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Autore: Delirious Rose    30/11/2014    1 recensioni
Sbatté le palpebre un paio di volte e poi aggiunse, forse più a se stesso: “Non sapevo che tu fossi una Podestaria. Questo cambia molte cose.”
Lei lo guardò confusa, come se stesse parlando una lingua che suonava familiare ma che non riusciva a capire. “Pode-che?”
“Magus, strega o qualsiasi altro termine comune per indicare una persona iscritta nel Registro: Podestarius – o Podestaria, al femminile – è il termine più corretto.”

Virginia Bergman è una ragazza come tante: le piacciono i dolci di sua madre, la Matematica e, come il 15% della popolazione, ha dei poteri che considera come un'accessorio fuori moda. Tuttavia, quando al suo penultimo anno di scuola una supplente mette in pericolo la sua media, IContiNonTornano l'aiuterà a superare le sue difficoltà: chi si cela dietro questo username, un geek grassoccio e brufoloso o... un ragioniere azzurro? E di certo ignora ciò che questo incontro porterà nella sua semplice vita.
Svegliati, bambina, e guardati dall'Uomo dalle Mille Vite.
{Nuova versione estesa de "RPN"}
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
Capitoli:
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Podestaria

 

 

— Capitolo 7 —
Digressioni

 

 

“Allora, quale mi consigli?” disse Virginia, mostrando un maglione e una felpa.

Di là dello schermo, Audrey inarcò un sopracciglio e sospirò. “Perché non la blusa che avevi al compleanno di Sharon?” propose infine.

“Perché non è un appuntamento?” azzardò Virginia con una punta di acidità, gettando i due indumenti sul letto e tornando a frugare nel proprio armadio.

“Se non è un appuntamento, perché ci tieni tanto a come sei vestita?” insinuò Audrey.

Virginia strinse le labbra, valutando una maglia a fantasia. “È perché…” Ma si rese conto che non aveva una risposta precisa a quella domanda.

perché il tuo bel Ragioniere Azzurro ti piace e vuoi fare colpo su di lui, Vir’.” Il suo sorriso si fece benevolo. “E sono contenta che tu sia rinsavita: Chantal ed io stavamo iniziando a preoccuparci. Lo sappiamo che quando hai rotto con Liam sei stata da cani, ma decidere su due piedi di non innamorarsi mai più… sei Virginia Bergman, non Kyoko Mogami di Skip Beat!”

Nel sentire il nome del suo ex pronunciato con non curanza, Virginia sentì lo stomaco contorcersi per la rabbia, tanto che chiuse un cassetto con un secco colpo di piede. Tuttavia, invece di litigare, decise di cambiare argomento. “Abbiamo fatto un'altra notte in bianco a leggere shojo manga su internet, eh?” disse cercando di sembrare scherzosa a sua volta. “Ho capito, metto la tuta di gomma che uso per aiutare papà in fattoria con le mucche, ti va bene? Così la smettiamo di giocare a Gira la Moda.”

“… e se non scappa vedendoti conciata in quel modo, significa che gli piaci di brutto e che dovresti buttarti,” ribatté Audrey con un sorriso da Stregatto.

Virginia fece per rispondere ma, udendo un’auto arrivare, lanciò un’occhiata alla finestra e visto Biagio arrivare, infilò la prima maglia che le capitò fra le mani e disse: “Ci vediamo domani a scuola, ok?”

“Ma prima ammetti che ti piace se non vuoi che ti rompa con questa storia fino alla fine dell’anno scolastico,” minacciò Audrey giovale, una minaccia che entrambe sapevano lei fosse capace di realizzare.

“Sì sì, come vuoi: mi piace. Ciao.” Virginia chiuse la conversazione senza poter dare all’amica la possibilità di commentare sulla scarsa convinzione con cui aveva pronunciato quelle parole.

Ma non credere di esserti sbarazzata di lei, Vir’, bisbigliò una vocina nella sua mente, perché in fondo in fondo sai che ha ragione.

“Sciocchezze,” borbottò Virginia a se stessa, mentre scendeva le scale. Tuttavia, mentre allungava la mano verso la maniglia, si rese conto di sentirsi un po’ nervosa.

Quando aprì la porta, Biagio la salutò con un sorriso e un piccolo cenno del capo. “Buon pomeriggio,” rispose senza accennare a entrare in casa.

Si guardarono per un lungo istante, lui con la sua naturalezza che Virginia iniziava a trovare snervante e lei che si sentiva un po’ a disagio dopo la conversazione con l’amica. Poi, dopo un istante, Virginia trasalì, intuendo che cosa lui stesse aspettando, e indicò con una mano il corridoio. “Entra pure, e spero non ti spiaccia se restiamo in sala da pranzo.”

“No, non mi spiace,” rispose Biagio varcando la soglia e avanzando di qualche passo, quindi le porse una busta di carta bianca e riprese: “Non è mia abitudine presentarmi a casa di qualcuno a mani vuote: solitamente sarebbe un mazzo di fiori o una bottiglia di vino, ma nel tuo caso mi è sembrato più opportuno portare qualcosa… per la merenda,” le disse con un sorriso che lei non sapeva se fosse innocente o insinuante.

“Non avresti dovuto,” rispose Virginia rigida, tentata di chiedergli se non la stesse prendendo in giro, mentre lo accompagnava in sala da pranzo.

Prima di sedersi, Biagio lasciò correre lo sguardo lungo la stanza: pochi anni prima era stata trasformata in un ambiente unico con la cucina, dallo stile industriale più adatto a un appartamento cittadino che a una fattoria. Della vecchia cucina rimaneva solo la grande cappa che sovrastava l’AGA, l’acquaio smaltato, una serie di pentole e padelle in rame appese a un muro, e il robusto tavolo di quercia circondato da due sedie e due lunghi banchi. Fu sull’estremità di uno di questi che Biagio sedette e pose il proprio zaino.

“Spero che i macarons siano di tuo gradimento,” disse mentre Virginia sedeva sulla sedia alla sua destra.

“I macaroons non sono... fra le specialità di mia madre,” rispose lei con educazione, cercando di non storcere la bocca e sbirciando nella busta.

“Capisco.” Biagio sembrava un po' rincresciuto, poi aggiunse: “E del tè agli agrumi, dato che lo preferisci. Ma prima il dovere e poi il piacere,” concluse lui aprendo teatralmente il libro di testo di Virginia e facendosi indicare i nuovi argomenti che lei aveva affrontato a scuola dal loro ultimo incontro.

Mentre Biagio spiegava, Virginia non potette fare a meno di sentire nella propria mente la voce di Audrey insinuare ‘il tuo bel Ragioniere Azzurro ti piace e vuoi fare colpo su di lui’ e la propria ribattere ‘Sì sì, come vuoi: mi piace.’

Mi piace come spiega, chiaro e conciso come il Professor Jackson e con una punta d’ironia, pensò Virginia, osservando il modo in cui Biagio faceva scorrere la penna sul foglio. “Mi piace come insegnante.”

“Come, scusa?” chiese Biagio, interrompendo la spiegazione e guardandola con un’espressione indecifrabile.

Virginia arrossì non appena si rese conto di quello che aveva detto. “Niente, niente, stavo solo pensando ad alta voce…” Posò lo sguardo sulla guida da tavolo, fin troppo conscia del fatto che lui stesse continuando a fissarla con quell’espressione, poi esclamò, usando un argomento che non aveva nulla a che fare con la Matematica come boa di salvataggio: “Ti andrebbe una tazza di tè?” E si diresse verso l’AGA senza aspettare una risposta.

“Perché no?” Sentì Biagio ridere. “Tuttavia, sarà necessario solo scaldare l’acqua: mi piacerebbe sapere che cosa pensi del tè che ti ho portato. E soprattutto se questi macarons sono di tuo gradimento.”

Mentre Biagio armeggiava con la teiera, Virginia estrasse dalla busta una scatola di plastica rigida turchese, con scritto sul coperchio trasparente il nome del pasticcere e all’interno una dozzina di dolcetti multicolori – avevano un aspetto e un odore completamente diverso dai macaroons alle mandorle che a volte sua madre si ostinava a preparare. Virginia iniziò con quello al cioccolato seguito da quello alla vaniglia, e dopo esser stata sorpresa da quello all’olio di oliva, si fece tentare da uno rosa vivace.

“Ah, il preferito di mia cugina Alex,” mormorò Biagio, più a se stesso.

Virginia annuì dando un morso al macaron: la bocca e il naso si riempirono del profumo di rose, quindi masticò piano ritrovando il sapore dei lamponi e di un altro frutto di cui non ricordava il nome, e i suoi occhi incrociarono quelli di Biagio. Non sapeva dire se stesse guardando il dolcetto a neanche un paio di centimetri dalle labbra oppure la sua bocca, ma il suo sguardo aveva un’intensità che le fece torcere lo stomaco in un momento che parve allungarsi nell’eternità.

Adesso mi bacia! Adesso mi bacia! Adesso mi bacia!

“Credo che il tè sia pronto,” disse Biagio, distogliendo lo sguardo e riempendo le tazze.

Virginia finì di mangiare il dolcetto, che le parve quasi amaro: sentiva una punta di delusione, che in quel momento preferì attribuire al retrogusto che aveva in bocca. Bevve il tè in silenzio, aggrappandosi inconsapevolmente alla sensazione della tazza calda che stringeva fra le mani.

“Sai, c’è una domanda che mi ronza in testa dall’ultima volta… una curiosità,” disse infine, desiderosa di parlare di qualcosa che non fosse la Matematica o la pasticceria.

Lui inclinò appena la testa, guardandolo con interesse. “Ti ascolto.”

Lei ricambiò lo sguardo con falsa serietà, mormorando: “Come hanno reagito i vampiri quando Twilight è uscito?”

Biagio prese il suo tempo per rispondere. “Alcuni sono rimasti indifferenti, altri ancora l’hanno preso con ironia. Alcuni di loro organizzarono un cosplay di gruppo a una convention presentandosi con la pelle cosparsa di glitter, e il Duca Bloodinski ne ha fatto un’eccellente parodia del film,” rispose trattenendo una risata.

A quelle parole, Virginia quasi sputò il suo tè. “Il Duca Bloodinski è un vero vampiro?” esclamò sgranando gli occhi. Mr Bergman attendeva con ansia il giovedì sera e lo show comico del Duka Bloodinski, tuttavia adesso lei non poteva fare a meno di guardare il programma sotto un'altra luce – un po' come un attore gay che parodiava gli stereotipi gay. Guardò un attimo il liquido ambrato, poi aggiunse: “Eppure, a vederlo fuori dalla scena, non si direbbe.” Ricordava quella volta che lei e suo padre lo avevano incontrato a Londra, senza trucco di scena e con gli occhiali da sole e un berretto come qualsiasi celebrità che cerca di essere in incognito.

“La maggior parte dei vampiri si mimetizza perfettamente fra i comuni mortali, perché solo qualche dettaglio li differenzia da noi. Inoltre, il termine vampiro è troppo generico,” rispose pensieroso, guardando a sua volta il contenuto della propria tazza.

Virginia roteò gli occhi e sbuffò.  “Andiamo, perfino un bambino sa che un vampiro è un non-morto che deve succhiare il sangue dei vivi per sopravvivere.”

Le labbra di Biagio s’incresparono in un sorriso, quindi scosse la testa e ribatté con una punta di saccenteria. “Non solo sangue, Virginia: alcuni si nutrono della forza vitale, altri delle emozioni negative o positive; alcuni sono tornati dagli Inferi, altri invece cercano di prolungare quell’attimo che precede la morte. I più antichi erano comuni esseri umani che divorarono le carni e gli organi vitali e bevvero il sangue di Podestari non consenzienti per rubarne i poteri.”

“Come l’Uomo dalle Mille Vite,” mormorò Virginia, soprappensiero.

Biagio rimase silenzioso. “Come sai dell’Uomo dalle Mille Vite? Cosa sai di lui?” domandò infine.

Lei fece spallucce, sporgendosi verso la scatola di macarons: ne prese un altro e lo mangiò lentamente affondando leggermente sulla sedia.

“È il personaggio di una fiaba che la mia bisnonna mi raccontava, una specie di orco o mostro che voleva rubare il cuore o l’anima della protagonista. Non chiedermi i dettagli: avevo quattro anni l’ultima volta che ho ascoltato quella fiaba. ’Per cui guardati dall’Uomo dalle Mille Vite, bambina’ era solita dire alla fine della storia.” Sorrise fra sé e aggiunse con tenera nostalgia: “Lo avevo dimenticato…”

Solo allora si accorse dello sguardo di Biagio, carico di una curiosità che celava qualcos’altro e tanto intenso da farla sentire quasi a disagio.

“Capisco,” si limitò a dire lui, versando a entrambi dell’altro tè e sorseggiando la propria tazza con lo sguardo perso nel vuoto.

Virginia, invece, guardò senza vedere il proprio quaderno: aveva quasi l’impressione di essere nel proprio letto e con le orecchie piene di parole di cui aveva dimenticato il significato da tanto tempo. Trasalì, colta da un’improvvisa ispirazione, e afferrò di slancio la sua mano. “Vieni, Biagio,” comandò con la voce incrinata e, senza aspettare una risposta, si alzò dirigendosi verso le scale.

Lasciò andare la mano di lui e spalancò la porta della sua stanza con insolita foga e, ignorando gli indumenti sparsi sul letto e lo zaino abbandonato ai piedi della toilette, raggiunse con tre lunghi passi il vecchio baule posto sotto la finestra e, buttati per terra i cuscini e la coperta di pile che lo trasformavano in un divanetto improvvisato, lo aprì. Virginia frugò, incurante di aggiungere disordine al disordine e ancor meno dell’impressione che Biagio potesse avere: buttò sul pavimento di quercia vecchi abiti che non indossava da anni o che non avrebbe mai indossato e trovò quello che cercava.

Sollevò con timore un vecchio tamburo e osservò i disegni che ornavano la pelle quasi traslucida.

“Questo era della mia bisnonna, lo usava per battere il ritmo mentre cercava di insegnarmi a ballare,” mormorò infine Virginia, voltandosi verso di lui. “Non è un vero e proprio ricordo, quanto una specie di fotografia… il fantasma di alcune impressioni.”

Biagio rimase in silenzio, fissando gli stipiti della porta come se volesse studiare le venature del legno sotto gli strati di vernice colorata.

“Perché mi parli di questo?” chiese più con circospezione che curiosità, facendo qualche passo nella stanza solo dopo che lei gli fece cenno di avvicinarsi.

“Così, tanto per.” Una risposta banale per una domanda che non lo era per niente.

Biagio prese il tamburo che lei gli porgeva e Virginia percepì più che vedere le sue dita scorrervi leggere: lo strumento risuonò e, nell’instante dilatato dell’impatto fra l’indice di Biagio e la pelle tesa, l’aria parve farsi vitrea, un’umore denso in cui distinguere l’allagarsi dell’onda sonora, e a Virginia sembrò di riconoscere nei giochi di luce l’ombra di un ragno o di una farfalla o forse di entrambe le cose.

Fu la voce di Biagio a strapparla da quel sogno lucido, più della sensazione del duro pavimento sotto le ginocchia. “Posso aiutarti con i compiti di Matematica, posso prestarti libri di Scienze Soprannaturali più dettagliati dei tuoi testi scolastici. E perché no, potrei anche metterti in contatto con lo spirito della tua bisnonna, se fosse quello che tu desideri e se tu fossi disposta a pagare il giusto prezzo. Ma io non sono lei e non posso aiutarti con questo,” disse restituendole il tamburo e fissandola con la severità di un giudice – di un sovrano – sul punto di condannare un uomo a morte. “Per cui te lo chiedo una seconda volta, Virginia: perché mi parli di questo?”

Virginia si rese conto che non aveva una risposta per quella domanda.

   
 
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