Fanfic su attori > Jamie Campbell Bower
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Autore: Philly123    30/11/2014    4 recensioni
Londra.
Jamie vive da solo nel suo appartamento in centro, da qualche tempo si sente vuoto e anche i suoi amici non si fanno vivi.
Dorotea è una ragazza londinese con la passione per la pittura e il disegno.
Si incontreranno, più volte.
Qualcosa si nasconde nel passato di lei.
Jamie Campbell Bower sarà troppo assorbito dalla mondanità per prestare attenzione a una ragazza comune?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jamie Campbell Bower, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Già dalle prime ore dell’alba, la luce cominciò a disturbare il mio sonno. Degli uccellini cinguettavano fuori dalla finestra, intonando un canto melodioso. Lasciai cadere un braccio sulla parte sinistra del letto, solo per ricordarmi che non c’era nessuno disteso lì. Continuavo a dimenticare. Ogni volta che pensavo a quanto mi mancava Jamie sentivo una stretta al cuore e mi sudavano le mani. Mi districai dal lenzuolo leggero e mi misi in piedi, la camicia da notte che celava a fatica le mie curve. La casa era deserta, silenziosa e anche giù in strada sembrava che tutti gli abitanti di Londra si fossero fermati per un secondo durante quel giorno di Agosto.
Avevo imparato a convivere sia con la solitudine che con i sintomi della gravidanza: nausea, arti gonfi, dolore allo stomaco. Mi sentivo una botte in procinto di scoppiare, goffa e impacciata, con quella pancia gigante che quasi non mi permetteva di guardarmi i piedi.
Quella mattina avevo un appuntamento con Hannah. Mi preparai in fretta solo per rendermi conto che erano appena le sette, mentre l’appuntamento era alle dieci.
Aspettai mentre il telefono suonava a vuoto.
-Sì?- chiese una voce che sembrava provenire dall’oltretomba.
-Ciao Hannah, volevo chiederti se possiamo vederci subito. Sono già pronta e non so che fare.- Sentii un lieve grugnito, probabilmente Oliver che si lamentava degli squilli. Li immaginai distesi accanto, che si abbracciavano sul letto e mi sentii subito triste.
-Okay, ma vieni tu. Ti farei aspettare un casino.-
-Giusto il tempo della strada e sono da te- risposi, poi riattaccai. Mi sentivo un po’ in colpa, Hannah avrebbe detto di no a qualsiasi altra persona ma probabilmente non voleva lasciarmi da sola in casa, forse pensava che mi sarei depressa o qualcosa di simile.
 
Mi diressi verso casa dei due ragazzi, a piedi come al solito. L’enorme loft di Richmond apparteneva a Oliver e vi trascorrevano la maggior parte delle vacanze, l’appartamento striminzito nel quartiere di Wimbledon, invece, era stato preso per le esigenze di lavoro dei due.
Raggiunsi il quarto piano del palazzo e suonai il campanello mentre Hannah stava già spalancando la porta con fare sgraziato. Indossava una canottiera larga e dei pantaloncini cortissimi, che mettevano in mostra il suo corpo tatuato.
-Dori!-
La salutai con un bacio sulla guancia.
-Ehi.- Oliver era poco dietro di lei, in pigiama e con i capelli in tutte le direzioni. Aveva un nuovo tatuaggio accanto all’orecchio, rosso e gonfio.
-Come stai, Dori? Come ti senti oggi?- chiese Hannah, premurosa, mentre mi faceva sedere in cucina. Aveva lasciato sul tavolo una fetta di pane già mordicchiata con della crema al cioccolato sopra.
-Sempre la stessa vita: gravidanza, lavoro, solitudine…- L’ultima parola mi uscì in un tono basso e riflessivo.
-Mi dispiace, Dori, stiamo facendo tutto il possibile per non farti sentire sola, lo sai vero?-
Prima che potessi rispondere sentii due mani che si appoggiavano sulle mie spalle. Io e Oliver eravamo diventati molto amici negli ultimi tempi.
-Non ti deprimere, scema, l’attesa è quasi finita!- disse lui, con tono ammiccante.
-Oliver!- lo rimproverò la ragazza, con uno sguardo truce.
 
Qualche ora dopo andammo a passeggiare lungo il ponte di Westminster. Ogni cosa mi ricordava Jamie, perfino il Tamigi, accanto al quale avevamo camminato tantissime volte.
Concludemmo la giornata dall’ecografista, una delle tante visite di routine che solitamente affrontavo da sola. Infine, tornammo a casa e mi addormentai presto, scordandomi di puntare la sveglia.
Parecchie ore dopo sentii un rumore, qualcosa che infastidiva il mio sonno. Capii che si trattava del telefono. Senza aprire gli occhi, cercai l’apparecchio sul comodino con la mano sinistra.
-Farai meglio a svegliarti!- esclamò la voce di Hannah dall’altra parte.
-Come?- riuscii a chiedere soltanto. Provavo una leggera nausea, nulla di nuovo.
-Sveglia, Dori! Devi prepararti, altrimenti arriveremo in ritardo.-
In ritardo. In ritardo…
La sorpresa mi fece alzare di scatto, e non fu un bel risveglio. Senza nemmeno salutare Hannah, gettai il telefono da qualche parte e cercai di sbrigarmi.
Mezz’ora dopo, lei e Oliver erano sotto casa mia, fermi dentro a un minivan nero. Saltai su senza troppa grazia e partimmo più in fretta possibile. In realtà, avevamo un largo margine di tempo, ma non puoi mai sapere se incontrerai una lunga distesa di auto, prendendo una strada per andare fuori città. Mi sentivo ansiosa e inquieta, continuavo a portarmi le mani sul ventre gonfio, avevo preso quell’abitudine da quando la strana convessità aveva modificato il mio corpo.
Quaranta minuti dopo eravamo nei pressi dell’aeroporto. Le macchine si divincolavano nel traffico opprimente ma in qualche modo ci avvicinammo all’entrata.
-Come ti senti, Dori?- chiese Oliver.
-Non credo che riuscirò a sopportare quest’ansia ancora per molto!-
Lui rise, rideva praticamente per tutto. Ero convinta che avrebbe riso anche se gli fosse capitata una disgrazia, e questo non era un vizio così terribile.
-Mi sa che non dovrai sopportarla più- disse piano, mentre fissava un punto fuori dall’auto.
Mi girai, seguendo il suo sguardo e notai un ragazzo. Era in piedi, perfettamente dritto, con uno zaino sulle spalle. I capelli biondi erano leggermente scossi dal vento e una maglietta blu s’intonava perfettamente con quegli occhi che non potevo vedere, ma conoscevo così bene da averli disegnati continuamente, in quel periodo. Sembrava confuso, mentre scrutava da una parte e dall’altra, e poi controllava l’orologio.
Aprii la portiera, senza curarmi del leggero movimento della macchina, o della voce di Hannah che diceva “Aspetta”. Cominciai a correre lungo il marciapiede, facendo attenzione a non scontrarmi con nessuno, anche se la gente si spostava per lasciarmi passare.
Appena arrivai abbastanza vicino, mi gettai sopra Jamie. Il suo petto era caldissimo, sotto la mia guancia, e sapeva esattamente dell’odore di Jamie.
-Mi sei mancato da morire- borbottai singhiozzando, non sapevo nemmeno se mi avesse capito. Non ero solita fare quelle scenate, men che meno davanti a tutti, ma in quel momento non riuscivo a trattenermi, forse era colpa dell’emotività causata dalla gravidanza.
-Ti amo- rispose lui, baciandomi la testa. Sentii le sua labbra affondare nei miei capelli.
Poco dopo si scostò da me e si inginocchiò, portandosi all’altezza della mia pancia. Mi sentivo un po’ in imbarazzo, a vederlo così davanti a tutti, ma a lui sembrava non importare affatto.
-Come sta?- chiese, fissando il mio ombelico che formava un piccolo bottone attraverso la maglietta.
-Ti sta salutando.-
-Come fai a dirlo?-
-L’ho sentito agitarsi così soltanto poche volte- risposi, ridendo sommessamente. Diede un bacio sulla mia pancia come se stesse già baciando suo figlio. Sarebbe stato il padre migliore dell’universo.
  
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