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Autore: Chaosreborn_the_Sad    03/11/2008    3 recensioni
L’elfo correva, attraverso il sottobosco. Era l’ultima volta che si lasciava scappare una preda come quella. Il cervo galoppava in ciò che restava dell’Ithilien, fuggendo dal suo cacciatore. L’elfo, che dimostrava venticinque anni ma dai suoi occhi trasparivano almeno un paio di millenni, tese l’arco e tirò. La freccia penetrò la zampa posteriore dell’animale, costringendolo a rallentare la sua folle corsa. Nota: MOLTO AU
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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VII Age X

Cap X The Inn Accident

La sera dopo apparve alla loro vista un faro, dapprima nascosto dai più alti promontori settentrionali.
- Quella dev’essere Anduintirion-.
Galadhwen si voltò verso Burin, che buttò fuori una nube di denso fumo acre.
- Anduintirion? Non n’avevo mai sentito parlare-.
La Sindar ed il nano si trovavano sul castello di prua della nave.
L’ora era tarda, sul ponte non c’era nessuno tranne Castiel, nuovamente al timone. Gelirion voleva a tutti i costi che lei imparasse a governare la nave, dopo l’incidente al porto di Minas Duin dove, nonostante tutto, s’era destreggiata molto bene.
Burin prese un altro tiro dalla sua pipa, per poi illuminare l’elfa sulla città in vista.
- È una delle poche città su questa sponda dell’Anduin. Mi pare siano quattro, in totale: Anduintirion, Yelinta, Gothlam ed Arva. Non son troppo conosciute nel resto d’Arda ma, dopotutto, quanti conoscevano la Contea dei mezzuomini, prima della Guerra dell’Anello? Ad ogni modo, gli uomini di queste città non sono dissimili dagli Eotheod dell’antico Nord-.
- Fieri cavalieri o, semplicemente, gente onesta?-.
- I pochi che ho conosciuto, ai confini con Rohan, appartengono alla seconda categoria, ma preferirebbero far parte della prima-.
- Ai confini con Rohan? Non pensavo tu avessi viaggiato così tanto- esclamò la politica.
- Il mio cuore appartiene all’Erebor, ma nel mestiere di mercante ne ho viste di città-.
L’elfa sorrise. Non avrebbe mai pensato di poter effettivamente imparare qualcosa da un nano, ma dovette ricredersi.
- Immagino che Anduintirion sia l’unica sulla costa-.
- Esatto. In linea con essa, verso Ovest, c’è Yelinta. Più a Nord di Yelinta c’è Gothlam, con il suo lago, mentre dalla parte opposta di quest’ultima, verso Nord-Est, troviamo Arva-.
Galadhwen fissò il faro lontano, interessata. Si chiese che cosa l’attendeva, oltre quella luce. Poi decise che c’avrebbe pensato una volta arrivata a quell’oltre.
- Grazie per avermi erudita, messer Burin- disse.
- È stato un piacere, lady-.
- Andrò a riposare. Molto probabilmente domani arriveremo a quel faro e comincerà la marcia- disse l’elfa, avviandosi verso i quartieri.
Burin la salutò inchinandosi, per poi restar solitario a fumare la sua pipa, in compagnia dello sciabordio delle onde e della silente Castiel alla ruota.

***

- Elfi? Ma che diamine…?!-.
L’uomo salì in cima alla torre del faro e cominciò a suonare una campana.
In breve, buona parte della popolazione d’Anduintirion era ai moli, nonostante l’ora tarda.
Eglerion ed Athradien scesero sulle banchine dalle sartie,  assicurando la nave alle bitte.
- Meldarion! Cala la passerella!- gridò Athradien, scostandosi una ciocca castana da davanti agli occhi.
Dalla Ithil, Meldarion e Gelirion calarono l’asse sul molo, permettendo ai due elfi di risalire a bordo.
Un cavallo nitrì poderosamente, quando il Re fu risalito.
Eglerion gli pose una mano sul muso grigio.
- Dispiace anche a me, amico mio, vederti ridotto a bestia da soma, ma non pensare sia un compito ingrato. Porti molte delle cose che ci saranno indispensabili- gli disse.
Esso sollevò la testa fieramente e batté una delle zampe anteriori sul ponte.
- Siamo pronti?- disse Eglerion, rivolgendosi al resto del gruppo che sarebbe sceso a terra.
Un mormorio d’assenso gli arrivò per risposta. Si voltò verso Gelirion e Lancaeriel, che erano dietro di lui.
- La Ithil è vostra- disse.
- Fino al tuo ritorno- aggiunse Lancaeriel.
Eglerion sospirò. In questi ultimi giorni s’era ritrovato ad esser molto fatalista.
- Amata mia, non so neanche se tornerò, stavolta. E mi rammarico molto d’aver mandato Waith, Stephane e Zoe al mio stesso fato- asserì. Prima che Lancaeriel potesse rispondere, egli l’abbracciò, stringendola a lungo, temendo ch’esso fosse l’ultimo abbraccio che le potesse mai dare.
- Sei tu al comando, in mia vece. Sempre- le disse poi. I due si staccarono ed ella sorrise, nonostante il nodo che le si stava formando in gola.
Il Capitano mise una mano sulla spalla di Gelirion.
- Prenditi cura della nostra Lancaeriel, ch’avrà bisogno di tutto l’aiuto possibile- gli disse, non sapendo bene neanche egli a che tipo d’aiuto si stesse riferendo. Egli annuì.
- Troverai tutta la tequila nanica al suo posto, quando tornerai- gli rispose.
Dopodiché, Eglerion si volse verso le tre Sindar ed il nano, che avrebbero seguito lui e Meldarion nella loro ricerca del Mithlond.
- Spero che il soggiorno a bordo sia stato di vostro gradimento, perché ci toccherà avventurarci tra le terre più selvagge, ora-.
Detto ciò, condusse Nimloth e scese dal bastimento.
Le tre elfe lo seguirono, a loro volta seguite da Burin -carico di bagagli come non mai- e da Meldarion, che aveva approfittato d’ogni minuto prima della partenza per salutare Castiel.
L’elfo moro e il nano slegarono la Ithil, appena arrivati a terra, mentre qualcuno ritirava la passerella e la nave salpava nuovamente verso Sud.
- Hai dato te l’ordine di continuare verso Sud, una volta che noi saremmo scesi?- domandò la Regina.
- No. Hanno la libertà totale, ora. Probabilmente stanno solo prendendo spazio per virare più ampiamente e ritornare a Minas Duin- rispose egli.
Poi, finalmente, gl’elfi e il nano volsero lo sguardo al comitato di benvenuto che li attendeva. Sembrò che tutto il paese si fosse riunito al porto.
- Salve. C’è per caso qualcuno che sappia darci le indicazioni per una buona locanda? Vorremmo passar la notte al chiuso- disse Burin.
Nessuno rispose all’appello del nano.
Burin ripeté la domanda, mentre le tre elfe dietro di lui fissavano la folla sgomente ed i due Noldor parlottavano in Sindarin.
Dopo un altro minuto di religioso silenzio -qualcuno stava effettivamente pregando i Valar, tra gli uomini del posto- Galadhwen proruppe:
- Insomma, m’è stato detto che gl’abitanti di queste terre son gente onesta ed ospitale. Devo forse chiamar il mio amico un bugiardo?-.
Un uomo calvo, con un prominente girovita e una barba nera si fece avanti e parlò, con una voce squillante.
- No sia mai, mia Signora. Ve podessi ospitar mi nela mia de locanda, ma xé che go solo quatro leti liberi- disse, con un pesantissimo accento che rischiò di causare un accesso di risa nella politica.
- Come ti chiami?- chiese Eglerion, gentilmente.
- Osvald, mio Signore- rispose quello, intimorito. Si trattava d’una delle poche volte in cui Eglerion mostrava la luminosità latente dei Noldor, notò Meldarion.
- Sei assolutamente certo che le altre locande siano piene?-.
- Sì mio Signore. Anca perché l’unica locanda verta in ‘sta città xé la mia. Comunque, vo’ e una dele putele podessi ‘ndar fin Yelinta. Ghe vivi mi cugin, che fa anca lui el locandier. Ghe dixé che ve mando mi, cussì ve fa anca un preso più basso-.
Eglerion prese due respiri profondi, prima di rispondere ad Osvald. Non poteva farci nulla, ma anche lui rischiava d’esser preso da risa incontrollabili.
- Intanto, buon Osvald, conducici alla tua locanda. Là decideremo-.
Il gruppo sfilò in mezzo alla folla, guidato da Osvald e chiuso da Eglerion e Nimloth.
In poco tempo arrivarono alla locanda, seguiti da metà del paese.
- È vuota- disse il nano, calmo, guardando Osvald.
- Xé perché semo vignudi tuti al porto per vederve arivar- disse questi.
Eglerion si rivolse all’oste, dalla soglia.
- Fai sedere i miei ad un tavolo, in modo che noi possiamo decidere- disse. Poi si voltò e tolse la maggior parte dei carichi dal dorso del suo cavallo.
Dopo aver preso posto assieme agli altri, scrutò ognuno negli occhi.
- Il suo consiglio non è da buttare. Una di voi tre, mie ospiti, potrebbe venire con me fino a Yelinta- disse.
- Eglerion, non sarebbe meglio se andassimo noi due?- interloquì Meldarion.
- Forse. Ma allora rimarrebbe solo il nobile Burin a proteggere le nostre care fanciulle- disse, sorridendo.
- Non facevo il Re di Manwetol così sessista. T’assicuro che non abbiamo bisogno di protezione, Eglerion- disse la Regina, con tono duro.
- Non sto insinuando che tu non sappia difenderti, mia Somma Thalien. Al contrario, sono sicuro che lo sappiate fare egregiamente tutte e tre. Ma gli abitanti del posto non lo sanno e, come avevamo concordato l’altra sera, sarebbe meglio se non lo scoprissero, non credi?- disse Eglerion. Ella gli sorrise.
- Non posso darti torto- rispose.
- Bene. Chi delle tre andrà, allora?- domandò Burin, guardando le tre Sindar.
Le tre si guardarono in silenzio finché Galadhwen parlò.
- Andrò io-.
- Riterrei sia il meglio che io vada. Lady Galadhwen, voi siete stata praticamente malata, durante quest’ultimo periodo, e ci son stati casi di febbri anche tra gli elfi, se ben ricordate le saghe della Tempesta di Vento- asserì Rhavanwen.
Il resto del gruppo si trovò d’accordo con Rhavanwen.
- È deciso, allora. V’attenderemo a Yelinta domani pomeriggio. Passate una buona notte- disse Eglerion, prendendo parte dei bagagli.
Gli altri salutarono ed osservarono i due uscire.
Burin s’alzò.
- Direi che è ora di testare la birra della zona- disse, dirigendosi al bancone. Ormai il locale si stava riempiendo di persone, ma nessuno prestava più troppa attenzione agli ospiti.
Alastegiel s’alzò a sua volta.
- Andrò a parlar con Osvald riguardo alla nostra sistemazione. A tra poco- disse. Fece un paio di passi, per poi voltarsi di nuovo.
- Se passa una cameriera o se qualcun altro prende da bere, io assaggerei volentieri del bianco della casa- disse.
I due risero. Sembrava esser complementare ad Eglerion, in certi casi. La parte razionale della stessa mente.
- Ritorno di fiamma, dopo le parole dell’altro giorno?- domandò Meldarion, dopo.
- Come prego?-.
- Dai, che hai capito-.
- Ah, quello… no, non direi. Era solo per toglier l’impaccio della decisione- disse la politica.
Meldarion ne fu convinto: era sincera. Ed aveva seriamente sposato il suo lavoro, ormai.

***

- E si ritorna agli inizi, parrebbe- disse Eglerion.
Rhavanwen annuì.
I due marciavano speditamente lungo la strada per Yelinta. In due ore l’avrebbero raggiunta.
Avvolti nei mantelli elfici procurati a Minas Duin, sembravano due flebili ombre che si muovevano per volontà propria lungo la strada. La luna aveva cominciato a crescere, nel mentre, ed emanava una flebile luce che permetteva loro di vedere il percorso.
Camminarono in silenzio per lunghi minuti. Ad un tratto, l’elfa si fermò, d’improvviso.
- Hai udito qualcosa di strano?-.
- M’è sembrato. Ma dev’esser suggestione. E, poi, di che mi preoccupo, ho qui il mio gentile cavaliere che mi proteggerà, in caso accada qualcosa d’imprevisto-. Eglerion rise ma, sotto il mantello, allento l’elsa della spada dal fodero.
Percorsero molte altre miglia, fermandosi solo ogni tanto per bere qualche sorso d’acqua. Dalle ultime parole si muovevano con più circospezione: suggestione o no, è sempre meglio non rischiare.
Quando le flebili luci di Yelinta si mostrarono, in lontananza, rallentarono il passo, concedendosi più tranquillità.
- Sei così fatalista su questa ricerca?- domandò la Sindar.
- Come?-.
- Beh, da come hai salutato la Ithil ed il suo equipaggio, sembra quasi che tu non li debba mai più rivedere…-.
Eglerion sospirò.
- Non so. Questa è una ricerca verso l’ignoto, ammettiamolo. Le altre volte che lasciavo la Ithil per andare in terre straniere o era per cacciare o gl’altri erano con me e stavamo razziando qualche avamposto Numenoreano-.
- Avamposti? Non villaggi?- domandò l’elfa.
- I paesani non c’hanno fatto nulla. Sono i soldati che continuano ad attaccare Pinnath Gelin e Manwetol-.
- I soldati, però, spesso eseguono ordini. Chi meglio di te, ex generale ed ora Re, può saperlo-.
- Non a caso tentiamo di limitare le uccisioni. Ma, purtroppo, ci toccherà uccidere molti uomini, più avanti. Me lo sento e non ne sono felice-.
Percorsero l’ultimo tratto sprofondando di nuovo nel silenzio, finché non arrivarono ai cancelli di Yelinta.
La città non s’estendeva molto, era poco più che un villaggio, ma era cinta da una palizzata alta almeno otto piedi.
Eglerion chiamò, nel buio.
- Chi siete?- rispose qualcuno dal muro, probabilmente una sentinella.
- Pellegrini che cercano ricovero ad una locanda di Yelinta. Ci manda Osvald d’Anduintirion, poiché là non c’è più posto- rispose Rhavanwen.
Con loro sorpresa, il cancello gli fu aperto. S’aspettavano di restar chiusi fuori.
Un uomo -lo stesso che aveva parlato loro- gli venne incontro.
- Ben incontrati, in questa notte- disse. I due si stupirono. S’aspettavan d’udire un pesante accento al corrente, com’era accaduto ad Anduintirion.
- Se vi manda Osvald, dovete prendere la terza strada sulla destra e poi voltare a sinistra. La locanda la riconoscerete sicuramente. Una volta dentro, chiedete di Bepi- continuò la sentinella.
- Grazie. Passa una notte tranquilla- disse Eglerion al portiere, lanciandogli una moneta d’argento.
Le porte furono richiuse alle loro spalle, mentre i due s’avviarono lungo la via.

- Aveva di certo ragione, dicendo che l’avremmo riconosciuta- disse Rhavanwen, dopo che furono arrivati fuori della locanda.
Un paio di nani e qualche uomo, dormivano sulla strada fuori dell’edificio, mentre dal suo interno provenivano urla e canti.
Eglerion volse lo sguardo all’insegna che penzolava sopra alla porta.
- “De Bepi”. Beh, ormai siamo qui- disse, togliendo lo sguardo dal cartello e girandosi a guardare l’elfa.
I due entrarono.
Il piano terra era accogliente e caldo. L’odore non era dei migliori ma, ammise Eglerion, era stato in bettole peggiori. Il pavimento d’assi scricchiolava ad ogni loro passo, mentre gli avventori attorno a loro continuavano nelle loro gare di bevute e nei loro canti.
I due s’avvicinarono al banco, senza levarsi i cappucci.
- Scusatemi, messere. Stiamo cercando Bepi, che dovrebbe esser il proprietario di questa locanda-.
L’uomo dietro al bancone si voltò a guardarli.
Aveva due occhi azzurro cielo molto profondi, la faccia rasata di fresco, la fronte alta, un anello dorato all’orecchio sinistro ed una lunga chioma castana, raccolta in una coda.
- Bonasera. Son mi Bepi, in cossa posso esserve utile?- disse gentilmente, ma con lo stesso accento del cugino.
- Ci manda Osvald. La sua locanda era piena. Stiamo cercando un posto dove passare quel che resta della notte- rispose Eglerion.
- No xè problemi. Seguime su e ve mostrerò le camere che go libere. Ovviamente, se gavé soldi con cui pagarme- aggiunse, con un sorriso.
- Stanne certo. Ma ne riparleremo dopo aver visto le camere-.
Bepi si volse verso un uomo alto, dall’aria truce e dalla barba nera, che stava assistendo ad una delle gare di bevute. La più chiassosa, per esser precisi.
- Ou Toni, fa un favor, da un’ociada al banco, intanto che ghe fazo veder le camere ai ospiti-.
Quello sorrise, togliendo ogni traccia di cupezza dal suo volto.
- Va ben, ma no staghe metter come sempre una vita, te prego- disse, canzonando Bepi. I due dovevano conoscersi da molto.
Bepi scosse la testa e menò i due al piano superiore.
- Alora, per la signorina gavemo questa. Per voi, sior, xé quela là, in fondo al coridoio. A meno che, ovviamente, no volé dormir assieme- disse, mostrando loro delle porte. Quella di Eglerion aveva un tre attaccato sopra, mentre quella assegnata a Rhavanwen un numero uno.
- No, penso vadano bene queste due- disse il Noldo.
Bepi sfilò due chiavi da un largo anello che portava alla cintura e le consegnò ai due.
- Sistemeve come che preferì. Mi go de ‘ndar zo, ora, prima che Toni cominci a buttar de bever a metà dela gente-.
I due elfi sistemarono i loro bagagli nelle camere, per poi ritrovarsi in cima alle scale.
- Vuoi bere qualcosa, prima d’andare a dormire?- domandò Eglerion alla compagna.
- Volentieri. Questo posto m’ispira-.
Rhavanwen ed il Capitano scesero di nuovo nella sala e si sederono ad un tavolo un po’ discosto dal casino centrale.
Presto Toni fu da loro.
- Alora, cossa posso portarve? Volé qualcossa de bever?-.
- Che cosa ci proponi di buono?- domandò l’elfa.
- Qua xè tuta roba bona: malvasia nostrana, vin nero, un bianco frizzantin, del rosso un poco più forte...- disse, cominciando ad elencare vari vini.
- A me interessa il frizzantino. Che dici, prendiamo una brocca di quello?- chiese Eglerion.
- Andata. Dopotutto, sei tu l’intenditore-.
- Benon, la riva subito- disse Toni.
Toni s’allontanò, lasciando i due nel loro angolo di locanda.
- Mi piace questo posto… ha un che di vitale. Un po’ come le Sale- disse l’elfa.
Eglerion la guardò.
- Da come ne parli, dev’esser veramente un bel posto, la tua Capitale- disse.
- Penso proprio ti piacerebbe- affermò ella.
Toni ritornò con il vino, poco dopo.
- Ecco qua, siori. El bianco più bon che podé trovar in questa città- disse, versandone un po’ in un bicchiere, che passò ad Eglerion.
Egli assaggiò ed assaporò. Era effettivamente molto buono, doveva dar credito agli osti.
- I miei complimenti. Ottimo- disse.
Toni sorrise.
- Per qualunque cosa, chiedé de mi o de Bepi, semo al vostro servizio-.
Poggiò la brocca sul tavolo, dopo aver riempito i due bicchieri, e si diresse di nuovo verso la gara al centro della locanda, che stava raggiungendo gli stadi finali: tre nani dormivano sulle panche, assieme ad un uomo. Restavano svegli solo un nano dalla lunga barba chiara ed un uomo dal viso avvolto in bende, quasi alla maniera Haradrim. Toni tifava spudoratamente verso il nano.
- Daghe zo, Urich, no ‘sta a farte batter da un de fora!-.
Il nano alzò per l’ennesima volta due dita verso Toni, che sparì brevemente per tornare con due vassoi, carichi di cinque boccali l’uno.
- Qua gareggiano a vassoi, a quanto pare- disse Eglerion, sorseggiando il vino. Rhavanwen seguiva anch’ella interessata la gara.
- Birra… non riuscirei a superare il terzo boccale, di quella roba-.
- Non ti piace?-.
- Mh… non troppo. Ho altre passioni- disse, levando il calice.
- Al nostro vinello, dunque- disse Eglerion, brindando con lei.
Batterono i bicchieri sul tavolo e beverono.
Nel momento in cui poggiarono i calici vuoti sul tavolo, s’udì un tonfo ed una raffica d’imprecazioni miste a lamenti vari.
- Ciò, Urich, te me ga fatto perder venti Celeb!-.
- T’son ‘na bevandela che no’ reggi un cazzo!-.
- Urich! La prossima volta usa un’altra panca!- biascicò uno dei nani, svegliato dal tonfo.
In poche parole, Urich non aveva retto il terzo boccale dei cinque del vassoio ed era caduto, sbilanciando la panca e facendo cadere anche i suoi compagni addormentati. Oltre a ciò, s’era preso gl’insulti di chi aveva scommesso su di lui.
- Urich! No’ sta ‘spetarte credito! Tra ti e quel’altro me gavé fatto fora quaranta pinte! Te ga el conto de pagar!- gli gridò Bepi, da dietro al bancone.
L’uomo dal volto coperto rise. Salutò gli avventori e si diresse fuori della porta.

- Valar, che masnada di folli- rise Rhavanwen.
- Ed io che pensavo che Manwetol fosse la culla dell’etilismo-.
Entrambi risero nuovamente.
- Che dici, saliamo?- domandò Rhavanwen, poi.
- Tu intanto vai. Ti raggiungo tra un po’- disse Eglerion.
- Mi raggiungi?-.
- Passo a salutarti, intendo- rispose egli, sorridendo.
Ella bevve l’ultimo sorso del suo bicchiere e lasciò Eglerion al tavolo.
Egli vuotò il fondo della brocca e si alzò, portando brocca e bicchieri al bancone.
- Ma vi capita spesso di assistere a spettacoli del genere?- chiese a Bepi, poggiando i recipienti.
L’uomo gli rispose, senza smetterei pulire un bicchiere con uno straccio.
- Ara, quasi due sere sì e una anche. Xé routine, ormai-.
- Per fortuna dalle mie parti si limitano ad alternare le sere- disse Eglerion.
- Comunque, ve ga piasso el vin?-.
- Molto, grazie. Decisamente buono-.
- Doman però gavé de provar el nostro rosso, che fa sangue- disse Bepi, ripescando un vecchio detto delle sue parti.
Eglerion sorrise e salutò l’uomo, per poi dirigersi al piano superiore.
In quel momento gli venne una strana sensazione.
Qualcosa non andava.

***

Rhavanwen salì le scale.
Arrivata in cima, davanti alla sua camera, prese una candela dallo scrittoio posto a pochi piedi dalla sua porta e l’accese, tramite una delle lanterne appese ai muri.
Prese la chiave ed aprì la porta, per poi entrare nella camera.
Lì trovò un altro paio di candele, che accese per dar più luce alla stanza.
Essa era ampia. Il letto era a ridosso della parete destra, al centro stavano un tavolino basso ed una poltrona. Una finestra era di fronte a lei, rivolta verso Oriente.
Notò un’altra porta, sul lato sinistro della stanza. Vi s’avvicinò, per scoprire una piccola stanza da bagno.
Posò la candela vicino al rudimentale lavello e ritornò nella camera.
Si spogliò dei suoi abiti da viaggio, estrasse una leggera veste di lino da uno dei bagagli e la poggiò sul letto.
Entrò in bagno per darsi una veloce rinfrescata e ne uscì dopo qualche minuto.
S’infilò la veste e fece per voltarsi. Le si mozzò il respiro. Non era sola.
Dita d’acciaio le serrarono i polsi, mentre il piatto di una fredda lama le si poggiava sul collo.
Tentò di divincolarsi, ma il suo silente aggressore le premé il coltello più forte sotto il mento.
- Ferma- le disse una voce, fredda e maligna. Che, ne era sicura, aveva già sentito da qualche parte.
Eglerion!
I suoi pensieri si rivolsero a lui, l’unico che poteva far qualcosa. Nonostante non potesse raggiunger la concentrazione necessaria per una risonanza, sapeva che sarebbe riuscita a trasmettergli il suo stato d’animo.
Lo sconosciuto le strinse più forte il polso, fino a farle male. Sembrava felicitarsene.
- Brava, la mia piccola elfa. Adesso sta buona, mentre attendiamo il tuo amico. Dopo che egli sarà morto, potremmo finalmente concentrarci sulle tue grazie- disse.
Eglerion, ti prego, non lasciare che quest’uomo mi stupri.
- Rhavanwen? Stai bene?-. La voce di Eglerion proveniva da dietro la porta.
Entra! Ti prego…
L’uomo la strinse a sé. Poteva sentirne l’alito pesante sul collo, l’odore ripugnante così vicino a lei.
Eglerion batté un colpo sulla porta.
- Rhavanwen?-.
Sfonda quella porta, ti prego!
E così Eglerion fece.

***

Eglerion si fermò di fronte alla porta di Rhavanwen.
- Rhavanwen? Stai bene?-.
Il silenzio dentro quella stanza era troppo irreale.
Da una parte sentiva qualcosa che lo chiamava verso quella stanza. Come se, in quel silenzio, la Sindar stessa lo stesse cercando.
Ma dall’altra, v’era una sensazione d’imminente pericolo, nelle vicinanze.
- Rhavanwen?- chiamò, di nuovo.
Questa volta lo sentì chiaramente.
La voce supplichevole dell’elfa gli rimbombò nella mente.
Sguainò la spada e spalancò la porta con un calcio.
Per trovarsi a guardare le spaventatissime iridi verdi di Rhavanwen. Dietro di lei, torreggiava un volto familiare: Mardion.
Questi lo fissò, senza abbassare il coltello dalla gola dell’elfa, e sorrise sprezzante.
 -Chi si rivede- disse.
In due rapidissime mosse, diede un forte schiaffo a Rhavanwen, facendola cadere in terra e perdere i sensi, ed estrasse una spada anch’egli.
- Vedo che sei venuto a salvare la tua sgualdrina. Ottima scelta, devo dartene atto. Il suo corpo è perfetto. Per ora- disse l’uomo, senza distogliere lo sguardo da Eglerion.
Le due lame cozzarono, nel silenzio del piano.
Lentamente, i due cominciarono a muoversi in circolo, studiandosi a vicenda.
- Chissà se potrai vedermi ancora, quando calerò il coup de grace sulla tua testa- disse Eglerion.
Mardion sputò.
- Quella puttana che m’ha reso guercio sapeva il fatto suo. Dovrai esser più bravo di lei, se vorrai accecarmi- rispose Mardion.
Poi, improvvisamente, ci fu un altro rapido scambio di colpi, che terminò con una stoccata da parte d’Eglerion, che Mardion schivò.
Mardion calò il suo spadone su Eglerion, che scartò di lato per evitare il colpo. La lama batté con violenza sul pavimento.
Ormai il resto della gente dovrebbe cominciare a svegliarsi o ad insospettirsi riguardo a tutto questo casino, pensò l’elfo.
Mardion incalzò Eglerion, costringendolo ad arretrare verso la porta. E fu in quel momento che l’aiuto giunse. Non da fuori, come Eglerion s’aspettava, ma da Rhavanwen.
Ella, dopo essersi svegliata, era lentamente strisciata verso il suo bagaglio ed aveva estratto una freccia dalla sua faretra.
Velocemente, l’aveva piantata nel polpaccio di Mardion che, perso l’equilibrio, era rovinato in terra.
Eglerion gli fu sopra in un momento, ma l’uomo era innaturalmente veloce, o resistente. Dopo aver sferrato un calcio all’elfa, s’era rialzato e, parando i colpi di Eglerion, era tornato ad attaccarlo.
In una manciata di secondi i due erano di nuovo impegnati in un aggancio.
Eglerion, sfruttando la ferita dell’avversario, riuscì a premer abbastanza da far cedere Mardion. Egli, però, non si diede per vinto e tentò di piantare la lama nell’inguine di Eglerion.
Il Noldo evitò il colpo ma, quando si trovò pronto a ricominciare l’offesa, Mardion era già uscito zoppicando dalla stanza ed era fuggito giù per le scale.
L’elfo lo inseguì al piano inferiore, ma desisté quando lo vide montare a cavallo. Non sarebbe stata quella la sera in cui avrebbe sconfitto il suo avversario.

Rientrò dentro la locanda. Stava per salire le scale, quando un gemito attirò la sua attenzione.
S’avvicinò al bancone e trovò, dietro di esso, Bepi e Toni distesi per terra.
Il primo sembrava esser addormentato, mentre il secondo si stava muovendo lentamente, tentando di rialzarsi.
L’elfo lo aiutò a sedersi. Il barbuto si massaggiò la testa. Pareva aver ricevuto una bella botta.
- Come va?-.
- Un mal… grazie, comunque…-.
- Hai visto chi è stato?-.
- Iera quel stronzo che ga vinto, dei, quel co’ la testa bendada... el xé entrà, el se ga cavà le bende e ga da un colpo a Bepi. Mi me son avvicinà, pronto a darghele, ma me ga da una per la testa anca a mi-.
- Quanti occhi aveva?- domandò Eglerion.
- Un. Su l’altro el gaveva un benda-.
Eglerion sospirò. Almeno aveva la sicurezza che Mardion avesse agito da solo.
- Devo andare su. Ti consiglio di metter dell’acqua fredda sulla botta e provar a svegliare il tuo amico. Ci si vede domattina- disse.
Salì le scale e tornò da Rhavanwen.
- Fuggito. Quell’infame aveva un cavallo-.
Ella non rispose. Sembrava sotto choc. Restava seduta sul pavimento, abbracciata alle ginocchia.
Una macchia nera sporcava la veste nel punto in cui lo stivale di Mardion l’aveva colpita, poco sopra l’anca.
- Rhavanwen?- la chiamò. Ella parve risvegliarsi. Scosse un momento la testa per poi voltarsi a guardarlo. Gli occhi inespressivi.
Egli le si sedé accanto e la strinse a sé.
- Grazie- la sentì mormorare.
- Non devi. Sono o non sono il tuo gentile cavaliere?- le disse.
Ella abbozzò un sorriso.
- Ho avuto paura. Molta, troppa paura-.
- Non pensarci, ora. Piuttosto, il fianco come va?-.
- Fa male, ma non penso sia grave-.
- Se vuoi controllar meglio, esco un attimo-.
Ella annuì. L’elfo l’aiutò ad alzarsi e a sedersi sul letto, prima d’uscire.
Dopo pochi minuti, si sentì chiamare.
Rhavanwen era seduta sul letto. La coperta la copriva dalla vita in giù, mentre ella teneva la veste alzata fin sotto il seno.
- Non riesco a fasciarmi da sola, mi servirebbe una mano- gli disse.
Eglerion richiuse la porta dietro di sé e si avvicinò alla fanciulla.
- Brutta botta- disse, osservando il livido bluastro sul fianco di Rhavanwen.
- Riesci a muoverti normalmente?- le chiese.
- Non fluidamente come prima-.
- Può esser ch’abbia incrinato una costola, allora-.
- Non penso, sai. Se si fosse incrinata, mi sarebbe stato molto più difficile alzarmi-.
- Ad ogni modo, meglio fasciare ed attendere. Non possiam far di più, adesso-.
L’elfo prese le bende dalla sacca di Rhavanwen e avvolse la vita della sentinella.
- Troppo stretto?-.
Ella fece un paio di respiri profondi.
- No. Anzi, è perfetta- disse.
- Allora vado. Ci si vede domattina- disse egli, alzandosi.
Le diede un bacio sulla fronte, augurandole una buonanotte, e si diresse verso la porta.
- Eglerion?-.
L’elfo si voltò.
- Grazie-.
Egli sorrise.
- Non t’ho già detto che non devi?-.
Sorrise anche lei.
- Non m’importa. Non la smetterò- disse ella, stendendosi sul letto come meglio poteva. Sia a causa della ferita, sia per non mostrar nulla ad Eglerion.
- Spengo le candele?- le domandò questi.
- Veramente, vorrei chiederti un altro favore- disse ella, esitante.
Egli la guardò, non capendo.
- So che è stupido, forse. Ma son ancora molto scossa. Ti dispiacerebbe restare?-.
Eglerion richiuse la porta e si avvicinò all’elfa.
- La tua presenza mi da sicurezza- disse ella. Eglerion sorrise: era lievemente arrossita.
- Va bene, non c’è problema. Ad una condizione-.
- Quale?-.
- Che tu dorma tranquilla e fino a tardi. Se provi ad alzarti all’alba, ti ricaccio nel letto e ti ci lego- le disse.
Ella rise.
- Grazie. Buonanotte, Eglerion-.
L’elfo spense le candele, mentre Rhavanwen si voltò da un lato e s’addormentò presto.

L’elfo però non dormì. Non tentò neanche, a dire il vero. Si sedé con la schiena contro il letto e s’immerse nei suoi pensieri.
Il più grande interrogativo restava su chi fosse veramente Mardion.
Doveva esser rimasto nelle vicinanze del palazzo conciliare, per aver sentito del loro viaggio, altrimenti non si spiegava come avesse potuto trovarli.
Poi, restava la questione sul perché ce l’aveva con loro.
- Magari è qualcuno a cui ho fatto un torto da bambino- si disse Eglerion, nel buio della camera. Sorrise a sé stesso per la cazzata detta. Però, qualcosa d’incognito restava.
Non è un elfo. Ma non può esser neanche un normale uomo. È troppo veloce. Escluse la probabilità delle orecchie tagliate. Gli mancavano proprio i lineamenti della razza elfica.
Forse è Mandos, deciso ad estinguere definitivamente la razza dei Noldor, si disse, ripensando alla maledizione caduta sulla casa di Finwe, millenni prima.
Si concesse un altro sorriso. Era alquanto irreale che un Vala si scomodasse per uccidere un singolo Noldo. Avrebbe fatto molto prima facendo inabissare Manwetol e Pinnath Gelin.
Sentì Rhavanwen muoversi, alle sue spalle, ma non ci fece caso.
Stava sognando, intuì.
Eglerion represse uno sbadiglio. Forse era meglio se si concedeva anch’egli qualche minuto di riposo.

***

Le prime luci dell’alba baciarono il viso di Rhavanwen, svegliandola.
Si stiracchiò leggermente, evitando di sforzare troppo la fasciatura.
Guardò più in là e vide Eglerion. Russava, seduto per terra e con la testa poggiata al letto. Sembrava sul punto di scivolare definitivamente sul pavimento. Ma, Rhavanwen n’era certa, pur battendo la testa sul pavimento di legno avrebbe continuato a dormire, il Noldo.
Le tornarono alla mente le parole dell’elfo, la sera prima.
Se provi ad alzarti all’alba, ti ricaccio nel letto e ti ci lego.
Avrebbe rischiato.
Il più silenziosamente possibile tento di uscire da sotto le coperte ma, purtroppo per lei, urtò leggermente la testa di Eglerion con il piede.
Quello neanche aprì gl’occhi.
- Devo andare a cercare una corda?- le disse.
Ella rise.
- Sei alquanto inquietante, sai?- gli rispose.
Egli alzò la testa e volse lo sguardo verso di lei.
- T’ho detto io che avrei vegliato su di te. Anche nel sonno-.
La fanciulla rise di nuovo.
Eglerion si alzò, chiedendole se volesse proprio alzarsi in quel momento.
- Inizio ad avere un po’ di fame, non per altro- disse Rhavanwen.
- Andrò a vedere se c’è qualcosa, qua sotto. Nel mentre, puoi cambiarti in tranquillità- asserì Eglerion.
Ella annuì. L’elfo l’aiutò ad alzarsi, per poi uscire dalla stanza e dirigersi giù dalle scale.
Nonostante tutto, non era ancora giunto ad una conclusione, riguardo a Mardion. Né chi potesse essere né perché ce l’avesse tanto con loro.
Gli tornò in mente una frase detta da Mardion durante il loro duello: era stata una donna a rendergli inutile l’occhio.
Vuoi vedere che è meno abile di quanto lascia credere, si disse. Ad ogni modo, se mai avesse incontrato quella ragazza, le avrebbe offerto da bere a vita, si ripromise. Non sapeva quanto vicino era quell’incontro.

 

 


E fuor dieci anche per VII Age.
Ne mancano…? Molti, direi.
Ad ogni modo, spero vi sia piaciuto, questo cambio di scena. Da terre elfiche siam passati alle selvagge terre degli uomini. Chissà che cosa avrebbe detto Elendil, vedendo il suo Arnor ridotto in questo modo. Sinceramente, penso sarebbe più felice di vederlo così che diviso nei tre staterelli.
Ma basta con le cazzate, che c’è gente da ringraziare.
Innanzitutto, Hary e Silvì, irriducibili lettrici che leggono e leggono. A proposito, andate a legger anche l’ultimo cap di Alagos War, che c’è l’intervista di Rain ad Eglerion. Due menti del genere assieme fan paura anche a me.
Quanto al “More Naked Eglerion”, dovrò veder come comportarmi più avanti. Quanto al sangue, invece, stai tranquilla Hareth, che arriverà. E dai una carezza a Pan da parte mia, che da brava e furba gatta nera ti salva il sistema binario dei neuroni e ti farà notare la citazione alle “malattie”.
Silvì, te invece devi smettere di farti venire ispirazioni per i tuoi scritti leggendo VII, ch’altrimenti sarai ancora a questo capitolo quando avrò venduto i diritti alla Saul Zaentz =D (seh, come no…).
Comunque, son felice che ti sian piaciuti entrambi i precedenti. L’VIII è stato lungo da scrivere, ma alla fine è venuto bene e ne son felice. E quell’aria di complicità tra i tre è proprio ciò che tien su tutto, tra le frecciate e tutto il resto. Il titolo è venuto di conseguenza. Quanto al IX, l’intermezzo del vomito serviva sia a dar un altro frammento di carattere a Gelirion sia a mostrare quanto era veramente disastrata la situazione sulla Ithil. Il flashback, invece, andava fatto al più presto: serviva spiegare che cosa era effettivamente successo tra i due, senza nasconder indizi qua e là come ho fatto negl’altri capitoli.

Ah, vi prego, non sparatemi per l’accento degli abitanti.
Era mia intenzione dar loro un accento peculiare, ma l’unico che conosco abbastanza da poterlo scrivere per bene (o quasi) è quello triestino, per cui i miei locandieri parlano triestino. Bepi e Toni, nello specifico, assomigliano molto a due miei amici tra una ventina d’anni, perché ce li vedo molto a far tale lavoro.

Note sulla pronuncia.
A: tutte le X nel triestino sono lette come la S in “rosa”, per cui un misto tra S e Z.
B: dicasi “bevandela” una persona (o nano) molto dedito al bere.
C: per qualunque traduzione necessaria contattatemi o domandate in recensione, risposta sarà data.
D: (per il Sindarin, cosa ch’avrei dovuto far prima) in caso non ne siate al corrente (confido che le due irriducibili non abbiano bisogno di questa nota, come la maggior parte dei lettori), tutte le C e le G dei nomi elfici hanno suono duro, SEMPRE.

Detto ciò, vi saluto. Ci si sente per l’undicesimo.

 

  
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