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Autore: Anne Elliot    28/11/2014    8 recensioni
Ciò che vide fu solo un foro. Un foro che ora divideva lei e suo padre nella foto alla sua laurea in medicina; l’ultima foto che avevano insieme. Vide il foro di quel fantomatico proiettile per cui lei era corsa giù per le scale, preoccupata. Preoccupata per Sherlock, preoccupata per quella stessa identica persona che, nonostante ciò che lei pensava di aver sentito in quegli ultimi giorni, la considerava solo e soltanto un mezzo per indebolirlo. Solo un mezzo.
- Seguito di "The third brother" -
Mi farebbero piacere le vostre critiche ^^
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Molly Hooper, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The third brother'
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L'errore di Sherrinford Holmes 2

Nota autore: Salve a tutte/i di nuovo!^^
Cosa posso dire per ringraziarvi di tutte le parole, i complimenti e le dimostrazioni di affetto ricevute con le recensioni al primo capitolo? Per prima cosa, grazie, grazie ed ancora grazie. Come ormai sapete le adoro, siano esse positive o negative, ed adoro le vostre osservazioni, correzioni ed intuizioni. Seconda cosa, spero di non deludervi con l’andar avanti del racconto!
Questo capitolo è più corto del precedente ma ho dovuto tagliarlo in questa maniera per non dover spezzettare la parte successiva del racconto che, essendo un po’ più contorta, avrebbe potuto risentirne. Spero mi perdoniate per questo ma vi assicuro che farò di tutto per pubblicare il terzo capitolo il prima possibile. ^^
Un’ultima precisazione. Come giustamente mi ha fatto notare Evee, tra i personaggi non avevo inserito il “nuovo personaggio” di Sherry per cui ho dovuto sacrificare qualcuno ed a malincuore è toccato a Mycorft….perdonatemi! Sappiate che lui c’è ed è importante, ovviamente, ma il limite di EFP sono 5 personaggi ed io faccio storie troppo “popolose”.
Finito il mio solito sproloquio, a voi il giudizio!
A presto,
Anne^^

 

 

L’errore di Sherrinford Holmes

 

 

Solo un mezzo

 

 

Molly osservava la sua cucina con una smorfia. Quando Meena aveva detto che sembrava un mattatoio non aveva poi torto. Sangue sul tavolo, bende e filo sparsi in giro, il lavandino pieno di attrezzature sporche e dei guanti che avevano usato. Sentì Sherlock avvicinarsi e mettersi al suo fianco.
«John ne sarebbe disgustato.»
Molly sorrise ed iniziò a riordinare sommariamente per poi accendere il bollitore mentre di sottecchi osservava l’uomo camminare a passi lenti per il salotto. Lo guardava girovagare lentamente, i guanti tenuti mollemente fra le dita delle mani. Sorrise della sua naturalezza nel muoversi dentro casa sua; lei non si muoveva con la stessa sinuosità ed agilità.
«Cosa hanno preso?»
Lui, le mani dietro la schiena ed il cappotto ancora indosso, si voltò riscosso dalla voce di lei.
«Come?»
La patologa buttò le bende ed i guanti nella spazzatura.
«A Baker Street, che cosa hanno preso?»
L’uomo alzò le spalle con noncuranza ed inclinò leggermente la testa per leggere il titolo del libro che la patologa aveva abbandonato sul divano la sera precedente.
«Praticamente nulla.»
Lei sorrise lavandosi le mani ed aprendo le ante della credenza per prendere due tazze. L’uomo, con la coda dell’occhio, intravide il movimento delle labbra della donna.
«Cosa?»
Molly gli lanciò uno sguardo prima di spegnere il bollitore.
«Beh, suppongo sia un modo come un altro per dire che hanno preso qualcosa che non è affar mio.»
Lui sorrise in risposta al tono giocoso di lei.
«Da quando sei così perspicace?»
La patologa versò l’acqua e mise le zollette nelle tazze. Le prese entrambe e lo guardò alzando e riabbassando le spalle. Un mezzo sorriso accennato in volto.
«Ho imparato ad esserlo.»
Avrebbe voluto aggiungere “con te” ma si bloccò.
Il rumore di un auto che si accostava sotto le finestre del suo salotto attirò la sua attenzione e anche quella dell’uomo che si voltò ed andò a guardare.
«E’ il taxi?»
La voce di lei era palesemente piena di delusione nonostante avesse cercato di trattenersi. Posò le tazze sul tavolo.
«Purtroppo no.»
La donna si rattristò all’utilizzo di quell’avverbio da parte di Sherlock ma percepì di averlo inteso malamente quando lo vide allontanarsi dalla finestra ed uscire rapidamente dalla porta di casa. Fece qualche passo per seguirlo ma lui rientrò con un’espressione indecifrabile.
«Al piano di sopra. Ora.»
Molly lo guardò con fare preoccupato percependo dei passi rapidi provenire dalla tromba delle scale ma non riuscì a muoversi.
Sentì la presa di lui sul suo braccio che la tirava delicatamente per il pianerottolo sino alla rampa che portava al piano superiore.
«Conosci qualcuno?»
Molly lo guardò con aria spaventata per il suo fare rapido e deciso ma si riscosse concentrandosi sul tono d’urgenza della sua voce.
«Si, Mrs Dewar.»
Lui guardò con circospezione giù per le scale e Molly fece la medesima cosa. Qualcuno, anzi tre o quattro persone, stavano salendo le scale.
«Vai da lei ed aspetta. Ti vengo a chiamare io.»
La patologa tentennò sussurrando un “no” ma lui spalancò gli occhi.
«Vai, subito!»
Molly annuì e corse su per le scale bussando nervosamente alla porta dell’anziana vicina. Vi furono dei secondi di silenzio, poi una voce insonnolita e leggermente timorosa chiese chi fosse.
Molly si avvicinò alla porta per non urlare.
«Mrs Dewar, sono Molly, Molly Hooper.
La prego, mi apra.»
Un rumore di chiavi che giravano nella toppa e di un chiavistello aperto precedettero l’apparizione dell’anziana signora.
Molly entrò rapidamente e richiuse la porta dietro di sé.
«Molly cara, che succede? Stai male?»
La patologa scosse la testa con vigore.
«No, no Mrs Dewar. Non si preoccupi ma…»
Le voci di vari uomini provenienti dal suo appartamento la fecero zittire. Si piegò istintivamente verso il pavimento per cercare di percepire ciò che dicevano; Mrs Dewar fece la medesima cosa. Rimasero così per alcuni minuti sino a quando non si sentirono dei rumori di colluttazione.
Mrs Dewar si precipitò verso il telefono.
«Oh signore mio! Chiamo la polizia!»
Molly era immobile, attanagliata dalla paura. Avrebbe voluto correre giù ma lui le aveva detto di non muoversi e probabilmente sarebbe stata solo un impiccio, al tempo stesso non riusciva a rimanere lì senza fare nulla.
La voce di Mrs Dewar che parlava con Scotland Yard si insinuò nei suoi ragionamenti. Si voltò verso la donna.
«Lestrade! Dica di mandare l’ispettore Lestrade!»
Era ancora intenta ad osservare la donna in bigodini, vestaglia e fare preoccupato quando si sentì un colpo di pistola provenire dal suo appartamento ed il rumore di passi in fuga.
Senza rendersene conto corse alla porta e poi giù, per le scale, urlando il nome del detective. La sua mente era intenta a ricreare gli scenari più orribili.
Non appena arrivata sul pianerottolo vide un uomo uscire dal suo appartamento e guardarla con astio. La patologa si bloccò, la mano ancora stretta al corrimano, gli occhi ad osservare quelli quasi neri di quell’essere.
L’uomo si precipitò giù per le scale e quasi nel medesimo istante Sherlock uscì dall’appartamento seguendolo. Non appena si sentì il portone al pianterreno sbattere rumorosamente la donna si riscosse dal suo immobilismo.
Lasciò il corrimano e in pochi passi arrivò sulla soglia di casa propria.
Fece un paio di passi incerti all’interno del salotto guardandosi intorno. La lampada che era sul tavolo accanto al divano era in pezzi sul pavimento con il suddetto tavolino accanto a lei, un ripiano della libreria era crollato e i libri che reggeva lo avevano seguito nella caduta, le sedie erano ribaltate, un quadro incastrato fra il muro ed il divano.
Si precipitò alla finestra giusto in tempo per vedere quegli uomini fuggire a bordo di un auto blu scuro e Sherlock fermare la propria corsa. L’uomo si guardò in giro per poi alzare lo sguardo ad incontrare quello di lei. Istintivamente Molly si ritrasse, le mani si torturavano a vicenda di fronte al petto.
Sapeva che erano venuti per lei, per quello che lei aveva, e sapeva che lui l’avrebbe capito.

 
Ebbe la netta sensazione che il cuore le fosse arrivato in gola non appena sentì i passi dell’uomo salire rapidamente le scale e lo vide entrare nel salotto camminando nervosamente senza prestarle attenzione.
«Sherlock.»
La voce di lei era un sussurro a cui lui non reagì.
«Sherlock, che cosa è successo?»
L’uomo si bloccò voltandosi verso di lei, lo sguardo ancora perso nei suoi ragionamenti.
«Sherry.»
La donna corrugò leggermente la fronte e gli si avvicinò.
«Che cosa?»
Gli occhi di lui tornarono ad osservare la realtà come anche la sua mente.
Molly si strinse leggermente nelle spalle quando lo vide avanzare verso di lei.
«Sherry, te lo ha dato Sherry. E’ venuto a riprenderlo vero?»
La patologa indietreggiò di un passo scuotendo la testa e sorridendo nervosamente.
«Cosa? Ma di cosa stai…»
L’uomo la fulminò con lo sguardo.
«A Natale, prima che se ne andasse, l’ho vista darti qualcosa* ma lo avevo rimosso. Un errore da parte mia. Ora dimmi, lo hai ancora o glielo hai ridato?»
Molly sciolse le mani ed andò verso la libreria senza degnare di uno sguardo l’uomo che la stava scrutando. Riposizionò lo scaffale iniziando a riordinare i libri con mani insicure.
«Non so di cos…»
Lo sentì avvicinarsi, il cuore iniziò a batterle ancora più forte. Non ce la stava facendo, non era in grado! Percepì la sua presenza alle proprie spalle, pochi centimetri li separavano. La voce dell’ uomo, bassa e rapida, le arrivò alle orecchie provocandole un tremito.
«In principio ho pensato che fosse una coincidenza…l’incursione a Baker Street e Sherry qui, intendo…ma l’universo di raro è così pigro**. Mancava solo e soltanto una cosa a Baker Street, qualcosa che solo io, John e Mycroft sapevamo fosse lì. Qualcosa che non avrebbe dovuto interessare a nessuno. Quando tu mi hai chiamato e sono venuto qui sapevo di essere seguito, ne ero quasi certo, ma quando siamo scesi in strada con Sherry sembravano essere spariti.»
Molly sospirò e si voltò per andare a tirare su le sedie ma lui non la fece passare. La patologa non riuscì ad alzare lo sguardo, gli occhi fissi sulla sciarpa di lui.
«Quegli uomini cercavano il cellulare di Irene Adler. Non trovandolo dove l’avevo lasciato ho erroneamente supposto che lo avessero rubato ma è ovvio che non è così… mi hanno seguito perché pensavano lo avessi con me. Né John né Mycroft lo hanno preso. Lo ha preso Sherry quando è stata da me e lo ha dato a te per custodirlo. Per questo, non appena ha saputo che qualcuno è entrato da me, è venuta qui. Per riprenderselo.»
Molly non reagì alla spiegazione dell’uomo. Gli occhi ancora fissi sulla sciarpa blu.
«Ti hanno usato nuovamente contro di me, Molly Hooper.»
Quelle parole la riscossero senza che se ne rendesse conto ed alzò uno sguardo carico d’odio sull’uomo. Non gli permetteva di parlare di Sherry a quel modo, non gli permetteva di definirla una banale pedina per arrivare a lui, non gli permetteva di ritornare a parlarle in quel modo!
«Non mi ha usata contro di te.»
L’uomo la scrutò.
«Lo hai ancora?»
La donna non rispose tentando di rimanere il più impassibile possibile ma lui capì comunque.
Molly osservò la mano dell’uomo allungarsi lentamente e stendersi di fronte a lei in attesa che vi posasse sopra l’oggetto richiesto.
La patologa continuò ad osservare la mano e si morse il labbro inferiore mentre scuoteva la testa in segno di diniego.
«So che lo hai ancora tu.»
Sorrise mentre le lacrime iniziavano ad appannarle la vista. Riportò lo sguardo su di lui.
«Lo so…ma non posso dartelo.»
L’uomo serrò la mascella, uno sguardo a dir poco inquietante.
«Perché?»
Lei, nonostante la fitta che quello sguardo le stava causando, non distolse lo sguardo.
«Ho dato la mia parola a Sherry.»
Sherlock sogghignò con cattiveria.
«Gliel’avevi data anche prima, quando le hai promesso che non mi avresti chiamato.»
La patologa sentì un’altra fitta derivante da quell’offesa mal celata.
«E’ diverso. Ero preoccupata per lei.»
L’uomo le si avvicinò maggiormente.
«Ora basta. Non riguarda ne Sherry ne te. Il telefono, Molly.»
La donna scosse nuovamente la testa e fece per andarsene quando le mani del detective si strinsero intorno alle sua braccia.
Molly si immobilizzò. Lentamente spostò il volto per poter guardare le dita dell’uomo che affondavano impercettibilmente nella sua pelle; osservò quelle dita affusolate che riuscivano a circondare senza problemi le sue braccia. Con timore alzò gli occhi per incontrare quelli dell’uomo che erano carici di un risentimento che mai gli aveva visto. Si sforzò per trattenere le lacrime. Non poteva, non voleva credere a quello che stava succedendo.
Lo guardò cercando di vedere oltre quello sguardo d’odio che ora le lanciava ma non ci riuscì e fu quello che le fece male.
«Sherlock.»
Il sussurro di Molly Hooper lo riscosse.
La vide lì, stretta nelle spalle, lo sguardo terrorizzato per quello che lui le stava facendo; vide le proprie mani strette intorno alla sua pelle che era divenuta più bianca nei punti in cui le dita premevano. Allentò lentamente la presa fino a renderla un contatto accennato e rialzò lo sguardo cercando quello di lei che ormai fissava il pavimento.
Socchiuse le labbra per dire qualcosa ma fu interrotto da un rumore di passi che correvano su per le scale e dall’irruzione di Lestrade seguito da Donovan ed altri due agenti.
L’ispettore guardò, con aria sorpresa e per certi versi preoccupata, la scena.
«Sherlock, che diamine stai facendo?!»
Il detective si voltò verso di lui con aria assente mentre la patologa rimase immobile, la testa bassa e rassegnata.  Sally Donovan si fece avanti a passi lenti, la pistola non più di fronte a sé ma comunque a mezz’aria.
«Lasciala! Subito!»
Il detective tornò a guardare la patologa e lasciò lentamente la presa.
Molly non riuscì ad alzare lo sguardo ed indietreggiò lentamente.
Sherlock rimase ad osservarla per alcuni istanti quando la voce perentoria di Sally Donovan che gli ordinava di allontanarsi lo riscosse. Si voltò ed uscì rapidamente dall’appartamento seguito dagli sguardi sorpresi dei poliziotti.
Greg guardò l’uomo uscire per poi tornare ad osservare la patologa.
Molly si sedette con incalcolabile lentezza sul divano ed alzò lo sguardo di fronte a sé.
Non vide Lestrade che la guardava con aria persa, non vide Donovan che le si avvicinava chiedendole come stava e cosa fosse successo, non vide il caos che regnava intorno a lei, non vide le due tazze frantumate sul pavimento ed annegate nel nero del caffè. Ciò che vide fu solo un foro. Un foro che ora divideva lei e suo padre nella foto alla sua laurea in medicina; l’ultima foto che avevano insieme. Vide il foro di quel fantomatico proiettile per cui lei era corsa giù per le scale, preoccupata. Preoccupata per Sherlock, preoccupata per quella stessa identica persona che, nonostante ciò che lei pensava di aver sentito in quegli ultimi giorni, la considerava solo e soltanto un mezzo per indebolirlo. Solo un mezzo.

 

 

Note autore:
* Non so quanto la cosa si fosse notata o io l’abbia resa comprensibile ma vi giuro che è così, non è una cosa inventata a posteriori. Se andate a rileggere/leggere l’ultimo capitolo di “The third brother” c’è questa scena.^^
**Mi sono tolta la soddisfazione di fare dire a Sherlock una frase di Mycroft: un’implicita accettazione dell’intelligenza del fratello maggiore da parte del nostro ingrato detective! ^^

Spero che Sherlock ed il suo comportamento non risultino eccessivamente OOC, anche se so che in realtà è completamente OOC, ma ho dovuto “tirare” sul personaggio per poi averne un mutamento…speriamo bene e vi prego, perdonatemi!
A presto,
Anne ^^

  
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