?-
-Nulla di importante, deve avermi fatto male qualcosa… ma ora sto bene!- si affretto ad aggiungere.
-Vuoi dirmi che hai vomitato?!- esclamai.
-Oh, che vuoi che sia, non sono mica abituata a tutto questo cibo. Tra l’altro stavo male anche ieri. Avrò preso un virus influenzale o qualcosa del genere.-
Nonostante fossi preoccupato, dovevo ammettere che il ragionamento filava, così chiusi la porta e la lasciai sistemare.
Tornai dagli altri, che intanto si erano trasferiti in soggiorno e sorseggiavano del liquore caldo seduti sui divani.
-Che succede?- chiese mio padre, con un tono moderatamente impensierito.
-Niente, non sta bene di stomaco. Magari ha l’influenza, è stata male anche ieri- risposi in fretta, cercando di concludere l’argomento prima che tornasse. Dorotea non avrebbe gradito una conversazione su di lei, si sarebbe vergognata.
-Quindi è già successo!- esclamò mia madre, senza cogliere il mio tentativo.
-Sì- asserii velocemente, e mentre vedevo entrare la sagoma di Dori con la coda dell’occhio, mi preoccupai di aggiungere: -Sapete che tra due giorni partiremo, vero?-
Dorotea si sedette al mio fianco, le mani incrociate in grembo.
-Partite davvero? Jamie, io ti odio. Non ci vediamo mai e appena torno in città tu vai via!- esclamò mio fratello. Sapevo che non era veramente arrabbiato. Per molti anni, durante la nostra adolescenza, ci eravamo odiati ma da quanto eravamo diventati più grandi era come se fosse il mio migliore amico. Non avrebbe mai sprecato il poco tempo che avevamo a litigare.
-Domani sei invitato a casa nostra per tutto il giorno, vero Dori?-
-Sicuro, e ti cucinerò qualcosa di buono- esclamò lei, la voce ancora bassa e roca. Mia madre non smetteva di fissarla, come se la stesse studiando.
 
Alcune ore dopo, verso le sette di sera, rincasammo. La giornata era incredibilmente fredda, pioveva e i nostri cappotti non servivano a proteggerci.
La prima cosa a cui pensai, appena arrivato a casa, fu un bagno caldo.
-Vuoi venire con me?- chiesi a Dori, ammiccante. Lei aveva il cellulare in mano e stava facendo una ricerca su Google, ma non riuscivo a vederne il contenuto.
-Scusa, devo uscire ma tornerò tra un attimo- rispose soltanto, non degnandomi nemmeno di uno sguardo. Riaprì la porta e corse via, senza che nemmeno potessi chiederle dove stesse andando o se volesse essere accompagnata.
Decisi di attuare comunque il mio piano. Riempii la vasca del bagno a piano terra ed entrai soltanto quando vidi l’acqua fumare. Mentre mi immergevo sentivo la pelle bruciare e arrossarsi ma era quella la sensazione a cui agognavo ancor prima di mettere piede a casa. Sentii ogni muscolo che si rilassava, e il calore che si irradiava dentro il mio corpo, fino alle ossa. I capelli ondeggiavano sull’acqua, massaggiandomi la cute.
Mi ritrovai a pensare a Dorotea, a chiedermi che fine avesse fatto o a quale fosse la commissione urgente da risolvere la sera del venticinque Dicembre. Non mi venne in mente niente così, a poco a poco, il torpore mi catturò sempre di più.
Stavo quasi per addormentarmi quando squillò il telefono.
-Dori?- chiesi, senza nemmeno guardare il numero.
-No, sono tua madre. Non eravate insieme?-
-Sì, mamma, lei è appena uscita. Volevi dirmi qualcosa?- Mi sedetti di scatto, incuriosito.
-Scusami, ma non riesco a non pensarci. C’è un dubbio che mi assale da quando ho visto Dorotea, oggi.-
-Un dubbio? Cosa vuoi dire?-
-Capisco che sia una cosa che volete tenere per voi, al momento e sicuramente non volevi dirlo davanti a Sam e tuo padre ma…- si interruppe, soppesando le parole come se stesse dicendo qualcosa che mi avrebbe potuto fare arrabbiare.
-Mamma, non ti capisco, sii chiara.-
-Non è che, per caso, Dorotea è incinta?-
 
Era come se le mie orecchie continuassero a fischiare da quando avevo sentito quelle parole. Incinta. Incinta. Incinta. Dorotea poteva essere incinta? Sì, e no. Avevamo fatto l’amore? Sì, e i bambini si fanno in questo modo, non che ci capissi niente di bambini, ma ero troppo grande per la storia delle api e dei fiori. In ogni caso, avevamo cercato di fare le cose per bene, senza rischi. Tranne una volta.
Sentii le chiavi girare nella toppa. Mi alzai di scatto, ricordandomi che ero rimasto in accappatoio, con i capelli che mi gocciolavano sulla schiena. Sentivo molto freddo ma non l’avevo capito fino a quel momento.
-Jamie?- chiese la voce di Dorotea.
Non sapevo che dire, mi sembrava di avere la bocca impastata, in un misto di stupore e paura. Non avevo idea di quale fosse il modo migliore per introdurre la discussione.
-Dorotea devo parlar…-
-No! Aspetta, devo dirtelo subito o non avrò più il coraggio. Ecco…- si fermò, ragionando.
-Ecco…-
-Dorotea, per favore, finisci la frase- dissi con un tono irritato.
-Ho fatto un test di gravidanza!-
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower / Vai alla pagina dell'autore: Philly123