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Autore: Nadie    03/12/2014    3 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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10. Padre
 





La bambina siede su un tappeto blu, sembra ancora un po’ assonnata mentre si strofina gli occhi con le dita delle piccole mani.
La guarda e la cerca, cerca la sua presenza piccola e giovane, prova ad avvicinarsi, a respirarla.
Bambina che sbadiglia; bambina che si strofina gli occhi; bambina che vorrebbe dormire ancora un po’; bambina che c’è, che vive, che è arrivata fino a qui, a questo momento e chissà da dove è partita.
Chissà quel è stato il suo punto di partenza.
Chissà dov’era.
Dov’eri, bambina assonnata? Eri con Dio? Lo hai conosciuto? Che tipo è?
Lui non ha mai avuto rapporti costanti con Dio, non ha mai rivelato i suoi peccati segreti a vecchi pieni di prediche in bocca, si è sempre fidato poco di ciò che non poteva vedere o toccare.
Ma, caro Dio, se io e te potessimo farci due chiacchiere io ti chiederei perché hai plasmato un modo simile, perché  hai creato padri che non hanno saputo fare i padri, perché hai dato forma alla lontananza, alla mancanza, perché ci hai fatti così fragili e piccoli e incapaci di bastarci.
Perché?
Aspetterò la risposta per i secoli dei secoli, amen.
Sente la voce cristallina della bambina parlare con la sua alce di peluche e vede la sua manina avvicinare al grosso muso del pupazzo una fogliolina di insalata.
Lui sorride. Poi il sorriso sparisce.
Vorrebbe alzarsi da quel divano che profuma di Prudence e della sua pelle bagnata, vorrebbe parlare con quella bambina, giocarci, essere divertente, farla ridere.
Vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe fare così tante cose ma non può e non riesce.
Quella bambina gli fa così male!
Lo ferisce, lo taglia, la sua pelle si apre, ferite inconsistenti che si fanno spazio.
Bambina affilata.
Bambina che sei tutto ciò che io non sono. Tutto ciò che vorrei essere.
E sente una parola breve e veloce che si ripete-ripete-ripete nella sua testa.
Padre.
Padre.
Padre.
E lui vorrebbe essere padre.
Vorrebbe essere suo padre.
Vorrebbe essere come suo padre.
Come suo padre che gli raccontava storie fantastiche prima di andare a letto e gli rimboccava le coperte e, prima di spegnere la luce, abbandonava una carezza leggera sulla sua testa e lui la aspettava sempre, quella carezza, sin dal mattino, la desiderava, voleva sentire quella mano grande posarsi sul suo capo e ‘buonanotte, piccolo uomo, cerca di sognare solo cose belle’; come suo padre che ogni Domenica lo portava con sé al negozio di vecchi dischi vicino casa e gli raccontava di persone sconosciute che con la loro musica avevano dato un bel suono alla sua vita, ‘e ci saranno persone sconosciute che suoneranno anche per te, piccolo uomo, e daranno un bel suono anche alla tua, di vita, che saranno la tua colonna sonora unica e personale’; come suo padre che quando pioveva lo accompagnava in macchina a scuola e lo portava a fare colazione al bar più vicino, e lui si ricorda ancora del buon profumo di brioche appena sfornate; come suo padre e la sua mano grande che si posava sulla sua spalla, e la sua voce calda, ‘ce la farai. Io ci credo’; come suo padre che c’è, che c’è sempre stato, presenza costante al suo fianco, braccio forte a cui aggrapparsi.
E lui vorrebbe essere altrettanto per quella bambina.
Bambina che lo ferisce, che ferisce perché è tutto ciò che lui non è stato e tutto ciò che lui non ha avuto.
Tutto ciò che lui non ha avuto e riesce a vedere Prudence camminare sul pavimento della sua mente, è vestita di bianco, bianco che splende e sente parole pronunciate e ripronunciate da chissà quante persone vorticargli nella testa.
Vuoi tu prendere come sposo questo spirito libero che vorrebbe solo espandersi e riempirsi della parte migliore del mondo per poi donarla a te, e solo a te? Vuoi unirti a questo essere umano pieno di difetti e di domande troppo grandi per questo mondo? Prometti di amare ed onorare quest’anima che è fatta di te e solo di te finché morte non vi separi e anche dopo?
E Prudence dice sì, lo voglio.
Sì, lo voglio-lo voglio-lo voglio.
Ed ecco comparire tra le pareti della sua testa un piccolo appartamento vicino al centro di Amsterdam, che ha dentro un buon profumo di fiori e lui e Lei che condividono una pizza sul loro divano. E poi l’appartamento scompare e lui sente solo le parole di uno stupido litigio per il colore con cui verniciare i muri del soggiorno e gli viene da ridere, ridere, ridere, cosa vuoi che mi importi dei muri in soggiorno?!
Ed ecco un letto grande con dentro loro due nudi, soli, insieme, uniti, indivisibili: stessa pelle, stessa carne, stesso corpo.
E poi riesce a vedere il ventre di Prudence che cresce, che diventa il nido di suo figlio, nostro figlio, figlio di un amore che ha saputo inventarsi da solo ed esistere ed espandersi, allungarsi, arrivare lontano, oltre i confini dell’astratto. Amore che li ha rapiti, bagnati, riempiti. Amore che c’è, che c’è, che c’è, che esiste, concreto, tangibile. Amore che si sente, che gira intorno, presenza invisibile e inseparabile e figlio mio, figlio nostro, io prometto di raccontarti la mia storia che è anche la tua storia e partirò dall’inizio, da una fredda notte di Dicembre in cui ho incontrato una sirena in una metropolitana e sono annegato nei suoi occhi verdi.
Tutto ciò che non ha avuto.
Le immagini lo abbandonano, ci sono di nuovo solo lui, la bambina e il suo peluche.
Vorrebbe chiamare subito Prudence.
Perché ci hai lasciati qui da soli? Come dovrei comportarmi?
 
E la sua mente vaga lontana e ritorna a qualche ora prima, quando si è svegliato su un divano rossiccio stringendo tra le braccia Occhi Verdi e lei era così bella, così bella nei suoi capelli spettinati, nella sua pelle umida e nella sua espressione triste, triste anche mentre dormiva e che cosa sogni? Che cosa stai sognando? Ti prego, cerca di sognare solo cose belle.
E poi gli è ritornata in mente la notte in cui Lei è scivolata via silenziosamente e allora ha rafforzato la stretta sulla sua schiena, se l’è spinta contro il petto e lei si è svegliata.
Scusa, non volevo svegliarti.
No, io… è tardi!
Ed è scattata in piedi e ha corso avanti e indietro per tutto l’appartamento, si è lavata, vestita ed ha legato i capelli in una coda alta.
Ti prego, puoi restare tu con Leila?
Perché?
Devo andare al lavoro, ma mi spiace portarla con me perché si annoia.
Non sono bravo con i bambini.
Così farai pratica.
Non credo mi serva più, la pratica.
Perché?
Lo sai perché.
Dovresti smetterla.
Di fare cosa?
Di pensare al passato.
Il presente non mi piace.
Allora cambialo.
Ci sto provando.
Devo andare, ti prego resta con Leila.
Non sono suo padre.
Lo so.
Avrei voluto esserlo.
Lo so.
Avrei voluto essere tante cose.
Lo so.
E poi Lei ha abbassato lo sguardo, ha aperto la porta e se n’è andata.
 
Lui prende un bel respiro, si alza in piedi e si avvicina alla bambina.
«Leila, ti andrebbe di mangiare un bel gelato?»
Leila alza gli occhi e li punta su di lui.
«Un bel gelato!» ripete ed annuisce energeticamente.
Lui sorride, poi si guarda intorno e solleva dal tappeto vicino alla porta un paio di scarpine con i lacci.
«Sai fare il nodo?» lei scuote la testa.
Lui si inginocchia, le infila piano le scarpine e gliele allaccia.
Leila lo guarda fisso e segue con gli occhi ogni suo movimento, non stacca lo sguardo da quelle mani nuove, così diverse da quelle di sua madre, che sembrano così premurose, così delicate nei loro gesti semplici.
‘Grazie’ farfuglia quando capisce che il ragazzo sconosciuto ha terminato di armeggiare con i lacci.
Lui si rimette in piedi e le tende la mano, la bambina fissa lo sguardo su quella mano tesa e poi sul viso del ragazzo sconosciuto e arrossisce, raccoglie da terra la sua alce di peluche e se la stringe al petto.
«Non viene anche la mamma?» gli chiede, e fa due piccoli passi indietro, un po’ goffi.
«La mamma arriva dopo.»
«Allora… allora aspetto la mamma.»
Si rimette seduta sul tappeto blu e abbassa lo sguardo.
Lui ha capito.
Lo ha capito che non si fida, che forse è spaventata e non sa come comportarsi.
Ed è una sensazione così fastidiosa!
Lui cerca l’approvazione di quella piccola creatura, la vuole, la desidera intensamente e non riesce a spiegarsi perché.
Cosa potrebbe mai importargli della fiducia di una bambina di tre anni? Cosa potrebbe farsene?
E le immagini del tutto-ciò-che-non-ho-avuto gli ritornano in mente, esplodono, prendono vita, si susseguono veloci.
Prudence.
Vestito bianco.
Vuoi tu?
Sì, lo voglio.
Appartamento di Amsterdam.
Pizza condivisa.
Stupido litigio.
Letto grande.
Corpi nudi e carne.
Un figlio.
Suo figlio.
Scuote la testa, scaccia via i pensieri.
Si siede vicino alla bambina e la osserva mentre riprende in mano una fogliolina e l’avvicina al muso del suo peluche.
«Sei silenziosa?»
Leila annuisce senza guardarlo. Lui resta in silenzio, ha capito che parlare non serve a nulla.
Rimane seduto a guardare quella bambina che non si fida, che non sa cosa dirgli e lui continua a pensare al passato, a come era diverso otto anni fa e a come le cose sarebbero potute andare se non fosse successo ciò che è successo.
Se i legami non si fossero interrotti, se Dio non avesse creato le perdite e la mancanza, se lui avesse stretto un po’ più forte Prudence tra le sue braccia.
Se, se, se.
E quella bambina avrebbe potuto essere sua figlia, il frutto vivente di un amore grigio-verde come il cielo e i prati di Dublino.
Ma il passato è passato, ma le cose sono andate come sono andate ed ora restano solo lui, un tappeto blu, un peluche che mangia insalata e una bambina che non ha parole da dirgli.
 
Una chiave scivola nella serratura e Occhi Verdi fa capolino da dietro la porta.
Sembra stanca, delle ciocche ribelli sono sfuggite dalla stretta della sua coda alta e sulla sua maglietta rossa c’è una grossa macchia scura.
Leila scatta in piedi, un po’ impacciata e si lascia scappare un urletto.
«Ciao pulce!» e Prudence si inginocchia e stringe forte la sua bambina.
Lui si alza in piedi e si fa da parte, gli sembra d’essere un intruso in quel momento.
Non c’entro nulla, ma vorrebbe c’entrarci qualcosa, vorrebbe essere una minima parte di quella scena che si consuma sotto i suoi occhi, se solo potesse essere le braccia di Prudence che si stringono gentili attorno a quel corpicino di bambina che crescerà; se solo potesse essere le labbra di Prudence che si appoggiano delicate sulla fronte di sua figlia, o la sua voce felice che si abbraccia a quelle parole, ciao pulce!; se solo potesse.
«Sistema tutto questo bel disastrino, così poi preparo da mangiare, okay?»
La bambina annuisce e raccoglie da terra i ciuffetti di insalata e il suo peluche e scompare dietro una porta.
Occhi Verdi si alza in piedi e si avvicina ad Occhi Bui.
«Ciao.»
«Ciao. Che cosa ti è successo?» le chiede, ed indica con un dito la macchia scura sulla sua maglietta.
«Oh, niente! Un idiota mi ha praticamente rovesciato il caffè bollente addosso.»
«In biblioteca?»
«No, al bar dove lavoro.»
«Fai due lavori?»
Lei annuisce.
Poi silenzio.
«Grazie… per Leila.»
«Di niente.»
«Com’è andata?»
«Da schifo.»
Lei lo guarda accigliata.
«Come mai?»
«Credo non si fidi molto.»
«È perché non è abituata per via…»
«Per via di suo padre. Lo avevo capito.»
Occhi Verdi abbassa lo sguardo.
«Hai mai provato a chiamarlo? A parlargli?»
«Tanto è inutile: non muoverà un dito.»
«Portalo in tribunale.»
«Non ho soldi da regalare a giudici e avvocati.»
«Non puoi far finta di nulla.»
«Non faccio finta di nulla, e comunque è molto meglio così. Lui non è una persona granché responsabile.»
«Potevi pensarci prima di andarci a letto insieme.»
E non si pente nemmeno un po’ di quelle parole.
Le ripeterebbe volentieri.
Le urlerebbe, se potesse.
Perché è quello che pensa, perché non gli importa che quelle parole possano minimamente ferirla.
Non mi importa, non mi importa.
Perché tu potevi e dovevi pensarci prima.
«Cos’è, adesso vuoi farmi la predica? Risparmia il fiato.»
«Non ti faccio la predica, ma tua figlia non ha un padre.»
«Grazie per avermelo fatto notare, non me ne ero accorta.»
«La vuoi smettere?»
«E tu? Tu la vuoi smettere di giudicare? Pensi di potertelo permettere? Tu non sai niente, non hai la minima idea di come ci si senta in una situazione simile! Pensi sia facile? Pensi che basti una telefonata o un avvocato per risolvere tutti i problemi? Svegliati, non funziona così nella vita reale!»
«Cosa significa ‘non funziona così nella vita reale’? Cosa vorresti insinuare?»
«Che magari sei abituato in un altro modo nella tua scintillante vita, ma lontano dai tappeti rossi è tutta un’altra storia!»
E di nuovo le sue parole gli scavano la pelle, in fondo, lo tagliano, bruciano.
E come si permette, come si permette di dirgli una cosa simile? Forse non lo sa che se non fosse stato per lei e le sue lettere cattive, lui i tappeti rossi non li avrebbe mai nemmeno sfiorati.
«Invece di prendertela con me, dovresti chiamare quello stronzo di Maxwell e dirgli di comportarsi da uomo!»
Leila compare all’improvviso e si aggrappa alla gamba di sua madre, Occhi Verdi le rivolge un sorriso poco convinto e poi apre la porta di ingresso.
«Sei stato molto gentile, puoi andare.»
«Prudence…»
«Vattene.»
Lui abbassa lo sguardo, prende la sua giacca ed esce fuori e, prima di poter aggiungere qualsiasi altra parola, la porta si richiude con un rumore secco.
 
 
 
 
 
 
 
Salve, ciurma!
Com'è iniziato questo Dicembre? 
Io lo inauguro(ma mica tanto perché siamo già al 3) con un nuovo capitolo di Barny e Prue che, guarda un po', litigano! Purtroppo ci vuole ancora un pochino di tempo, ma abbiate fede!
Per il resto non posso anticipare nulla, ma comunque ne devono passare ancora delle belle!
E niente, grazie a chi legge, grazie di cuore!
A presto,
C.



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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