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Autore: Margo Malfoy    03/12/2014    1 recensioni
«Maggie, no!» gridò con la voce tremante.
Mi liberai dalla sua presa e continuai la mia corsa tra le mura strette. Ancora pochi passi, e avrei raggiunto i miei due amici. So che loro sarebbero stati fottutamente arrabbiati con me, ma non potevo abbandonarli. Un Velocista non l’avrebbe fatto, e io sapevo di voler diventare come loro.
«Fermati!» di nuovo Newt.
Le sue parole furono le ultime che sentii.
Poi le porte si chiusero alle mie spalle, segno che sarebbe iniziata la fine.
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Thomas, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'She Belongs To Him'
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Giorno 44
Anche lui aveva il mio nome tatuato.
Nella mia testa iniziarono a correre le immagini della Radura. Del Labirinto. Di quando mi ha salvata da morte certa. Di quando mi ha letto il tatuaggio sul petto. Di quando ci siamo baciati. Di quando siamo scappati. Di quando abbiamo dormito insieme e parlato, parlato di quanto fossimo disposti a dare tanto l’uno per l’altra senza potercelo dimostrare. Di quando mi ha detto che l’uomo, che lui chiamava Uomo Ratto, gli aveva detto che noi eravamo una cosa sbagliata, che avremmo soltanto rovinato gli esami. Di quando l’uomo ci ha detto che avremmo dovuto affrontare un’altra prova. Magari anche più pericolosa del Labirinto.
La Prova 2. Eravamo tutti preparati ad ogni evenienza. L’Uomo Ratto non ci volle dire di cosa si trattasse, ma ci disse che avremmo attraversato un Pass Verticale e saremmo arrivati alla Zona Bruciata. Avevamo sistemato i lenzuoli dei letti in modo che potessero contenere cibo e acqua almeno fino a quando non avremmo trovato un posto per fare rifornimento. I ragazzi che avevano il letto singolo portavano il loro fagotto, mentre quelli che avevano dormito nel letto matrimoniale avrebbero condiviso il fagotto con la persona con cui avevano dormito, per cui io l’avrei dovuto condividere con Minho. Era quasi ridicolo come noi due dovessimo stare così lontani fisicamente e finissimo sempre insieme per condividere letto o altro, davvero ridicolo.
«Siete pronti ragazzi?» chiese proprio lui una volta raggiunta l’entrata al Pass.
Un coro di teste ondularono avanti e indietro.
«Come ci muoviamo?» chiese un Raduraio di cui non conoscevo il nome.
Minho si girò verso Newt, in attesa di una risposta. «Hai la testa rincaspiata? Gli hai letti i tatuaggi?» gli chiese Newt indicandogli la spalla.
«Già, abbiamo letto tutti che sei tu il leader» gridò una voce nella stanza.
Minho la ignorò. «Andiamo amico, sappiamo tutti che qui dentro sei tu il capo. Non dire stupidate»
«A quanto pare no. E sai una cosa? Mi va bene così, mi fido di te» poi alzò il tono della voce e si rivolse a tutti nella stanza, forse perfino all’Uomo Ratto, «Noi ci fidiamo di te»
Minho sembrava ancora titubante, ma annuì lo stesso, cercando di infondere a noi Radurai la fiducia di cui avevamo bisogno.
«Allora, capo, come ci muoviamo?» chiese di nuovo il ragazzo.
Minho ci pensò un po’ su. «Okay» disse «Io e Maggie andiamo per primi. Subito dopo Newt, poi tutti gli altri. Thomas,» indicò il nostro amico «voglio che tu sia l’ultimo ad attraversare il Pass Verticale»
Thomas annuì, poi Minho continuò l’esposizione del piano.
«Ci muoveremo soltanto quando tutti avremo attraversato il Pass. Ricordate, non abbiamo molto tempo»
Finito di parlare, Minho si avvicinò a me e mi trascinò per un polso verso l’entrata. Quasi simultaneamente, l’Uomo Ratto si alzò dalla scrivania e si avvicinò a noi.
«Bene ragazzi. Il Pass si aprirà tra un minuto. Avete cinque minuti per attraversarlo. Da lì in avanti saprete cosa fare, vista l’abilità che avete dimostrato nel Labirinto. Ora, non posso far altro che augurarvi buona fortuna» strinse la spalla di un ragazzo in piedi di fianco a lui, riprese i fogli che aveva lasciato sulla scrivania e scomparve in direzione delle camere da letto.
Un minuto dopo, un forte squillo segnò l’inizio dei cinque minuti che ci avevano concesso.
Io e Minho ci guardammo negli occhi, credo tutti e due in cerca di uno sguardo di conforto. Ci odiavo entrambi quando lo facevamo. Sapevamo che ci faceva solo più male, ma puntualmente, quando avevamo bisogno di fiducia, io cercavo lui e lui cercava me. Dopo aver ottenuto lo sguardo che desideravo, mi prese la mano e mi trascinò con lui attraverso l’apertura. Durò qualche secondo, non di più.
Arrivammo in un tunnel illuminato ancora meno di quello che attraversammo per scappare dal Labirinto. Era quasi inglobato dall’oscurità.
«Maggie?» chiese Minho toccandomi.
«Ci sono» dissi prendendogli la mano. Appena accorta, gliela lasciai subito, sarebbe stata una tortura anche solo condividere il cibo del fagotto con lui, ne ero certa.
Fortunatamente l’arrivo di Newt ruppe il silenzio imbarazzante che si stava facendo spazio tra noi.
«Sani e salvi?» chiese appena arrivato.
«Sì, sani e salvi» disse Minho.
«Cacchio, qui dentro non si vede un caspio» disse cercando una torcia, con scarsi risultati.
In poco tempo i Radurai arrivarono uno dietro l’altro, Thomas a sottolineare che ce l’avevano fatta tutti.
«D’accordo» disse Minho. «Ci muoveremo come prima: io e Maggie davanti, Newt, voialtri e per ultimo Thomas. Cerchiamo di stare uniti e compatti, seguite sempre la persona che avete davanti a voi.» Sembrava già starsi abituando al suo nuovo ruolo di leader.
«Su, andiamo» disse poi rivolto a me. Iniziammo a camminare velocemente, tirando un sospiro di sollievo vedendo che il tunnel non si diramava in stradine secondarie.
 
«Guarda» dissi dopo qualche ora che camminavamo. Davanti a noi c’erano delle scale di ferro. Prendemmo a salirci e al vertice c’era una botola.
«Vado io» disse Minho lasciandomi il nostro fagotto, che fino ad allora aveva sempre portato lui. La sua figura muscolosa poi scomparve per metà all’interno della botola.
«È una specie di deserto» disse a me e a Newt rientrando. «Non c’è niente se non sabbia e caldo» disse facendosi aria agitando la camicia.
«Sentite» questa volta si rivolse a tutti. «Fuori c’è un deserto. Deve essere la Zona Bruciata. C’è molto caldo, la pelle vi brucerà appena metterete piede fuori se non vi riparate... dimezzate i fagotti. Mettetevi a coppie e usate uno dei due lenzuoli per coprirvi, nell’altro mettete cibo e acqua. Chi come me ha un solo lenzuolo matrimoniale, ne strappi una parte e la usi per riporci la roba da mangiare. Fate un bel respiro e preparatevi a correre»
Io iniziai a strappare il lenzuolo, facendo un disastro. Minho scese un paio di gradini che ci separavano e si chinò su di me. «Faccio io» disse con un pizzico d’ironia. Io non potei far altro che sorridergli e lui ricambiò il segno. Era così ingiusto avere davanti qualcuno che si desiderava con tutti sé stessi, ma non poterlo avere, davvero ingiusto.
Riusciti a coprirci entrambi e usciti tutti dalla botola iniziavamo la nostra corsa verso il porto sicuro, verso la cura per l’Eruzione, verso qualunque cosa ci avrebbe garantito una via di fuga da quella fottuta vita. Vita? Potevamo davvero definirla così? Costretti a rischiare la vita per trovare una cura che ci permettesse di rimanere in vita era ciò che sognavamo avremmo fatto da grandi? Da bambina, quando ancora avevo memoria, volevo questo per me? No, questa era una tortura, che i Creatori si divertivano a farci subire. Non sapevo niente di me in quel momento. Sapevo che stavo camminando in un deserto, con altre persone insieme alle quali ero riuscita a sopravvivere ad una macchina mortale, il Labirinto. Ero fianco a fianco con l’unica persona con cui mi sentivo di poter condividere i momenti più brutti e più belli della mia vita, non quelli che avrei potuto condividere con amici, come Newt o Thomas. Ma quelli che solo una persona sa farti vivere. E, come giusto che fosse in quel caspio di mondo, quella persona mi veniva allontanata, ma allo stesso tempo tenuta pericolosamente vicina, così magari quei pive avrebbero potuto studiare anche i miei impulsi alla poca resistenza che avevo quando si trattava di stare lontana da Minho.
 
   
 
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