Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Dicembre    02/11/2008    1 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nota dell'autrice Il disastro è cosmico perchè non ho più frontpage e io l'html non lo so usare ._. Avete idea di un qualche editor gratis scaricabile da internet? Altrimenti se vado avanti di questo passo, devo prendermi pomeriggi interi per editare un capitolo gia bello che finitio...sigh... Scusatemi se la formattazione, quindi, non è delle migliori. L'impegno cìè stato, giuro...Baci a tutti (chi legge e tanti a chi commenta XD)

Capitolo Diciannove - In un nome

 

 

Aveva dimenticato tutto. Il giorno dopo, come se nulla fosse, s’era alzato, s’era lamentato per il mal di testa e per l’incredibile sete che aveva. Nient’altro. Non aveva fatto alcuna menzione di quello che era successo la notte prima e Luppolo s’era ben guardato dal ricordagli qualcosa.

Lo scozzese era contento.

Ringraziava il cielo perché quel momento di debolezza non aveva portato effettive conseguenze. S’era pentito di aver ceduto e aveva dormito agitato tutta la notte nel terrore che Cencio si sarebbe ricordato qualcosa. Questo avrebbe per forza di cose incrinato quella sintonia stupenda che c’era fra di loro.

Ringraziava il cielo perché, se Cencio non si fosse addormentato, se la birra non avesse preso il sopravvento, forse Luppolo non si sarebbe più fermato. Che fortuna che quello sciocco aveva ingurgitato troppa birra da non poter ricordare, da non poter stare sveglio…

Già, che fortuna!

E non doveva forse anche ringraziare la fortuna per avergli concesso quel momento, unico e irripetibile, senza che ne dovesse subire alcuna conseguenza?

Sì, era stato davvero fortunato.

E per tutta questa fortuna, Luppolo piangeva nel suo letto.

Piangeva come non  faceva ormai più da anni. Anzi, ad averglielo chiesto, probabilmente non avrebbe saputo dire l’ultima volta che aveva pianto.

Eppure ora non riusciva ad interrompere i singhiozzi che soffocava sotto le coperte, imbarazzato da se stesso.

Era stato fortunato, lo sapeva. Che cosa sarebbe successo se Cencio si fosse davvero ricordato qualcosa?
Lo stupì il pensare che, più di ogni altra cosa, quello che lo terrorizzava era l’idea che lui potesse allontanarlo, disgustato perché Luppolo aveva approfittato del suo stato d’ubriaco.

E Luppolo sapeva che avrebbe avuto ragione.

Aveva lasciato la Scozia volontariamente. A volte pensava di essere fuggito. Probabilmente era così.

Aveva ucciso il suo maestro d’arme, l’aveva trapassato da parte a parte quando questi stava picchiando sua madre.

Era stato un codardo perché non l’aveva sfidato, non aveva tentato uno scontro alla pari. L’altro era lì, che si stava accanendo sul corpo di sua madre - già a terra e sanguinante -  lui aveva preso la spada e l’aveva trafitto. Senza onore. Ma in quel momento non aveva pensato né all’onore né al rispetto che avrebbe dovuto portare verso quell’uomo che gli aveva insegnato tutto sull’arte della guerra. Aveva sentito solo qualche gemito della madre che non riusciva più neanche a gridare, l’aveva vista per terra, rannicchiata su di un fianco che si riparava, inutilmente, dai calci di quell’uomo e quindi l’aveva ucciso. Niente di più.

Ma l’animo di un cavaliere non può essere cambiato dall’oggi al domani, per quanto sapesse che in fondo, stava proteggendo sua madre, sebbene sapesse che, in fondo, non era lui nel torto, l’idea di essere stato un vigliacco e di avere ucciso un uomo alle spalle non gli aveva più dato tregua.
L’idea poi di avere ucciso chi l’aveva cresciuto per tutti quegli anni, l’aveva obbligato a cercare un’espiazione di quella colpa altrove, da qualche parte a lui ignota. Un luogo che l’avrebbe finalmente redento.

Cencio era stata la sua redenzione.

Quando aveva incontrato quegli occhi monelli di tredici anni, gli erano sembrati come quelli di qualunque altro. Non avrebbe mai potuto immaginare che quella pelle scura, quel sorriso sbarazzino e quell’aria furba l’avrebbero assolto e perdonato.

Il ragazzino, ai tempi, era uno di quei bambini perduti, schiavi delle voglie passeggere di un potente, ladro e furfante. Ma rideva. Cencio, ai tempi, rideva sempre.

E non rideva per scherno, per far fronte alla sua vita o per sfuggire alla realtà. Rideva perché lui si divertiva. Non aveva altri se non se stesso, ma lui rideva spesso con se stesso.

E questo, Luppolo, l’aveva trovato prodigioso.

A volte pareva quasi che il sole delle sue terre fosse stato catturato da quel mocciosetto e che questi se lo portasse sempre dentro. Anche dopo molto tempo, in un’Inghilterra buia e spesso ostile, lui rideva sempre.

Luppolo pensò di nuovo a quando lui e Cencio s’erano presi gioco del funzionario del porto. Nessun altro avrebbe mentito con tale disinvoltura, nessun altro avrebbe nascosto la sua paura di tornare ancora sotto il giogo di un signorotto qualunque…

E allora, se davvero Luppolo era stato così fortunato, se davvero Luppolo era stato redento, se davvero Luppolo era stato perdonato, che cosa voleva, per piangere come un bambino chiuso in una stanza?

Voleva lui.

E la necessità quella notte era così travolgente che Luppolo non poteva evitare di piangere.

 

 

Era raro, in quel periodo dell’anno, che il cielo fosse così terso. Eppure quella notte, nonostante il freddo, nonostante nell’aria sembrasse esserci del nevischio, nel cielo non c’era una nuvola.

Aaron era seduto in un giardinetto interno al castello e lo guardava, avvolto in strati di pelliccia, in un tepore irreale, mentre ogni suo respiro produceva della condensa.

“Non fa troppo freddo per rimanere fuori?”

Aaron guardò Nero avvicinarsi e non rispose, tentando di prolungare quello sguardo quanto più a lungo possibile.

“Potrei farvi la stessa osservazione” sorrise poi.

“Vi stavo cercando, a dire il vero…”

Aaron lo osservò, per saperne il motivo. Nero gli si sedette di fianco e tremò leggermente “…anche se non dovrei farlo” bisbigliò quasi stesse seguendo il corso dei propri pensieri

“Non avreste dovuto, è vero” ammise Aaron “Quindi sarebbe sciocco se dicessi che sono contento che mi abbiate trovato…”
”Sarebbe sciocco sì. Forse sarebbe meglio se me ne andassi e smettessi di rovinare la vostra quiete e la vostra notte d’inverno”

“Forse sarebbe meglio…sì” disse Aaron.

Sorrisero.

Ma non dissero più nulla per un po’.

Perché tacere ciò che quel silenzio gridava?

Perché negare ostinatamente che lo stare l’uno di fianco all’altro fosse l’unico modo di avere senso, quella notte?
Perché, nonostante tutto, prevalse il senso di colpa.

E l’assurda convinzione che bastava non nominare qualcosa d’inopportuno per far sì che questo non esistesse.

Nero tremò leggermente, le sue vesti erano troppo leggere per quella notte di dicembre.

Il mantello di Aaron era sufficientemente largo per coprire entrambi, perciò il padrone del castello se lo slacciò e coprì quelle di tutt’e due.

Questo l’obbligò ad avvicinarsi all’altro.

Ma ancora nessuno disse una parola.

Nero prese il mantello, sorridendo, e se lo portò sulle proprie spalle, assicurandosi che non scivolasse da quelle dell’altro. Era morbidissimo e aveva il suo odore addosso. Tremò di nuovo, ma questa volta non aveva più freddo.

Strinse la pelliccia fra le dita e nella sua mente si sovrapposero mille domande e mille parole da dire in quel momento.

Sotto quel mantello una mano cercò l’altra. Fu così naturale che solo quando si scoprirono intrecciate, si accorsero di essersi trovate.

Nero guardò Aaron cercando disperatamente una via di fuga, una strada che non lo conducesse a ciò che voleva fare. Era così vicino a lui che non riusciva a trovarne, inebriato dal tepore del suo mantello sulle proprie spalle e delle sue dita nella propria mano.

Ma fu Aaron a trovare la forza di fare un passo in una qualunque direzione che non fosse quella più naturale e a salvare, davanti agli occhi di Dio, le loro due anime.

“Vi ha stupito scoprire che anche William nutre idee simili alle vostre in merito al posto dove trascorrere la propria vita?”

Nero sorrise, grato.

“Mi rincuora, se devo essere sincero”
”Rincuora?”
”Sì, e inoltre, devo ammettere, mi suscita un po’ d’invidia”
Aaron aspettò che Nero si spiegasse meglio.

“Lui sa quale sia casa sua… L’unico suo freno mi pare essere il nome che porta. Teme che il chiamarsi William non lo renda il benvenuto qui”
Aaron sorrise.

“La prima volta che lo vidi, ne sono stato terrorizzato. Ricorda così tanto mio fratello, che ho pensato, per un attimo, di rivederlo. Ma è bastato poco per rendermi conto che, nonostante il nome sia lo stesso e nonostante l’aspetto sia molto simile, sono davvero persone profondamente diverse”

Nero annuì: “Sarà felice, vivendo qua” ma non seppe dire se quelle parole si riferissero al bambino o a se stesso.

“E voi…sareste felice…tornando qui? Potreste tornare qui tutte le volte che vorrete, anche dopo la primavera…”

“E magari vi porterei del vero Balsamo di Tigre…”
”Già” sorrise Aaron “vi aspetterei ogni volta…” finì la frase in un sussurro.

“Io tornerei. Non ho mai desiderato tornare. Ma qui vorrei farlo”.

Aaron non osò guardarlo in volto, si concentrò su un sassolino per terra e non distolse lo sguardo da lì, nonostante sentisse la vicinanza dell’altro pregarlo di voltarsi. Ma anche Nero, sordo a quel richiamo, lo lasciò scorrere via.

“Vorrei tornare” ripetè.

Strinse le dita intorno a quelle di Aaron e aspettò un attimo prima di parlare di nuovo.

“E io” infine disse “che cosa posso fare per voi?”
Aaron sorrise, apertamente, con uno di quei sorrisi bellissimi che era solito fare con lui.

Che cosa poteva fare?

Nella mente di Aaron s’accavallarono così tanti pensieri che si dovette mordere il labbro per non dare voce ad ognuno.

Aveva le guance in fiamme e il cuore che gli batteva troppo forte, ma ciononostante riuscì a dire la cosa più innocua, ma al contempo una delle più importanti, che aveva desiderio di chiedere:

“Ditemi il vostro nome”

Non si pentì d’averlo chiesto, benché si accorse che Nero si era irrigidito. Notò un leggero tremore del viso e un velo opaco oscurare i suoi occhi, quasi Nero stesse lottando con se stesso per non gridare.

“Perché volete saperlo?”

“Per conoscere quello che c’era prima” disse onestamente “So bene che il sapere il vostro nome non significa niente, adesso. E neanche significa che io conosca ciò che è stato. Ma significherebbe fiducia…”

Nero scosse la testa, e Aaron ebbe la sensazione che gli stesse dando torto.

“Pensate che questo possa essere il posto giusto per William?” chiese, cambiando discorso.

Aaron trasalì, avrebbe preferito un no secco, piuttosto che essere ignorato. Ma non si sentì di condannare Nero. Forse davvero, aveva chiesto troppo.

“Non lo so” disse in un sussurro “Mi piacerebbe lo fosse…”
”Vi piacerebbe per voi stesso o per lui?” rispose freddo Nero e Aaron lasciò che le sue parole lo ferissero terribilmente.

“Che cosa intendete..?”
”Lo fareste per egoismo o per altruismo?”

Aaron cercò di nuovo di capire, rifiutando l’idea che Nero stesse volontariamente offendendolo.

“Mi chiedo se non stiate semplicemente cercando un sostituto”

Aaron sgranò gli occhi, che si seccarono, così come la sua bocca, colti da un’emozione violenta di rifiuto.

Non aveva posto protezione, non s’era preoccupato di difendersi, e quelle parole affondarono nel suo animo con facilità.

Venne scosso da un brivido.

Qualunque lato si lasci esposto, prima o poi verrà qualcuno a ferirlo. 

Tentò di alzarsi, voleva andarsene, avrebbe voluto gridare in faccia a quell’uomo tutto il nulla che con una frase era riuscito a creare nella sua mente. Perché? Voleva sapere.

Ma Nero non gli permise di alzarsi e con un dito non gli permise neanche di dire niente. Glielo appoggiò sulle labbra, premendolo leggermente.  Aaron non pose nessuna resistenza.

Lo guardava con occhi feriti e cercava di capire. Per aver chiesto ciò che avrebbe dovuto essere dimenticato? Per aver osato chiedere il suo nome, Nero aveva deciso di punirlo così?

Nero spostò il dito dalle labbra al viso, tracciando leggermente una linea immaginaria che percorreva le guance prima, il bordo del mento poi.

Dopo non fu più sufficiente un solo dito e con tutta la mano gli accarezzò di nuovo la guancia, sistemandogli i capelli dietro l’orecchio e lasciando che questi s’intrecciassero con le sue dita.

Che fare?

Aaron non lo sapeva, ma non oppose la minima resistenza a quel tocco così delicato che pareva portargli via l’amarezza di poco prima e lasciargli solo passione.

Nero gli era così vicino che fu colto dal panico. Afferrò con forza i capelli dietro la nuca dell’altro e li strinse. Li strinse forte, ma il cavaliere sembrò non accorgersene. Aaron aveva bisogno di avere un qualche controllo su quello che stava accadendo, ma nonostante la presa, sentì il viso di Nero avvicinarsi al suo, fino a percepire il suo respiro direttamente sulla pelle.

Aaron stava perdendo il senno e non capiva. Era così inebriato da quell’alito caldo che avrebbe perdonato qualunque cosa a colui che un attimo prima l’aveva offeso.

Ma lo stesso non capiva perché l’avesse fatto.

Nero riportò la mano sulle labbra del biondo e ne disegnò la linea morbida.

Appoggiò la fronte a quella dell’altro.

Cercò di dire qualcosa, ma la sua voce si spezzò prima  ed indugiò ancora sul quelle labbra.

Non poteva più salvarli Aaron, che con una mano fra i capelli del cavaliere e l’altra fra le sue dita non vedeva una via di fuga se non su quelle labbra che gli respiravano addosso.

“Io…” sussurrò Nero con voce rotta “mi fido di voi” e così dicendo fece scorrere le sue labbra sulla guancia di Aaron. Un semplice palliativo ad una necessità disarmante.

Questi trattenne il respiro. Non esisteva nient’altro se non quell’unico punto sfiorato dall’altro.

L’amarezza provata poco prima era stata disciolta dalle sue parole.

Nero accarezzò la guancia di Aaron con la bocca, sfiorandola semplicemente e poi nascose il viso nel collo dell’altro, fra quei capelli d’oro, salvo agli occhi di Dio ma ormai inevitabilmente naufrago.

“Nathaniel[1]" bisbigliò.

E per un istante ebbe paura di quel nome. Ma poi Aaron lo cinse con le braccia, stringendolo a sé e nascondendolo in quell’abbraccio.

Per un uomo così poteva barattare l’anima.

 

***

[1] Quand'è possibile cerco di evitare le note esplicative, tuttavia non penso che molti conoscano il significato dei vari nomi. Mi sono ripromessa di scrivere da qualche parte sul sito le etimologie, il perchè ho scelto un nome invece che un altro ecc... Per ora vi basti sapere che Aaron vuol dire "L'illuminato" e Nathaniel "dono di Dio". Mi sembrano entrambi abbastanza esplicativi ^_^ Dicembre

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Dicembre