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Autore: Giorgia_Farah    29/11/2014    1 recensioni
Alexia vive nel suo mondo fatato, insieme alla famiglia, un ragazzo che ama, degli amici stupendi. Ma il futuro le riserverà eventi al di là di ogni sua aspettativa: con l'arrivo di un fratellastro, un padre che non ha mai conosciuto, la sua vita cambierà. Un misto di avventure, pericoli, passioni, sogni infranti, battaglie e scontri, l'eterna storia di questa giovane vampira sarà un portale che vi porterà in un mondo mai conosciuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9
27 Aprile 1972: mi ricordo quel giorno come se fosse ieri. Ovviamente in quegli attimi avrei voluto che non fossi arrivata fino a quel giorno. Cercavo di scappare dall’ansia e dal terrore, come ero la solita fare, ma sembrava che più sfuggivo più loro mi si avvinghiavano contro per soffocarmi. Negli ultimi due giorni precedenti cercavo di non pensarci più di tanto, ma fu del tutto in utile per colpa della continua ripetizione di Jessica al telefono.

“Non vedo l’ora che arrivi quel giorno’’, mi disse il giorno prima: era la terza telefonata. Lilly, invece, mi telefonò solo una volta per rassicurarmi.

“Sì, anche io’’, dissi sarcastica.

La sentii sbuffare. “Peccato però che non vieni, ti avrei scelto un vestito bellissimo’’

“Sarà per la prossima volta. Magari per la festa di fine anno scolastico”, ammesso che sarei riuscita a trovare un modo per non farmi inseguire da quel diciannovenne eterno del mio fratellastro.

“Però ci devi venire, altrimenti che razza di festa sarà se non ci sei tu?’’

“Te lo prometto’’. E riappesi.

In modo riassuntivo: passai la giornata prima immersa nella preoccupazione, considerando il fatto che Kate non mi fece vedere ancora il vestito prescelto stuzzicando ancor di più la mia curiosità. Quella notte non riuscii a dormire molto bene, neanche dopo essermi girata e rigirata sul letto per trovare una posizione comoda. A causa del forte ululato del vento e della pioggia sul tetto non tacque nemmeno per un istante. Provai a coprire la testa con il cuscino ma non fu molto utile. Solo verso le una di notte presi sonno, quando ormai si sentiva solo un leggero vento freddo che smuoveva le foglie e i ramoscelli degli alberi.

La mattina seguente mi risvegliai più fiacca di quanto non lo sia mai stata i giorni precedenti, mi alzai prima degli altri e corsi veloce verso il bagno facendo attenzione a non creare rumore per chi ancora stava dormendo. Mi guardai allo specchio: a causa della mia notte quasi-insonne avevo le occhiaie violacee e ben visibili ( se mi avrebbe visto Louis sarebbe corso via senza toccare terra), la pelle moscia, occhi stanchi e ancora desiderosi di schiacciare un altro sonnellino, ma ormai ero del tutto sveglia. Il resto andava bene, anche se la situazione non mi garbava tanto: barcollavo ancora, dovevo tastare il muro per non sbatterci contro. Fu così che decisi di darmi una bella….rinfrescata.

Credeteci o no, era la settima doccia che facevo in tutta la mia vita: i vampiri sono già puliti e profumati da per se, i mezzi vampiri invece ogni tanto gli fanno bene (letteralmente parlando) una bella pulita.

Preparai le armi: accappatoio, asciugamano grande, ciabatte, e tappeto. Ritornai al bagno, aprii l’acqua e mi svestii. Grugnii disgustata guardando le microscopiche goccioline d’acqua fiondarsi verso di me. L’odore invisibile e strano dell’acqua mi invase il corpo, resistetti contro l’impulso di rimettere, strinsi i denti, ed entrarmi aprendo la tenda di plastica umida e circondarmela attorno. Fu solo questione di pochi minuti e uscii dalla doccia, afferrando l’accappatoio e stringendo attorno al corpo per rimuovere le goccioline d’acqua.

Quando uscii dal bagno potevo considerarmi sveglia di primo mattino, fresca, e pulita. Grazie alla doccia mi sentii un po’ sollevata.

Ritornai in camera mia e aspettai i risveglio della mia famiglia, per ammazzare il tempo afferrai il Diario di Alucard e lessi la prima pagina che mi capitò fra le mani. Dovetti aspettare qualche secondo prima che iniziassi a vedere la prima lettera. Rimasi basita.

“Alexia…’’

Ebbene sì, era il mio nome e non ero pazza. Stetti per chiudere il libro e sbatterlo verso l’armadio, ma non so come resistetti. Feci tre respiri profondi, per non farmi sopraffare dalla paura, e ritornai a leggere giacché erano apparse altre lettere.

“Alexia….ascoltami! Devo parlarti’’

Afferrai la penna ed iniziai sotto la scrittura familiare di Alucard, senza chiedermi come fosse possibile quella comunicazione in un libro.

“Che vuoi?’’

Aspetta tre secondi e sotto la mia domanda apparve la risposta.

“Mi dispiace…’’

Sbuffai. “Ok, se è solo questo che volevi scrivermi chiudo immediatamente il libro ’’, scrissi veloce per interromperlo.

“No, no! Aspetta!”, scrisse lui.

“Che cosa c’è? Per la tua arroganza non voglio nemmeno vederti in faccia fino a questa sera’’

E ci fu un minuto che non vedi più niente, nemmeno un punto o un esclamativo, tanto che pensai che se ne fosse andato, ma poi ritornarono le lettere.

“E va bene, guarda verso la finestra’’, ordinò.

“Quale finestra?’’

Ma nel momento stesso sentii qualcuno bussare alla porta-finestra. Mi girai e per poco non attaccai un urlo quando vidi tra la pioggerella e il vento la figura di Alucard. Lui bussò di nuovo, mentre con l’altra mano si riparava dalla pioggia, io invece rimasi pietrificata sul posto. Mi ci volle qualche minuto buono per alzarmi dalla sedia e aprire la porta, entrò veloce spettinandosi con fervore i capelli bagnati d’acqua bagnando perfino me.

“Ciao’’, disse con un sospiro.

“Ciao’’, risposi ancora scossa.

Di seguito si levò il cappotto di pelle bagnato e lo posò sullo schienale della sedia. Si sedette sul letto, nel solito posto, e iniziò a girarsi i pollici, mentre io ero davanti a lui aspettando impaziente una risposta. Nell’intervallo di silenzio vidi le sue labbra mimare parole silenziose che non riuscii a capire.

“Allora, che vuoi?’’, chiesi infine, petulante.

“Scusami se sono stato così….arrogante due giorni fa’’, disse veloce. “in un certo senso lo sono sempre stato”, disse fra se. “ma è stato maleducato esserlo, ecco’’.

“Non ti preoccupare, tanto non ne capisco una’’

Trattenne un sorriso. “Vorrei che mi perdonassi per…’’

“Cosa? Per avermi fatto sentire un’idiota?’’, sibilai. “Perché non mi dici la verità così la facciamo finita’’.

“È una cosa troppo difficile da capire. E non volevo farti sentire un idiota’’

“Non è la verità che è difficile da capire ma tu!’’

Rise sotto i baffi. “Sei incredibile: prima mi fai entrare con gentilezza, adesso mi guardi come se mi volessi mangiare’’

“Se ti ho fatto entrare in questa stanza così ti ci posso ritogliere’’, sbottai.

Alzò le mani in segno d’arresa. “Ok. Mi arrendo’’, bofonchiò, ironico.

“A cosa?’’, chiesi, confusa.

“A fare il bravo fratellastro che tu pensi che io sia. D’ora in poi farò quello che voglio e mi dovrai accettare così come sono ’’, rispose con un filo di durezza oltre il sorriso.

“In parole povere….?’’

Rise. “La traduzione di tutto questo è che se veramente vuoi che faccia parte della tua famiglia….devi accettare le conseguenze: sono molto bravo a cambiare umore in certe circostanze o evitare le persone….’’

“Ne so qualcosa’’. Forse, durante la nascita, avevo preso qualcosa da lui.

“E ti chiedo di lasciar perdere quello sbaglio, anche se per te è difficile dimenticare’’, continuò.

“Infatti è proprio questo il punto: mi è difficile dimenticate, per cui non mi do per vinta’’

Sorrise, guardando il pavimento. “Lo immaginavo’’

Sospirai. “Ormai mi dovresti conoscere. Sono molto brava ad ottenere quello che desidero quando ne ho intenzione’’

Mi guardava oltre le sue ciglia folte e nere. “Per cui…?’’

“Tu considera solo il fatto che non mi arrenderò mai’’

Tornò subito serio. “Meglio che ci provi, tanto non ne risolverai niente’’

“E tu che ne sai?’’, mi accorsi che digrignavo i denti.

“Lo immagino ’’, rispose piano.

Aspettai impaziente, imbambolata come un’idiota, che aggiungesse qualcosa ma non parlò più. I secondi passavano. Ci guardavamo senza neanche sapere perché. Non era facile tenere lo stesso tono di freddezza con lui, era come vincere lo sguardo di un angelo. Abbassai lo sguardo per non dargliela vinta. Mi sarei sentita un’incapace se solo avessi ceduto.

“Quindi….il succo della cosa è che ti devo perdonare?’’, chiesi infine, gelida. Era più facile parlare con lui senza rivolgergli lo sguardo.

“Bè….’’, ammise.

Alzai lo sguardo. “Oppure no’’, borbottai.

“Se tu mi concedi questo onore sarei pienamente felice, però c'è il fatto che devi accettare anche ogni mio cambiamento d’umore’’

Restai in silenzio per un minuto intero, pensando quale sia la cosa giusta da fare. “Va bene, ti perdono. E accetterò ogni tuo cambiamento d’umore’’, dissi infine, copiando la sua voce.

Lo feci ridere. “Grazie’’

Si alzò e mi strinse fra le braccia. Nei giorni precedenti non avevo tanto prestato a quell’affetto che avevo usato con lui in passato, ma non appena mi strinse in un abbraccio duraturo la mancanza del suo odore si fece sentire, tanto che mi allungai con il naso e annusai l’odore della sua gola.

“In questo momento, sei così gentile da farmi un favore?’’, chiesi, dopo qualche secondo d’esitazione.

“Dipende dal tipo di favore’’. Alzai lo sguardo e mi accorsi che mi fissava sospettoso, ma incuriosito.

“Tranquillo, è una cosa da niente’’, lo rassicurai.

Lui rimase a fissarmi, paziente.

“Mi chiedevo se mi fai il favore di avvisarmi la prossima volta che decidi di cambiare umore, qualora decidessi di vietarmi oppure starmi accanto. In tal modo posso restare tranquilla e preparata’’

Eccolo di nuovo il sorriso angelico. “Mi sembra giusto’’, disse infine.

E appoggiai la testa sopra la sua camicia bianca, ascoltando il suo respiro, contando involontariamente le righe nere parallele che vedevo stampate nella sua camicia. Lui, intanto, mi accarezzava la testa e appoggiava le labbra sopra i miei capelli. Mi sentivo di nuovo a dodici anni quando papà mi accarezzava la testa e mi baciava la fronte, però infondo sapevo che c’era più affetto in quelle carezze in stile paterno.

il tempo sembrò essere volato quando sentii i rumori felini di mia sorella varcare il corridoio e correre verso di me. Anche se era a tempo umano, non feci in tempo a far uscire Alucard dalla stanza che lei era già entrata. Aveva la trecciolina spettinata, la camicetta da notte con mille pieghe, e una spalluccia cadente. Nei primi secondi si strizzava gli occhi come se niente fosse, ma quando mise a fuoco la figura di Alucard ispirò tutta l’aria dei polmoni per buttare fuori un urlo. Per fortuna fui abbastanza veloce da chiudergli la bocca e immobilizzargli le braccia, se avesse opposto resistenza.

Anche lui scattò verso di noi e gli si mise in ginocchio. “Tranquilla Consuelo, sono venuto per far visita a tua sorella’’

E lei subito si paralizzo, gli occhi erano sbarrati dalla sorpresa e dallo spavento. Restai immobile anche io, indecisa se lasciarla libera oppure stretta tra le mie braccia.

“Adesso non urlare se ti Alucard ti lascia libera, d’accordo?’’, continuò Alucard, gentile, accarezzandogli una manina.

La bimba restò intimorita, mi pentii aver usato tanta freddezza su di lei, ma dopo un minuto fece un cenno con il capo e contemporaneamente guardai disorientata il mio fratellastro. Mi diede l’accordo di lasciarla con un cenno e rialzò.

Ebbi qualche secondo d’esitazione dato che il suo cuore batteva come le ali d’un uccellino, ma il suo respiro era calmo. Mollai con cautela la presa, arretrando d’un passo. In quel silenzio irreale, l’agitazione mi invase del tutto che a malapena mi accorsi che stavo bene anche senza respirare, ma quando vidi Consuelo abbracciare Alucard liberai finalmente un respiro di sollievo.

“Perché sei qui?’’, gli sussurrò, mentre lui la sollevava da terra e la appoggiava un secondo dopo.

“Sono venuto a dare il buongiorno ad Alexia, e a te dato che sei arrivata’’, rispose dandogli un colpetto con l’indice sul nasino.

“Buongiorno anche a te ’’, aggiunse lei, e poi corse verso di me.

“Può restare con noi per pranzo? Ti prego, ti prego, ti prego!’’, mi supplicò, saltellando.

“Non posso, devo ritornare a Redmoon’’, ripose lui.

Consuelo ci rimase male tanto quanto me, chiaramente lo volevo ancora vicino, se sarebbe andato via l’agitazione di quella sera avrebbe preso di nuovo il sopravvento. Erano in quelle circostanze che avrei voluto essere al posto di Consuelo.

Cercai di inventarmi la scusa più spontanea che mi venisse in mente. “Ma fuori piove’’. Scusa più banale non potevo inventarmela? Adesso potevo anche deridermi da sola.

Strinse le labbra per trattenere una risata. “Mi piace l’acqua, almeno mi faccio una bella doccia”. Meglio non parlare di docce. “E comunque sta arrivando tua madre”

E infatti sentii i passi lenti di mamma che si allontanava dal letto, mi voltai e mi accorsi che lui era già alla porta che teneva aperta. Una ventata d’aria fredda entrò dalla stanza raggelandola, costringendo alla bambina di ripararsi dietro di me.

Fece un passo ma poi si girò verso di noi. “Ci vediamo alla festa ’’, disse con un sorriso eccitato.

“Io sarò quella con la tremarella’’, ammisi.

“Questa era molto credibile’’, rise. Entrò dentro la pioggia incessabile, e un attimo dopo sparì.

Nello stesso istante, quasi farlo apposta, mamma entrò dalla stanza.

“Alì, Consy, siete già sveglie? Non me l’aspettavo....Ma chi ha aperto la finestra?’’, corse sbigottita verso la finestra e la chiuse.

“Scusa, mamma, volevo solo far entrare un po’ d’aria’’, dissi io, recitando la parte della colpevole.

Mamma mi guardò gelida e io abbassai lo sguardo, anche se sapeva che Alucard entrava a casa mia tutte le notti, di sicuro gli avrà preso un infarto se avrebbe saputo che era entrato per una visita mattiniera. Specie se ero in camicia da notte.

Alla fine ci invitò in cucina per preparare la colazione e la giornata poteva continuare normale. Come Alucard se ne andò l’agitazione ritornò a scorrermi nelle vene. Consuelo e mamma furono costrette a consolarmi più di tre volte. Papà pensava di rassicurarmi standosene sulla poltrona, un po’ aveva ragione, almeno non avevo le carezze e i baci di tutti addosso altrimenti il mio battito cardiaco sarebbe cresciuto di sei ottave. Pur di recitare lo stesso atteggiamento di mio padre non riuscii a fare di meglio che scrutare l’orologio – e per la prima volta con ammirazione. Ogni tanto mi alzavo, passeggiavo per la casa, oppure leggevo qualche libro ma neanche questo fu granché. Mi comportavo come una ragazza al suo matrimonio. Mi chiesi se mi sarei comportata anche in quel modo durante il matrimonio con Louis. recitare la parte della sposa timida ero impeccabile. Un’agitazione familiare e antica mi fece ricordare quella del mio compleanno, ma c’era qualcosa di diverso: questa ero più grande, più il tempo scorreva lento più desideravo le braccia di Alucard che mi stringevano. Mi accorsi che solo pensando al suo viso mi tirava fuori dalla preoccupazione.

Per il resto si poteva dire che il pomeriggio andò bene…e male.

Andò bene perché mamma ci portò in giro per Solemville, entrammo in vari negozi per cercare un regalo per Alucard, per rendere le cose più divertenti comprammo qualcosa anche per noi. Kate comprò due pantaloni, una maglietta di lana, una giacchetta azzurra da uomo; Consuelo volle fargli un orologio da polso argentato in modo da renderlo più…moderno. Io, invece, non presi niente.

“È scortese presentarsi con le mani vuote, sai?’’, ribadì Consuelo.

“Tranquilla’’, la rassicurai. “Non mi presenterò a mani vuote’’. Avevo già deciso.

Consuelo mi guardò torva per qualche secondo, ma la vista di una collana la distrasse del tutto. In quel momento tirai un sospiro, misi la mano sul cuore e sperai con tutta me stessa che ogni cosa sarebbe andata per il verso giusto.

Appena tornammo a casa, mamma preparò il pranzo, mentre io mi distrassi studiando qualche materia per poi aiutare Consuelo a ripassare geografia. Nel momento di silenzio, ascoltavo i ticchettii incessabili dell’orologio, guardando affascinata il cielo che assumeva coll’andare delle ore una sfumatura scura.

Il cielo era pulito, la tramontana aveva spazzato via le nuvole. Verso le quattro dal color celeste il cielo iniziava a farsi di color fiordaliso, poi di blu scuro, ed infine fu velato dal colore blu-nero della notte. A quel punto distaccai lo sguardo incantato dal cielo e misi a fuoco le lancette dell’orologio nel buio della stanza.  Erano le 16. 45. Anche se presto- troppo presto per chiamare mamma e svestirsi- la tremarella e l’agitazione che mi aveva sorprendentemente abbandonato un paio d’ore prima mi si scontrò al petto, saltai dal letto ed andai in contro a mamma che, mi accorsi dal primo momento in cui sentii la carta, impacchettando i regali.

“Mamma, devo prepararmi’’, chiesi con la voce che mi tremava. Il cuore, lo sentivo, correva più di quanto non abbia corso in tutta la sua vita; infondo stiamo parlando d’un compleanno al castello Redmoon non in una casa qualsiasi con un festeggiamento da bambini.

Lei non badò alla mia preoccupazione, e attaccava lo scotch per congiungere l’altra metà della carta. “Abbiamo un’altra ora’’, disse calma.

“Lo so, lo so, ma lo sai come sono fatta no? Anticipo sempre il nervosismo’’

Mamma strappò un altro pezzetto di scotch fra i denti e chiuse finalmente la metà del pacco dove dentro conteneva i vestiti. Quel maledetto rumore di staccare e attaccare mi dava sui nervi.

“Dai, aiutami ad impacchettare l’ultimo regalo. Poi preparo il bagno a tutte e due’’, disse pimpante.

“Mi sono già pulita questa mattina e ne ho abbastanza di quella cosa…liquida’’, borbottai.

“Il tuo coraggio è ammirevole, ma il vostro sarà un bagno speciale. Dai… aiutami’’, mi incoraggiò mentre prendeva due scatoline che conteneva una collana e un orologio, sbuffai e mi misi ad aiutarla. Ma involontariamente il mio cervello non mi lasciò lavorare che dopo tre secondo il regalo era perfettamente presentabile. Sia mamma che io rimanemmo sbigottite; eh già, ero oltre l’agitazione, nemmeno il mio cervello mi dava ascolto ormai. Mamma sospirò e mi condusse verso il corridoio. Davanti alla porta del bagno mi costrinse a fermarmi.

“Rimani lì dove sei’’, ordinò con un sorrisetto eccitato.

La guardai torva. “Cosa…?’’, ma lei era già entrata nel bagno. Nell’attimo in cui aprii la porta ebbi il privilegio di sentire odore di rose e viole. Iniziai ad intuire una terribile verità. Di seguito sentii il rumore di cassetti che si aprivano, buste di plastica che si rompevano….una scatoletta di fiammiferi? Ma che diamine….!

“Mamma!’’, la chiamai bussando alla porta.

“Ancora un minuto, per favore Alexia, la tua pazienza sarà ricompensata’’, disse la voce cristallina di mia madre.

E un minuto fu, uscì dal bagno tutta pimpante chiudendosi la porta alle spalle. Mamma era ritornata la solita ed elettrizzante ragazza di diciott’anni. A quel punto mi chiesi a chi assomigliavo di più.

“Su, su, adesso vai a levarti i vestiti e ritorna qui subito!’’, ordinò.

“Ho dubbi seri che sia un trattamento di bellezza’’, dissi fra me mentre mi avviavi furtiva verso la stanza.

Quando ritornai, mamma mi fece osservare la “magnifica” atmosfera dentro il bagno, umanamente parlando. Per me era…raggelante, sotto certi aspetti vampireschi, ma il resto devo dire che era accogliente. Nell’aria era sparsa- come avevo sentito prima-  un aroma di rose e viole, il bordo della vasca era contornato da candele accese e profumate distanziate l’uno dall’altra di trenta centimetri, così come ogni scaffale o mobile del bagno, ce n’erano due perfino nel lavandino, l’acqua della vasca era calda- di sicuro- coperta dalla schiuma soffice del sapone, e a sua volta tempestata da petali di rosa che coprivano perfino il pavimento. Se si trattava di trattamenti di bellezza, mamma era una professionista.

“Allora? Che ne dici?’’, mi chiese insistente, un sorriso vittorioso le marcava le labbra.

Ero ancora allibita. “Ehm… vuoi la verità?’’

“Ma certo ’’

“Hai esagerato’’, sputai voltandomi a guardare mamma. Il suo sorriso si allargò. “Ovviamente nel senso positivo, ma come....?’’, ma lei mi fermò.

“Adesso mettiti dentro e rilassati. Fra mezz’ora vengo a vedere come stai’’

“Fra mezz’ora mi vedrai immersa nel sonno’’

“Tanto meglio’’, squittì lei. “questo significa che il trattamento è riuscito”

“Quando mai un tuo trattamento non è mai riuscito alla perfezione?’’, chiesi ironica.

Lei mi fece l’occhiolino e uscii a passi aggraziati e veloci dalla stanza. Ora capisco perché non ero rimasta schifata dall’acqua nel senso olfattivo ma visivo: mamma aveva riempito la stanza di odori per far in modo che non mi disgustassi dall’odore dell’acqua. Risi fra me, deridendomi per quante volte avevo dubitato che un suo trattamento non avesse successo. Era una fortuna avere una mamma del genere se si parlava dell’estetica femminile. Ma poi mi chiesi come Drakon l’avesse amata avendo un tipo come lei: di sicuro ne era fiero, si vedeva dal senso di colpa che lo tormentava da anni che non avrebbe mai voluto lasciarla. Forse….Ma lasciai perdere i pensieri e mi tuffai nella vasca profumata. L’acqua, come avevo previsto, era calda e accogliente grazie ai petali di rose e alle candele che illuminavano la stanza dando un effetto relax. E cominciai ad avvertire i postumi della notte insonne. Mentre mi rilassavo, memorizzai le eventuali lezioni che mi avrebbe dato sicuramente mia madre riguardo a questo genere di trattamenti, iniziavo a convincermi che infondo mi sarebbe stato utile come anti-stress, qualora decidessi di ridurre a brandelli Paul, o qualunque cosa di sconcertante mi sia capitata fra i piedi.

Caddi nel sonni-veglia, solo in quegli attimi potevo accorgermi di quanta stanchezza era ammassata addosso a me, e ne riemersi di tanto in tanto quando mamma, mezz’ora dopo, usò varie creme e maschere per far risplendere e levigare la pelle del corpo.

Quando uscii dal bagno, con intorno un asciugamano per il corpo, ed entrai nella camera di mamma, persi la condizione del tempo. Non ricordavo nemmeno che era sera. In quel momento entrò Consuelo con gli occhi illuminati dalla meraviglia da bagno trasformato in una cabina- relax. Mamma entrò con lei per soli pochi secondi, la fece spogliare e mettere dentro l’acqua, uscii dal bagno, mise i vestiti sul suo letto e chiuse la porta. Era ovvio che la mia trasformazione doveva essere un segreto.

“Ok. Adesso mettiti nella seggiola’’, ordinò sussurrando.

Accanto al letto c’era una sedia di legno, con lo schienale alto, rettangolare, e in pelle morbida, davanti era appoggiato un piccolo tavolino circolare in legno con lo specchio attaccato al muro. Oltre la vetrata che rifletteva il mio volto vedevo, oltre il letto, mamma che frugava nei cassetti del suo armadio, sotto l’enorme spazio che occupavano i vestiti appesi. Ne frugò fuori la classica boutique dei trucchi e la mise sul tavolino dove mi trovavo io. Potei dare inizio al trattamento praticato sul mio viso ( il più fastidioso) con tanto di mascara, ombretti, matite, fondotinta e lucidalabbra. Alla fine i fece specchiare e valutare la sua opera.

Le palpebre erano sfumate di un color beige che marcava appena l’occhio, il mascara rendeva più voluminose le ciglia, il fondotinta era del mio stesso colore: rosa-pallido, il lucidalabbra era di un colore rosa corallo chiaro.

“Ti piace?’’, chiese.

“Sei straordinaria, mia piace molto. Grazie’’

“Dovere mio’’, disse con un sorrisetto vittorioso. Prese la boutique e la rimise al suo posto. La accompagnai con lo sguardo mentre apriva l’armadio più grande della camera da letto- occupava tutto il lato con qualche centimetro di distanza. Mi si chiuse la bocca dello stomaco quando vidi sostenere con le braccia la norme scatola bianca praticamente familiare. La appoggiò con delicatezza, come se fosse una cosa preziosa, e la aprii.

“Oh! No, mamma ti prego, non il tuo abito da sposa!’’, urlai io terrorizzata.

Mi guardò accigliata. “Perché? Che cos’ha che non va?’’, chiese disorientata. Intanto mi ero alzata dalla sedia e mi trovai accanto a lei.

“Non ha niente che non va, è bellissimo, solo che….è tuo, non voglio…sfilartelo tutto o…rovinartelo….’’, balbettai. Mi accorsi che stavo tremando.

“Tranquilla sarà solo per questa volta e per…il tuo matrimonio’’, aggiunse sorridendomi.

Mi spaventai. “No, mamma, dammi retta: vado da Jess. Sono ancora in tempo’’. Senza contare che ore sono.

“No, assolutamente no. Questo vestito è da tanto che è rinchiuso in questa scatola polverosa, ed è giusto metterlo di nuovo in mostra. Certo avrà sempre significato tanti ricordi bellissimi per me’’, disse accarezzando la stoffa bianca dell’abito. “ma voglio che ora lo indossi tu’’, terminò con un sorriso elettrizzato. Stetti per ribattere ma lei fu più lesta di me.

“Fai questo piacere alla tua mamma ’’, mi supplicò. Certo, sarebbe stato facile come un bicchier d’acqua riuscire a sfuggire al suo sguardo, ma sarebbe stato un enorme senso di colpa averla delusa.

Così fra i denti, svuotai un debole: “Sì”

Mi sorrise di nuovo, grata, e mi abbracciò. Sfilò fuori il vestito da sposa e me lo mise in mostra. Mi venne un capogiro non appena vidi cadergli per sbaglio dalle mani il velo.

“Niente velo!’’, urlai spaventata.

Scoppiò a ridere. “Tranquilla, non è un matrimonio, è solo una festa di compleanno’’. E rimise il velo sul letti

“Questa l’avevo già sentita’’, dissi fra me.

Mi si avvicinò emozionatissima e mi avvicinò l’abito al corpo per vedere se era della mia stessa misura. Avrei gradito che non fosse così.

“Dai, fammi vedere come ti sta’’, supplicò impaziente, felice.

Sbuffai e afferrai il vestito, lo esaminai sia con l’olfatto che con la vista ( non sapeva di niente) e aprii la cerniera per infilarmici dentro. Mamma mi fu d’aiuto per chiudermi la cerniera, si chinò per aggiustarmi la gonna e poi si rialzò per osservarmi.

“Sei presentabile, tesoro’’, disse ma dopo mi guardò incerta. “Ehm…Dovrei dire “quasi”. Ti mancano i capelli”, corresse.

Nel momento in cui tornai a sedermi, chiusi gli occhi per non vedere il corpetto del vestito. La rilassatezza che prima scorreva dolcemente nel corpo ora mi aveva abbandonata lasciando di nuovo che l’agitazione uscisse da dietro le quinte e tornasse sul palco.

Mamma mi levò il mollettone che sosteneva i capelli e li lasciò liberi di cadere da dietro la mia schiena. Si allontanò da me per un minuto e ne ritornò con una scatola in legno con un pettine.

“Mamma, forse devi lasciarmi sola per un po’ e preoccuparti di Consuelo. Sicura che non sia caduta dalla vasca?’’, dissi tono di supplica.

Lei sbuffò. “Tua sorella sta più che bene, fidati. Ora pensiamo a te ’’, insistette lei e ritornò ad armeggiare con i miei capelli.

Nei tre minuti che trascorsero interminabili, mi concentrai più di dieci volte di non abbassare lo sguardo e osservare ogni minimo particolare del vestito, e mi concentrami tutta me stessa per fare dei respiri lunghi e profondi.

Al termine del lavoro le sue dita lasciò i miei capelli in modo delicato come se fossero delle piume, e ancora una volta elaborò la sua opera. Per quante volte avevo chiuso gli occhi, non mi resi conto del bellissimo risultato: avevo le due ciocche ai lati del viso arrotolate leggermente fin dietro la testa che a loro volta erano fermate, con mia sorpresa, dai due fermacapelli ricevuti in regalo al mio diciottesimo compleanno che si notavano appena a causa dell’acconciatura voluminosa dei capelli, il ciuffo di capelli congiunto con i due pettini ricadeva come un boccolo delicato sulla chioma rossa castano; mamma aveva pensato anche al resto dei miei capelli rendendoli mossi e brillanti in modo da mettere in risalto il mio viso. Potevo dedurre che sembravo una principessa uscita dal libro di fiabe, ma non appena avrei visto il vestito sarei sembrata qualcosa di più. Mamma fece per ritornare alla scatola bianca ma ritornò subito indietro.

“Ah! Dimenticavo una cosa!”, si ricordò mamma schioccando le dita. A quel punto aprii la scatola di legno e ne tirò fuori vari gioielli, tra il tamburellare assordante e acuto del vetro e oro ne estrasse fuori un diadema che lo lasciò ricadere sulla mia fronte. Afferrò, tra le mille sfaccettature, anche due orecchini. Deglutii.

Con passo repentino ritornò alla scatola e un secondo dopo rieccola accanto a me, mi porse due guanti, me li misi senza dare alcun segno di incertezza; fra me pensavo che stesse esagerando. I guanti erano di pizzo ricamati in bianco, comodi ed eleganti, lunghi fino ai gomiti.

In silenzio, mi condusse davanti allo specchio inciso nel muro, perfetto per vedersi per intero, accanto al tavolino. Contemporaneamente, chiusi gli occhi.

Mamma mi diede uno strattone al braccio. “Guardati, tesoro. Guardati quanto sei bella’’, mi incoraggiò.

Mi toccò ubbidire, e osservai la Alexia Kennedy duplicata nello specchio. Il mio clone sgranò gli occhi dall’entusiasmo non appena vide il spettacolare cambiamento del suo corpo.

La ragazza era di una bellezza mozzafiato, la classica bellezza che non si vede sui volantini o robe varie, appariva come una sposa pronta per andare all’altare, le mancava solo il velo che non si sarebbe mai messa. L’abito era in duchesse di seta, con taglio semplice e scivolato con una gonna che si abbandonava aggraziata a terra dandone la forma di una calla capovolta. La stoffa era ricamata fa ornamenti floreali sottilissimi di color panna con qualche diamante microscopico attaccato alla seta. Il bustino aderente con ampie maniche appese alle spalle che quasi si confondevano e richiamavano l’idea del mantello; sulla testa il diadema che ricadeva sulla fronte liscia e mascherata della ragazza nello specchio dava un tocco di luce che rispecchiava la gerarchia del castello, ai piedi, invece, scarpine col tacco che richiamavano il colore dell’abito. Sulle orecchie pendevano perfetti orecchini in filigrana.

                                                             

 

La sua posa maestosa e impeccabile sembrava un miraggio; eppure ero io quell’angelo, sembrava impossibile ma ero proprio io.

Affascinata rimasi a guardarmi allungo nello specchio senza accorgermi che mamma aveva messo in ordine ogni cosa, strinsi i denti per non piangere. Mi girai verso di lei, ancora basita alla vista di quella principessa allo specchio.

“Mamma…ma è…’’

“Non dire niente, te lo meriti’’, mi interruppe lei. Mi venne in contro per abbracciarmi e ad osservare così rara bellezza.

“Sei un incanto. Anzi forse è un po’ eccessivo dire questo perché sei più d’un incanto ’’, si asciugò una lacrima. “Saresti stata la più bella delle spose”

“Sempre grazie a te, ricordatelo’’, le ricordai.

Lei mi fece l’occhiolino e ritornò ad abbracciarmi. Ogni qual volta che elaborava la sua “materia prima”- come diceva sempre lei- mi impressionava come la prima volta; come avrei potuto privarmi di una madre del genere?

“Oh!”, sibilò, sciogliendo subito l’abbraccio. “Quasi dimenticavo di tua sorella! Credo che abbia terminato il suo pisolino’’, disse ridendo come per deridere la sua distrazione.

“Allora vai’’, la incoraggiai, sforzandomi di apparire più dolce che potevo. “Io vi aspetto qui’’

E lei usci, facendomi l’occhiolino prima di chiudere la porta, e rimasi sola. Mi sedetti sulla sedia cercando di trovare un modo per placare tanta agitazione, di certo guardarmi di nuovo allo specchio poteva soltanto ingrandirla di quanto non lo era quell’istante. Mi concentrai sul respiro, contando i secondi, sentendo la mia toracica gonfiarsi e sgonfiarsi, apparentemente riuscii a deconcentrarmi grazie anche ai rumori della casa.

Un quarto d’ora dopo vidi spuntare dalla camera Consuelo con lo stesso completino che indossò al mio compleanno, capelli sciolti e raccolti con un cerchietto verde con un fiorellino di stoffa bianca al lato destro. Mamma, questa volta, indossava un vestito color rosa confetto, di morbida seta, i capelli ondulati, la ciocca era fermata da un lato con il solito mollettone a formai di fiore a stras che usava per le occasioni speciali; le scarpe col tacco erano di color panna.

“Alì, sembri una sposa!’’, urlò ammaliata Consuelo.

Non feci a meno di lanciare uno sguardo accusatore a mamma, che lei ricambiò con un sorrisetto innocente. “Grazie’’, dissi infine.

La bimba mi prese per il braccio, trotterellando fino fuori dalla camera, costringendomi a seguirla. Nel salotto papà stava facendo avanti e indietro impaziente. Non gli davo torto: erano le 19. 03! Diedi la colpa a me stessa per essermi addormentata durante il bagno.

“Allora? Ti piacciono i nostri angeli?’’, chiese mamma al marito.

Papà ci lanciò uno sguardo sbigottito, un secondo dopo capii perché, e lanciò uno sguardo accusatore a mamma.

“Sarà solo per questa volta’’, lo rassicurò lei accarezzandogli la spalla.

“Oh’’, sospirò Consuelo affascinata dalla bellezza di papà. Indossava uno smoking nero.

“Oh…”, feci eco alla mia sorellina. “papà, lo sai che sei proprio…’’

“Un clown?’’, mi interruppe lui.

“In realtà stavo per dire uno schianto ’’, finii. E lo vidi arrossire, mentre Kate lo stringeva per la vita.

Consuelo rise per la battuta e poi calò il silenzio. Mi misi a guardare l’orologio, chiedendomi se anche Alucard era impaziente. Erano le 19.06. i secondi sembravano passare veloci.

“Bene, andiamo. Babbo ha messo tutti i regali dentro la macchina’’, ci ordinò mamma che intanto aveva aperto la porta.

Consuelo lasciò la mia mano e corse fino alla macchia di Hendrik: una splendida Fiat 500 L del 1970: glie lo aveva regalata il fratello per il suo compleanno.

Dopo di Consy uscii papà con passo veloce e rumoroso, mamma invece mi accompagnò fino alla macchina in modo da sollevarmi lo strascico di gonna lunga per non farlo strascinare nell’erba bagnata a causa della pioggia.

Con sollievo, mi accorsi che la strada era deserta: nessuna macchina o passante. Bene, almeno mi risparmiavo un attacco di cuore.

Papà chiuse lo sportello a Consuelo, mamma mi aiutò a lisciare la stoffa della gonna non appena salii, controllando anche se fosse pulito, si sedette accanto al marito alla guida, e il motore prese vita. Feci un lungo sospiro e partimmo verso Redmoon.

In macchina era tutto più lento per una vampira, l’unica cosa che potevo fare era guardare fuori dal finestrino, sospirare, sbuffare, pensare a qualcosa di positivo giusto per distrarmi, e osservare la mia sorella che espandeva da tutti i pori la gioia e impazienza. Avrei tanto desiderato essere come lei, in quei secondi.

Sentii una fitta allo stomaco quando cominciai a vedere i primi alberi centenari. Cinque secondi dopo imboccammo la strada alberata, in quei cinque chilometri che attraversammo solo io, tra i quattro della famiglia mi accorsi, che ai fianchi degl’alberi c’erano ramoscelli lunghi, seguivano tutta l’arcata che formava gli alberi tra i mille ramoscelli e foglie che coprivano il cielo; di come riuscivano a restare fermi nel terreno non riuscii mai a spiegarmelo. Presumevi soltanto il fatto che Dracula Uno e Dracula Due si fossero dati la grande invenzione di farsi aiutare da qualcuno. E devo dire che l’idea mi aveva impressionata appena vidi le ghirlande che penzolavano tra i mille ramoscelli arcati d’ogni coppia di albero.

“Hanno fatto la festa in grande’’, disse papà. Sia io che Consuelo ci damo uno sguardo d’approvazione.

Mi sarei dovuta aspettare ragni che formavano uno scudo appena avessimo imboccato il sentiero, eppure che filavano la tela dagli alberi, lapidi, un urlo straziante proveniente da un punto buio e tetro della via….cose così, insomma. Per un vampiro, almeno. Invece…sembrava fosse una specie di regalo fatto per me dato che ero l’amante della vita.

Sorrisi, piena d’ammirazione e fascino dal suo gesto. Nascoste dalle ghirlande fluttuavano silenziose minuscole lucciole, in gruppi da tre sotto ogni fiore, che illuminavano il sentiero. Era uno spettacolo mozzafiato, sembrava veramente l’atmosfera per un matrimonio. Mi strinsi nelle spalle quando ricordai d’avere il vestito da sposa.

“Bene, adesso dobbiamo solo trovare il posto per la macchina’’, borbottò papà.

All’inizio non capii le sue parole, incantata com’ero ad osservare quel rivestimento della stradicciola alberata, ma abbassando lo sguardo capii cosa volesse dire. Le macchine erano parcheggiate col muso verso gli alberi, lo spazio era perfetto ad una macchina per viaggiare, e per parcheggiare sarebbe stato più prudente non battere contro la vernice preziosa di un’altra sua simile.

Consuelo indicò più di tre posti vuoti ma a papà andava a genio parcheggiare più da vicino alle mura del castello, alla fine ne trovò uno isolato e molto spazioso a qualche metro di distanza dal precipizio. Ora capivo perché era così isolato.

Nello stesso momento arrivò un uomo sulla trentina in smoking color vinaccia, i capelli lisci e bruni, la barba volta e più scura dei capelli, abbronzato, occhi neri e profondi. Lo riconobbi subito: era Ryan, l’amico fidato di papà.

Papà abbasso il finestrino allo stesso tempo in cui gli si era avvicinato. “Ehi, ti tocca arrivare per primo, devi darci un assaggio della tua medicina’’, disse con voce affannata Ryan.

Papà lo guardò sospettoso. “È successo qualcosa di grave?’’, chiese.

“No, niente di cui allarmarsi. Drakon a bisogno di te ’’

Allo stesso tempo in cui udii il suo nome diedi uno sguardo repentino prima a Consuelo e poi a mamma, anche loro lo avevano sentito. Il mio stomaco rimbombò dal dolore; e ritornai a guardare babbo perplessa.

Sospirò. “Va bene, lasciami almeno finire di sistemare la macchina e arrivo subito’’.

E così fece, senza dire niente, spense il motore, ci guardò per un intervallo di secondi e scese dalla macchina. Non gli staccai gli occhi di dosso finché non lo vidi scomparire da davanti all’amico che gli si era messo dietro. Nel silenzio umano della macchina, guardai mamma e Consy con perplessità, ma allo stesso tempo c’era anche impazienza. Ero impaziente di varcare quelle mura e lasciare l’ansia scivolarmi addosso alle spalle.

Mamma fece un respiro profondo e poi scese dalla macchina. Chiuse la portiera e aprii la nostra.

“Coraggio, andiamo a conoscere una nuova persona’’, disse, il miele fra le parole.

“Sì’’, disposi a mezza voce, mentre Consuelo disse: “E se a Drakon non gli piacerò?’’.

“No, sarai il suo angioletto stanotte’’, la rassicurò mamma.

“Sicuramente rimarrà affascinato dalla tua spontaneità e dolcezza’’, aggiunsi io accarezzandogli la testa.

Questo bastò a farla sorridere di speranza, e scese dalla macchina mentre io controllavo ad ogni movimento che in vestito non subisse alcuna imperfezione. Mamma mi sollevò appena la gonna quando chiusi la portiera.

Consuelo trotterellava, era la prima della fila, mamma mi cingeva la vita con un braccio- forse anche lei era in agitazione come lo ero io- e io alzavo appena lo strascico lungo della gonna bianchissima per non sporcarlo.

I miei passi andavano al ritmo con il respiro, il cuore era più veloce delle eliche d’un elicottero. Andai nel panico quando vidi le luci del cortile filtrare oltre il buio della notte.

Il ponte di legno contavano il tamburellare dei nostri piedi, era lungo trenta metri, come trenta metri era distante la fine della stradicciola al dirupo che sosteneva l’enorme castello. Le luci della strada alberata ci lasciarono dandomi una sensazione d’angoscia: vedere le nere ed enormi mura imponenti di Redmoon elevarsi sopra i nostri occhi mentre avanzavamo all’entrata, la luna piena, sfiorata da qualche piccola nuvola, rendeva quel pezzo di buio, l’unico punto più spettrale di Redmoon.

Pensai che di tetro fosse stato anche l’interno, ma non appena superammo l’arcata mi vergognai della mia illusione. Era più incantevole della stradicciola illuminata. Quando cinque minuti fa mi chiedevo a cosa servisse l’aiuto di papà ora potevo rispondermi da sola: all’interno del castello, ai fianchi del cortile, era circondato da due minuscole gallerie che iniziavano dall’arcata e finivano alla scalinata che conduceva all’entrata, sostenute da colonne distanti un metro l’uno dall’altra. Nascoste dal buio di quei piccoli e lunghi tetti, erano posati tavoli imbanditi di cibo: salatini, dolci, bibite e robe varie. Tre tavoli per ogni lati del cortile. E aggrovigliate tra loro a quelle colonne partivano radici verdi e rigogliose, salivano fra i tetti rettangolari, e sfilavano l’aria come se fosse il nulla, ricongiungendosi alle rispettivi radici che nacquero –come quest’ultime- misteriosamente alle altre colonne del lato destro del cortile, si intrecciavano, si sfioravano, finché non formarono un arco naturale che coprivano il cortile a mo’ di tetto. Oltre le grossi e minuscole radici di quella magia si intravvedeva il cielo notturno, la luna era candida come la seta del mio vestito. Un ultimo addobbo particolarmente familiare era lo stesso risultato degli archetti fioriti nella stradicciola, infatti nelle radici erano appesi mille ghirlande che coprivano perfino il verde della natura di quella copertura arcata. Il cortile era illuminato, con nostra sorpresa, da piccole fiammelle che vorticavano nell’aria poco distante dai fiori per non bruciarli ma anche non molto ravvicinato dalle nostre teste. Era uno spettacolo da togliere il fiato, e non mi trovavo dentro un film televisivo, ma tutto questo mi faceva sentire come la protagonista di quella serata anziché il festeggiato. Quelle piccole fiammelle sopra le nostre teste mi ricordavano il grande amore della mia vita, senza dare per scontato che la magia di papà era di una bellezza rara.

“Ma è…bellissimo’’, disse Consuelo, incantata dalle ghirlande pendenti sopra di noi.

Non gli davo torto, ero meravigliata, assuefatta da quella bellezza nel cortile, senza scordare il fatto che si trattava l’alloggio di due vampiri.

Nessuno di noi due si avrebbe svegliato da quell’incantesimo se solo mamma non ci avrebbe prese per mano constringendoci ad incamminarci insieme a lei tra il cortile affollato di gente. Tra le mille persone riconobbi i visi dei miei amici, mi vennero subito incontro e mi abbracciarono, come si staccarono addosso a me rimasero ammaliati da quella che ora ero io. La prima a parlare fu Jessica: quel giorno era vestita da un abito color rosa antico, scollato davanti, la sua chioma era raccolta da un elegante chignon con il quale era incastonato una rosa di carta.

“Oh-mio-Dio! Ma sei bellissima!’’, scandì le parole sillaba per sillaba.

Sorrisi imbarazzata. “Ehm…grazie’’, farfugliai.

“Ma dove hai preso il vestito?’’, mi chiese subito dopo Lilly. “Con questo vestito mi fai sentire una sfigata, sembri la regina del ballo ’’, aggiunse scherzando. Lilly indossava un abito argenteo, stretto al petto, e la gonna leggera e liscia era lunga fino alle caviglie. Indossava dei tacchi a spillo bianchi. Mattew indossava uno smoking color grigio pallido, Hora uno marrone scuro che tendeva al nero.

Risi alla battuta. “Scusa se ti faccio sentire inferiore a me, non lo desidererei mai’’, risposi.

“Ma che bella!’’, ammise Jess sfiorando il diadema. “È vero?’’

“Suppongo di sì, ma non è mio. Appartiene a mamma, lo ha comparato per….un occasione speciale’’, dissi infine. Stavo per dire “per il suo abito da sposa”, ma non volevo correre il rischio di dar loro qualche indizio che richiamasse la verità.

“Anche il vestito è il suo?’’, chiese Mattew che prima non aveva parlato.

Solo in quel momento mi accorsi che ero accerchiata dal mio gruppo e che Consuelo e Kate erano sparite tra la folla. Iniziai a guardarmi in giro disorientata.

“No, ehm….volevo dire sì, è sempre di mia madre’’, balbettai io, più concentrata altrove che alla domanda di Mattew.

“Ah’’, disse lui.

“Accidenti, questo vestito sembra….una abito da sposa’’, farfugliò Hora mentre studiava il vestito.

Mi raggelai. “Ma che cosa vai a pensare? Un abito da sposa? Figuriamoci!’’, risi per smascherare l’espressione spaventata che ebbi sul volto. Hora e gli altri mi fece eco subito dopo.

“Hai ragione, oggi non ci sto proprio con la testa, si vede che ho solo voglia di divertirmi’’, rispose con imbarazzo.

“Vuoi unirti a noi?’’, chiese gentile Mattew subito dopo.

“Magari dopo, adesso devo andare a cercare quelle due pesti di mia madre e mia sorella’’, dissi voltandomi verso un mucchio di gente.

“Ah, ok. Allora ci vediamo dopo ’’, concluse.

“Certo, a dopo ’’

E un minuto dopo scomparvero tra la folla. Nei primi secondi rimasi sul posto, allungando il collo per riconoscere gli unici due volti familiari che desideravo incontrare, ma prima che la solitudine mi inondasse il corpo mi incamminai verso la folla anche se dopo un secondo me ne pentii amaramente: tutti si allontanarono al mio passaggio, meravigliati, affascinati, mentre vedevano una ragazza in veste di “sposa” incamminarsi verso il cortile. Mi accorsi sul punto che non tenevo la gonna sollevata, però capii che ne potevo farne a meno, i petali delle ghirlande cadevano come pioggia leggera sul pavimento freddo e cementato, coprendo la seta dalla polvere, rendendo ancor più elegante il mio passaggio. Di sottecchi, vidi la gente sussurrare fra di loro quando videro il vestito, riconobbi tra la folla un’amica di mamma ed ebbi l’enorme sospetto che avesse intuito la somiglianza di quel vestito a quello che indossò lei all’altare. In quel momento vorrei che tutto fosse vero: indossare un velo, tenere tra le mani il bouquet di rose bianche e fiori d’arancio, e attraversare l’entrata per unirmi al mio sposo: tutto questo avrei desiderato, pur di non avere un modo d’essere imbarazzata da quegli sguardi curiosi.

Tutto sommato, la mia irritazione fu risparmiata quando cominciai ad udire una voce familiare, e lì, sotto il piccolo tetto triangolare c’era un ragazzo che mi voltava le spalle. L’altro uomo non riuscii a riconoscerlo, ma indossava lo stesso smoking nero del giovane. E con mia sorpresa vidi la figura di mamma che parlava con i due uomini, con accanto Consuelo, ma non vidi papà; probabilmente era a conversare con qualche amici.. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo, ed accelerai il passo.

A mamma gli si illuminò il viso quando mi vide avanzare verso di loro, Consuelo mi venne in contro trotterellando, e contemporaneamente Alucard si girò verso di me con la stessa espressione che ebbero tutte le persone che mi videro in quella passeggiata, e mi venne in contro con passo veloce. Mi afferrò con decisione la mano destra, anche oltre i guanti di pizzo la sua pelle era liscia e fredda, e con un gesto antico ma familiare mi baciò il dorso. Rimasi allibita e meravigliata dai suoi movimenti perfetti. Consuelo si chiuse la bocca con una mano trattenendo una risatina.

“Sono felice di rivedervi, Signorina Kennedy”, mi salutò Alucard, mentre mi guardava oltre le ciglia folte e nere, il suo mento a pochi centimetri dalla mia mano. Il suo cambiamento di parole mi lasciò perplessa, ma era ovvio che era un gesto per essere cortese ed educato.

Liberai il respiro, mi resi conto che non stavo respirando. “Anche io sono felice di incontrarla, Signor Paterson’’, aggiunsi con piccolo inchino.

Lui sorrise al mio sforzo di recitazione e sansa lasciarmi la mano mi condusse sotto tetto, dove ci stavano aspettando mamma e quell’uomo irriconoscibile. Consuelo fu la prima a raggiungerli, avvicinandosi all’uomo e prendendolo per mano con un gesto familiare. Rimasi perplessa.

L’uomo era molto pallido, e indescrivibilmente bello, muscoloso- era visibile anche il braccio massiccio e muscoloso oltre la manica nera- di corporatura robusta, capelli marrone e corti fino alla nuca, occhi a mandorla e di color marrone scuro intenso, il suo viso era ovale e i tratti di un ventenne ( forse era vicino ai ventotto anni), mostrava la corporatura di un uomo adulto ed era alto 1, 96 m.

Dalla sua età sospettai subito che fosse un caro amico di Alucard, o forse di mamma, ma lei lo conosceva, io no. Consuelo lo aveva appena conosciuto e gli stava accanto come se fosse uno zio, io no. Vidi Alucard stargli accanto come se fosse una persona stretta, un parente, o forse u genitore. Ma poi vidi i suoi occhi, la strana ed impressionante della sua forma e del suo colore come i miei, come quelli di Alucard. E quello sguardo curioso, illuminato, e appena imbarazzato come il mio.

Alucard mi guardò per un secondo, poi cominciò a parlare. Ma io non lo stetti a sentire, forse non lo sentivo proprio, ero ipnotizzata dalla verità. Quell’uomo…quell’uomo che adesso mi guardava con attenzione, che mi studiava dalla testa ai piedi, per trovare qualcosa di familiare in me….E finalmente trovò i miei occhi- i suoi occhi- e si soffermò su quelli per un lungo tempo. L’uomo che adesso mi scrutava con i suoi occhi profondi, era…

“Drakon, ti presento Alexia. Alexia, lui è Drakon’’, ci presentò Alucard con un gesto alla mano, mi accorsi un pizzico di imbarazzo nella sua voce. Forse si aspettava che dicessi qualcosa ma dalla mia bocca non scappò una A perché stavo trattenendo un singhiozzo.

Subito mi si fece vicino mamma. Mi spinse di schiena per avvicinarmi a Drakon, ormai ero alla distanza di tre mani dal suo petto.

“È nostra figlia’’, disse mamma con un sorriso fiero, e finalmente Drakon staccò lo sguardo da me per proiettarlo verso mamma. Dalle sue labbra sottili vidi sbocciare un sorriso pieno d’ammirazione. Mamma ritornò a parlare.

“Da quando aveva scoperto che eri il suo padre biologico…ha sempre fatto domande su di te. Mi diceva sempre come ci eravamo conosciuti, come ero io da ragazza, e mi chiedeva anche se avevi qualcosa in lei che gli assomigliassi. Con il tempo si è fatta più agile e coraggiosa, va a caccia da sola, avvolte gli faccio mangiare cibo umano però mischiato con il sangue d’animale….Non ha mai cacciato sangue umano, non glie l’ho mai permesso. Come ti ho detto prima, fin dagli ultimi mesi ha iniziato a camminare da sola, ha detto la sua prima parola prima che compiesse un anno, è stata più precoce nello sviluppo mentale che fisico. La sua crescita è alla pari di quella di un umano….’’, e continuò a spiegare tutto di me finché non fu lui a parlare.

“Alexia…’’, pronunciò il mio nome con devozione. “Alexia, sei…bellissima. Sei cresciuta splendidamente’’, complimentò con la sua voce profonda e dolce. Il tipo di voce che mi sarei aspettata dal mio vero padre.

No seppi cosa provare in quel momento, non sentivo niente, ogni mio pensiero si stava mescolando fra gli altri, ogni cosa era confusa. Non mi sembrava vero che quel ventenne, bellissimo – più bello di Alucard- fosse mio padre. Eppure era vero. Mi sorpresi quando ebbi l’stinto di abbracciarlo. Ma, non so come, mi trattenni.

“Scommetto che avrai tanto di cui raccontarmi e farmi raccontare, che ne dici di iniziare da questa sera?’’, mi chiese sorridendomi.

Dalle mie labbra uscì un debole e sospirato: “Sì’’

Il sorriso di Drakon si fece più ampio, sorrisi anche io: felice di averlo sollevato. D’altronde mi sentivo sollevata anche io quando mi resi conto che non sembravo una morta vivente ed iniziai a parlare. Sentivo gli sguardi attorno a me che ci scrutavano curiosi.

“Innanzitutto ti do la benvenuta a Redmoon, ma credo che non è l’unica volta che sei venuta qui. Dopotutto, tua madre ti ha partorito in questo castello ’’, l’ultima frase la scandì a mezza voce.

Il mio stomaco sussultò. “Sì, mamma me lo ha detto ’’, risposi, sorpresa ancora una volta che la mia voce fosse tornata normale.

“Lasciamoli soli, avranno molto da parlare’’, consigliò gentile Alucard. E tutti lo seguirono fra la folla, lasciandomi sola con mio padre. Fu come una liberazione non sentire più i loro sguardi che ti mangiavano.

“Drakon…’’, dissi, ma allo stesso tempo mi pentii d’averlo chiamato per nome. “Papà’’, corressi, una fitta allo stomaco fermò le parole.

“Sì?’’, chiese lui, semplicemente sorpreso d’avermi sentito pronunciare la parola “papà”.

Cosa mi era successo? Ora tutto aveva un senso, guardarlo era come un miracolo: l’odio antico che mi aveva assalita da anni non c’era più, il dolore che provavo per quell’abbandono era sparito, come fumo, e lo amavo. Lo amavo con tutta me stessa anche se non sapevo perché. Era mio padre, e lo amavo come un padre. Ora tutto era chiaro: bastava solo superare quei cambiamenti per averlo incontrato. E finalmente era vicino a me, tante volte da piccola me lo ero immaginato bellissimo, ma non pensavo che fosse oltre di quella bellezza. Ora capivo perché mamma si fosse innamorata di lui.

“Papà….io…Volevo solo dirti…che….mi dispiace’’, balbettai.

Drakon si avvicinò di qualche passo verso di me, allungò il braccio, e sentii il contatto freddo e familiare sulla mia guancia. Mi asciugò una lacrima che non avevo sentito cadere.

“Non devi essere tu a piangere, Alexia, e non devi chiedermi nemmeno scusa’’

“Sì, invece’’, mormorai io. “Ti ho fatto del male a causa del mio odio e…’’, non riuscii a finire che posò due dita sopra le mie labbra.

“Sssh, è passato tutto. Ormai è passato tutto’’, ora capivo da chi Alucard avesse preso quei gesti d’affetto e amore quando cercava di consolarmi.

Ormai cedetti, mi catapultai alle sue braccia e lo strinsi più forte che potevo. Allo stesso tempo, un peso che da anni mi pesava alle spalle si liberò finalmente dal mio corpo abbandonandomi per sempre.

Il respiro di Drakon si fermò quando gli gettai le braccia al collo, ma dopo due secondi mi stringeva anche lui. Da lì capii che anche lui aveva sempre desiderato stringere sua figlia, lo avevo capito dal suo abbraccio: era stretto, quasi soffocante, ma era pieno di affetto e dispiacere.

“Ti amo tanto, papà’’, dissi con gli occhi lucidi. “Per sempre”.

“Anche io ti amo, Alexia. Te ne ho sempre voluto e sempre te ne vorrò, non dimenticarlo’’, mi sussurrò all’orecchio.

“No, non lo dimenticherò’’, dissi asciugandomi le lacrime. Per fortuna il trucco era resistente all’acqua. “Ma tu non lasciarmi più’’

“Me ne sono andato chissà quante volte per dimenticare…te e tua madre. Ma non ci sono riuscito, e ho capito che questo è il mio mondo. No. Tu sei il mio mondo, come Alucard. Siete gli unici figli che ho e…non posso dimenticarvi. Non ti lascerò più, promesso’’

“No, non prometterlo, ma giuralo. Giurami che non te ne andrai mai più, che sarai presenti nella mia vita, che qualche giorno verrai a farmi visita….magari di notte. E possiamo cacciare insieme, per le feste puoi venire a casa mia con Alucard oppure possiamo venire noi a Redmoon…’’, tutte queste parole descrissero un futuro felicissimo, privo di dolore e odio. Non finì di parlare finché non vidi mio padre sorridere fra le mie braccia, era bellissimo sapere che gli avrei reso un futuro indimenticabile. E i pezzi di cristallo che stavo congiungendo per formare il vaso si stavano riunendo. Sentivo che presto gli ultimi due si sarebbero riuniti per far brillare come un tempo quel vaso rovinato.

“Sì, mi piacerebbe fare tutte queste cose’’, aggiunse quando ebbi finito di parlare.

“E farai parte della mia vita, come ora ne sta facendo parte Alucard’’, sospirai infine.

“Però non dimenticarti di Hendrik, anche lui è tuo padre’’

Per qualche secondo mi voltai cercando lo sguardo dell’altro mio padre assente ma non lo trovai, iniziai a sentire un senso di lontananza verso di lui. Dov’era finito? Mi mancava tanto.

“Lo hai conosciuto? Come ti sembra?’’, chiesi.

“Mi sembra un ottimo padre per te. Io non ho la stoffa’’, rise imbarazzato.

“Non è vero, non dire più certe cose’’, dissi dispiaciuta quando lo ristrinsi di nuovo fra me; era doloroso sapere che non sarebbe mai stato all’altezza di fare il padre quando aveva allevato Alucard come un figlio.

“Mi dispiace’’, disse, e calò subito il silenzio.

Restai fra le sue braccia un minuto intero, ripensando a quei momenti di solitudine in cui fantasticavo il suo volto e desideravo che mi stringeva a se. Ora lo vedevo e potevo avere il privilegio di averlo fra le mie braccia. Valeva la pena aver rischiato tanti pericoli, ora era tutto perfetto.

Quando sciolsi l’abbraccio lui ritornò a parlare, più attivo di prima.

“Be’, mi sembra che per oggi i regali non siano solo per il festeggiato’’, disse, la sua voce trapelava l’allegria.

Parlava come se mi conoscesse da tanti anni. In realtà, anche io cominciavo a pensare che lo conoscessi da tempo. Sicuramente era dai racconti di mia madre a darmi l’idea.

“Che?’’, chiesi confusa.

In silenzio, mi cinse le spalle con un braccio, sorpassammo dieci colonne e un tavolo, arrivammo al muro che chiudeva la galleria e lì ci fermammo. Davanti ai nostri occhi, giaceva un piccolo tavolino vuoto, sopra di lui c’era solo un piccolo e lungo astuccio ovale di pelle nera.

Papà mi lasciò le spalle per avvicinarsi al tavolino, non trascorse un secondo che me lo ritrovai davanti con l’astuccio nero in mano. Nelle sue grandi mani era piccolo, nelle mie avrebbe coperto metà dei palmi.

Senza porgermelo aprii il coperchio e ne mostrò una catenella dorata, il medaglione era un cuore, al dorso si intravvedevano delle leggere incisioni che formavano una rosa. Aprii quel meccanismo minuscolo e vi guardai dentro. A destra c’era la foto del volto di Drakon, a sinistra quella di Alucard. Mi venne un groppo in gola.

                                                                    

 

“Così non ti dimenticherai di noi’’, mi sussurrò all’orecchio.

“Certo che non i dimenticherò mai di voi, siete la mia famiglia. Grazie’’, dissi mentre lo abbracciavo.

“Ehm…avrei voluto dartelo per il tuo compleanno, ma dopo…. Mio figlio mi ha detto che voleva celebrare una festa qui e…ho pensato di dartelo in questa occasione’’

“Mi piace molto, papà, grazie ancora’’

Mi sorrise. “Sono felice che ti piaccia’’

“Mi aiuti?’’, chiesi aprendo l’aggancio e girandomi di spalle, gli passai la collana e spostai leggermente i capelli ad una spalla. Con destrezza fece passare la collana al mio collo e la agganciò; sentii le sue dita calde attraverso la mia pelle che mi lasciò un piccolo brivido.

Aprii ancora una volta il ciondolo e vidi i due visi perfetti e bellissimi che mi sarei tenuta per sempre stretta al cuore. Lo richiusi, stringendolo a me, sognando con tutta me stessa un futuro migliore.

“Sei fidanzata?’’, mi chiese d’un tratto papà. Probabilmente aveva visto l’anello.

Arrossii violentemente. “Sì, non lo sapevi?’’

“No’’

“Ah’’, dissi. Ebbi come il sospetto che si trattò di un “papà geloso’’. “Si chiama Louis, è straordinario ed unico, lo amo con tutta me stessa, e ci troviamo bene insieme’’, dissi, in modo da rassicurarlo. Per qualche secondo sfoderò un sorriso che mi parve talmente familiare, raro in Alucard, e poi ritornò a parlarmi serio.

“E questo….Luigi, è alla festa?’’, chiese.

Risi. “Louis, papà. Si chiama Louis, comunque penso di sì. Volevo giusto andare a cercarlo, ma dopo i miei amici mi hanno colto di sorpresa’’

“Sì, capisco’’, disse.

Ci fu qualche secondo di esitazione. “Non ti va a genio che sia felice con un ragazzo?’’, chiesi dopo.

Sorrise di nuovo, era bellissimo. “A me basta solo sapere che sei felice’’

Sospirai. “Ok. Sono felice’’

“Bene’’

“Bene’’, gli feci eco. E di nuovo silenzio. Pensai che l’argomento “fidanzato” non gli andava giù. Infondo lo capivo: era la prima volta che aveva imparato a conoscermi e sapere che già mi ero fatta una vita tutta mia ci rimase disorientato.

“E Luigi…’’

“Louis!’’, lo interruppi io ridendo.

“Lo ami davvero?’’, chiese senza darmi ascolto.

D’un tratto compresi che era facilissimo parlare con lui. “Sì, lo amo tantissimo. Come….tu ami mamma ’’, dissi infine.

Il suo viso si rabbuiò. “Sì, la amo ancora, ma non posso più provare per lei quell’affetto di un tempo’’

Stupida, stupida, stupida. “Io credo che puoi, l’amore non ha limiti’’

L’unica cosa che mi sollevò da quel tono di imbarazzo è sapere che lo avevo fatto sorridere ancora. In parte, si vide, avevo ragione.

“Sono felice che ti sei ben sistemata con….’’,e lasciò a me pronunciare il nome.

“Louis’’, dissi infine. Rise appena e sfiorò con le dita il ciondolo di cuore sul mio petto.

“Sei bellissima, oggi. Sembri una….’’

“Grazie, papà’’, lo interruppi io, ero abbastanza stanca di sentire la parola “sposa” sfociare da ogni bocca che incontravo.

Nascosi l’imbarazzo abbracciandolo, come la prima volta era una sensazione unica. Mi sentivo protetta su quelle braccia possenti, contro quel petto largo e muscoloso come se fosse uno scudo.

“Qualcuno stava parlando di me?’’, chiese una voce dietro le nostre spalle.

Mi voltai di scatto, papà sollevò lo sguardo verso la voce, e vidi lontano dalla folla, a un chilometro da noi, Louis che ci stava osservando. Le mani congiunte dietro la schiena, era vestito con uno smoking grigio scuro, lo stesso che aveva indossato al mio compleanno, i capelli raccolti con una coda, alcuni ciuffi ribelli gli marcavano la fronte, il suo sguardo non tradiva emozioni: era sorpreso.

Sciolsi l’abbraccio imbarazzata e corsi verso di lui per abbracciarlo. Non fece una piega quando mi strinse a se, mi aspettai un insulto.

“Sei bellissima, Alì’’, disse quando sciolse l’abbraccio. “No, sei più che bellissima. Oggi sei un incanto, di una bellezza mozzafiato’’, corresse, studiandomi dalla testa ai piedi.

Gli afferrai il volto con le mani. “Potrei dire lo stesso di te, ma credo che questo già lo sapevi’’, dissi.

E premette le labbra sulle mie, fu un bacio lento, deciso, che cresceva pian piano. Ritrovai la mia unica ragione di vita, ora tutti quelli che volevo bene erano lì, e mi sentivo a casa con lui accanto. Con quel bacio, ero più che sicura, sentivo che tutto si sarebbe trasformato in qualcosa di buono. I cambiamenti erano finiti, nessun pericolo ormai, ora il vento non avrebbe più parlato con Consuelo di odio e tristezza. Non m’avrebbe più infastidita. Il ricordo di quel bacio si affievolì fino a svanire. Capii che era stato tutto un madornale errore. Questa era la mia vita e ne andavo fiera

Papà si schiarii la gola facendo scivolare via la mia fantasia, mi staccai da Louis e mi volsi a guardare papà. Strinsi la mascella per trattenere un sorriso imbarazzato, e accompagnai Louis da mio padre, mano nella mano.

“Papà…’’, vidi Louis lanciarmi un’occhiata sorpresa. Non ci feci caso. “Papà, ti presento Louis: l’uomo della mia vita’’

Papà lo osservò con attenzione. “Sei il ben venuto fra la mia famiglia Louis, sono felice che mia figlia si trovi…accomodata con un ragazzo del tuo stile ’’, le sue parole cortesi e galanti non fecero una piega. Ringraziai inoltre il cielo che avesse azzeccato il nome.

“La ringrazio, Drakon, sono estremamente felice d’aver scelto una ragazza come sua figlia’’, acconsentì generoso Louis, e subito gli porse la mano. Poteva significare solo due cose: la prima: sono felice di fare la vostra conoscenza, la seconda: sei fortunato che non ti ammazzo perché ho stretto pace con te. L’ultima opzione mi fece raggelare.

Si strinsero la mano e si sorrisero: quest’ultimo cenno non riuscii a capirlo.

“Bene, divertitevi’’, disse, e poi si rivolse a me. “Vado dai tuoi genitori’’, riferì.

“Certo, dopo mi aggiungo anch’io al gruppo’’, dissi.

Mi diede un rapido bacio sulla fronte, diede uno sguardo repentino a Louis, e si allontanò a grandi passi da noi; lo accompagnammo con lo sguardo fin quando non lo vidi scomparire tra la folla. Alla sua assenza già mi mancava.

Louis non spiccicò parola fin quando non mi cinse le spalle e non mi accompagnò in mezzo alla folla. Anche questa volta le persone si allontanarono per lasciarci passare, ma ormai non ero più imbarazzata perché avevo il mio cavaliere accanto.

Appoggiò la mano sinistra alla mia schiena, dandomi una piccola spinta per avvicinarmi al suo petto, sollevò l’altra mano con la mia all’altezza del suo mento, l’altra mano non mi lasciò la schiena, seguii il suo passo ed insieme ci ritrovammo a roteare in mezzo alla pista da ballo.

I petali candidi delle ghirlande cadevano sopra le nostre teste come neve, ogni tanto Louis me ne levava qualcuno sopra i miei capelli con estrema delicatezza per non rovinarmi i boccoli, e le piccole fiammelle volteggiavano intorno a noi come alle altre coppie; andavamo al passo con la musica lenta, dolce ed accogliente del cortile. Non mi chiesi mai da dove provenisse, tanto non mi importava nient’altro che stare tra le braccia del mio fidanzato. La musica la finimmo con gli sguardi, con i sorrisi, e con un certo imbarazzo dopo che mi accorsi che eravamo solo gli unici, tra quella cerchiata di gente, a danzare. Come se fossimo solo noi la coppia di ballerini perfetta di tutto il castello, per un raro momento cominciai a crederci. Solo all’inizio di una musica più armoniosa- valzer- si unirono a noi alcune coppie che riconobbi subito: Mattew e Lilly, Hora e Jessica (con mia sorpresa) e Paul e Jennifer. Quest’ultima mi diede una certa irritazione che per un momento avrei preferito smettere di danzare. Per fortuna quella sera Jennifer- forse era lei la causa ti tanta irritazione- non mi degnò di uno sguardo. Ma a Louis non sfuggì niente.

“Tranquilla, possiamo anche smettere di ballare’’

“No, ti prego, mi piace ballare. Soprattutto quando ci sei tu’’, ed i effetti era vero. Ballare era sempre stata la mia passione fin da piccola. Se non avessi mai avuto tanta intelligenza, a quest’ora di piedi ne avrei pestati di tutte le forme; dopotutto grazie al mio precoce sviluppo mentale non mi servii neanche le lezioni da mamma che già ai primi mesi del mio primo anno di vita sapevo ballare alla perfezione il valzer.

Jessica per quante volte ci girò intorno, insieme a Hora, mi rivolse sorrisi di incoraggiamento, che io ricambiai. Era bello sapere che c’era qualcuno che godeva della mia felicità, oltre al mio ragazzo. Pensavo che durante il mio cambiamento del mio stato di parentela con Alucard avrebbero iniziato ad ignorarmi, invece andò tutto liscio. Questo accese in me una scintilla di speranza.

“Alexia, sei felice?’’, mi chiese di sorpresa Louis.

Lo guardai torva. “Certo, insieme a te sono sempre felice’’, risposi.

Mi guardò serio per qualche secondo, mentre io lo guardavo perplessa. “Hai appena chiamato Drakon….papà’’, l’ultima parola la pronunciò con determinata irritazione.

Oh, oh, oh. “E allora?’’, chiesi fredda. Si cala il sipario.

“E allora?! Alexia, non ti rendi conto che ti ha abbandonato? Che non si è mai deciso di…?’’

“Puoi pensare quello che vuoi. Io lo amo, ora tutto è perfetto’’, lo interruppi decisa. E la faccenda si poteva anche concludere lì.

Mi guardò freddo, digrignando i denti. “Stai superando il limite. Basta solo che Paul sa di questa cosa e…’’

“E tu ti lasci comandare da Paul? Non ti facevo così….bambino, sinceramente. Dovrebbe comprenderti come un amico, invece non fa altro che dare ordini, ordini e solo ordini. Non è lui il capo del nostro gruppo, e tu devi stargli lontano ed ignorarlo quando ti ordina qualcosa è chiaro? Devi pensare anche alla tua vita, non lasciarti comandare come uno…schiavo. Tu non sei lo schiavo di nessuno’’

Rimase zitto, stringendo la mascella mentre mi non smetteva di ballare.

“Senti, fino ad ora ho vissuto il momento più felice di tutta la mia vita, ed ora…ecco, più o meno stai uccidendo la mia allegria, Louis, solo perché pensi a quello che farà King Kong! Lascialo perdere, lui può comandare le nostre forze ma non può mai comandare il nostro amore, perché il nostro amore è profondo e vero. Ed è appunto questo che Paul irrita, che una coppia sia felice’’

“Non voglio che ti faccia del male ’’, disse a voce smorzata.

Gli accarezzai la guancia con la mani libera. “Sei divertente. Tu credi che uno come lui po’ distruggere una come me? Prima che questo accadesse, ci dobbiamo trasformare tutti i cenere’’. Lo feci ridere. “E se farà del male a te io sarò pronta a combattere per te, perché sei la mia unica ragione di vita’’

“Ti amo ’’, mormorò, gli occhi pieni dal rimorso e di un dolore che non riuscii a comprendere.

“Tu sei tutta la mia vita, ora più che mai’’, dissi.

Si sporse per baciarmi, mentre intorno a noi si elevavano sguardi sorpresi, curiosi ed emozionanti, fummo accolti dal ripetersi di flash delle macchine fotografiche. Ma io le ignorai, ignorai tutto quello che ci circondava: il tempo, la sera, gli invitati, il castello….Ricordavo solo che baciavo il mio principe azzurro mentre mi dondolava appena sul posto, che fui colta dalla verità delle mie parole: niente e nessuno c’avrebbe mai potuto separare. E che non esisteva oltre di più importante di lui nella mia vita. Quando smise di baciarmi fummo colti da un applauso interminabile, fischi di ogni genere, e lui mi teneva stretta a se come se fossi il suo tesoro.

“Sembra il mio matrimonio piuttosto che un compleanno d’un vampiro’’, risi, quasi imbarazzata.

Anche lui rise. “Quando ti porterò all’altare desidero che tutto sia proprio così: ghirlande, lucciole e robe varie….fiammelle. E tu’’

Mi baciò un’altra volta, questa volta il baciò fu veloce ma comunque affettuoso, e ritornammo a seguire il passo in silenzio, guardandoci più intensamente di prima; in quel silenzio, ognuno riusciva a capire le emozioni dell’altro. Non immaginai un momento più bello di quello che stavo vivendo adesso. Alla fine della musica, partì un altro applauso, questa volta più grande. Tra la folla, vedevo mamma che si asciugava le lacrime, Hendrik aveva gli occhi lucidi, Drakon tirò un fischiò alla pecorara facendo tappare le orecchie di chi gli stava vicino. Mi piegai in due dalle risate.

Poi quando un’altra musica rimbombò tra le mura del cortile, Alucard si fece avanti.

“Potrei ballare con la mia sorellina? Dopotutto è il mio compleanno, mi deve concedere almeno un ballo ’’

“Certo’’, disse Louis. “Puoi concederne quanti ne vuoi, basta che dopo me la riporti viva’’, una nota di freddezza macchiò la sua educazione.

Per un attimo ci rimasi di sasso, l’unica cosa che mi veniva in mente era “geloso”, ma quando mi fece l’occhiolino sospirai rilassata, anche se in realtà non lo ero affatto. Raggiunse rapido Mattew e Jessica che ci stavano guardando.

“Mi concedi l’onore di questo ballo?’’, chiese Alucard, strizzando l’occhio e tendendo la mano verso di me.

Arrossii. “Sì, quante ne vuoi’’, accordai, porgendogli la mano.

E incominciammo a ballare lentamente, come lenta ed armoniosa era la musica. Anche con lui ballare era facile più di quanto pensassi, chiedendomi altrettanto quali dei due fosse più perfetto come ballerino- tra Louis e Alucard- ma ovviamente pensai subito a quell’imprevedibile del mio fidanzato, ignorando appunto il fatto che Alucard, non so come, era il più preciso.

“La mia presenza ti da fastidio?’’, chiese ad un certo punto. Infatti ero sempre concentrata a trovare Louis con lo sguardo più che seguire il passo, rischiando più di tre volte di inciampare addosso a lui.

“No, certo che no, è solo che sono confusa. È possibile che un vampiro entri in stato di shock?’’

Rise di cuore. “E perché mai?’’

“Sono successe tante cose belle questa sera: prima di tutto aver superato un arresto cardiaco…’’, lo feci ridere un’altra volta. “Poi l’incontro con nostro padre, e la consapevolezza che il mio futuro sarà più bello che mai. Ma a tutto questo credo che devo rendere solo grazie a te. Grazie, Alucard, se non fossi arrivato tu….Tutto questo non sarebbe successo’’

Mi baciò dolcemente la fronte. “Sono felice che tutto si sia risolto. Ma stai allerta, mai dire mai’’

“E per quel bacio…’’

Si rabbuiò. “È stato un errore madornale’’, disse, scuotendo la testa per scacciare via quel ricordo.

“Sono in grado di perdonarti, e dispiace anche a me…per aver litigato’’. Avrei tanto voluto che quel litigio non fosse mai successo.

Sorrise per accordarmi, ma poi il suo sorriso si spense: non per il ricordo ma per il dolore.

“Che cos’hai?’’, chiesi preoccupata.

Mi guardò con decisione. “È tutto finito per te? Ora ti bastava solo questo per essere felice? Vuoi che me ne vado…che non vengo più a trovarti di notte? Cambiamenti superati uguale vittoria?’’, e continuò a parlare finché non vide il mio viso trapelare dall’orrore. Non avevo considerato a tutto lo sforzo che fece con me per farmi arrivare fino a quel punto, prendendo più in considerazione un futuro insieme con Louis e metà con Alucard. Ora mi resi conto che non potevo cancellare alcune cose, non potevo lascarlo anche se la mia vita andava bene così, anche se il mio padre biologico avrebbe cominciato a far parte della famiglia; dopotutto, anche i momenti notturni passati insieme a lui mi rendevano felice, e se mi li sarei lasciata alle spalle….lo avrei dimenticato. Questo non mi creò altro che una fitta al cuore.

“No, certo che non finirà mai quelle sere passate insieme a te. Io le voglio ancora’’, dissi con un sussurro.

“E se dopo dimenticherai Louis?’’, insistette.

“No, lui è tutta la mia vita, non lo dimenticherò mai’’

“E io cosa sono per te?’’, mi zittì.

Anche se la risposta era semplice non riuscii a pronunciare le parole. Era ovvio che lo consideravo come un fratello, più che un fratellastro, ed era il mio migliore amico. Avrei potuto dirglielo a parole chiare, ma sapevo che infondo…infondo non erano vere. Dubitai della mia consapevolezza di amarlo come un fratello, dubitai fino in fondo fino a non crederci più. Pensai a Louis: il ragazzo della mia vita che ora mi vedeva danzare con quel ragazzo perfetto e impeccabile. Pensai a mamma: alla sua grande scelta di abbandonare Drakon per un grande patto: restargli amica, ed unirsi un anno dopo con Hendrik. Fu in quell’istante che mi chiesi: quanto amava Hendrik? Ripensai alle sue parole prima del mio diciottesimo compleanno: “Lo amavo anche io, tesoro. E lo amo tutt’ora’’. Però ama anche Hendrik, insieme a lui hanno avuto Consuelo ( la mia lupacchiotta: come certe volte la chiamavo io).

La scelta di mamma….l’amore che provava per Drakon e quello di papà…erano uguali? E quello che provavo io per Louis e Alucard? La risposta venne da sola. No. Certo che no. Amavo alla follia Luois, mi faceva sentir parte di un mondo magico, e parte di se, ma dopo che era arrivato Alucard iniziava a scontrarsi contro di lui, innocente e buono, costretto a tenere la sua tristezza dentro una cella del suo cuore per non farla scoprire da nessuno. Da me sì, solo da me. Louis odiava Alucard, anche se si sforzava di apparire gentile, in lui leggevo l’odio più crociale. Insomma, cosa c’era di minaccioso in un vampiro innocente? Niente, assolutamente niente.

Poi feci la piccola lavorazione, unendo tutte quelle settimane che mi avevano tenuta insieme a lui, tutti le parole intense che avevo dimenticato, tutti le nostre risate, la sua dolce ninna nanna, l’affetto che mi trasmetteva anche se lo ostacolavo in quei giorni di delirio. Scoprendo che gli feci male, molto male. A quel punto cominciai a pensare, senza inciampare o sbagliare un passo, perché tenevo il controllo sia sul passo sia sulla ragione. E Alucard aspettava, leggeva la mia espressione.

“Mamma….Hendrik e Drakon….Mamma gli ha fatto sicuramente molto male quando lasciò Drakon, e poi si unì con papà. E lo amava intensamente ora come ora. Ma Drakon…Il suo amore rimane lo stesso anche se c’è la lontananza a far male. Gli fa male, molto male. Ad entrambi fanno male. E a me farebbe male se mi staccassi da Alucard per unirmi a Louis, o Louis per unirmi ad… Alucard ha avuto una vita solitaria fino a questo punto, quando abbiamo iniziato a frequentarci ha capito che l’amore non è impossibile. La sera del mio compleanno, Alucard mi guardava…cosa guardava in me? E poi il suo contatto sulla mia pelle mentre mi agganciava la collana’’, mi toccai allo stesso tempo la collana che mi aveva regalato mio padre, desiderando che ci fosse quella di Alucard al posto suo. “ Il suo sorriso sghembo è bellissimo. E la sua vicinanza dopo che aveva sfiorato la collana…e le farfalle al ventre. Le farfalle! Le farfalle non era di certo una finzione. La sua ninna nanna, i suoi abbracci…E quel bacio….Il suo bacio era così tenero, dolce, sapeva di vaniglia...buono. Se dimenticassi tutto, sarebbe la cosa migliore, ma se io non volessi dimenticare? Se quel bacio fosse stato una necessità e non uno sbaglio? Io lo avevo lasciato fare quel giorno, senza arrabbiarmi oppure piangere e rimproverarlo. Lo avevo lasciato fare’’

Ero tanto immersa nei miei pensieri che non mi accorsi che ora si era riunita una folla di ballerini in quella cerchiata vuota, e non mi trovavo più a tenere il ritmo della musica su quella pista, ero vicino alla scalinata con lui, al buio: il tetto arcato di radici e ghirlande era distante da noi quattro metri, facendo si che il buio ci assorbisse nella notte. Lui mi aveva trascinata, ballando, verso quel posto oscuro.

“Alexia’’, mi chiamò dandomi uno strettone, ma io non ci badai. Anzi, non lo sentii proprio perché non avevo più la sensibilità degli arti, e guardavo il terreno, terrorizzata.

“Ma non può essere, no. Io, amo Louis, punto. Non c’è nessun’altro che lui nel mio mondo. Quello che mi ha fatto Alucard lo apprezzo molto e gli devo tanto per questo. Forse troppo. Forse la mia stessa vita…la mia vita. Il mio cuore, il mio amore. Ma io amo Louis, anche se avvolte è imprevedibile, lui e io ci troviamo bene. Tutto si può aggiustare col tempo, tutto ritornerà normale. E il nostro amore durerà per sempre, in terno….Troverò un modo per farlo durare in eterno. Forse lo trasformerò….Ma no! Non voglio, non posso. E lasciarlo morire? Io…io non posso vederlo con lui. Avere una vita eterna insieme a lui è sempre stato tutto quello che avevo desiderato. Ma…io morirò? E Alucard? Alucard dopo come vivrà? Troverà mai una ragazza come me: imprevedibile, dolce, sorprendente, un po’ sbruffona ma simpatica, amante della natura, che ci tiene a lui? Infondo, aveva tutta l’eternità davanti, ma l’eternità è orribile se passi tutta questa eternità da lupo solitario. Se dovrei lasciarlo un giorno…Io non voglio lasciarlo, non voglio vederlo triste….Lui è importante per me. Ma è tanto importante più di quanto lo è Louis?’’

Sentii un altro strettone, ma non sentii neanche questo.

“Alucard…quel bacio….e le farfalle alla pancia. Mamma che ama Hendrik, ma ama anche Drakon. Io che amo Louis, ma….” Oh. Oh!

Un’altra pressione e questa volta la sentii. Soffocai un urlo e finalmente lo guardai. Era bello, più bello alla luce della luna.

“Non mi hai risposto ’’, disse calmo, oltre il buio vedevo trapelare la preoccupazione. Di sicuro non avevo una bella espressione.

“Ehm…cosa?’’, chiesi confusa.

“Cosa sono per te?’’, ripeté, scandii ogni parola con lentezza, come se stesse parlando con una ritardata.

“Ehm… Tu sei…’’, ma mi fermai lì, sentii dei passi avvicinarsi a noi.

Accidenti! Hora e Jessica.

“Ehi! Vi divertite?’’, squittì Jess mettendosi fra il nostro spazio che ci separava.

“Certo’’, farfugliai, fingendo di essere divertita.

Jess si rivolse a me. “Ehm…ti dispiace se ballo un po’ con il tuo fratellastro’’

“Non avevi deciso di perdere il piano: “Facciamo innamorare il fratellastro di Alexia alla sottoscritta?’’, pensai. Ma dopo, di malavoglia:

“Sì’’

“Grande! Tranquilla, te lo riporto indietro’’, ammiccò.

Intanto Hora mi si era fatto accanto. “Ci conto!’’, recitai una risata. “E Louis dov’è?’’, chiesi dopo cercando di riconoscere il suo viso oltre le coppie di ballerini.

“Ehm…Vuoi sentire la buona notizia o la cattiva notizia’’

Stranamente, intuii una terribile risposta. “Vai con la buona, tanto vale esplodere di rabbia prima che ora’’

Esitò per qualche secondo. “Va bene, la buona notizia è che…vuole concedere un solo ballo a….’’

La fulminai con lo sguardo. “A chi?”

Deglutì. “A Jennifer’’

“CHE COSA?!”, ruggii.

“Lo sapevo che non era una buona notizia’’ disse fra se, scuotendo la testa.

Strinsi i denti, mentre i miei muscoli cominciarono ad irrigidirsi. Brutto segno. “E la pessima notizia qual è?’’

“Be’, mi pare di avertela già detta: sta ballando con Jennifer’’

Guardai furiosa le coppie che ballavano nel cortile, e finalmente li vidi: sorridevano e…si divertivano. Ringhiai dal disgusto.

“Stai calma Alì’’, disse Hora accarezzandomi la spalla. Poi si rivolse al mio fratellastro. “Pensi che ce la farà a non dissanguinarli tutti? Non ha una bella espressione’’

“Gli conviene, altrimenti mi guasterà la festa ’’, disse guardandomi da vicino. “Tranquilla, è soltanto un ballo ’’, mi consolò, accarezzandomi le guance. Infondo, aveva ragione, era solo un ballo. Ma c’era un non so che….mi dava disgusto vederli insieme. E come Louis sorrideva a lei. Certo, per lui era come une sorella, ma quel sorriso non mi piaceva per niente.

Afferrai con velocità la mano di Hora e lo trascinai fino alle persone che ballavano.

“Adesso gli faccio vedere io a quel…’’

“È solo un ballo, accidenti, Alexia! Che ci trovo tanto brutto d’un ballo?’’, mi chiese lui scuotendo la testa. Ormai c’eravamo uniti al gruppo, e danzavamo al ritmo di musica.

“Non mi piace che gli sta attaccata come un francobollo ’’, sputai dopo un secondo di silenzio.

Per la via, incrociammo Jessica e Alucard che ci lanciarono un sorriso, ricambiai. Ma a Louis e Jennifer non riuscimmo ad avvicinarci se non di sei metri o di più. Non si accorsero mai di noi.

“Voi femmine! Siete impossibili’’, rise dopo Hora scuotendo la testa.

Alla mia occhiataccia, alzò le spalle. “Va bene, mi arrendo’’, disse infine.

E ritornammo a ballare in silenzio, era divertente ballare con Hora: mi faceva fare giravolte, casquè, e tutti ridevano e applaudivano. Era un ottimo ballerino.

“Senti, ma secondo te a Jessica io piaccio?’’, mi chiese dopo un lungo intervallo di silenzio.

Scuoti la testa, divertita. “Ma certo che sì’’

“Sì…ehm, sul serio? È che da quando è arrivato il tuo fratellastro…si è invaghita di lui; devo ammettere che un po’ ha ragione: è bellissimo’’, disse con tristezza.

“E tu non sei bellissimo?’’, chiesi.

Lo feci arrossire. “Grazie’’, disse imbarazzato.

“Tranquillo, ormai ha te fra i piedi. Dovrà stare attenta se vorrà mettersi con un vampiro’’, lo dissi con disprezzo. “E comunque credo che Alucard non ha intenzione di farsi una ragazza. Per il momento, almeno’’

Sospirò di sollievo. “Che fortuna!’’

Ridemmo entrambi divertiti. E poi di nuovo silenzio, meglio così: non volevo entrare nella così detta: “Conversione amorosa’’, già la mia aveva subito una inclinazione che solo ora potevo accorgermi. Per tutta la danza con Hora lanciai degli sguardi furtivi a Alucard, immaginandomi allo stesso tempo fra le sue braccia e guardare ammirata il suo sorriso angelico che ora rivolgeva a Jessica. Provai un pizzico d’invidia.

Alla fine del ballo Jessica ritornò dal suo Hora e Alucard ed io ci unimmo alla nostra famiglia.

“Vedo che vi divertite’’, disse mamma.

“Sì, adoro ballare’’, risposi lanciando ad Alucard un sorriso trionfante. Poi ritornai a mamma. “Tu non hai ballato?’’, le chiesi.

“Certo, con mio marito, e con Drakon. Ma soprattutto con tuo padre’’, disse rivolgendo un sorriso ammiccante ad Hendrik. Lui gli restituì lo sguardo e gli schioccò un bacio sulla fronte.

“Papà, posso ballare con te?’’, chiesi ad Hendrik.

Mi prese subito per mano. “Qualunque cosa, per la mia principessa’’, disse accompagnandomi tra la folla. Anche con papà era facile ballare, ma non era tanto preciso con il ritmo- certe volte si impennava- ma non m’importava. L’importante per me era divertirmi.

Mi appoggiai al suo enorme petto, sapevo cosa stava provando: mi avrebbe voluto bene per sempre.

“Ti amo tanto papà’’, dissi, avevo gli occhi chiusi, comoda contro la sua maglia.

“Anche io ti amo, piccola, per sempre’’, rispose lui.

“Sarai sempre il mio papà prediletto, lo sei sempre stato’’, ripetei con voce smorzata. Avevo i nodo in gola.

“Dai, via quelle lacrime da coccodrillo, so bene che mi cambierai con nessuno’’, disse asciugandomi le lacrime.

Fortunatamente mi capiva, non riuscivo a considerarlo come un padre a “tempo determinato”, infondo era stato lui a crescermi come una figlia. Mi piaceva di più Alexia Kennedy, e Alexia Paterson mi avrebbe fatta sentire…. Non dico che non mi piace come cognome. Ma….ormai il mio vero cognome era quello dell’uomo che stava ballando insieme a me.

Al fine del ballo insieme a lui, cedetti subito il posto alla mia sorellina. Per fortuna gli avevo insegnato io a ballare (mamma non era mai stata a capace fin quando non gli aveva insegnato papà), ballava splendidamente, come una ballerina.

“Mi parli del regalo ’’, disse eccitata.

“No, è una sorpresa’’, dissi io, facendole l’occhiolino.

“Ti prego, ti prego, ti prego!’’, supplicò, saltellando. A quel punto c’eravamo fermate.

“Dopo lo vedi. Se te lo dico lo vai a spifferare ad Alucard. Con te non è facile tenere un segreto ’’

Strizzò gli occhi. “Guarda che sono stata capace di tenere quella storia del bacio fino ad oggi’’, incalzò. Lo ammetto, era astuta.

Mi strinsi alle spalle. “Dopo te lo dico ’’, promisi. E mantenni la promessa.

Finito di ballare con la mia lupacchiotta, fui fermata da Louis.; accettai  controvoglia, dando uno sguardo repentino a Jennifer che stava all’altro capo del cortile.

Cominciammo a ballare, accanto ad altre tre coppiette. Per qualche minuto non lo fissai.

“Ok, adesso devi dirmi che ti succede’’, cedette lui.

“Vedo che ti stai divertendo tanto’’, sputai. Lui all’inizio mi guardò perplesso, poi sorpreso, poi rise.

“Sei incredibile! Gelosa’’

“Non mi avevi detto che avresti ballato con lei’’

“Quella “lei” si chiama Jennifer ed è la mia migliore amica’’

Digrignai i denti. “La tua migliore amica deve imparare a guardarmi di meno se non vuole farsi spaccare l’osso del collo’’, ruggii piano.

“Sei così bella quando ti arrabbi’’, disse, punzecchiandomi.

Avrei voluto dirgliene quattro, giusto per scacciare il rossore dal viso, ma fui fermata dalle sue labbra che mi baciarono con foga. Me lo scansai con forza, mostrando i canini.

“Lo devi sapere ormai. Ti amo, e non ti cambierei per nessun’altra al mondo ’’

“Ma le sorridevi come se l’amassi’’, ribattei.

Lui sbuffò. “Lascia perdere, okay? Era solo un sorriso’’

“Mi ami?’’, chiesi seria.

Mi guardò torvo. “Certo che ti amo ’’

“Quanto?’’

Ma lui non mi rispose, ritornò a baciarmi più dolce di prima; capivo che mi amava, ma a quel punto avrei voluto sapere quanto era grande il nostro amore, il sorriso che aveva rivolto alla sua amica non mi piaceva. Soffocai un singhiozzo.

“Ti amo ’’, gli sussurrai, dandogli un altro bacio.

“Tu sei tutta la mia vita’’, disse.

Ritornò a baciarmi, con la stessa intensità del bacio precedente. Solo tardi me ne accorsi: che quel bacio c’era nascosto qualcosa di triste.

“Forse il rimorso di aver ucciso per un momento la mia felicità’’, pensai quando ritornai alla mia famiglia, ma minuto dopo lasciai perdere e il mio pensiero se ne andò via come fumo nell’aria. E mi divertii.

Per tutta la sera non avevo mai concesso ai miei piedi una pausa, ballai con tutti i miei amici, la mia famiglia, perfino con i miei compagni di classe che conoscevo appena. Non mi fermai mai, mai, mai. Era così bello e divertente ballare. Quella sarai avrei dovuto superare il record di migliore ballerina se solo ci fosse stata una gara. Ma l’unica cosa di cui poteva farne il mio trofeo era i mille applausi e flash che mi scattavano. Mi faceva sentire Miss Solemvill. I flash aumentarono quando Drakon mi invitò a ballare. Accettai di cuore, e lo seguii in mezzo all’enorme spazio ovale.

“Ho saputo che hai imparato a ballare da sola, per cui ero curioso di vedere come te la cavi’’, disse mentre mi faceva fare un piccolo giro su me stessa, ritrovandomi infine contro il suo petto; la mia mano destra teneva la sua e l’altra era appoggiata sopra la sua spalla larga.

Ballare con lui era come ballare con un ragazzo…come Alucard. Su per giù aveva la stessa età del figlio, era difficile credere che fosse mio padre, era così giovane, imprigionato in eterno da quel corpo da ventenne. Presto il flash diventarono ripetitivi da farmi credere che ce ne fosse soltanto uno. Mi distrassi dal viso bellissimo di mio padre. La reazione tale ed uguale quel giorno di tanto tempo fa, quando si presentò alla mia porta un ragazzo pallido, affascinante come un angelo. Lui era così: il mio secondo angelo delle tenebre.

“Sei bravo a ballare’’, lo complimentai, quando la mia lingua si era decisa a muoversi.

Rise sotto i baffi. “Ho avuto parecchi anni di tempo’’

“Già. Sei fortunato, in tal modo mi sentirei io la fuori classe per il ballo dato che ne conosco solo pochi. Invece tu ne conoscerai più di me’’

“Ne dubito ’’

Mi concessi un piccolo intervallo di silenzio, era così bello restare a guardarlo, i suoi occhi erano intensi come i miei. Mi ipnotizzavano.

“Posso farti una domanda?’’, chiesi dopo.

“Sì’’

Sospirai. “Come hai conosciuto mamma?’’

Sorrise. “Mi pare che tu sai la storia meglio di me’’, mi stuzzicò.

“Me lo ha raccontato mamma, ma io voglio sentirla da te ’’

Rimase in silenzio per quindici secondi, pensieroso, e poi ritornò a parlare. “Tua madre aveva diciotto anni, io ne avevo novecentosessantatre. Adesso ne ho novecento ottantuno. Mi trovavo a passeggiare per Solemville….a quei tempi avevo molte amicizie e mi ritrovavo ad uscire sempre di notte. Alucard invece era intenzionato ad uscire solo quando cacciava o….voleva passeggiare per conto proprio’’, diede uno sguardo ad Alucard che sicuramente ci stava ascoltando. “Era l’estate del 1954, me lo ricordo come se fosse ieri’’, vedevo i suoi occhi fissare il vuoto: ritornava a quel tempo. “Era notte, ovviamente, il cielo pulito, era una sera di festa ma non ricordo perché; forse per un compleanno, chi lo sa. Mentre vagavo tra le strade affollate mi imbattei in un pozzo dove erano sedute alcune ragazze; tra loro c’era tua madre. Le sue amiche mi invitarono a parlare con loro, ma tua madre restò alla larga da me. Subito mi colpirono i suoi occhi, profondi e dolci, il suo viso timido e bellissimo. Era simile a te. Lei non si unì al gruppo delle sua amiche, come se capisse cos’ero. Infondo lo sapevano tutti. Si passava i capelli fra le spalle, annuiva, e poi mi dava degli scatti veloci che mi lasciavano sempre di sasso’’, rise. “Quella notte riempii il secchio d’acqua- capivo che era un modo per sfuggirmi- e se ne andò, a testa bassa, dal pozzo. La mattina seguente non feci altro che pensare a lei. Lo raccontai anche a mio figlio ma naturalmente non poté crederci, pensava che fosse una sciocchezza, e cominciai a dubitarne anche io. Come poteva un vampiro….un mostro come me innamorarsi di una creatura così innocente e fragile? Era impossibile. Per sette giorni non uscii dal castello, ma la lontananza era un’euforia, mi soffocava, fino a che non cedetti e uscii dalle mura per ritornare in quel pozzo. Non la trovai, ma c’erano le sue amiche che chiacchieravano. Vedessi come c’erano rimaste di stucco quando chiesi di tua madre’’, rise divertito. Mi unii allegramente a lui. “Mi dissero che stava a casa, si occupava della sua sorellina. Ehm…Rebecca, si chiama, giusto?’’, mi chiese, incerto.

“Sì, zia Rebecca’’, risposi. Era l’unica sorella che mia madre avesse avuto. Era come una figlia per lei, come Consuelo per me, ora era felicemente sposata con  tre figli: un maschio e due femmine. Abitava ad un paesino distante da Solemvillle.

“Trovare la sua casa non fu difficile, bastava seguire la scia del suo odore. E la vidi, seduta su una veranda, addormentava la bambina di due anni fra le sue braccia; rimasi a guardarla affascinato, il suo odore era più intenso e squisito con quella vicinanza. Tre minuti dopo attraversai la staccionata che mi separava da lei, attraversai il giardino e salii le scale del portico. Per fortuna era sola….con al sorella, quindi non avevo alcun motivo di essere respinto con crudele maleducazione. Ammesso che non lo avrebbe fatto lei. Invece restò seduta, più che altro impietrita.

Avrei voluto sentire la sua voce, ma dopo decisi di iniziare io. Feci un inchino e lei fece altrettanto con il capo, mentre teneva fra le braccia la sorella addormentata.

“Buonasera’’, dissi io.

“Che cosa le porta qui, Drakon?’’, chiese decisa tua madre. Non mi aspettavo che pronunciasse il mio nome, quindi rimasi sorpreso.

Per non crearle imbarazzo, mi sedetti nella veranda, il più lontano possibile da lei.

Io mentii. “Assolutamente niente. Sono venuto a fare solo una passeggiata…e lei?’’

“Non c’è motivo che le risponda, può notare lei stesso’’, sollevò appena il corpicino addormentato di Rebecca.

“Certo’’, risposi io. Devo ammettere che tua madre mi aveva impressionato quel giorno: mi aspettavo che si sarebbe lasciata distrarre dalla mia bellezza invece….restò così attenta, rigida, e decisa. Chissà perché, mi ricorda qualcuno’’, e si rivolse a me, strizzando l’occhio.

“Credo che ti sbagli’’, ammisi, arrossendo.

“Gli assomigli così tanto, sei proprio lei da giovane…Be’, devo dire che sei tutta lei a parte i capelli e gli occhi che hai preso da me’’, precisò, fiorandomi appena la guancia.

“Continua. Dopo come hai fatto ad entrare in amicizia con mamma?’’ chiesi, curiosa.

“Diciamo che non è stato facile, era una tosta, ma anche timida quando si trovava fra le strade di Solemville. Io la incontravo quasi ogni notte, lei si dava da fare per creare una scusa per sfuggirmi ma io la seguivo sempre, quindi per lei era impossibile creare una certa distanza’’, sorrise vittorioso. Sorrisi anche io, immaginando mamma che farfuglia una scusa per tornare a casa e che viene inseguita da Drakon un secondo dopo.

“Quindi era difficile socializzare con lei’’, affermai io.

“Nei primi mesi sì, poi quando ha capito che non l’avrei mollata per niente al mondo cominciò ad avvicinarsi a me. E così riuscii a diventare l’unico vampiro amico di un umana’’, disse comico.

Risi appena. “E il vostro primo bacio? Naturalmente non si sarebbe mai aspettata di essere baciata da un vampiro’’

“Credo che sia l’incontrario: lei ha baciato me’’

Sbarrai gli occhi. “Cosa?’’. Oltre la gente sentii la risata di Alucard. Lo ignorai.

Anche papà rise. “Sì, mi ricordo che eravamo usciti da una salone. L’avevo invitata a ballare più di tre volte. Poi passeggiammo per le strade, da soli, a braccetto. Parlammo di tante cose, così tante che ora non mi ricordo, scoprendo che era una maniaca della moda’’

Alzai gli occhi al cielo. Povero Drakon, chissà quanto lo aveva tormentato con quelle cose. “E poi?’’

“Poi…non so perché, abbiamo smesso di parlare. Ci sedemmo su una panchina a guardare le stelle, ma come sai sono un romanticone: quindi non riuscii a staccare gli occhi da tua madre’’, ammiccò lo stesso sorriso angelico di Alucard da farmi credere che avessi proprio lui come compagno di ballo.

“Era così bella?’’, chiesi affascinata.

“Non sai quanto’’, diede uno sguardo al suo amore e poi ritorno da me. “Non ha mai smesso di essere bella’’

“Già, lo immagino ’’, dissi guardando mamma. La vidi accennarmi un sorriso di incoraggiamento, anche se non sapevo perché.

“È bella come te ’’, aggiunse, facendomi arrossire di nuovo.

“Grazie, papà”, dissi. “Continua. Non riuscivi a staccare gli occhi da mamma….’’

“Ah, già! Dopo si accorse di sentirsi osservata si girò verso di me. Mi chiese perché la stavo guardando, mi pare che la risposta la conosci anche tu. Poi di nuovo silenzio, la guardavo e lei guardava me. Forse passò molto tempo da quando decide di avvicinarsi a me, e mi baciò’’

Nonostante fui affascinata dal suo racconto, lo immaginai talmente bene che mi uscii un sorriso imbarazzato. “Wow! Deve essere stato…un momento magico per te ’’, mormorai.

“Forse per entrambi’’, corresse, facendomi l’occhiolino.

“Hai ragione’’, dissi. Poi la curiosità si fece nuovamente sentire. “E dopo quel bacio?’’

“Dopo quel bacio….mi sentivo il vampiro più fortunato della Terra ’’

Risi, mentre un flash mi accecò. “Ti capisco, anche io mi sento la vampira più felice della Terra, insieme a Louis’’

“Imparai a conoscere la sua famiglia, mi aspettavo una rissa invece mi accolsero come il loro figliuol prodigo, poi Kate conobbe Alucard, per lui fu come una madre. Lo trattava come un figlio, lo amava, sembrava che non gli mancasse niente ormai. Alucard si sentiva apposto ’’. Oltre le spalle di mio padre, vidi Alucard sorridere di approvazione.

“Finché?”. Mi pentii subito d’averlo detto.

“Finché una notte…’’

Sbiancai. “Ah’’

“E rimase incinta di te ’’

Proseguii una lunga pausa, pensai di averlo ferito, il suo sguardo era pieno di tristezza e rabbia. Poi ritornò a parlare.

“Non avrei immaginato di….Non avrei mai pensato che….non fossi stato così….attento, non me lo sarei mai aspettato. Infondo, sapevamo il rischio che avesse corso, però lei ti voleva. Voleva quel bambino che ancora non si sapeva se era un….’’

“Mostro’’, dissi io. Si mise a guardarmi dispiaciuto.

“Non volevo lasciarla, non volevo che se ne andasse dalla mia vita. Era tutto per me….E quella creatura che nasceva dentro la sua pancia…eri tu. E ti voleva. Era inconcepibile crederci, ma ti voleva. Ti amava con tutta se stessa c0me un vero figlio. Ti aspettava da tanto tempo come se fosse stato un’eternità. Le supplicai più di dieci volte di abortire ma non ci fu verso. Avrebbe preferito morire piuttosto che ucciderti. E io avrei preferito morire quando seppi che mentre crescevi nel mondo umano, mi volevi conoscere, sapere com’ero…. E poi ti ho vista, fra le braccia di Alucard: il giorni del parto. Eri bellissima, un corpicino piccolo e perfetto, roseo pallido, si nascondeva oltre quella pelle macchiata di sangue. E avevi i miei occhi. Ricordo che mi sorrisi, mentre tua madre stava per perdere le forze. Ricordo che ti desideravo, tanto che chiesi ad Alucard di prenderti in braccio. Volevo vedere la mia bambina. Nel momento della consegna tua madre soffocò:

“Fammi…Dammi il….mio angioletto”, supplicò. E Alucard la consegnò a lei. Ti ammirò un ultimo istante, fino a che non diede un ultimo respiro e non chiuse gli occhi. Ed io, immobile come…un’incapace, guardavo te, anche se ero stato fin dall’inizio pronto a trasformare tua madre. Ma tu mi avevi ammaliato dalla tua bellezza. Ti presi in braccio, mentre tu rantolavi sul corpo morente di tua madre per volermi accanto. E intanto Alucard cercava di salvare tua madre. Mi sorridevi, mi accarezzavi il viso, ma poi ti girasti verso tua madre, ti dimenavi fra le mie braccia. All’inizio non capivo cosa volevi dirmi così ti avvicinai a Kate e tu le toccasti la guancia. Dalla tua manina uscii un bagliore che si sparse per tutto il corpo di tua mamma, poi quando la luce svanì lei respirava. Era quella piccola creatura fra le mie braccia ad averla salvata. Tu…Alexia, avevi salvato la mia unica ragione di vita. E non sai quante notti pensavo a te ’’

Lo ascoltavo, mentre le lacrime mi rigavano il viso; mi vergognavo, mi sentivo un mostro, per il male che avevo pensato di lui. Ora ne ero certa, ora mi amava come non avevo mai immaginato.

Mi accarezzò le guance. “Perfino ora mi sembra incredibile che sei diventata così bella’’

“Oh, papà, non credo proprio. Tu sei più bello di me’’

Rise, mi fece fare un’ultima giravolta, e ritornai contro di lui. “Fidati, quando ti dico che sei oltre la bellezza’’, disse questo quando mi fece fare un leggero casquè. E la musica finì.

“Grazie papà’’, disse prima che mi lasciasse la mano, si unì alla mia famiglia in silenzio per lasciarmi sola.

Immediatamente si fece avanti Alucard, avevo da prima un terribile sospetto che avesse preso lui il posto dopo del padre, ci scambiammo un leggero inchino e gli restituii la mano con gioia. La musica partii lenta, fino ad essere più ritmica e gioiosa: era una musica medioevale. Un bel effetto, senz’altro adatto a quel posto.

“Ti diverti?’’, mi chiese, mentre ballavamo a passo veloce.

“Sì, tanto’’, risposi sincera. Mi staccai da lui, girando su me stessa, alzando le braccia come una ballerina. Un secondo dopo sentii le sue braccia avvolgermi mentre lui restava dentro di me. Gli afferrai le braccia per tenerle strette al mio petto.

“E tu, principe?’’, chiesi.

“Certo’’, mi sussurrò e mi afferrò una mano. La tenne stretta mentre disegnavamo un cerchio con i nostri passi veloci, e le nostre mani unite era il centro del cerchio. Cambiammo mano e per fare la stessa cosa. Lo ripetemmo per quattro volte, mentre la musica si faceva lenta. A quel punto ritornammo petto contro petto, e a ballare come prima.

Subito mi accorsi che ci guardavamo con intensità. Certo, non potevo dire che quel momento era bello, però….c’era qualcosa che non mi metteva a mio agio.

“Non mi ha ancora detto che cosa sono per te ’’, riprese. Ah, ecco cos’era.

“Non voglio più pensarci. Ti prego, ti prego, non rendere le cose più difficili. Questa è la tua festa e ti devi divertire’’, tagliai corto, un dolore alla pancia. Lui mi guardava perplesso.

Poi sospirò. “Se solo capissi cosa provi…’’

“Ti voglio bene, solo questo importa’’, lo interruppi. Non volevo rovinare il mio rapporto con Louis.

Strinse la mascella. “Già, forse è giusto così per te? Tenermi nascosto tutto? Farti continuamente del male? Mi sembra che tra fratelli si deve dire tutto, o sbaglio? Secondo te ora è tutto perfetto, ora si risolverà tutto e la tua vita ritornerà normale come prima?’’, lo feci parlare con calma, poi respirai cercando di controllare la rabbia.

“Primo: siamo fratellastri; secondo: ho diciotto anni e faccio quello che voglio; terzo: non ho la minima intenzione di liberarmi di te e papà. Siete entrati nel mio cuore come frecce destinate a colpirmi nell’anima. Mi avete trasformata, mi avete ricostruito un futuro più migliore’’, ed aprii il medaglione a forma di cuore per mostrargli le due immagini. Lui le guardò meravigliato, ma poi ritornò a me serio.

“E per te qual è la freccia più importante tra le due? Chi ti ha colpito dritto all’anima più profondamente tra noi?’’

Deglutii. Mi ci volle molti secondi prima di ritrovare la labbra e muovere la lingua. E lo stomaco ritornò pieno di….farfalle. “Sei tu’’, dissi infine.

Appena in tempo che la musica finisse. Ci scambiammo un ultimo inchino, e mi avvicinai a lui e gli scoccai un bacio tenero sulla guancia, non troppo distante dalle labbra.

“Ti voglio bene’’, gli sussurrai infine, avevo un filo di voce.

Svelta, gli sorrisi e corsi vicino ad Hendrik che mi colse a braccia aperte. Non mi voltai per guardarlo, mi vergognavo molto, non mi accorsi nemmeno che mi aveva seguito.

“Siete stati….straordinari! E i passi perfetti, al ritmo con la musica’’, cinguettò Lilly che mi era corsa in contro e ora mi abbracciava. “Se ci fosse una gara di ballo, vincereste voi due’’. Presto vennero anche Jess e Hora, Louis- che mi venne accanto- con Jennifer e Paul; più tardi Lilly mi fece osservare le foto che aveva scattato mentre ballavo con Alucard. Il cuore mi andò in gola quando vidi la ragazza perfetta tra le braccia del ragazzo perfetto, si sorridevano, anche nell’immagine il sorriso angelico di Alucard era mozzafiato. Sembravano due….

“Neanche farlo apposta sembrate due sposi’’, interruppe i miei pensieri Jessica, ingrandendo l’immagine.

“Già’’, risposi controvoglia, troppo piano perché qualcuno lo sentisse.

Quando passò ad un’altra foto, quest’ultima mi fece mancare il respiro: era la foto scattata mentre lo baciavo alla guancia. E solo ora mi ero

accorta che ero vicino alla sua bocca. Neanche farlo apposta, mancavano solo cinque centimetri per incontrare le sue labbra. Come me, i respiri delle mie due amiche si fermarono per una frazione di momento.

Non osai alzare lo sguardo, perché sapevo che anche Louis, dietro di me, stava osservando la foto. Sentivo il suo sguardo assassino scontrarsi contro la mia schiena. Non lo diedi per vinta, ma mi sentii invadere dall’orrore.

Per fortuna intervenne Consuelo, che spezzò quel momento inquietante.

“Ehi, ragazzi, andiamo a dare i regali a Alucard?’’, cinguettò la bambina, mentre saltellava. Prese per mano le mie due amiche, mentre io mi feci accompagnare da Louis.

“Che cosa gli hai regalato?’’, mi chiese, la voce era calma, però non mi sfuggì rabbia e freddezza.

Feci finta di recitare l’indifferente. “Non è un granché: un piccola collana’’, risposi con un sorrisetto.

Restò zitto.

“E tu?’’, chiesi.

“Delle biglie’’

Lo guardai torva. “Delle….biglie?’’

Si avvicinò con il viso. “Sono delle biglie speciali. Come te ’’, disse strizzando l’occhio, mi prese il mento con le dita e premette le labbra contro le mie. Anche questa volta fu un bacio veloce, mi lasciò l’amore e l’intensità quando mi lasciò, però fu troppo veloce da rimanerci di sasso.

Mi accompagnò alla folla che ora si era riunita intorno alla piattaforma fredda del cortile. Per quanto mi allungai con la punta dei piedi, non riuscii a trovare il volto del festeggiato. Ma in compenso riuscii a trovare mamma e papà, con Consuelo e il nostro sgruppo. Ci unimmo a loro, aspettando che la folla si sparpagliasse tra i tavolini e i lunghi tetti del cortile. Ironia della sorte, fummo gli ultimi. Be’, almeno per me c’era una cosa positiva: potevo fare a meno di quegli sguardi appiccicaticci contro di me.

L’ultima famiglia, riuscii a riconoscerla quando si staccarono dalla fila, era quella di Elisa. La bambina si accorse di me e mi venne in contro. La esaminai la pancia e notai la parte che qualche mese fa era malata, sana quanto quella di un vampiro. La presi in braccio, la tenni stretta per un momento e poi la restituii ai suoi genitori. Il padre mi salutò da lontano, la madre mi lanciò uno sguardo amorevole, lo restituii.

Dopo qualche minuto rieccomi vicino al ragazzo tenebroso d’un quarto d’ora fa. Il padre gli stava dietro, accanto ai suoi piedi giaceva un baule aperto; mi lasciai scappare una risatina. “Povero Alucard, è fortunato con tutti quei regali, ma sfortunato per quanti ne ha in abbondanza. Chissà dove li metterà?”, pensai.

Consuelo fu la prima a darle la scatolina dove racchiudeva l’orologio. Alucard lo aprii e rimase ad osservare l’oggetto macchinario con meraviglia.  Consuelo glie lo mise al polso.

“Così saprai quanto dura il giorno al cambio delle stagioni, oppure quando puoi venire a trovarci’’, rise lei.

Alucard si unì alla sua risata e la prese in braccio.

“Grazie, Consy’’, gli sussurrò, le diede tre baci sulla guancia e la lasciò a terra, mentre lei arrossiva. Mamma rise dietri di me, ovviamente aveva visto l’espressione di mia sorella.

Alucard lanciò la scatolina in pelle bianca che il padre prese con semplicità e la mise dentro il baule. E poi si volsero a guardare me: era il mio turno. In parte mi sentivo emozionatissima anche se non sapevo perché, in parte sollevata perché avevo Louis accanto. Mi avvicinai ad Alucard seguita con lo sguardo dal mio fidanzato.  

Nelle mani, che prima tenevo congiunte dietro la schiena, ora teneva una collana: dalla catenella in oro bianco; al centro penzolava un ciondolo: la circonferenza era di oro massiccio, dentro il cerchio erano impressi due serpenti: uno nero e uno bianco. I due rettili si intrecciarono mordendosi uno la coda dell’altra, formando infine il segno dell’infinito.

Gli porsi io ciondolo e lui se lo mise al collo. Studiò i due serpenti e poi mi rivolse uno sguardo di gratitudine.

“Il significato?’’, mi chiese.

Ero talmente incantata del suo sorriso che quasi non mi accorsi che stesse parlando. “Come?’’, chiesi confusa.

“Che significato ha questa collana?’’

Ci pensai su. “Ehm…Penso che il serpente bianco rappresenti le Creature della Luce, il serpente nero le Creature delle Tenebre. E unendosi formano il segno dell’infinito che significa: unione, pace eterna, che non verrà l’odio e la guerra a distruggere l’unione con noi creature’’

Sorrise. “Io pensavo che si riferisse ad un’altra cosa ’’, disse, strizzando l’occhio.

Avrei voluto ribattere, ma a quel punto mi accorsi che aveva ragione. Poteva essere un altro significato.

Strinsi i denti per trattenere il rossore. “Buon compleanno’’, dissi con un sorriso appena pronunciato.

“Grazie’’

E camminai veloce verso la mia famiglia, stringendo i pugni. Lasciai il posto a Louis che intanto aveva in mano un sacchetto color porpora. Avrei tanto desiderato stargli accanto ma avevo paura di peggiorare la situazione; non volevo lo sguardo magnetico di Alucard addosso.

“Spero che ti piaccia, è un pensierino. Un piccolo ricordo che avrai di me’’, l’ultima frase la disse con un tono che mi mise angoscia.

Se l’avevo sentita lui lo aveva sentita anche il vampiro, ma fece finta di niente. Sciolse la cordicella argentata che teneva unita la sacca e vi guardò dentro. Stando attento a non rovesciare le biglie con una mano ne prese una per guardarla da vicino: la perla era in oro ed esposta alla luce del sole diveniva rossa. I suoi occhi si accesero di meraviglia.

“È stupendo. Grazie, Louis’’, lo ringrazio gioioso il vampiro.

Louis gli sorrise. “Potrei aggiungere un’altra cosa su questo regalo?’’, chiese gentile.

“Sì, fai pure ’’, disse la voce roca di Drakon. La sua compostezza era rigida, come se avesse capito l’odio che sentiva verso il foglio.

“Queste biglie non sono fatte, ad ogni modo, per guardarle. Ma hanno anche un ruolo essenziale per riscaldare il posto in cui vi si trova’’

Ci guardammo con interrogativo. Calò il silenzio. Fui l’unica a capire il motivo: “un piccolo ricordo che avrai di me” aveva detto. Quindi….

Sbiancai.

“In parole povere?’’, chiese Lilly.

Lancia a Louis un’occhiata di fuoco, ma nonostante se ne accorse mi ignorò del tutto. Se stava cercando vendetta per quel bacio innocuo che rivolsi ad Alucard l’aveva trovata.

Louis si girò verso Alucard e si avvicinò per afferrare una biglia. “Posso?’’, chiese al vampiro con gentilezza. Gentilezza sporca.

Alucard gli sorrise, mentre lo guardava incuriosito. “Certo’’

Louis fece tre passi indietro, si trovava in uno spazio abbastanza grande per….buttare la biglia nel terreno e non far del male ai suoi amici ma solo ad uno. Non so come feci, paralizzata dall’orrore, ma nel momento che il mio fidanzato lanciò con forza la biglia a terra io ero già davanti a Alucard per fargli da scudo. Nel secondo in cui la biglia si spezzò in frantumi nel terreno facendo nascere una vampata incandescente di fiamme, ero con le braccia tese in avanti. Il fuoco della biglia esplose e si scontrò violento contro il mio scudo, facendo scaturire un tuono da far tremare la terra sotto di noi.

Di come reagì Alucard non m’importava, avevo solo rabbia e adrenalina nel mio corpo. La bomba di fuoco iniziò ad affievolirsi fino ad apparire un innocente focolare intorno alla gente impietrita dallo spavento.

Il mio scudo ritornò a me come vento risucchiato dai miei palmi, e Louis che prima era compiaciuto del suo scherzetto da Halloween ora era impaurito dalla mia stessa espressione. Di certo mettevo paura: prima ero la sposa, e adesso….? Indovinate.

Sentii uno strattone e rantolai, subito ne conseguii due pressioni attorno ai miei polsi. Tanto forti da non lasciarmi il tempo di prendere la rincorsa e…..Mi girai verso le enormi mani di Drakon che mi incatenava, e mi sfuggi un ruggito di rabbia.

E tutti mi guardavano spaventati. Louis, invece ritornò a Alucard, questa volta più di tre volte ritornò a guardare me.

“E questo era la dimostrazione’’, disse con un sorriso compiaciuto.

“Molto utile Louis, ti ringrazio. Ma un po’ troppo potente per noi’’, aggiunse Alucard gentile, con l’aggiunta di un pizzico di acidità a sporcare il suo comportamento gentile.

“Potete usarlo per gli attacchi oppure…per difensiva’’, disse infine dandomi uno sguardo veloce. Io lo incendiai.

Intorno a noi regnava un silenzio tombale che prima non riuscivo ad accorgermi.

Senza che nessuno parlasse, senza Louis o io aggiungessimo parola, ognuno andò verso i tavoli. I miei amici lanciarono uno sguardo minaccioso prima a Louis poi uno sguardo di incoraggiamento a me, anche se non sapevo cosa serviva, e poi vennero da me. Jennifer e Paul diedero il batti-cinque a Louis e si avviarono a mangiare. La mia famiglia mi vennero subito incontro. Io…Io cosa potevo fare? Ero arrabbiata, confusa, dispiaciuta. Non sapevo cosa dire di Louis, non volevo nemmeno guardarlo. L’unica cosa che per me contava in quello spazio del cortile era aver salvato una vita importante.

La festa non era ancora finita, ma non si ballava più anche se la musica continuava da sola. Papà rimediò al danno che aveva fatto Louis alle sue ghirlande e radici. Il mio povero Hendrik si causò un forte giramento di testa finché non scacciò via la bruciatura alla natura. Questa volta il tetto divenne più bello: papà decise di scoprire un grande spazio di cielo per mostrare la luna e le stelle, mamma con un soffio alla mano fece scivolare dal suo palmo migliaia di bollicine che si librarono nell’aria accanto alle fiammelle di Louis. Consuelo, con l’aiuto di una mia compagna (che aveva il potere dei fiori), sparpagliò per tutto il cortile petali di rose rosse, e bianche.

In questo modo il posto lo rendeva più romantico di quello che era prima, tanto che il castello cominciò ad odorare di fiori e rose. Tutta la mia famiglia si riunii a mangiare, anche io dato che un po’ di dieta a cibo umano mi faceva bene- almeno era quello che diceva mamma- e ogni tanto mi avvicinavo a Alucard e Drakon che stavano in disparte a parlare. Più tardi feci una sfida contro Alucard: mangiare un barattolo pieno di popcorn, e chi avrebbe ceduto per quella sera avrebbe prestato ordini al vincitore. Ingiustizia del destino: persi io, mentre guardavo meravigliata Alucard abbuffarsi dei popcorn con coraggio; scelse una penitenza non tanto grave: concedergli tanti balli quanti ne avrebbe desiderato quella sera. Infondo aveva ragione: era il suo compleanno. Però, che compleanno! La cosa più strana era che non c’era la torta.

Per quanto a Louis…non gli diedi tanta importanza fino alla fine della festa che terminò a tarda notte. Ogni tanto veniva da me, mi concedeva delle scuse, ma io avevo lo sguardo rivolto altrove: Alucard si lasciava conquistare dai suoi occhi. Louis, per canto suo, non se ne accorse e continuava a parlare interrotto avvolte con i miei “ah”, o “ok” indefinito oppure “Mmm”. Mi abbracciò tante volte, ma le mie strette erano leggere pressoché impercepibili, i baci che mi dava erano dolci ma i miei di pietra. Alla fine si arrese e si decise solo di restarmi accanto e cingermi le spalle con il braccio.

E ballai, ballai con Alucard tutto il tempo. Mi divertii come non mi ero mai divertita con lui, mi lasciai trasportare dai suoi passi come onde al vento. Lo seguii al ritmo della musica, scoprendo per la prima volta che non mi ero mai sentita così sicura e al mio fra le sue braccia, lo seguii con le risate, i sorrisi, le occhiate intense, e ne seguirono a loro volta le farfalle.

Non ricordai quanti balli gli concedetti, restammo sul quella spianata di cemento freddo per un’ora intera senza mai stancarci, dimenticando perfino che ballai più di quindici musiche con lui.

“Mi dispiace per quello che è successo prima’’, dissi, mentre seguivo con lui una musica leggera.

Scuote la testa come per scacciare via un cattivo pensiero. “Non devi chiedere scusa. Sono io lo stupido che non intervenuto al tempo giusto’’.

“Avrei pensato che fosse solo biglie semplici, invece…’’

Si accorse che stavo per esplodere, non per la rabbia, ma di tristezza. “Ehi, tu mi hai salvato. Solo questo conta’’, mi consolò.

“Me ne rendo conto, ma tu devi….Devi capire che se non ero intervenuta io….’’, scrollai le spalle per levarmi via l’immagine di dosso.

“Sarei morto’’, finì lui. “Be’, almeno così Louis si levò un peso enorme’’, rise.

Rimasi impietrita. “O no?’’, chiese con un sorrisetto innocente.

Gli diedi uno strettone. “Se ne avrà fatto un altro di peso ’’

“E chi sarebbe?’’

“La sottoscritta’’, sputai.

Rise di cuore. “Il gesto che hai fatto….un’ora fa è abbastanza grande. Ti ringrazio ”

“Non mi merito ringraziamenti’’

Mi strinse di più al suo petto, senza lasciarmi il tempo di respirare. “Per un eroina come te, ti meriteresti anche un castello come questo’’, ed indicò le torri imponenti ed oscure di Redmoon. Lasciai un brivido varcarmi la schiena.

“Adesso esageri’’, risposi.

Storse le labbra. “E cos’altro ti meriteresti?’’, c’era qualcosa nel suo tono di voce che mi lusingò.

“Mi basta già quello che ho ora’’. Con tanto di problemi.

“Sicura?’’

Deglutii in rossore sulle guance. “Be’….una cosa ci sarebbe’’

“Cosa?’’

“Un altro ballo ’’

Rise. “Oggi è il mio compleanno. Quindi altri dieci balli non ti farebbero male ’’

“Senti chi parla! Stai parlando con una vampira’’

“Metà umana’’

“In parte. E comunque, data la situazione, mi pare che oggi compi trecentosedici anni’’. Ero sicura della mia ipotesi.

“Sì, sono il più vecchio vampiro di Solemville. Dopo di nostro padre’’

“Già’’

E ritorniamo a ballare in silenzio, soltanto i nostri sguardi parlavano, e forse anche il mio cuore parò al suo orecchio. Non prestai attenzione a quello che la gente sussurrava mentre ci guardava, era già perfetto così, mi concentravo solo sul mio fratellastro.

“Mi sento veramente uno stupido’’, disse in seguito. E il suo viso si fece triste.

“Perché?’’

“Ti ho indotta a rischiare un rischio così grande’’

Lo guardavo perplessa. “Quale rischio?’’

“Questo. Di starmi accanto. Se solo riuscissi a starti lontano puoi vivere di nuovo tranquilla’’

“No, se te ne vai….se ne va un pezzo del mio cuore. Prima la mia vita era…sì, tranquilla, ma c’era sempre il nome di nostro padre che mi fastidio. Mi irritava quell’odio, e lo volevo levarmelo di dosso. Poi sei arrivato tu, e sei stato tu che pian piano mi hai levato quel fastidio che mi opprimeva. Tu mi hai salvato, grazie a te ho conosciuto la speranza, la gioia, la pace, e…l’amore’’

Sentivo la sua stretta farsi più forte, compresi che ci eravamo fermati sul posto, con uno scatto fulmineo sentii la sua mano accarezzarmi la guancia- quella che prima era nella mia schiena- poi scese dal mio collo fino alla gola e si fermò dietro la nuca. L’altra che mi teneva stretta la mia mano destr ora mi sollevava il mento.

Capii. Davanti a tutta quella gente? Era matto? Sulle prime pensai che volesse farmi uno scherzo, ma il suo sguardo era troppo intenso, nessun filo di divertimento, e le sue labbra indugiavano avanzando alle mie.

Con le mani libere cercai di darle uno strattone ma lui non si mosse, allora provai a scansargli via la testa ma questa non si spostò, ma era come dare ordine ad una pietra di spostarsi.

Ecco fatto. Ora vinceva, aveva vinto sempre quindi perché non poteva vincere anche adesso? Restai immobile, stringendo le labbra per impedire quel tocco, ma poi…sentii il suo alito profumato e desiderai ardentemente trovarlo. Mi dimenticai di tutti, eppure mi sentivo imbarazzata, mi dimenticai di Louis –che grazie al cielo in quel momento non mi stava rivolgendo lo sguardo, eccetto uno : Paul- e mi dimenticai del tempo.

Sentivo le mani pizzicarmi e allentai la presa alla testa, volevo avvicinarlo a me anche se non avevo la forza, volevo…..Lo volevo. Ecco, lo volevo punto e basta. Senza nessun “ma”, “se” e “perché”, non riuscivo a spiegarmelo neanche io, lo volevo. E se dopo mi avrebbe baciato la guancia? Non m’importava. L’importante era ricevere quel bacio.

I pensieri cominciarono a mescolarsi, pian piano che mi avvicinavo a lui, mi confondevano. Eppure riuscivo a capire che dentro di me cresceva un amore indefinibile. Non consideravo come l’avrebbe presa Drakon, oppure mamma o Hendrik. Non m’importava  più di niente.

Volevo solo stringermi a lui, sentirmi protetta, fargli sentire tutto quell’amore non aveva mai sentito prima d’ora. Chiusi gli occhi, immaginando un altro mondo insieme a lui, solo noi due soli, aspettando che le sue labbra si scontrassero alle mie. Il tempo sembrò rallentare, mi sembrò che stesse usando il suo potere, ma poi capii che era solo incertezza. Aveva paura, ma allo stesso tempo desiderava quel bacio; anche io avevo timore di sbagliare tutto, però mi accorsi che ogni preoccupazione volò via quando…..

Fui raggelata da un urlo straziante che si elevò tra il cortile. Accidenti! Qualcuno si era accorti che…

“La luna! La luna cambia colore!’’, urlò un uomo.

Aspetta un attimo. Nessuno si era accorto che stavo per baciare Alucard? E la luna non cambia colore. A parte che alcune volte la vedevo gialla invece che diafana.

“La luna è rossa!’’, urlò una donna.

Ok, adesso questa storia non mi andava giù. La luna rossa? E quando mai una luna diventava rossa? Forse era uno scherzo, qualcuno voleva prenderci in giro. Eppure sentivo il respiro di Alucard farsi lontano, oltre le urla disperate della gente. Finalmente aprii gli occhi e vidi quello che prima le mie orecchie non avevano creduto.

Alucard si era allontanato con il viso, ma mi teneva sempre stretta; se prima mi stringeva per avvicinarmi ora le sue braccia erano protettive. Guardava con gli occhi la gente che urlava, parlava, e si urlavano a vicenda, voltando lo sguardo verso l’alto. Tutti avevano lo sguardo rivolto verso il cielo.

Ma c’era un altro cambiamenti inquietante oltre la distrazione di Alucard. Il colore della sua pelle non era più la stessa, i suoi capelli, il suo abito, tutto in lui aveva cambiato colore; e come mi accorsi dopo, anche al resto di Remoon non faceva la differenza. Cioè, non aveva colori invertiti o sfuocati come un opera d’arte, ma vedevo rosso. Il corpo di Alucard era tutto rosso, le ghirlande, i petali nel terreno, le colonne, le radici, perfino l’abito di mamma color rosa confetto era diventato rosso. Tutti gli abitanti erano diventati di un color rosso chiaro.

Era il momento giusto per considerare la mia pazzia aveva preso la meglio su di me perché mi guardai le mani, il vestito, i capelli, le scarpe e mi accorsi che anche io ero coperta dal colore identico dell’altra gente. Mi sentii la pelle ma era normale, non uno striscia di pomodoro e vernice sul mio corpo e il vestito. Nemmeno sui capelli. Guardai perplessa Alucard, ma lui era rigido a guardare la gente terrorizzata del cortile.

Cercai con lo sguardo Louis, ma lo vidi parare dietro di se Jennifer e Paul con tutti i miei amici; nelle mani sfiorava fiamme incandescenti che avrebbero dovuto appartenere al colore del fuoco, ma erano rosse. Pensai che era un gesto carino fare da scudo ai miei amici, ma quel momento di disperazione aveva avvolto anche me che avrei voluto corrergli accanto se solo non fosse stata per la stretta pietrosa di Alucard.

Solo pochi vennero a soccorrerci, quest’ultimi erano i tratti familiari della mia famiglia. Consuelo mi strinse la vita gettando lacrime di coccodrillo, Drakon era accanto a suo figlio, Hendrik mi accarezzava le spalle anche se c’era Alucard a rassicurarmi. Però non funzionava, se avrei avuto la forza di piangere come Consuelo avrei potuto, invece non facevo altro che guardare confusamente i volti della mia famiglia, non riuscivo più a trovarne un senso a tutto questo. Mi trovavo in un incubo che pochi istanti prima era un bel sogno.

“Dobbiamo portare via Alexia’’, ordinò Alucard quando staccò lo sguardo rosso dalla gente.

Mi sentii le gambe tremare. “Dove…che…?’’, ma non riuscivo a parlare.

“Non può resistere qui. Non è una creatura oscura come noi, per metà è di luce. E questo….’’, ma un ululato spezzò la spiegazione di mamma.

Che cosa significava un ululato a Redmoon? Subito mi risposi da sola. Licantropi.

Rimasi raggelata come mamma, come Consuelo ed alcune persone, ma poi li risentii parlare.

“Dobbiamo portarla dentro il castello. Solo lì è al sicuro dalla luce della luna’’, gli consigliò calmo a mamma.

“No, forse è meglio che la porto a casa mia, qui potrebbe attaccare molta gente’’, ribatté lei.

Sapeva quello che avrei fatto, sapeva ma io no; restavo confusa, disorientata, come se fossi una ritardata o giù di lì. Non volevo far altro che chiudere gli occhi e chiudermi le orecchie se solo avrei trovato la sensibilità delle mani.

E poi la vidi anche io: la luna.

                                

E compresi tanto spavento, ma non era niente a quello che provavo io in quel momento. La luna, che pochi istanti fa era diafana come la pelle di Drakon, ora era colorata di rosso, le stelle erano puntini rossi chiarissimi che riuscii a notare appena, il cielo era del color del sangue. La luna rossa era così…squisita. Era rossa, come il sangue. E capì l’altro motivo che i miei genitori dovevano condurmi al riparo: perché stavo per diventare ciò che non ero mai diventata in tutta la mia vita.

Quanto desiderai quella luna quel momento, quanto desiderai assaggiarla e sapere se aveva veramente il gusto del sangue. Mi sentii la gola avvampare. Gli altri se ne accorsero immediatamente.

“Alexia, non guardarla!’’, mi avvertii Alucard. Ma era troppo tardi, ormai avevo volto lo sguardo a quella luna di sangue, sfacciatamente bella e buona. Mi leccai i canini.

“Stringetela’’, ordinò Drakon.

Alucard mi strinse ancor di più. Accidenti alla sua stretta! Avevo una sete pazzesca, guardavo le persone correre e le desideravo; che sete, che odore squisito. Un odore così buono e appetitoso non lo avevo mai sentito prima d’ora. Forse, chissà, un assaggio di qualche donna o uomo non faceva di certo male. Forse era come il sangue del puma, o di più, mi avrebbe rinforzata e sarei stata più forte, più…vampira. Già, sarebbe stato facile se solo Alucard mi avrebbe lasciata andare.

“Accidenti, Alucard!’’, ruggii. Gli diedi uno strattone, ma non funzionò. “Lasciami!’’, gli ordinai tra ringhi e urla.

Un altro ululato, e un urlo possente e profondo che sembrava quello di un gigante, oppure un pezzo di montagna che cadeva: orchi. Ma che stava succedendo? Non avevo alcun tempo per domandarmi chi e che cosa stava accadendo oltre le torri di Redmoon, la brama era incontrollabile, la sete in quel momento era una necessità.

Consuelo, mamma e papà mi stavano distanti tre metri, la mia lupacchiotta si nascondeva vedendo quello che si dimenava fra le braccia di un vampiro: una vampira inferocita, che non aveva mai provato la sete ardente del sangue umano.

“Portala dentro il castello ’’, ordinò calmo Drakon.

“No!’’, ringhiai fra i denti. Subito diedi un morso al braccio del mio fratellastro. Lo sentii rantolare per il dolore, ma non mi lasciò. Gli lasciai l’impronta di due mezze-lune impresse nella carne.

“Li voglio!’’, ruggii. “Li voglio tutti!”, e guardai i due bellissimi vampiri rossi accanto a me. Erano calmi, come era possibile? Non avevano sete? Non sentivano quell’odore squisito che mi stuzzicava la gola?.

“Come fate a resistere?’’, sputai fra i denti. “Li voglio, ho sete! Voglio bere!’’

“Non puoi’’, disse Drakon prendendomi per il viso, mi scrollai le sua mani di dosso.

Come potevano privarmi di una cosa così deliziosa. Mi amavano, dovevano soddisfarmi. “Dammene uno, uno solo ’’, ordinai.

La mia famiglia raggelava dall’orrore. Ora il colore degl’occhi dei due vampiri erano confondibile con quello rosso dell’aria. Se lo erano i loro lo erano anche i miei. Vidi i loro canini allungarsi dietro le labbra che li coprivano. Anche loro avevano sete, ma resistevano. Ancora non riuscivo a capire come facevano. Mi rivolsi al mio fratellastro.

“Ho sete! Alucard, ho sete! Ne voglio uno. Perché tu non hai sete? Come fai a restare calmo? Mi fa male la gola! Mi brucia, brucia’’, e più parlavo più il fuoco si faceva più intenso da ustionarmi le corde vocali. Dalla mia bocca uscii un urlo stridulo di dolore che avrebbe dovuto essere un ruggito. Quanto bruciava, sembrava l’Inferno.

“Io ho anni di pratica Alexia, tu no. Devi resistere se non vuoi essere un mostro ’’, disse calmo. Ma poi mi guardò freddo. “Tu vuoi essere un mostro?’’, mi ruggii contro.

Tra ansimare e urli smorzati, annui un: “No’’

Mi guardò freddo. Più tardi capii che era un modo per spaventarmi ed ubbidirgli per non far del male a quelle persone. Cercai di liberarmi le sue braccia ma trovai le mie bloccate dalle mani di Drakon.

“Allora devi seguirci al castello ’’, ordinò fra i denti.

“No!”, esclamai. Non potevo, non volevo. Dovevo placare quell’incendio insopportabile. “Volete farmi morire dal fuoco? Io brucio, lasciatemi, vi prego, ho bisogno di un assaggio ’’, supplicai, il grido smorzato da un suono acuto.

Alucard mi prese il viso in una morsa. A quel punto era difficile muoversi.

“Se vuoi salvarti la felicità e un futuro migliore devi fare quello che ti consigliamo. Se ti lasciamo attaccherai Louis e lo ucciderai. Sai che significa? Che non lo potrai vedere mai più, che quell’anello che hai in dito non sarebbe servito a niente, che non avrai un futuro felice insieme a lui. Capito?’’

Mi raggelai, tra la mente un immagine inquietante di Louis disteso pallido su una bara, immobile, morto. “Sì’’, risposi, a mezza voce.

Poi mi volsi a guardare il mio fidanzato: era nell’oscurità rossa del lungo tetto del cortile, insieme all’altra gente, a guardare la luna rossa. Inconsciamente mi domandai se anche a lui fece lo stesso effetto che fece a me, ma ne dubito che stavo solo fantasticando. Mi voltai dopo verso Alucard.

“Sono stanca’’, riferii fra i denti. Ed infatti allo stesso tempo la stanchezza mi sciolse i muscoli delle gambe da farmi perdere la sensibilità. Vidi il terreno ondeggiare, la testa mi girava, ma quella voglia frenetica di bere rimaneva ancora. Stavo per svenire.

“Portiamola subito al castello”, sentii dire Alucard. Tenevo gli occhi chiusi, in modo da distrarmi del terreno e gli altri oggetti che subiva forme diverse e insensate. E soprattutto speravo di placare la sete.

Un altro ululato, un altro urlo possente di un orco. Poi un ruggito. Non riuscivo a capire da chi provenisse. Forse un drago.

“Kate, Consuelo, venite con me a portare Alexia dentro il castello. Padre, restate con Hendrik a rassicurare queste persone, spiegategli il motivo e lasciatele andare a casa tranquille. Adesso andiamo’’, disse infine Alucard, le sue mani mi sollevarono il mento, si staccarono facendolo ricadere e poi mi sentii sollevare.

Le mani di Drakon non c’erano più, qualcosa che mi stringeva ad una roccia si stava muovendo. L’aria fresca e deliziosa mi pizzicò in gola.

“Alexia’’, mi chiamava la voce affannata di Consuelo. Sentivo che ancora stava piangendo.

Quanto avrei desiderato rassicurarla, ma non trovavo più le labbra, per lo meno ero piena di forze, ed impossibile aprire gli occhi. volavo dormire, anche se allo stesso tempo avevo un bisogno di saziarmi. Per la via non dissero niente, rimasero zitti, solo qualcuno –Consuelo- mi accarezzava la testa per tranquillizzarmi.

Sentii un cigolio, forse il portone del castello si era aperto, e poi dei passi rumoroso e veloci che facevano eco per tutta l’enorme stanza. Li sentivo provenire dalle pareti, in lontananza, da tutte le direzioni tanto che non riuscii a capire se ci fosse qualcun altro oltre a noi nel castello.

L’ultima cosa che pensai era il viso di Louis, capivo che era al sicuro ma allo stesso tempo mi preoccupavo per lui, poi le urla iniziarono a farsi lontane, si affievolirono prima a sparire, e mi lasciai trasportare dal mare nero.

   
 
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