Cap X The Inn Accident
La sera dopo apparve alla loro vista un faro, dapprima
nascosto dai più alti promontori settentrionali.
- Quella dev’essere
Anduintirion-.
Galadhwen si voltò verso Burin, che buttò fuori una nube di
denso fumo acre.
- Anduintirion? Non n’avevo mai sentito parlare-.
La
Sindar ed il nano si trovavano sul castello di prua della nave.
L’ora era
tarda, sul ponte non c’era nessuno tranne Castiel, nuovamente al timone.
Gelirion voleva a tutti i costi che lei imparasse a governare la nave, dopo
l’incidente al porto di Minas Duin dove, nonostante tutto, s’era destreggiata
molto bene.
Burin prese un altro tiro dalla sua pipa, per poi illuminare
l’elfa sulla città in vista.
- È una delle poche città su questa sponda
dell’Anduin. Mi pare siano quattro, in totale: Anduintirion, Yelinta, Gothlam ed
Arva. Non son troppo conosciute nel resto d’Arda ma, dopotutto, quanti
conoscevano la Contea dei mezzuomini, prima della Guerra dell’Anello? Ad ogni
modo, gli uomini di queste città non sono dissimili dagli Eotheod dell’antico
Nord-.
- Fieri cavalieri o, semplicemente, gente onesta?-.
- I pochi che
ho conosciuto, ai confini con Rohan, appartengono alla seconda categoria, ma
preferirebbero far parte della prima-.
- Ai confini con Rohan? Non pensavo tu
avessi viaggiato così tanto- esclamò la politica.
- Il mio cuore appartiene
all’Erebor, ma nel mestiere di mercante ne ho viste di città-.
L’elfa
sorrise. Non avrebbe mai pensato di poter effettivamente imparare
qualcosa da un nano, ma dovette ricredersi.
- Immagino che Anduintirion sia
l’unica sulla costa-.
- Esatto. In linea con essa, verso Ovest, c’è Yelinta.
Più a Nord di Yelinta c’è Gothlam, con il suo lago, mentre dalla parte opposta
di quest’ultima, verso Nord-Est, troviamo Arva-.
Galadhwen fissò il faro
lontano, interessata. Si chiese che cosa l’attendeva, oltre quella luce. Poi
decise che c’avrebbe pensato una volta arrivata a quell’oltre.
- Grazie per
avermi erudita, messer Burin- disse.
- È stato un piacere, lady-.
- Andrò
a riposare. Molto probabilmente domani arriveremo a quel faro e comincerà la
marcia- disse l’elfa, avviandosi verso i quartieri.
Burin la salutò
inchinandosi, per poi restar solitario a fumare la sua pipa, in compagnia dello
sciabordio delle onde e della silente Castiel alla ruota.
***
- Elfi? Ma che diamine…?!-.
L’uomo salì in cima alla
torre del faro e cominciò a suonare una campana.
In breve, buona parte della
popolazione d’Anduintirion era ai moli, nonostante l’ora tarda.
Eglerion ed
Athradien scesero sulle banchine dalle sartie, assicurando la nave alle
bitte.
- Meldarion! Cala la passerella!- gridò Athradien, scostandosi una
ciocca castana da davanti agli occhi.
Dalla Ithil, Meldarion e Gelirion
calarono l’asse sul molo, permettendo ai due elfi di risalire a bordo.
Un
cavallo nitrì poderosamente, quando il Re fu risalito.
Eglerion gli pose una
mano sul muso grigio.
- Dispiace anche a me, amico mio, vederti ridotto a
bestia da soma, ma non pensare sia un compito ingrato. Porti molte delle cose
che ci saranno indispensabili- gli disse.
Esso sollevò la testa fieramente e
batté una delle zampe anteriori sul ponte.
- Siamo pronti?- disse Eglerion,
rivolgendosi al resto del gruppo che sarebbe sceso a terra.
Un mormorio
d’assenso gli arrivò per risposta. Si voltò verso Gelirion e Lancaeriel, che
erano dietro di lui.
- La Ithil è vostra- disse.
- Fino al tuo ritorno-
aggiunse Lancaeriel.
Eglerion sospirò. In questi ultimi giorni s’era
ritrovato ad esser molto fatalista.
- Amata mia, non so neanche se tornerò,
stavolta. E mi rammarico molto d’aver mandato Waith, Stephane e Zoe al mio
stesso fato- asserì. Prima che Lancaeriel potesse rispondere, egli l’abbracciò,
stringendola a lungo, temendo ch’esso fosse l’ultimo abbraccio che le potesse
mai dare.
- Sei tu al comando, in mia vece. Sempre- le disse poi. I due si
staccarono ed ella sorrise, nonostante il nodo che le si stava formando in
gola.
Il Capitano mise una mano sulla spalla di Gelirion.
- Prenditi cura
della nostra Lancaeriel, ch’avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile- gli disse,
non sapendo bene neanche egli a che tipo d’aiuto si stesse riferendo. Egli
annuì.
- Troverai tutta la tequila nanica al suo posto, quando tornerai- gli
rispose.
Dopodiché, Eglerion si volse verso le tre Sindar ed il nano, che
avrebbero seguito lui e Meldarion nella loro ricerca del Mithlond.
- Spero
che il soggiorno a bordo sia stato di vostro gradimento, perché ci toccherà
avventurarci tra le terre più selvagge, ora-.
Detto ciò, condusse Nimloth e
scese dal bastimento.
Le tre elfe lo seguirono, a loro volta seguite da Burin
-carico di bagagli come non mai- e da Meldarion, che aveva approfittato d’ogni
minuto prima della partenza per salutare Castiel.
L’elfo moro e il nano
slegarono la Ithil, appena arrivati a terra, mentre qualcuno ritirava la
passerella e la nave salpava nuovamente verso Sud.
- Hai dato te l’ordine di
continuare verso Sud, una volta che noi saremmo scesi?- domandò la Regina.
-
No. Hanno la libertà totale, ora. Probabilmente stanno solo prendendo spazio per
virare più ampiamente e ritornare a Minas Duin- rispose egli.
Poi,
finalmente, gl’elfi e il nano volsero lo sguardo al comitato di benvenuto che li
attendeva. Sembrò che tutto il paese si fosse riunito al porto.
- Salve. C’è
per caso qualcuno che sappia darci le indicazioni per una buona locanda?
Vorremmo passar la notte al chiuso- disse Burin.
Nessuno rispose all’appello
del nano.
Burin ripeté la domanda, mentre le tre elfe dietro di lui fissavano
la folla sgomente ed i due Noldor parlottavano in Sindarin.
Dopo un altro
minuto di religioso silenzio -qualcuno stava effettivamente pregando i Valar,
tra gli uomini del posto- Galadhwen proruppe:
- Insomma, m’è stato detto che
gl’abitanti di queste terre son gente onesta ed ospitale. Devo forse chiamar il
mio amico un bugiardo?-.
Un uomo calvo, con un prominente girovita e una
barba nera si fece avanti e parlò, con una voce squillante.
- No sia mai,
mia Signora. Ve podessi ospitar mi nela mia de locanda, ma xé che go solo quatro
leti liberi- disse, con un pesantissimo accento che rischiò di causare un
accesso di risa nella politica.
- Come ti chiami?- chiese Eglerion,
gentilmente.
- Osvald, mio Signore- rispose quello, intimorito. Si
trattava d’una delle poche volte in cui Eglerion mostrava la luminosità latente
dei Noldor, notò Meldarion.
- Sei assolutamente certo che le altre locande
siano piene?-.
- Sì mio Signore. Anca perché l’unica locanda verta in
‘sta città xé la mia. Comunque, vo’ e una dele putele podessi ‘ndar fin Yelinta.
Ghe vivi mi cugin, che fa anca lui el locandier. Ghe dixé che ve mando mi, cussì
ve fa anca un preso più basso-.
Eglerion prese due respiri profondi,
prima di rispondere ad Osvald. Non poteva farci nulla, ma anche lui rischiava
d’esser preso da risa incontrollabili.
- Intanto, buon Osvald, conducici alla
tua locanda. Là decideremo-.
Il gruppo sfilò in mezzo alla folla, guidato da
Osvald e chiuso da Eglerion e Nimloth.
In poco tempo arrivarono alla locanda,
seguiti da metà del paese.
- È vuota- disse il nano, calmo, guardando
Osvald.
- Xé perché semo vignudi tuti al porto per vederve arivar-
disse questi.
Eglerion si rivolse all’oste, dalla soglia.
- Fai sedere i
miei ad un tavolo, in modo che noi possiamo decidere- disse. Poi si voltò e
tolse la maggior parte dei carichi dal dorso del suo cavallo.
Dopo aver preso
posto assieme agli altri, scrutò ognuno negli occhi.
- Il suo consiglio non è
da buttare. Una di voi tre, mie ospiti, potrebbe venire con me fino a Yelinta-
disse.
- Eglerion, non sarebbe meglio se andassimo noi due?- interloquì
Meldarion.
- Forse. Ma allora rimarrebbe solo il nobile Burin a proteggere le
nostre care fanciulle- disse, sorridendo.
- Non facevo il Re di Manwetol così
sessista. T’assicuro che non abbiamo bisogno di protezione, Eglerion- disse la
Regina, con tono duro.
- Non sto insinuando che tu non sappia difenderti, mia
Somma Thalien. Al contrario, sono sicuro che lo sappiate fare
egregiamente tutte e tre. Ma gli abitanti del posto non lo sanno e, come avevamo
concordato l’altra sera, sarebbe meglio se non lo scoprissero, non credi?- disse
Eglerion. Ella gli sorrise.
- Non posso darti torto- rispose.
- Bene. Chi
delle tre andrà, allora?- domandò Burin, guardando le tre Sindar.
Le tre si
guardarono in silenzio finché Galadhwen parlò.
- Andrò io-.
- Riterrei sia
il meglio che io vada. Lady Galadhwen, voi siete stata praticamente malata,
durante quest’ultimo periodo, e ci son stati casi di febbri anche tra gli elfi,
se ben ricordate le saghe della Tempesta di Vento- asserì
Rhavanwen.
Il resto del gruppo si trovò d’accordo con Rhavanwen.
- È
deciso, allora. V’attenderemo a Yelinta domani pomeriggio. Passate una buona
notte- disse Eglerion, prendendo parte dei bagagli.
Gli altri salutarono ed
osservarono i due uscire.
Burin s’alzò.
- Direi che è ora di testare la
birra della zona- disse, dirigendosi al bancone. Ormai il locale si stava
riempiendo di persone, ma nessuno prestava più troppa attenzione agli
ospiti.
Alastegiel s’alzò a sua volta.
- Andrò a parlar con Osvald
riguardo alla nostra sistemazione. A tra poco- disse. Fece un paio di passi, per
poi voltarsi di nuovo.
- Se passa una cameriera o se qualcun altro prende da
bere, io assaggerei volentieri del bianco della casa- disse.
I due risero.
Sembrava esser complementare ad Eglerion, in certi casi. La parte razionale
della stessa mente.
- Ritorno di fiamma, dopo le parole dell’altro giorno?-
domandò Meldarion, dopo.
- Come prego?-.
- Dai, che hai capito-.
- Ah,
quello… no, non direi. Era solo per toglier l’impaccio della decisione- disse la
politica.
Meldarion ne fu convinto: era sincera. Ed aveva seriamente sposato
il suo lavoro, ormai.
***
- E si ritorna agli inizi, parrebbe- disse
Eglerion.
Rhavanwen annuì.
I due marciavano speditamente lungo la strada
per Yelinta. In due ore l’avrebbero raggiunta.
Avvolti nei mantelli elfici
procurati a Minas Duin, sembravano due flebili ombre che si muovevano per
volontà propria lungo la strada. La luna aveva cominciato a crescere, nel
mentre, ed emanava una flebile luce che permetteva loro di vedere il
percorso.
Camminarono in silenzio per lunghi minuti. Ad un tratto, l’elfa si
fermò, d’improvviso.
- Hai udito qualcosa di strano?-.
- M’è sembrato. Ma
dev’esser suggestione. E, poi, di che mi preoccupo, ho qui il mio gentile
cavaliere che mi proteggerà, in caso accada qualcosa d’imprevisto-. Eglerion
rise ma, sotto il mantello, allento l’elsa della spada dal fodero.
Percorsero
molte altre miglia, fermandosi solo ogni tanto per bere qualche sorso d’acqua.
Dalle ultime parole si muovevano con più circospezione: suggestione o no, è
sempre meglio non rischiare.
Quando le flebili luci di Yelinta si mostrarono,
in lontananza, rallentarono il passo, concedendosi più tranquillità.
- Sei
così fatalista su questa ricerca?- domandò la Sindar.
- Come?-.
- Beh, da
come hai salutato la Ithil ed il suo equipaggio, sembra quasi che tu non li
debba mai più rivedere…-.
Eglerion sospirò.
- Non so. Questa è una ricerca
verso l’ignoto, ammettiamolo. Le altre volte che lasciavo la Ithil per andare in
terre straniere o era per cacciare o gl’altri erano con me e stavamo razziando
qualche avamposto Numenoreano-.
- Avamposti? Non villaggi?- domandò
l’elfa.
- I paesani non c’hanno fatto nulla. Sono i soldati che continuano ad
attaccare Pinnath Gelin e Manwetol-.
- I soldati, però, spesso eseguono
ordini. Chi meglio di te, ex generale ed ora Re, può saperlo-.
- Non a caso
tentiamo di limitare le uccisioni. Ma, purtroppo, ci toccherà uccidere molti
uomini, più avanti. Me lo sento e non ne sono felice-.
Percorsero l’ultimo
tratto sprofondando di nuovo nel silenzio, finché non arrivarono ai cancelli di
Yelinta.
La città non s’estendeva molto, era poco più che un villaggio, ma
era cinta da una palizzata alta almeno otto piedi.
Eglerion chiamò, nel
buio.
- Chi siete?- rispose qualcuno dal muro, probabilmente una
sentinella.
- Pellegrini che cercano ricovero ad una locanda di Yelinta. Ci
manda Osvald d’Anduintirion, poiché là non c’è più posto- rispose
Rhavanwen.
Con loro sorpresa, il cancello gli fu aperto. S’aspettavano di
restar chiusi fuori.
Un uomo -lo stesso che aveva parlato loro- gli venne
incontro.
- Ben incontrati, in questa notte- disse. I due si stupirono.
S’aspettavan d’udire un pesante accento al corrente, com’era accaduto ad
Anduintirion.
- Se vi manda Osvald, dovete prendere la terza strada sulla
destra e poi voltare a sinistra. La locanda la riconoscerete sicuramente. Una
volta dentro, chiedete di Bepi- continuò la sentinella.
- Grazie. Passa una
notte tranquilla- disse Eglerion al portiere, lanciandogli una moneta
d’argento.
Le porte furono richiuse alle loro spalle, mentre i due
s’avviarono lungo la via.
- Aveva di certo ragione, dicendo che l’avremmo
riconosciuta- disse Rhavanwen, dopo che furono arrivati fuori della
locanda.
Un paio di nani e qualche uomo, dormivano sulla strada fuori
dell’edificio, mentre dal suo interno provenivano urla e canti.
Eglerion
volse lo sguardo all’insegna che penzolava sopra alla porta.
- “De Bepi”.
Beh, ormai siamo qui- disse, togliendo lo sguardo dal cartello e girandosi a
guardare l’elfa.
I due entrarono.
Il piano terra era accogliente e caldo.
L’odore non era dei migliori ma, ammise Eglerion, era stato in bettole peggiori.
Il pavimento d’assi scricchiolava ad ogni loro passo, mentre gli avventori
attorno a loro continuavano nelle loro gare di bevute e nei loro canti.
I due
s’avvicinarono al banco, senza levarsi i cappucci.
- Scusatemi, messere.
Stiamo cercando Bepi, che dovrebbe esser il proprietario di questa
locanda-.
L’uomo dietro al bancone si voltò a guardarli.
Aveva due occhi
azzurro cielo molto profondi, la faccia rasata di fresco, la fronte alta, un
anello dorato all’orecchio sinistro ed una lunga chioma castana, raccolta in una
coda.
- Bonasera. Son mi Bepi, in cossa posso esserve utile?- disse
gentilmente, ma con lo stesso accento del cugino.
- Ci manda Osvald. La sua
locanda era piena. Stiamo cercando un posto dove passare quel che resta della
notte- rispose Eglerion.
- No xè problemi. Seguime su e ve mostrerò le
camere che go libere. Ovviamente, se gavé soldi con cui pagarme- aggiunse,
con un sorriso.
- Stanne certo. Ma ne riparleremo dopo aver visto le
camere-.
Bepi si volse verso un uomo alto, dall’aria truce e dalla barba
nera, che stava assistendo ad una delle gare di bevute. La più chiassosa, per
esser precisi.
- Ou Toni, fa un favor, da un’ociada al banco, intanto che
ghe fazo veder le camere ai ospiti-.
Quello sorrise, togliendo ogni
traccia di cupezza dal suo volto.
- Va ben, ma no staghe metter come
sempre una vita, te prego- disse, canzonando Bepi. I due dovevano
conoscersi da molto.
Bepi scosse la testa e menò i due al piano
superiore.
- Alora, per la signorina gavemo questa. Per voi, sior, xé
quela là, in fondo al coridoio. A meno che, ovviamente, no volé dormir
assieme- disse, mostrando loro delle porte. Quella di Eglerion aveva un tre
attaccato sopra, mentre quella assegnata a Rhavanwen un numero uno.
- No,
penso vadano bene queste due- disse il Noldo.
Bepi sfilò due chiavi da un
largo anello che portava alla cintura e le consegnò ai due.
- Sistemeve
come che preferì. Mi go de ‘ndar zo, ora, prima che Toni cominci a buttar de
bever a metà dela gente-.
I due elfi sistemarono i loro bagagli nelle
camere, per poi ritrovarsi in cima alle scale.
- Vuoi bere qualcosa, prima
d’andare a dormire?- domandò Eglerion alla compagna.
- Volentieri. Questo
posto m’ispira-.
Rhavanwen ed il Capitano scesero di nuovo nella sala e si
sederono ad un tavolo un po’ discosto dal casino centrale.
Presto Toni fu da
loro.
- Alora, cossa posso portarve? Volé qualcossa de bever?-.
-
Che cosa ci proponi di buono?- domandò l’elfa.
- Qua xè tuta roba bona:
malvasia nostrana, vin nero, un bianco frizzantin, del rosso un poco più
forte...- disse, cominciando ad elencare vari vini.
- A me interessa il
frizzantino. Che dici, prendiamo una brocca di quello?- chiese Eglerion.
-
Andata. Dopotutto, sei tu l’intenditore-.
- Benon, la riva subito-
disse Toni.
Toni s’allontanò, lasciando i due nel loro angolo di
locanda.
- Mi piace questo posto… ha un che di vitale. Un po’ come le Sale-
disse l’elfa.
Eglerion la guardò.
- Da come ne parli, dev’esser veramente
un bel posto, la tua Capitale- disse.
- Penso proprio ti piacerebbe- affermò
ella.
Toni ritornò con il vino, poco dopo.
- Ecco qua, siori. El
bianco più bon che podé trovar in questa città- disse, versandone un po’ in
un bicchiere, che passò ad Eglerion.
Egli assaggiò ed assaporò. Era
effettivamente molto buono, doveva dar credito agli osti.
- I miei
complimenti. Ottimo- disse.
Toni sorrise.
- Per qualunque cosa, chiedé
de mi o de Bepi, semo al vostro servizio-.
Poggiò la brocca sul tavolo,
dopo aver riempito i due bicchieri, e si diresse di nuovo verso la gara al
centro della locanda, che stava raggiungendo gli stadi finali: tre nani
dormivano sulle panche, assieme ad un uomo. Restavano svegli solo un nano dalla
lunga barba chiara ed un uomo dal viso avvolto in bende, quasi alla maniera
Haradrim. Toni tifava spudoratamente verso il nano.
- Daghe zo, Urich, no
‘sta a farte batter da un de fora!-.
Il nano alzò per l’ennesima volta
due dita verso Toni, che sparì brevemente per tornare con due vassoi, carichi di
cinque boccali l’uno.
- Qua gareggiano a vassoi, a quanto pare- disse
Eglerion, sorseggiando il vino. Rhavanwen seguiva anch’ella interessata la
gara.
- Birra… non riuscirei a superare il terzo boccale, di quella
roba-.
- Non ti piace?-.
- Mh… non troppo. Ho altre passioni- disse,
levando il calice.
- Al nostro vinello, dunque- disse Eglerion, brindando con
lei.
Batterono i bicchieri sul tavolo e beverono.
Nel momento in cui
poggiarono i calici vuoti sul tavolo, s’udì un tonfo ed una raffica
d’imprecazioni miste a lamenti vari.
- Ciò, Urich, te me ga fatto perder
venti Celeb!-.
- T’son ‘na bevandela che no’ reggi un
cazzo!-.
- Urich! La prossima volta usa un’altra panca!- biascicò uno
dei nani, svegliato dal tonfo.
In poche parole, Urich non aveva retto il
terzo boccale dei cinque del vassoio ed era caduto, sbilanciando la panca e
facendo cadere anche i suoi compagni addormentati. Oltre a ciò, s’era preso
gl’insulti di chi aveva scommesso su di lui.
- Urich! No’ sta ‘spetarte
credito! Tra ti e quel’altro me gavé fatto fora quaranta pinte! Te ga el conto
de pagar!- gli gridò Bepi, da dietro al bancone.
L’uomo dal volto
coperto rise. Salutò gli avventori e si diresse fuori della porta.
- Valar, che masnada di folli- rise Rhavanwen.
- Ed
io che pensavo che Manwetol fosse la culla dell’etilismo-.
Entrambi risero
nuovamente.
- Che dici, saliamo?- domandò Rhavanwen, poi.
- Tu intanto
vai. Ti raggiungo tra un po’- disse Eglerion.
- Mi raggiungi?-.
-
Passo a salutarti, intendo- rispose egli, sorridendo.
Ella bevve l’ultimo
sorso del suo bicchiere e lasciò Eglerion al tavolo.
Egli vuotò il fondo
della brocca e si alzò, portando brocca e bicchieri al bancone.
- Ma vi
capita spesso di assistere a spettacoli del genere?- chiese a Bepi, poggiando i
recipienti.
L’uomo gli rispose, senza smetterei pulire un bicchiere con uno
straccio.
- Ara, quasi due sere sì e una anche. Xé routine,
ormai-.
- Per fortuna dalle mie parti si limitano ad alternare le sere-
disse Eglerion.
- Comunque, ve ga piasso el vin?-.
- Molto,
grazie. Decisamente buono-.
- Doman però gavé de provar el nostro rosso,
che fa sangue- disse Bepi, ripescando un vecchio detto delle sue
parti.
Eglerion sorrise e salutò l’uomo, per poi dirigersi al piano
superiore.
In quel momento gli venne una strana sensazione.
Qualcosa non
andava.
***
Rhavanwen salì le scale.
Arrivata in cima, davanti
alla sua camera, prese una candela dallo scrittoio posto a pochi piedi dalla sua
porta e l’accese, tramite una delle lanterne appese ai muri.
Prese la chiave
ed aprì la porta, per poi entrare nella camera.
Lì trovò un altro paio di
candele, che accese per dar più luce alla stanza.
Essa era ampia. Il letto
era a ridosso della parete destra, al centro stavano un tavolino basso ed una
poltrona. Una finestra era di fronte a lei, rivolta verso Oriente.
Notò
un’altra porta, sul lato sinistro della stanza. Vi s’avvicinò, per scoprire una
piccola stanza da bagno.
Posò la candela vicino al rudimentale lavello e
ritornò nella camera.
Si spogliò dei suoi abiti da viaggio, estrasse una
leggera veste di lino da uno dei bagagli e la poggiò sul letto.
Entrò in
bagno per darsi una veloce rinfrescata e ne uscì dopo qualche
minuto.
S’infilò la veste e fece per voltarsi. Le si mozzò il respiro. Non
era sola.
Dita d’acciaio le serrarono i polsi, mentre il piatto di una fredda
lama le si poggiava sul collo.
Tentò di divincolarsi, ma il suo silente
aggressore le premé il coltello più forte sotto il mento.
- Ferma- le disse
una voce, fredda e maligna. Che, ne era sicura, aveva già sentito da qualche
parte.
Eglerion!
I suoi pensieri si rivolsero a lui, l’unico che
poteva far qualcosa. Nonostante non potesse raggiunger la concentrazione
necessaria per una risonanza, sapeva che sarebbe riuscita a trasmettergli il suo
stato d’animo.
Lo sconosciuto le strinse più forte il polso, fino a farle
male. Sembrava felicitarsene.
- Brava, la mia piccola elfa. Adesso sta buona,
mentre attendiamo il tuo amico. Dopo che egli sarà morto, potremmo finalmente
concentrarci sulle tue grazie- disse.
Eglerion, ti prego, non lasciare
che quest’uomo mi stupri.
- Rhavanwen? Stai bene?-. La voce di Eglerion
proveniva da dietro la porta.
Entra! Ti prego…
L’uomo la strinse
a sé. Poteva sentirne l’alito pesante sul collo, l’odore ripugnante così vicino
a lei.
Eglerion batté un colpo sulla porta.
- Rhavanwen?-.
Sfonda
quella porta, ti prego!
E così Eglerion fece.
***
Eglerion si fermò di fronte alla porta di
Rhavanwen.
- Rhavanwen? Stai bene?-.
Il silenzio dentro quella stanza era
troppo irreale.
Da una parte sentiva qualcosa che lo chiamava verso quella
stanza. Come se, in quel silenzio, la Sindar stessa lo stesse cercando.
Ma
dall’altra, v’era una sensazione d’imminente pericolo, nelle vicinanze.
-
Rhavanwen?- chiamò, di nuovo.
Questa volta lo sentì chiaramente.
La voce
supplichevole dell’elfa gli rimbombò nella mente.
Sguainò la spada e spalancò
la porta con un calcio.
Per trovarsi a guardare le spaventatissime iridi
verdi di Rhavanwen. Dietro di lei, torreggiava un volto familiare:
Mardion.
Questi lo fissò, senza abbassare il coltello dalla gola dell’elfa, e
sorrise sprezzante.
-Chi si rivede- disse.
In due rapidissime mosse,
diede un forte schiaffo a Rhavanwen, facendola cadere in terra e perdere i
sensi, ed estrasse una spada anch’egli.
- Vedo che sei venuto a salvare la
tua sgualdrina. Ottima scelta, devo dartene atto. Il suo corpo è perfetto. Per
ora- disse l’uomo, senza distogliere lo sguardo da Eglerion.
Le due lame
cozzarono, nel silenzio del piano.
Lentamente, i due cominciarono a muoversi
in circolo, studiandosi a vicenda.
- Chissà se potrai vedermi ancora, quando
calerò il coup de grace sulla tua testa- disse Eglerion.
Mardion
sputò.
- Quella puttana che m’ha reso guercio sapeva il fatto suo. Dovrai
esser più bravo di lei, se vorrai accecarmi- rispose Mardion.
Poi,
improvvisamente, ci fu un altro rapido scambio di colpi, che terminò con una
stoccata da parte d’Eglerion, che Mardion schivò.
Mardion calò il suo spadone
su Eglerion, che scartò di lato per evitare il colpo. La lama batté con violenza
sul pavimento.
Ormai il resto della gente dovrebbe cominciare a
svegliarsi o ad insospettirsi riguardo a tutto questo casino, pensò
l’elfo.
Mardion incalzò Eglerion, costringendolo ad arretrare verso la porta.
E fu in quel momento che l’aiuto giunse. Non da fuori, come Eglerion
s’aspettava, ma da Rhavanwen.
Ella, dopo essersi svegliata, era lentamente
strisciata verso il suo bagaglio ed aveva estratto una freccia dalla sua
faretra.
Velocemente, l’aveva piantata nel polpaccio di Mardion che, perso
l’equilibrio, era rovinato in terra.
Eglerion gli fu sopra in un momento, ma
l’uomo era innaturalmente veloce, o resistente. Dopo aver sferrato un calcio
all’elfa, s’era rialzato e, parando i colpi di Eglerion, era tornato ad
attaccarlo.
In una manciata di secondi i due erano di nuovo impegnati in un
aggancio.
Eglerion, sfruttando la ferita dell’avversario, riuscì a premer
abbastanza da far cedere Mardion. Egli, però, non si diede per vinto e tentò di
piantare la lama nell’inguine di Eglerion.
Il Noldo evitò il colpo ma, quando
si trovò pronto a ricominciare l’offesa, Mardion era già uscito zoppicando dalla
stanza ed era fuggito giù per le scale.
L’elfo lo inseguì al piano inferiore,
ma desisté quando lo vide montare a cavallo. Non sarebbe stata quella la sera in
cui avrebbe sconfitto il suo avversario.
Rientrò dentro la locanda. Stava per salire le scale,
quando un gemito attirò la sua attenzione.
S’avvicinò al bancone e trovò,
dietro di esso, Bepi e Toni distesi per terra.
Il primo sembrava esser
addormentato, mentre il secondo si stava muovendo lentamente, tentando di
rialzarsi.
L’elfo lo aiutò a sedersi. Il barbuto si massaggiò la testa.
Pareva aver ricevuto una bella botta.
- Come va?-.
- Un mal… grazie,
comunque…-.
- Hai visto chi è stato?-.
- Iera quel stronzo che ga
vinto, dei, quel co’ la testa bendada... el xé entrà, el se ga cavà le bende e
ga da un colpo a Bepi. Mi me son avvicinà, pronto a darghele, ma me ga da una
per la testa anca a mi-.
- Quanti occhi aveva?- domandò Eglerion.
-
Un. Su l’altro el gaveva un benda-.
Eglerion sospirò. Almeno aveva
la sicurezza che Mardion avesse agito da solo.
- Devo andare su. Ti consiglio
di metter dell’acqua fredda sulla botta e provar a svegliare il tuo amico. Ci si
vede domattina- disse.
Salì le scale e tornò da Rhavanwen.
- Fuggito.
Quell’infame aveva un cavallo-.
Ella non rispose. Sembrava sotto choc.
Restava seduta sul pavimento, abbracciata alle ginocchia.
Una macchia nera
sporcava la veste nel punto in cui lo stivale di Mardion l’aveva colpita, poco
sopra l’anca.
- Rhavanwen?- la chiamò. Ella parve risvegliarsi. Scosse un
momento la testa per poi voltarsi a guardarlo. Gli occhi inespressivi.
Egli
le si sedé accanto e la strinse a sé.
- Grazie- la sentì mormorare.
- Non
devi. Sono o non sono il tuo gentile cavaliere?- le disse.
Ella
abbozzò un sorriso.
- Ho avuto paura. Molta, troppa paura-.
- Non
pensarci, ora. Piuttosto, il fianco come va?-.
- Fa male, ma non penso sia
grave-.
- Se vuoi controllar meglio, esco un attimo-.
Ella annuì. L’elfo
l’aiutò ad alzarsi e a sedersi sul letto, prima d’uscire.
Dopo pochi minuti,
si sentì chiamare.
Rhavanwen era seduta sul letto. La coperta la copriva
dalla vita in giù, mentre ella teneva la veste alzata fin sotto il seno.
-
Non riesco a fasciarmi da sola, mi servirebbe una mano- gli disse.
Eglerion
richiuse la porta dietro di sé e si avvicinò alla fanciulla.
- Brutta botta-
disse, osservando il livido bluastro sul fianco di Rhavanwen.
- Riesci a
muoverti normalmente?- le chiese.
- Non fluidamente come prima-.
- Può
esser ch’abbia incrinato una costola, allora-.
- Non penso, sai. Se si fosse
incrinata, mi sarebbe stato molto più difficile alzarmi-.
- Ad ogni modo,
meglio fasciare ed attendere. Non possiam far di più, adesso-.
L’elfo prese
le bende dalla sacca di Rhavanwen e avvolse la vita della sentinella.
-
Troppo stretto?-.
Ella fece un paio di respiri profondi.
- No. Anzi, è
perfetta- disse.
- Allora vado. Ci si vede domattina- disse egli,
alzandosi.
Le diede un bacio sulla fronte, augurandole una buonanotte, e si
diresse verso la porta.
- Eglerion?-.
L’elfo si voltò.
-
Grazie-.
Egli sorrise.
- Non t’ho già detto che non devi?-.
Sorrise
anche lei.
- Non m’importa. Non la smetterò- disse ella, stendendosi sul
letto come meglio poteva. Sia a causa della ferita, sia per non mostrar nulla ad
Eglerion.
- Spengo le candele?- le domandò questi.
- Veramente, vorrei
chiederti un altro favore- disse ella, esitante.
Egli la guardò, non
capendo.
- So che è stupido, forse. Ma son ancora molto scossa. Ti
dispiacerebbe restare?-.
Eglerion richiuse la porta e si avvicinò
all’elfa.
- La tua presenza mi da sicurezza- disse ella. Eglerion sorrise:
era lievemente arrossita.
- Va bene, non c’è problema. Ad una
condizione-.
- Quale?-.
- Che tu dorma tranquilla e fino a tardi. Se provi
ad alzarti all’alba, ti ricaccio nel letto e ti ci lego- le disse.
Ella
rise.
- Grazie. Buonanotte, Eglerion-.
L’elfo spense le candele, mentre
Rhavanwen si voltò da un lato e s’addormentò presto.
L’elfo però non dormì. Non tentò neanche, a dire il
vero. Si sedé con la schiena contro il letto e s’immerse nei suoi
pensieri.
Il più grande interrogativo restava su chi fosse veramente
Mardion.
Doveva esser rimasto nelle vicinanze del palazzo conciliare, per
aver sentito del loro viaggio, altrimenti non si spiegava come avesse potuto
trovarli.
Poi, restava la questione sul perché ce l’aveva con loro.
-
Magari è qualcuno a cui ho fatto un torto da bambino- si disse Eglerion, nel
buio della camera. Sorrise a sé stesso per la cazzata detta. Però, qualcosa
d’incognito restava.
Non è un elfo. Ma non può esser neanche un normale
uomo. È troppo veloce. Escluse la probabilità delle orecchie tagliate. Gli
mancavano proprio i lineamenti della razza elfica.
Forse è Mandos, deciso
ad estinguere definitivamente la razza dei Noldor, si disse, ripensando
alla maledizione caduta sulla casa di Finwe, millenni prima.
Si concesse un
altro sorriso. Era alquanto irreale che un Vala si scomodasse per uccidere un
singolo Noldo. Avrebbe fatto molto prima facendo inabissare Manwetol e Pinnath
Gelin.
Sentì Rhavanwen muoversi, alle sue spalle, ma non ci fece
caso.
Stava sognando, intuì.
Eglerion represse uno sbadiglio. Forse era
meglio se si concedeva anch’egli qualche minuto di riposo.
***
Le prime luci dell’alba baciarono il viso di Rhavanwen,
svegliandola.
Si stiracchiò leggermente, evitando di sforzare troppo la
fasciatura.
Guardò più in là e vide Eglerion. Russava, seduto per terra e con
la testa poggiata al letto. Sembrava sul punto di scivolare definitivamente sul
pavimento. Ma, Rhavanwen n’era certa, pur battendo la testa sul pavimento di
legno avrebbe continuato a dormire, il Noldo.
Le tornarono alla mente le
parole dell’elfo, la sera prima.
Se provi ad alzarti all’alba, ti
ricaccio nel letto e ti ci lego.
Avrebbe rischiato.
Il più
silenziosamente possibile tento di uscire da sotto le coperte ma, purtroppo per
lei, urtò leggermente la testa di Eglerion con il piede.
Quello neanche aprì
gl’occhi.
- Devo andare a cercare una corda?- le disse.
Ella rise.
-
Sei alquanto inquietante, sai?- gli rispose.
Egli alzò la testa e volse lo
sguardo verso di lei.
- T’ho detto io che avrei vegliato su di te. Anche nel
sonno-.
La fanciulla rise di nuovo.
Eglerion si alzò, chiedendole se
volesse proprio alzarsi in quel momento.
- Inizio ad avere un po’ di fame,
non per altro- disse Rhavanwen.
- Andrò a vedere se c’è qualcosa, qua sotto.
Nel mentre, puoi cambiarti in tranquillità- asserì Eglerion.
Ella annuì.
L’elfo l’aiutò ad alzarsi, per poi uscire dalla stanza e dirigersi giù dalle
scale.
Nonostante tutto, non era ancora giunto ad una conclusione, riguardo a
Mardion. Né chi potesse essere né perché ce l’avesse tanto con loro.
Gli
tornò in mente una frase detta da Mardion durante il loro duello: era stata una
donna a rendergli inutile l’occhio.
Vuoi vedere che è meno abile di
quanto lascia credere, si disse. Ad ogni modo, se mai avesse incontrato
quella ragazza, le avrebbe offerto da bere a vita, si ripromise. Non sapeva
quanto vicino era quell’incontro.
E fuor dieci anche per VII Age.
Ne mancano…?
Molti, direi.
Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto, questo cambio di scena. Da
terre elfiche siam passati alle selvagge terre degli uomini. Chissà che cosa
avrebbe detto Elendil, vedendo il suo Arnor ridotto in questo modo.
Sinceramente, penso sarebbe più felice di vederlo così che diviso nei tre
staterelli.
Ma basta con le cazzate, che c’è gente da
ringraziare.
Innanzitutto, Hary e Silvì, irriducibili lettrici che leggono e
leggono. A proposito, andate a legger anche l’ultimo cap di Alagos War, che c’è
l’intervista di Rain ad Eglerion. Due menti del genere assieme fan paura anche a
me.
Quanto al “More Naked Eglerion”, dovrò veder come comportarmi più avanti.
Quanto al sangue, invece, stai tranquilla Hareth, che arriverà. E dai una
carezza a Pan da parte mia, che da brava e furba gatta nera ti salva il sistema
binario dei neuroni e ti farà notare la citazione alle “malattie”.
Silvì, te
invece devi smettere di farti venire ispirazioni per i tuoi scritti leggendo
VII, ch’altrimenti sarai ancora a questo capitolo quando avrò venduto i diritti
alla Saul Zaentz =D (seh, come no…).
Comunque, son felice che ti sian
piaciuti entrambi i precedenti. L’VIII è stato lungo da scrivere, ma alla fine è
venuto bene e ne son felice. E quell’aria di complicità tra i tre è proprio ciò
che tien su tutto, tra le frecciate e tutto il resto. Il titolo è venuto di
conseguenza. Quanto al IX, l’intermezzo del vomito serviva sia a dar un altro
frammento di carattere a Gelirion sia a mostrare quanto era veramente disastrata
la situazione sulla Ithil. Il flashback, invece, andava fatto al più presto:
serviva spiegare che cosa era effettivamente successo tra i due, senza nasconder
indizi qua e là come ho fatto negl’altri capitoli.
Ah, vi prego, non sparatemi per l’accento degli
abitanti.
Era mia intenzione dar loro un accento peculiare, ma l’unico che
conosco abbastanza da poterlo scrivere per bene (o quasi) è quello triestino,
per cui i miei locandieri parlano triestino. Bepi e Toni, nello specifico,
assomigliano molto a due miei amici tra una ventina d’anni, perché ce li vedo
molto a far tale lavoro.
Note sulla pronuncia.
A: tutte le X nel triestino
sono lette come la S in “rosa”, per cui un misto tra S e Z.
B: dicasi
“bevandela” una persona (o nano) molto dedito al bere.
C: per qualunque
traduzione necessaria contattatemi o domandate in recensione, risposta sarà
data.
D: (per il Sindarin, cosa ch’avrei dovuto far prima) in caso non ne
siate al corrente (confido che le due irriducibili non abbiano bisogno di questa
nota, come la maggior parte dei lettori), tutte le C e le G dei nomi elfici
hanno suono duro, SEMPRE.
Detto ciò, vi saluto. Ci si sente per
l’undicesimo.