Nota autore: Salve a tutte/i di nuovo!^^
Cosa
posso dire per ringraziarvi di tutte le parole, i complimenti e le
dimostrazioni di affetto ricevute con le recensioni al primo capitolo?
Per
prima cosa, grazie, grazie ed ancora grazie. Come ormai sapete le
adoro, siano
esse positive o negative, ed adoro le vostre osservazioni, correzioni
ed
intuizioni. Seconda cosa, spero di non deludervi con l’andar
avanti del
racconto!
Questo
capitolo è più corto del precedente ma ho dovuto
tagliarlo in questa maniera
per non dover spezzettare la parte successiva del racconto che, essendo
un po’
più contorta, avrebbe potuto risentirne. Spero mi perdoniate
per questo ma vi
assicuro che farò di tutto per pubblicare il terzo capitolo
il prima possibile.
^^
Un’ultima
precisazione. Come giustamente mi ha fatto notare Evee, tra i
personaggi non
avevo inserito il “nuovo personaggio” di Sherry per
cui ho dovuto sacrificare
qualcuno ed a malincuore è toccato a
Mycorft….perdonatemi! Sappiate che lui
c’è
ed è importante, ovviamente, ma il limite di EFP sono 5
personaggi ed io faccio
storie troppo “popolose”.
Finito
il mio solito sproloquio, a voi il giudizio!
A
presto,
Anne^^
L’errore di
Sherrinford Holmes
Solo
un mezzo
Molly
osservava la sua cucina con una smorfia. Quando Meena aveva
detto che sembrava un mattatoio non aveva poi torto. Sangue sul tavolo,
bende e
filo sparsi in giro, il lavandino pieno di attrezzature sporche e dei
guanti
che avevano usato. Sentì Sherlock avvicinarsi e mettersi al
suo fianco.
«John ne sarebbe disgustato.»
Molly sorrise ed iniziò a riordinare sommariamente per poi
accendere
il bollitore mentre di sottecchi osservava l’uomo camminare a
passi lenti per
il salotto. Lo guardava girovagare lentamente, i guanti tenuti
mollemente fra
le dita delle mani. Sorrise della sua naturalezza nel muoversi dentro
casa sua;
lei non si muoveva con la stessa sinuosità ed
agilità.
«Cosa hanno preso?»
Lui, le mani dietro la schiena ed il cappotto ancora indosso, si
voltò riscosso dalla voce di lei.
«Come?»
La patologa buttò le bende ed i guanti nella spazzatura.
«A Baker Street, che cosa hanno preso?»
L’uomo alzò le spalle con noncuranza ed
inclinò leggermente la testa
per leggere il titolo del libro che la patologa aveva abbandonato sul
divano la
sera precedente.
«Praticamente nulla.»
Lei sorrise lavandosi le mani ed aprendo le ante della credenza per
prendere due tazze. L’uomo, con la coda
dell’occhio, intravide il movimento
delle labbra della donna.
«Cosa?»
Molly gli lanciò uno sguardo prima di spegnere il bollitore.
«Beh, suppongo sia un modo come un altro per dire che hanno
preso
qualcosa che non è affar mio.»
Lui sorrise in risposta al tono giocoso di lei.
«Da quando sei così perspicace?»
La patologa versò l’acqua e mise le zollette nelle
tazze. Le prese
entrambe e lo guardò alzando e riabbassando le spalle. Un
mezzo sorriso
accennato in volto.
«Ho imparato ad esserlo.»
Avrebbe voluto aggiungere “con te” ma si
bloccò.
Il rumore di un auto che si accostava sotto le finestre del suo
salotto attirò la sua attenzione e anche quella
dell’uomo che si voltò ed andò
a guardare.
«E’ il taxi?»
La voce di lei era palesemente piena di delusione nonostante avesse
cercato di trattenersi. Posò le tazze sul tavolo.
«Purtroppo no.»
La donna si rattristò all’utilizzo di
quell’avverbio da parte di
Sherlock ma percepì di averlo inteso malamente quando lo
vide allontanarsi
dalla finestra ed uscire rapidamente dalla porta di casa. Fece qualche
passo
per seguirlo ma lui rientrò con un’espressione
indecifrabile.
«Al piano di sopra. Ora.»
Molly lo guardò con fare preoccupato percependo dei passi
rapidi
provenire dalla tromba delle scale ma non riuscì a muoversi.
Sentì la presa di lui sul suo braccio che la tirava
delicatamente per
il pianerottolo sino alla rampa che portava al piano superiore.
«Conosci qualcuno?»
Molly lo guardò con aria spaventata per il suo fare rapido e
deciso
ma si riscosse concentrandosi sul tono d’urgenza della sua
voce.
«Si, Mrs Dewar.»
Lui guardò con circospezione giù per le scale e
Molly fece la
medesima cosa. Qualcuno, anzi tre o quattro persone, stavano salendo le
scale.
«Vai da lei ed aspetta. Ti vengo a chiamare io.»
La patologa tentennò sussurrando un “no”
ma lui spalancò gli occhi.
«Vai, subito!»
Molly annuì e corse su per le scale bussando nervosamente
alla porta
dell’anziana vicina. Vi furono dei secondi di silenzio, poi
una voce
insonnolita e leggermente timorosa chiese chi fosse.
Molly si avvicinò alla porta per non urlare.
«Mrs Dewar, sono Molly, Molly
Hooper. La prego, mi
apra.»
Un rumore di chiavi che giravano nella toppa e di un chiavistello
aperto precedettero l’apparizione dell’anziana
signora.
Molly entrò rapidamente e richiuse la porta dietro di
sé.
«Molly cara, che succede? Stai male?»
La patologa scosse la testa con vigore.
«No, no Mrs Dewar. Non si preoccupi ma…»
Le voci di vari uomini provenienti dal suo appartamento la fecero
zittire. Si piegò istintivamente verso il pavimento per
cercare di percepire
ciò che dicevano; Mrs Dewar fece la medesima cosa. Rimasero
così per alcuni
minuti sino a quando non si sentirono dei rumori di colluttazione.
Mrs Dewar si precipitò verso il telefono.
«Oh signore mio! Chiamo la polizia!»
Molly era immobile, attanagliata dalla paura. Avrebbe voluto correre
giù ma lui le aveva detto di non muoversi e probabilmente
sarebbe stata solo un
impiccio, al tempo stesso non riusciva a rimanere lì senza
fare nulla.
La voce di Mrs Dewar che parlava con Scotland Yard si
insinuò nei
suoi ragionamenti. Si voltò verso la donna.
«Lestrade! Dica di mandare l’ispettore
Lestrade!»
Era ancora intenta ad osservare la donna in bigodini, vestaglia e
fare preoccupato quando si sentì un colpo di pistola
provenire dal suo
appartamento ed il rumore di passi in fuga.
Senza rendersene conto corse alla porta e poi giù, per le
scale,
urlando il nome del detective. La sua mente era intenta a ricreare gli
scenari
più orribili.
Non appena arrivata sul pianerottolo vide un uomo uscire dal suo
appartamento e guardarla con astio. La patologa si bloccò,
la mano ancora
stretta al corrimano, gli occhi ad osservare quelli quasi neri di
quell’essere.
L’uomo si precipitò giù per le scale e
quasi nel medesimo istante
Sherlock uscì dall’appartamento seguendolo. Non
appena si sentì il portone al
pianterreno sbattere rumorosamente la donna si riscosse dal suo
immobilismo.
Lasciò il corrimano e in pochi passi arrivò sulla
soglia di casa
propria.
Fece un paio di passi incerti all’interno del salotto
guardandosi
intorno. La lampada che era sul tavolo accanto al divano era in pezzi
sul
pavimento con il suddetto tavolino accanto a lei, un ripiano della
libreria era
crollato e i libri che reggeva lo avevano seguito nella caduta, le
sedie erano
ribaltate, un quadro incastrato fra il muro ed il divano.
Si precipitò alla finestra giusto in tempo per vedere quegli
uomini
fuggire a bordo di un auto blu scuro e Sherlock fermare la propria
corsa.
L’uomo si guardò in giro per poi alzare lo sguardo
ad incontrare quello di lei.
Istintivamente Molly si ritrasse, le mani si torturavano a vicenda di
fronte al
petto.
Sapeva che erano venuti per lei, per quello che lei aveva, e sapeva
che lui l’avrebbe capito.
Ebbe la netta sensazione che il cuore le fosse arrivato in gola non
appena sentì i passi dell’uomo salire rapidamente
le scale e lo vide entrare
nel salotto camminando nervosamente senza prestarle attenzione.
«Sherlock.»
La voce di lei era un sussurro a cui lui non reagì.
«Sherlock, che cosa è successo?»
L’uomo si bloccò voltandosi verso di lei, lo
sguardo ancora perso nei
suoi ragionamenti.
«Sherry.»
La donna corrugò leggermente la fronte e gli si
avvicinò.
«Che cosa?»
Gli occhi di lui tornarono ad osservare la realtà come anche
la sua mente.
Molly si strinse leggermente nelle spalle quando lo vide avanzare
verso di lei.
«Sherry, te lo ha dato Sherry. E’ venuto a
riprenderlo vero?»
La patologa indietreggiò di un passo scuotendo la testa e
sorridendo
nervosamente.
«Cosa? Ma di cosa stai…»
L’uomo la fulminò con lo sguardo.
«A Natale, prima che se ne andasse, l’ho vista
darti qualcosa* ma lo
avevo rimosso. Un errore da parte mia. Ora dimmi, lo hai ancora o
glielo hai
ridato?»
Molly sciolse le mani ed andò verso la libreria senza
degnare di uno
sguardo l’uomo che la stava scrutando. Riposizionò
lo scaffale iniziando a
riordinare i libri con mani insicure.
«Non so di cos…»
Lo sentì avvicinarsi, il cuore iniziò a batterle
ancora più forte.
Non ce la stava facendo, non era in grado! Percepì la sua
presenza alle proprie
spalle, pochi centimetri li separavano. La voce dell’ uomo,
bassa e rapida, le
arrivò alle orecchie provocandole un tremito.
«In principio ho pensato che fosse una
coincidenza…l’incursione a
Baker Street e Sherry qui, intendo…ma l’universo
di raro è così pigro**.
Mancava solo e soltanto una cosa a Baker Street, qualcosa che solo io,
John e
Mycroft sapevamo fosse lì. Qualcosa che non avrebbe dovuto
interessare a nessuno.
Quando tu mi hai chiamato e sono venuto qui sapevo di essere seguito,
ne ero
quasi certo, ma quando siamo scesi in strada con Sherry sembravano
essere
spariti.»
Molly sospirò e si voltò per andare a tirare su
le sedie ma lui non
la fece passare. La patologa non riuscì ad alzare lo
sguardo, gli occhi fissi
sulla sciarpa di lui.
«Quegli uomini cercavano il cellulare di Irene Adler. Non
trovandolo
dove l’avevo lasciato ho erroneamente supposto che lo
avessero rubato ma è ovvio
che non è così… mi hanno seguito
perché pensavano lo avessi con me. Né John
né
Mycroft lo hanno preso. Lo ha preso Sherry quando è stata da
me e lo ha dato a
te per custodirlo. Per questo, non appena ha saputo che qualcuno
è entrato da
me, è venuta qui. Per riprenderselo.»
Molly non reagì alla spiegazione dell’uomo. Gli
occhi ancora fissi
sulla sciarpa blu.
«Ti hanno usato nuovamente contro di me, Molly
Hooper.»
Quelle parole la riscossero senza che se ne rendesse conto ed
alzò uno
sguardo carico d’odio sull’uomo. Non gli permetteva
di parlare di Sherry a quel
modo, non gli permetteva di definirla una banale pedina per arrivare a
lui, non
gli permetteva di ritornare a parlarle in quel modo!
«Non mi ha usata contro di te.»
L’uomo la scrutò.
«Lo hai ancora?»
La donna non rispose tentando di rimanere il più impassibile
possibile ma lui capì comunque.
Molly osservò la mano dell’uomo allungarsi
lentamente e stendersi di
fronte a lei in attesa che vi posasse sopra l’oggetto
richiesto.
La patologa continuò ad osservare la mano e si morse il
labbro
inferiore mentre scuoteva la testa in segno di diniego.
«So che lo hai ancora tu.»
Sorrise mentre le lacrime iniziavano ad appannarle la vista.
Riportò
lo sguardo su di lui.
«Lo so…ma non posso dartelo.»
L’uomo serrò la mascella, uno sguardo a dir poco
inquietante.
«Perché?»
Lei, nonostante la fitta che quello sguardo le stava causando, non
distolse lo sguardo.
«Ho dato la mia parola a Sherry.»
Sherlock sogghignò con cattiveria.
«Gliel’avevi data anche prima, quando le hai
promesso che non mi
avresti chiamato.»
La patologa sentì un’altra fitta derivante da
quell’offesa mal
celata.
«E’ diverso. Ero preoccupata per lei.»
L’uomo le si avvicinò maggiormente.
«Ora basta. Non riguarda ne Sherry ne te. Il telefono,
Molly.»
La donna scosse nuovamente la testa e fece per andarsene quando le
mani del detective si strinsero intorno alle sua braccia.
Molly si immobilizzò. Lentamente spostò il volto
per poter guardare
le dita dell’uomo che affondavano impercettibilmente nella
sua pelle; osservò
quelle dita affusolate che riuscivano a circondare senza problemi le
sue
braccia. Con timore alzò gli occhi per incontrare quelli
dell’uomo che erano
carici di un risentimento che mai gli aveva visto. Si sforzò
per trattenere le
lacrime. Non poteva, non voleva credere a quello che stava succedendo.
Lo guardò cercando di vedere oltre quello sguardo
d’odio che ora le
lanciava ma non ci riuscì e fu quello che le fece male.
«Sherlock.»
Il sussurro di Molly Hooper lo riscosse.
La vide lì, stretta nelle spalle, lo sguardo terrorizzato
per quello
che lui le stava facendo; vide le proprie mani strette intorno alla sua
pelle
che era divenuta più bianca nei punti in cui le dita
premevano. Allentò
lentamente la presa fino a renderla un contatto accennato e
rialzò lo sguardo
cercando quello di lei che ormai fissava il pavimento.
Socchiuse le labbra per dire qualcosa ma fu interrotto da un rumore
di passi che correvano su per le scale e dall’irruzione di
Lestrade seguito da
Donovan ed altri due agenti.
L’ispettore guardò, con aria sorpresa e per certi
versi preoccupata,
la scena.
«Sherlock, che diamine stai facendo?!»
Il detective si voltò verso di lui con aria assente mentre
la
patologa rimase immobile, la testa bassa e rassegnata.
Sally Donovan si fece avanti a passi lenti,
la pistola non più di fronte a sé ma comunque a
mezz’aria.
«Lasciala! Subito!»
Il detective tornò a guardare la patologa e
lasciò lentamente la
presa.
Molly non riuscì ad alzare lo sguardo ed
indietreggiò lentamente.
Sherlock rimase ad osservarla per alcuni istanti quando la voce
perentoria di Sally Donovan che gli ordinava di allontanarsi lo
riscosse. Si
voltò ed uscì rapidamente
dall’appartamento seguito dagli sguardi sorpresi dei
poliziotti.
Greg guardò l’uomo uscire per poi tornare ad
osservare la patologa.
Molly si sedette con incalcolabile lentezza sul divano ed
alzò lo
sguardo di fronte a sé.
Non vide Lestrade che la guardava con aria persa, non vide Donovan
che le si avvicinava chiedendole come stava e cosa fosse successo, non
vide il
caos che regnava intorno a lei, non vide le due tazze frantumate sul
pavimento
ed annegate nel nero del caffè. Ciò che vide fu
solo un foro. Un foro che ora
divideva lei e suo padre nella foto alla sua laurea in medicina;
l’ultima foto
che avevano insieme. Vide il foro di quel fantomatico proiettile per
cui lei
era corsa giù per le scale, preoccupata. Preoccupata per
Sherlock, preoccupata
per quella stessa identica persona che, nonostante ciò che
lei pensava di aver
sentito in quegli ultimi giorni, la considerava solo e soltanto un
mezzo per
indebolirlo. Solo un mezzo.
Note
autore:
* Non so quanto la cosa si
fosse notata o io l’abbia resa
comprensibile ma vi giuro che è così, non
è una cosa inventata a posteriori. Se
andate a rileggere/leggere l’ultimo capitolo di
“The third brother” c’è questa
scena.^^
**Mi sono tolta la soddisfazione di fare dire a Sherlock una frase
di Mycroft: un’implicita accettazione
dell’intelligenza del fratello maggiore
da parte del nostro ingrato detective! ^^
A presto,
Anne ^^