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Autore: Black_Lily_13    30/11/2014    5 recensioni
C’erano molte leggende che venivano tramandate a Castlecross, la più famosa di tutte quella riguardante la figura che abitava il castello nel cuore della palude. C’era chi sosteneva che si trattasse di uno Spettro, chi di un Demone. Su una cosa però tutti concordavano: Sherlock era in grado di esaudire i desideri celati nel cuore di chi fosse disposto a rinunciare a qualcosa di prezioso. John Watson, dal canto suo, era un uomo di scienza, e non aveva la minima intenzione di farsi coinvolgere nello strano gusto per il soprannaturale che i suoi nuovi compaesani sembravano condividere. Questo, almeno, fino a quando il destino non decise di portargli via la cosa che più amava al mondo... e lui, impotente, non poté che affidare la sua unica possibilità di salvarla a chi non avrebbe mai creduto potesse esistere. Costretto in cambio a mettersi al servizio di Sherlock per un anno, John imparerà pian piano che il buono può celarsi anche laddove non dovrebbe esserci per antonomasia. E, forse, riuscirà a scoprire e salvare da una minaccia nascosta il cuore di chi credeva di avere il petto pieno di sola polvere.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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  X.        I am a scream of the fright

Il sole stava tramontando, a Londra, tingendo di rosso, arancio e viola le turbinose acque del Tamigi. Lontano, il Big Ben innalzava al cielo la sua peculiare melodia, che ancora non mancava di far sorgere uno spontaneo sorriso sui volti delle persone che, nonostante l’ora si stesse facendo tarda, gremivano ancora i viali della città che non dorme mai.

I venditori ambulanti cominciavano a ritirare di gran fretta le loro merci, lanciando sguardi preoccupati ai nuvoloni neri che si stavano ammucchiando nel cielo, minacciando di riversarsi sui passanti da un’istante all’altro, e mentre i lampionai mogiamente si incamminavano per le strade con le loro scale in spalla, pronti a svolgere il loro uffizio, la folla che occupava la popolosa città durante le ore diurne veniva pian piano sostituita da quella, più colorata e rumorosa, che la animava quando il sole lasciava spazio alla sua sorella più pallida.

In un simile viavai nessuno fece caso alle due figure che cercavano, come tante altre, di farsi strada nella fiumana di gente che percorreva disordinatamente Victoria Street. A un occhio non allenato sarebbero potuti sembrare due comuni giovani gentiluomini di ritorno da qualche impegno pubblico, oppure appena evasi dalle loro abitazioni in cerca di qualche divertimento notturno. Eppure, se qualcuno si fosse peritato anche solo di lanciar loro un secondo sguardo, si sarebbe accorto che la loro andatura era appena troppo frizzante per poter aderire ad un tale, preciso quadro sociale; camminavano spalla a spalla, con le maniche dei cappotti che si sfioravano appena senza mai entrare veramente in contatto, e sui loro volti leggermente arrossati erano stampati due sorrisi euforici che non volevano proprio saperne di andarsene; se ne stavano troppo vicini per essere sconosciuti o amici, le loro teste erano inclinate in maniera complice e i loro corpi gravitavano l’uno intorno all’altro come un roccioso satellite attorno a un pianeta.

Se, insomma, i passanti si fossero sforzati di vedere per davvero - come un certo Demone di nostra conoscenza non smetteva mai di sbraitare - avrebbero certamente letto nei volti di John e Sherlock ogni risvolto dell’avventura che avevano appena vissuto.

Sherlock - e John non avrebbe mai smesso di dire quanto tutto questo lo aveva stupito - si era infatti dimostrato corretto nelle sue supposizioni: Jack lo Squartatore non era sparito perché la sua vita aveva avuto fine, o per essere stato arrestato per qualche motivo non connesso agli efferati omicidi con cui aveva macchiato le strade di Londra. Aveva smesso di uccidere, sì, ma per ben altro motivo:

“Il tocco supremo dell’artista - sapere quando fermarsi.” per esprimerla nelle parole di Sherlock.

Il Dottore alzò la testa, azzardando uno sguardo nella direzione del Demone; anche Sherlock si era voltato verso di lui, nello stesso momento, come se i due avessero risposto all’unisono a un qualche arcano richiamo che poteva essere udito solo dalle loro orecchie.

I loro occhi si incontrarono - il grigio-verde inclemente e luminoso di una bufera di neve dentro il più caldo blu del mare dei tropici - e per un attimo, l’aria che li separava sembrò sfrigolare. Nessuno avrebbe potuto determinare mai di preciso chi dei due avesse iniziato, e in fondo il tutto fu così spontaneo che quel dettaglio non aveva poi tanto importanza. Fatto sta che, all’improvviso, per entrambi non fu più possibile mantenere la maschera di relativa compostezza che avevano indossato allontanandosi da Middlesex Street: iniziarono a sghignazzare, senza ritengo o controllo, i loro occhi luccicanti di divertimento, la loro sguaiatezza fonte di molte occhiate sbieche da parte dei passanti.

Sembrava non esserci possibilità, per loro, di riacquistare un minimo di controllo in tempi accettabili, perché quando anche le risa di uno sembravano minacciare di estinguersi, era sufficiente una fugace occhiata al volto dell’altro perché riprendesse da capo, e con intensità maggiore.

 “Questa… questa…” cercò di dire John, tra un tentativo di respirare e l’altro, asciugandosi l’umidita che il riso aveva fatto accumulare nei suoi occhi con i palmi delle mani, “…questa è… è…”

“La cosa più ridicola che tu abbia mai fatto?” concluse Sherlock per lui, riuscendo ad articolare un discorso coerente nonostante fosse in preda all’euforia.

John annuì veementemente, portandosi una mano sullo stomaco che cominciava a dolere per il troppo ridere. “E… e… ho invaso l’Afghanistan!”

Sherlock rovesciò la testa indietro, ammettendo l’assurdità della situazione con un accorato suono baritonale, a metà tra una risata vera e propria e un grido; nel farlo, espose all’aria umida un barlume del suo pallido, elegante collo da cigno. I timidi raggi del sole morente danzavano flebili su quella distesa d’avorio, allo stesso modo in cui la luce delle fiamme lo avevano fatto nel muffoso bugigattolo in cui avevano atteso che l’assassino delle sventurate di Londra si palesasse. John si dimenticò per un istante di respirare, mentre i ricordi di quell’assurda giornata gli invasero la mente, uniti al senso di ebrezza che non aveva fatto che crescere da quando il Demone li aveva trasportati fino in città.

 

Era cominciato tutto in maniera molto semplice, davvero. Sherlock aveva detto a John che gli sarebbe stato necessario avere accesso ai referti delle autopsie sulle vittime dello Squartatore, per sopperire alla mancata possibilità di effettuare un’indagine sul campo e nella speranza che qualche incapace non avesse fatto macello sulle scene del crimine - anche se, ovviamente, quella era più una disperata illusione che una speranza vera e propria, a detta del Demone brontolone - e lui, ingenuamente, aveva osservato che probabilmente tali informazioni, e altre, erano conservate da qualche parte negli archivi di Scotland Yard. Non aveva neppure finito di parlare, che si era ritrovato con le mani di Sherlock a circondargli il viso e il naso del Demone a pochi millimetri dal suo.

“Fantastico!” aveva esclamato il moro, lasciando giusto il tempo alle guance di John di avvampare per poi mettersi a correre a perdifiato borbottando qualcosa riguardo un ‘conduttore di luce’ che il Dottore non aveva pienamente afferrato.

Entrare a Scotland Yard da civili e sperare di passare inosservati all’attento controllo dei poliziotti era un’impresa disperata. Per farlo a fianco di una pertica d’uomo che non la smetteva un attimo di brontolare ci sarebbe voluto un miracolo. O una specie di maleficio, ovviamente.

“Li addormenterò solamente per pochi minuti. Non sentiranno alcun dolore, e non ricorderanno alcunché quando si risveglieranno.” gli aveva garantito Sherlock, leccandosi le labbra in maniera sospetta e ignorando con decisione lo sguardo scettico che John gli riservava. Non perché non lo ritenesse in grado di fare ciò che prometteva, temeva solamente, e a ragione, che qualcuno potesse farsi male nello svenire. Era bastato un movimento della mano da parte del Demone, a seguito del quale le guardie che, impettite, presidiavano la strada erano piombate a terra con tonfi strascicati, per dargli ragione. Non che le sue vive proteste avessero contato qualcosa per Sherlock.

Il Demone aveva semplicemente ignorato gli arti piegati in maniera innaturale sotto i pesanti corpi dei loro proprietari, il suono pieno di crani che urtavano selciato, i caschi che rotolavano tristemente lontano dai loro padroni; aveva continuato a camminare, impettito, spalancando le porte che separavano lui e John dal suo obiettivo senza neppure sfiorarle con le dita, muovendosi nei corridoi con aggraziata sicurezza e quasi sorridendo ogni qualvolta uno degli agenti cadeva privo di sensi al suo passaggio, come una tessera di domino sotto l’azione di un bambino giocoso. Questo, almeno, fino a quando il Demone praticamente non era inciampato su di un uomo dai capelli untuosi che aveva avuto la sfortuna di crollare proprio di fronte ai suoi piedi.

Il poveretto aveva grugnito, rannicchiandosi su sé stesso istintivamente in reazione al dolore, e il Demone gli aveva riservato uno sguardo tanto infastidito da sembrare quasi grottesco, come se lo avesse ritenuto responsabile per il colpo basso che aveva assestato alla sua immagine lo sgraziato saltello che aveva dovuto compiere per non rovinare a terra. Non si sarebbe minimamente soffermato su di lui se John, non potendo più resistere al richiamo che il Giuramento di Ippocrate gli lanciava dai meandri della sua mente, non si fosse inginocchiato accanto al pover’uomo controllando che la botta non gli avesse incrinato qualche costola.

Sherlock aveva continuato a camminare indisturbato per un po’, fino a quando non si era accorto dell’assenza dell’eco dei passi di John in risposta ai suoi. Sì era voltato, allora, e lo aveva visto vicino a quell’uomo insignificante, e quando il Dottore aveva percepito il peso del suo sguardo e aveva alzato gli occhi su di lui, la freddezza che aveva letto nelle iridi pallide di Sherlock lo aveva fatto trasalire.

“Devi proprio farlo?” lo aveva rimproverato il Demone, e John aveva dovuto fare uno sforzo immane per non tremare, per rimanere fermo nella sua posizione e completare il suo lavoro.

“Devo proprio farlo.” gli aveva risposto, con un tono di voce che non lasciava spazio a repliche, tastando il petto dell’uomo che giaceva supino (‘H. Lowsley’, secondo la targhetta che aveva appuntata al petto) con attenzione alla ricerca di gonfiori o incongruenze.

Il Demone non lo aveva perso di vista neppure un secondo, un broncio serio a torcere i suoi lineamenti delicati di bambola, i suoi occhi puntati sul corpo incosciente dello sconosciuto in uno sguardo che avrebbe tranquillamente potuto uccidere. Non aveva la minima idea di chi fosse quell’uomo, né aveva il minimo interesse a scoprirlo. Istintivamente, però, aveva immediatamente provato nei suoi confronti un forte sentimento di ostilità. Tutto di lui, dal muso da roditore che si ritrovava alle macchie di inchiostro nero sui polsini della camicia sgualcita e macchiata di giallo (“Guai con la moglie. Come biasimarla.”), sembrava esistere al solo scopo di farlo annegare in una spirale d’ira. Soprattutto, a irritarlo erano i sottili, arrabbiati taglietti che gli ricamavano le dita delle mani, alcuni semi-cicatrizzati, altri completamente guariti, altri ancora che parevano sul punto di mettersi nuovamente a sanguinare da un momento all’altro.

In fondo, se proprio avesse dovuto ammetterlo, erano stati proprio quei tagli che avevano fatto scattare in lui la scintilla della deduzione (non che John lo avesse compreso in prima persona, ovviamente; quel dettaglio, così come i ragionamenti riguardanti il povero Mr. Lowsley gli erano stati ampiamente illustrati in seguito dal Demone), facendogli comprendere che, quell’individuo in particolare probabilmente aveva un incarico non sul campo, ma nell’archivio dello Yard.

Con l’eccitazione cui il medico aveva fatto da spettatore soltanto assistendo i suoi pazienti più giovani, capaci di tenere il broncio fino a quando non avesse finito di visitarli per poi emozionarsi di fronte a una caramella regalata loro come offerta di pace, Sherlock si era proiettato al fianco di John, afferrandogli le mani e allontanandole di fretta dalle costole dell’uomo svenuto.

“Cosa-” aveva tentato di protestare John, ma Sherlock, ben lungi dall’avere intenzione di lasciarsi distogliere dal suo intento, aveva liquidato le proteste del Dottore con un gesto della mano.

“Quest’uomo. Lavora nell’archivio.” gli aveva annunciato, sondando al contempo le tasche dell’uomo alla ricerca di lui solo sapeva cosa,

“Come prego?” aveva domandato John, sobbalzando lievemente al modo privo di alcuna delicatezza con cui Sherlock, a un certo punto, aveva afferrato il povero Mr. Lowsley per una caviglia e, alzandosi in piedi, aveva cominciato a scuoterlo avanti e indietro, come se fosse stato una bambola di pezza,

“Odio ripetermi. Questo. Tizio. Lavora. Regolarmente. Nell’archivio. Della. Stazione. Di. Polizia.” aveva affermato il Demone, accompagnando ogni parola con un nuovo, più forte scrollone.

E se John aveva sentito un fiotto di arsenico nel modo sdegnoso in cui il Demone gli aveva praticamente vomitato addosso quelle parole, di certo non se ne sarebbe fatto un cruccio. Non con una pistola carica premuta contro il suo fianco e il forte desiderio di sentire di nuovo l’odore bruciato e assuefacente della polvere da sparo nelle narici.

Aveva sospirato, invece, e contato mentalmente fino a dieci, strizzando gli occhi simpateticamente ogni volta che il cranio dell’uomo sfiorava il pavimento, mordendosi la lingua per non ridere al modo in cui Sherlock spingeva leggermente in fuori le labbra in maniera pensosa, come se non si capacitasse del fatto che facendo altalenare l’uomo non fosse ancora accaduto ciò che si aspettava.

Erano arrivate a quel punto, le deduzioni riguardo le mani di Mr. Lowsley riguardo le macchie di inchiostro e il resto che avevano fatto pensare al Demone che l’uomo fosse un archivista. E ciò che aveva stupito John più di tutto non era stata la semplice genialità di prendere quelle informazioni di per sé insignificanti e riuscire a metterle insieme in un dato a dir poco utile; no, era stato il modo in cui Sherlock lo aveva reso partecipe delle sue deduzioni, con leggerezza, come se si fosse cimentato nella più elementare delle imprese e non nella cosa più sbalorditiva a cui lui - da buon uomo di mondo che di cose, negli anni in cui aveva vissuto, ne aveva viste a sufficienza per bastargli una vita - avesse mai assistito.

E non si era trattenuto, questa volta, quando sulle labbra gli era fiorito uno spontaneo “Fantastico!”

Il suo entusiasmo era stato ripagato con la visione di due occhi spalancati quasi oltre i loro limiti fisici, e due labbra rosate socchiuse in una delicata, quasi oltraggiata espressione di stupore. Con un “Davvero?” così incredulo da essere quasi commovente, e un sorriso raggiante al suo deciso annuire.

 

John venne strappato da quei suoi vagheggiamenti mentali in maniera brusca, quasi violenta, quando a causa della distrazione generata da quel suo sognare ad occhi aperti finì per collidere con una donna che si trovava a passare di lì per caso.

“Scusatemi…” tentò subito di dire, scuotendo la testa per schiarirsi i pensieri, ma la donna non gli diede neppure tempo di finire le sue scuse, aggredendolo con una rabbia che chiunque avrebbe ritenuto eccessiva.

“Ma vi pare! Urtare così forte contro una povera donna indifesa!” aveva iniziato, e John aveva riflettuto che, con quegli occhi spiritati e i capelli biondi sollevati sulla testa come quelli di una menade inferocita, sembrava tutto meno che indifesa, “E se fossi caduta? Eh? Se mi fossi fatta male alla caviglia, o peggio, avessi lacerato i miei abiti? Questo è autentico pizzo di bruges! Vale quanto tutto quello che indossate, e anche di più! Come avreste fatto a ripagarmi, poi?”

La donna gesticolava furiosamente, sventolando le braccia come bandiere in una bufera di vento. John, che non era conosciuto per essere un uomo particolarmente tollerante o paziente, cominciò a sentire le prime, amare punture della collera fargli rodere i palmi delle mani. Si guardò attorno, digrignando i denti di fronte alla gente che si voltava nella direzione del putiferio che quell’indiscreta sconosciuta stava causando con i suoi sproloqui senza senso. Se avesse avuto meno senso del pudore, probabilmente avrebbe tacitato la donna davanti a lui con una mordace risposta a tono - era stato un militare, di parole e insulti coloriti ne conosceva più di uno scaricatore di porto - ma, per fortuna, c’era Sherlock a farlo al posto suo.

Sherlock, che si era erto immobile di fianco a lui, ascoltando i vaneggiamenti di quella sconosciuta con gli occhi ridotti a lame sottili e taglienti e la bocca impostata in un’espressione di cerea impassibilità; che aveva iniziato a ringhiare sempre meno sommessamente man mano che il tono di voce stridulo della donna acquistava vigore, stringendo i pugni senza farsi notare; che, alla fine, quando la sprovveduta non aveva più potuto resistere e aveva pungolato il petto di John con una delle sue dita ossute, si era frapposto fra di loro in tutta la sua imponenza, gettando un’ombra scura di timore negli occhi castani che prima brillavano di tanta, ferale fierezza.

“Vi suggerirei di non fare baccano, per non rischiare di attirare troppo l’attenzione. Ma temo che questo sia esattamente ciò che volete. Non è così, signora?”  le disse, la sua voce una maschera di minacciosa indifferenza che fece arretrare la donna di un passo, e John di due. Se non avesse saputo meglio, John avrebbe giurato che Sherlock avesse soffiato alla sconosciuta, come un felino inferocito.

“Non capisco che cosa vogliate dire…” fu la mezza difesa della signora, che intanto si guardava intorno con aria spaesata.

Sherlock ghignò. “No. Voi non capite e basta. Perché se capiste, sapreste che il signore a cui avete tanto bellamente gridato contro non crede minimamente alla vostra sceneggiata.”

Afferrò tra la punta dell’indice e quella del pollice il bordo di uno dei vezzosi merletti che pendevano dalla giacchina che la donna indossava, storcendo il naso in un’espressione di disgusto.

“Questo sarebbe pizzo di bruges?” le domandò con scherno, e John ridacchiò all’espressione oltraggiata della donna, che subito schiaffeggiò la mano del demone e si ritrasse, “No, direi di no. La sua fattura è di bassa qualità, il filo utilizzato non sarà costato più di un penny. Alcuni punti sono stati saltati. Qui e… qui. Macchie di tè sbiadite, filo usurato sui bordi. Fatto da una mano inesperta, distratta, e diversi anni fa per giunta. O forse no… forse erano gli occhi il problema. Una vista non tanto buona come un tempo, mmh? Vostra madre sa che utilizzate il pizzo che vi ha regalato per adescare uomini disposti a pagare per del tempo con voi?”

Gli occhi della sconosciuta crebbero per lo stupore, la sua bocca si aprì miseramente per un istante. Il tempo che fu necessario perché un intenso rossore si impadronisse delle sue guance, fu lo stesso che servì a lei perché si rendesse pienamente conto di essere appena stata insultata. Chiuse e aprì la bocca di nuovo, prendendo fiato, pronta a dire qualcosa, qualunque cosa in sua difesa. Poi, d’un tratto, sembrò ripensarci. Abbassò gli occhi, cingendosi più strettamente nelle spalle e lanciando uno sguardo sbieco alla gente che, ancora, li osservava.

“Con permesso.” borbottò. Un attimo dopo, era sparita, inghiottita dal flusso vociante di senza volto che l’aveva partorita poco prima, e che ricominciò a vociare come se quella piccola parentesi non si fosse mai verificata.

“Le avete dato della prostituta.” costatò John, incapace di fare altro se non fissare le severe spalle di Sherlock, che si alzavano e si abbassavano al ritmo del suo respiro leggero,

Il Demone fece spallucce. "Hai, non avete. Comunque, pare che l’abbia fatto.”

“L’hai… l’hai insultata.”

“Se ciò che viene detto rispecchia la realtà di una persona, si tratta di una descrizione, John. Non di un insulto.”

E John avrebbe anche ricominciato a ridere, di fronte a quello sfacciato sfoggio di sicurezza, se non fosse stato per il tono lapidario e freddo che il Demone aveva utilizzato per dare voce ai suoi pensieri. Anche potendo vedere solo la sua schiena John poteva immaginare la sua espressione in quel momento: fredda, distante, granitica… spaventosa.

“Sono convinto che se quella donna avesse saputo che hai fermato Jack lo Squartatore, come minimo si sarebbe prostrata ai tuoi piedi.” esclamò senza pensarci troppo, bisognoso per qualche strana ragione di sollevare la cappa di cattivo umore che sembrava opprimere il Demone.

Una battuta misera, lo ammetteva anche lui. Così triste che avrebbe avuto le stesse probabilità di strappare a Sherlock una risata come una lacrima. John si ritenne un uomo fortunato quando il Demone lo guardò da sopra la spalla con un sorriso sornione a piegargli la bocca.

“Abbiamo scoperto il suo nome. Perché continuare ad usare quello sciocco pseudonimo?” lo rimproverò Sherlock, divertito.

In quel momento una folata di vento, improvvisa e gelata nonostante la bella stagione, investì entrambi in pieno petto portando con sé l’odore limaccioso dell’acqua del Tamigi insieme a quello, più lontano, delle affollate cucine delle locande. Penetrò sotto i vestiti troppo leggeri di John con agilità, mordendo la sua pelle con denti affilati e facendolo rabbrividire; come dita di una mano incorporea si infilò tra i riccioli di Sherlock, inselvatichendoli e trasformandoli in un alone scuro e scompigliato intorno alla sua testa.

John, che del freddo non riusciva proprio a curarsi, abbassò lo sguardo.

“Sì, hai ragione.”

 

James Maybrick[1]. Così si chiamava l’uomo che aveva annegato nel sangue le notti Londinesi.

Un individuo dall’apparenza mite e bonaria, ben educato e colto; nato in una famiglia di incisori originari di Londra, aveva trascorso la sua infanzia a Church Street, a poche miglia dal famoso quartiere nel quale in età adulta avrebbe dato sfogo alla sua follia omicida; si era fatto da solo, diventando un importante mercante di cotone e fondando nel 1871 una propria compagnia che era riuscito a tenere in piedi con tenacia e sotterfugi in un’Inghilterra la cui economia cresceva senza lasciare spazio a chi non fosse stato in grado di reggere il passo. Un uomo come tanti… una vera e propria serpe in seno alla società.

John non si era stupito del fatto che nessuno, prima di Sherlock, avesse puntato il dito contro di lui. Non molti avrebbero accusato un uomo apparentemente così pacato e normale di essere capace di tali efferatezze. Sherlock, di certo, non era assimilabile a quei ‘molti’, e ancora John non riusciva a capacitarsi di come il Demone fosse stato capace di ricavare l’identità di Maybrick dai brandelli di indizi disseminati in maniera confusa in quella miriade di rapporti, lettere e fotografie che costituiva la sezione dell’archivio dello Yard - al quale avevano avuto accesso grazie alla chiave appesa al collo di Mr. Lowsley - dedicata a Jack lo Squartatore. Si era disposto in ginocchio al centro di tutto quel materiale, il Demone, sfiorandolo con le mani in maniera quasi reverenziale, osservandolo con i suoi occhi acuminati come se stesse attendendo di vederli prendere vita e riversare su di lui tutto ciò che fosse stato importante al fine di catturare quel temibile assassino. C’era stato silenzio: per dieci, interminabili minuti tutto ciò che John aveva potuto udire era stato il proprio respiro e il quieto fruscio della carta. Poi, il corpo di Sherlock era stato attraversato da un forte tremore; il Demone aveva afferrato una manciata apparentemente casuale di carte, si era alzato in piedi di scatto, e in maniera febbrile aveva iniziato a condividere con John tutto quello che la sua mente geniale aveva assorbito in quei lunghi istanti di contemplazione.

“Guarda queste foto, John. Leggi i reperti delle autopsie. C’è ferocia in queste ferite, una terribile ferocia. Ma non c’è la precisione o la maestria di cui i medici che hanno eseguito i primi esami sulle vittime parlano. Tu sei un medico: ti pare che queste ferite abbiano qualcosa di preciso? Prendi la prima vittima, ad esempio: le ferite sull’addome di Polly Nichols sono irregolari, procurate con foga. E il modo in cui ha tranciato l’utero di Annie Chapman è così dannatamente trasandato… per non parlare poi del disastro che ha fatto con Mary Kelly… no, escludo categoricamente che il nostro Squartatore possa essere un Dottore. L’altra ipotesi è che sia un macellaio… escluderei pure questa. Ciascuna delle cinque vittime presenta un taglio molto profondo sul collo, tanto profondo da essere arrivato alle vertebre. È chiaro come l’acqua, che l’obiettivo del nostro Jack fosse stato quello di rimuovere le teste, come ha fatto con alcuni organi delle vittime. Un macellaio avrebbe saputo perfettamente come fare. Né medico, né macellaio: il nostro Jack ha un occupazione molto più umile. Prima di parlare di questo, però, dai un’occhiata alle scene del crimine.”

Aveva passato a John cinque foto ingiallite e sbiadite per il tocco di molteplici dita. Foto crude, che nonostante la tenuità dei grigi che le coloravano avevano avuto il potere di provocare un nodo nella gola del Dottore - e per un momento, di sostituire nella sua mente allo sconnesso acciottolato le strade di terra battuta di Kandahar.

“Ho visto.” aveva detto a Sherlock, passandogli indietro le foto e sfuggendo il suo sguardo scettico,

“Sul serio?”

“Sì, ho visto.”

Il Demone aveva sbuffato amaramente. “Bene. Notato nulla di strano?”

John aveva scosso la testa. Nelle fotografie, aveva potuto osservare soltanto corpi lividi e martoriati e tanto, tanto sangue: esattamente quello che si era aspettato di vedere ricordando il modo in cui il Dottor Bond gli aveva descritto, per lettera, quello che delle vittime aveva potuto vedere sul suo tavolo operatorio. Che un uomo fosse stato capace di ridurre a quel modo delle appartenenti al gentil sesso… e non nelle sterminate piane di Kabul, dove gli era stato insegnato ad aspettarsi ogni genere di nefandezza, così lontane ed esotiche da essere assimilabili a terre di favola e incubo, ma nella bella, dolce, cara e vecchia Inghilterra, dove lui e tutte le persone che amava respiravano, si muovevano, vivevano… il solo pensiero lo faceva star male.

Sherlock gli aveva improvvisamente posato una mano sulla spalla, costringendolo a spostare l’attenzione dal senso di crescente indignazione che provava all’ombra decisa dei suoi occhi. “Se non hai notato nulla che ti abbia lasciato anche la sensazione che qualcosa sembrasse fuori posto, allora non hai osservato come si deve.” aveva decretato, risoluto, riprendendosi le fotografie e iniziando a camminare in lungo e in largo per la disordinata stanza.

“I medici che hanno analizzato i corpi delle cinque donne hanno dichiarato che la morte è stata provocata dalla ferita al collo. Non dico che tale ipotesi non sia perfettamente applicabile alle ultime tre vittime: la quantità di sangue riversata nel luogo del delitto, soprattutto nel caso della Kelly, spinge fortemente in questa direzione. C’è un gigantesco ma: nel caso della Chapman e di Elizabeth Stride, nel vicolo c’era ad occhio e croce meno di un quarto di gallone di sangue. Non ti servo io per dirti che non possono essere morte per dissanguamento. La mia ipotesi è che il nostro assassino preferisca stordire le sue vittime stringendole al collo con entrambe le mani e soffocandole. Nella Chapman e nella Stride, questo spiegherebbe la scarsa perdita ematica - nelle altre donne, l’assenza più che evidente di segni di difesa. Un’altra cosa: i referti autoptici affermano che il nostro assassino sia mancino. Non ne sono pienamente convinto.”

Sherlock a quel punto aveva lasciato cadere a terra le fotografie, che avevano preso disordinatamente posto insieme agli altri fogli sparsi sul pavimento. Si era portato con un movimento liquido alle spalle di John, e aveva afferrato saldamente il suo mento con la mano destra. Anni di addestramento avevano a quel punto preso il sopravvento sull’ex soldato, e se Sherlock non si fosse affrettato a parlare, spiegandogli il motivo di quel gesto apparentemente privo di ogni motivazione, John si sarebbe liberato da quella presa e probabilmente avrebbe assestato al Demone un pugno sulla trachea - tutto con molta delicatezza, ovviamente.

“La teoria più quotata è che lo Squartatore abbia afferrato le sue vittime in questo modo, ed abbia utilizzato il coltello con la mano sinistra per recidere loro la gola da parte a parte.” aveva affermato Sherlock, mimando il gesto che descriveva percorrendo la gola di John con il pollice della mano sinistra (e se aveva notato il modo in cui il Dottore era rabbrividito al suo tocco, non ne aveva fatto parola). Cogliendolo poi completamente di sorpresa, lo aveva lasciato andare, spostandosi in maniera tale da fronteggiarlo.

“Io penso invece che l’assassino abbia afferrato le sue vittime da davanti, per il collo, in modo da zittirle e soffocarle fino a far perdere loro i sensi…” aveva spiegato, utilizzando nuovamente John come manichino per simulare la sua teoria. Lo aveva preso delicatamente per la gola, guardandolo fisso negli occhi, come se avesse voluto rassicurarlo che dietro a quel gesto non c’era alcun reale intento di ferirlo. “…poi, sono certo che le abbia distese a terra, tenendo loro la testa voltata verso sinistra e tagliando loro la gola portando il coltello -impugnato con la mano destra, ovviamente- verso il suo corpo. In tal modo, avrebbe anche avuto il vantaggio di indirizzare il fiotto di sangue scaturito dalla ferita in modo tale da non esserne imbrattato completamente -un vantaggio importante, visto che sarebbe dovuto sparire nella notte pochi minuti dopo.” aveva concluso il Demone, guardando John negli occhi con aria soddisfatta.

Il Dottore in questione, però, non aveva ascoltato una sola parola di quello che Sherlock aveva detto. La presenza fisica del corpo solido del Demone a tenere ancorato il suo a terra, i riccioli scuri che gli solleticavano la punta del naso, nonché l’allarmante vicinanza dei loro volti gli avevano impedito non solo di prestare attenzione a ciò che Sherlock aveva detto, ma anche di formulare un qualsiasi tipo di pensiero che non ripetesse in maniera convulsa ‘Vicino. Vicino. Troppo vicino.’.

Sherlock si era accorto dopo pochi istanti del travaglio mostrato dagli occhi del Dottore; lo aveva guardato, le sopracciglia aggrottate e la bocca ridotta a una linea sottile. Qualunque cosa i suoi occhi scrutatori avessero cercato sul viso dell’uomo, lo aveva trovato dopo meno di un minuto. Con un movimento elegante, si era sollevato dal corpo di John -gesto che lo aveva portato a gravare per un istante con il suo peso sul bacino del Dottore, che per poco non si era ridotto a una torcia di carne e sangue- e aveva teso una mano verso di lui, muovendo le dita per invitarlo ad afferrarla. John si era schiarito la gola, abbozzando un sorrisino apologetico; aveva scosso la testa, rimettendosi in piedi senza l’aiuto del Demone, che spingendo in fuori le labbra aveva stretto quella stessa mano che aveva offerto a John in un pugno da far ricadere al suo fianco.

“Bene. Ora che abbiamo definito il modus operandi dello Squartatore, passiamo ad analizzare le lettere che ha inviato ai giornali e alla Polizia.” aveva mugugnato, chinandosi per raccogliere un involto di lettere macchiate da quello che John si augurava fosse inchiostro rosso, “Ce ne sono centinaia, ma non tutte sono autentiche. Molte sono state scritte da emulatori, o da poveri degenerati che volevano un pizzico dell’attenzione riservata al nostro assassino per loro. Basandomi sulla calligrafia, sulla qualità della carta da lettere e sui contenuti, sono certo però che queste tre[2] siano state scritte dal pugno di Jack in persona. Allora, la calligrafia ci dice che stiamo cercando un uomo abbastanza colto, ma non troppo sicuro di sé. Ha utilizzato molte forme colloquiali, ed ha sparso errori di vario genere in diverse parti delle lettere. Chi ha una personalità non molto forte e disturbata, tende ad assumere nella parola scritta l’alter-ego di una persona di ceto sociale più basso. Poi, l’inchiostro rosso è solitamente molto costoso: probabilmente il nostro assassino ha le tasche piene di pecunia, o non sprecherebbe denaro investendolo in lettere scritte per farsi beffe di Scotland Yard. Altro dato da sottolineare: l’utilizzo di molti americanismi. Il nostro uomo ha probabilmente contatti con gli Stati Uniti, o non si servirebbe di tante parole gergali riconducibili a quel Paese. Ora, guarda: ci sono alcune macchie, sulle buste di tutte e tre le missive. Nonostante il tempo trascorso e la discolorazione che ciò comporta, le sono di un bel marrone intenso: sono macchie d’alcol, non diluito e di buona qualità. Bourbon, molto probabilmente. L’odore però non mi convince… posso sentire un vago sentore di aglio, con un che di chimico. È probabile che il liquore sia stato mescolato con una qualche sostanza chimica, che reagendo con l’alcol abbia provocato questo odore. Conosco una sola sostanza facilmente reperibile con questo tipo di reazione: l’arsenico.”

 “Un momento… vuoi forse dire che Jack lo Squartatore potrebbe fare uso di arsenico?”

John era a conoscenza del fatto che l’arsenico fosse una sostanza molto utilizzata, in quel periodo. Dai cosmetici che rendevano tanto attraenti le sofisticate gentildonne Londinesi, a numerosi tonici e farmaci, non c’era famiglia che non avesse nei cassetti della sua casa una dose più o meno concentrata di quella sostanza. Lui personalmente non aveva mai prescritto quella pericolosa sostanza -uno solo grano della quale era sufficiente a falciare un omone ben piazzato- ad alcuno dei suoi pazienti, ben conscio delle terribili controindicazioni che aveva -comunque, molti dei suoi colleghi non erano della sua stessa opinione.

Sherlock lo aveva guardato, un’espressione indecifrabile sul viso, e John aveva temuto di aver parlato a sproposito. Quando il Demone aveva annuito entusiasticamente, aveva dovuto fare uno sforzo non indifferente per non mettersi a saltare per il sollievo.

 “Esatto, John. Ma non c’è alcun ‘potrebbe’. Sono certo che faccia uso di arsenico… per motivi di salute o per semplice assuefazione, non è di mio interesse saperlo. Fatto certo è il suo uso di tale sostanza. Come lo so? Semplice: dalle pillole rinvenute nelle tasche della Chapman.”

Ora, quello era stato un balzo logico decisamente inaspettato, che aveva reso John momentaneamente incapace di controllare i muscoli della mascella. Il suo sconcerto era stato tanto evidente, che Sherlock aveva roteato gli occhi come se il Dottore gli avesse causato un fastidio inconsolabile. Un piccolo sacchetto con dentro gli effetti personali della donna fu sollevato dal pavimento, e lanciato tra le mani pronte ad accoglierlo di John.

“Dall’autopsia della donna risulta che fosse gravemente malata ai polmoni, e che la sua fine non fosse molto lontana. È probabile che portasse con sé dei medicamenti per combattere i sintomi più evidenti della sua malattia, ma per una donna costretta a vendersi per qualche penny sicuramente quelle pastiglie in particolare sarebbero un po’ troppo costose. Controllale.”

John, ancora basito, aveva estratto le due, bianche pastiglie dal loro contenitore di carta. Le avrebbe riconosciute ad occhi chiusi, anche senza saggiare la polvere che le ricopriva: erano pastiglie di stricnina, farmaco costoso che veniva molto spesso prescritto per alleviare i disturbi all’apparato digerente provocati dall’abuso di arsenico.

“Incredibile…” aveva sospirato, spostando lo sguardo dalle pasticche a Sherlock con tutta l’ammirazione che i suoi occhi avrebbero potuto contenere. Il Demone gli aveva sorriso, di uno di quei mezzi sorrisi che da lì a pochi mesi lo avrebbero letteralmente fatto impazzire, e schiarendosi la voce aveva ripreso le sue riflessioni.

“In sostanza, Jack ha lasciato sulla seconda delle sue vittime un importante indizio che avrebbe potuto portare alla sua cattura. E non è il solo. I conoscenti di Elizabeth Stride sostengono che il fumo non rientrasse affatto fra i molti vizi della defunta. Preferiva spendere i pochi spiccioli che riusciva a guadagnare in whiskey. Eppure, vicino al suo corpo sono state ritrovate delle pasticche per l’alito disposte in maniera molto ordinata. Deve averle lasciate l’assassino; allo stesso modo in cui ha lasciato un costoso astuccio porta sigarette in argento nascosto sotto le gonne di Catharine Eddowes. Infine… il brandello di cotone nel borsellino della Nichols. Piccole briciole per guidare la Polizia verso di lui. Solo, i poliziotti in questione erano troppo stupidi per seguirle.”

“Quindi… Jack voleva essere preso?”

“Oh no, no no! Affatto! Era tanto sicuro di non essere sospettato dalla polizia da sentirsi in vena di prendersi gioco di chi lo inseguiva fornendogli indizi che non avrebbe saputo decifrare. Stava giocando con Scotland Yard. Evidentemente non si aspettava che qualcuno come me avrebbe mai messo le mani su queste tracce.”

John era rimasto in silenzio, troppo basito per poter proferire parola. In fondo, neppure volendo sarebbe riuscito a trasmettere in una serie di sillabe pronunciate ad alta voce tutto lo stupore e l’ammirazione che sentiva in quel momento. Fortunatamente per lui, Sherlock lo aveva tolto d’impiccio. Con un sorriso malizioso a incurvargli le labbra, aveva poggiato una mano sulla spalla del Dottore, facendolo voltare verso la porta dell’archivio.

“Bene. Non c’è nient’altro che mi serva in questo posto. Ho bisogno di indagare un po’ sul campo… direi che Whitechapel sarebbe un ottimo posto da cui iniziare.”

“Sono passati anni, non c’è più niente che riguardi lo Squartatore lì!”

Sherlock aveva bloccato John a metà di un passo, voltandolo verso di lui come una marionetta nelle mani di un folle burattinaio.

“Non c’è niente per qualcuno come te, ma ci saranno sicuramente un miliardo di indizi pronti ad essere colti da una mente come la mia! Non c’è tempo da perdere, andiamo!”

Le porte a vetri dell’archivio avevano vibrato al tocco di quelle pallide dita senza fine.

***

Erano al principio di Commercial Street, quando Sherlock aveva fermato improvvisamente i suoi passi, e solo per miracolo John non aveva finito per travolgerlo.

“Non ho mai fatto una cosa del genere.” aveva dichiarato, lanciando al Dottore occhiate nervose da sopra la spalla e dondolando sulle piante dei piedi,

“Non hai mai fatto… che cosa?” gli aveva risposto John, pacato. Di certo non poteva riferirsi alla parte dello sgattaiolare per Londra: sembrava essere nato compiendo quell’azione.

Parlare…” aveva detto il Demone, arricciando le labbra intorno alla parola come se fosse stata particolarmente offensiva per le sue corde vocali, “…ragionare a voce alta. Raccontare a qualcuno quello che sto vedendo -quello che sto sentendo. Non l’ho mai fatto.”

“Oh.”

Già. Oh. Ottima sintesi delle capacità cognitive di John di fronte a tale rivelazione.

Il Demone non aveva ancora finito. “Non so perché lo abbia fatto. Parlare, intendo.”

Era sembrato così terribilmente insicuro. Così assurdamente umano.

“È stato straordinario. Davvero straordinario.”

Sherlock, senza pronunciare una sola, ulteriore parola, aveva ripreso a camminare.

 

 

 

 

 

 

Note dell’autrice:

Eccomi di nuovo, dopo una lunga settimana di silenzio in cui sono sopravvissuta a un tour de force pazzesco e alla lettura accurata del libro di cui vi parlavo nello scorso aggiornamento.

Mi scuso di nuovo per il ritardo… spero che non debba accadere di nuovo a breve :P

Comunque, ecco il nuovo capitolo. È stato difficile da scrivere, e non nego di avere una grande paura che il risultato non sia affatto quello che speravo di ottenere. Anche se, devo confessare che non mi dispiace… però si sa, le madri sono sempre molto indulgenti con i loro figli ;)

Fatemi sapere cosa ne pensate ;)

Come sempre, non posso che dirvi grazie mille per il vostro sostegno! :) siete il Mike Stamford del mio John Watson ;) Vi adoro!

A presto, un bacio :*

 



[1] James Maybrick: mercante di cotone che trascorse la sua vita fra Norfolk, Londra e Liverpool; sposato con una donna molto più giovane di lui, soffriva di ipocondria e di una menomante dipendenza da arsenico. In un diario rinvenuto a Liverpool da Mike Barret nel 1990, egli stesso si firma come Jack The Ripper, rivelando nelle pagine dettagli degli omicidi di Whitechapel noti ai tempi soltanto alla polizia;

[2] La “Dear Boss”, inviata al Daily News il 25 settembre del 1888, la “Saucy Jacky”, cartolina ricevuta dalla polizia il primo ottobre dello stesso anno, e la “From Hell” del 15 ottobre;

   
 
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