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Autore: flyingangel    03/11/2008    1 recensioni
"Amarti, il mio incubo. Che cosa nascondi dietro ai tuoi occhi?"
Chey è una ragazza come tante, ma qualcosa dietro l'angolo sconvolgerà la sua vita, e le farà vivere l'esperienza più eccitante, dolorosa, e pericolosa che abbia mai immaginato.
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- QUINDICESIMO CAPITOLO -

*

Soffiai, i capelli mi impedivano ancora di più un respiro regolare. Sentivo il suo peso fremere sopra di me, era
caldo come un animale.
“Avanti… girati” disse, prendendomi a forza un polso e stringendolo.
Mi voltai, e il suo corpo mi permise di farlo per una frazione di secondo, poi ritornò sopra di me; questa volta
eravamo occhi negli occhi.
Lui sorrise, di sbieco. “Ciao” mormorò, soffiandomi nell’orecchio.
Rabbrividii.
“Non mi rispondi neanche?” continuò, con lo stesso tono.
Scossi la testa, disgustata.
“Ma che maleducazione” le sue labbra sfiorarono la mia pelle, sul viso.
“Non ho voglia di parlarti” biascicai, col cuore che pompava veloce.
Lui alzò un sopracciglio. “Come?” disse, meschinamente.
Lo guardai fisso negli occhi, proprio come faceva lui. “Posso alzarmi?” chiesi, cercando di ottenere qualcosa.
Lui fece di no con la testa. “Non ci penso nemmeno”.
“E allora cosa vuoi da me?” mi arrischiai, rabbrividendo interamente. Sentii il suo corpo caldo a contatto con il mio.
“Quello che vogliono tutti” sorrise.
Alzai un sopracciglio. “E cioè?”.
Alzò le spalle. “Sei una ragazza. Sei carina, e questi capelli lunghi, castani… questa adorabile bocca, questi occhi
grandi… mi capisci, no?”
Fremetti per un istante. Scossi la testa.
“Ma come no?” sorrise di nuovo. “Non capisci il fatto che sei bella?” alzò le sopracciglia, spingendo contro il mio
corpo.
“Senti, vorrei alzarmi, se non ti dispiace” il modo in cui lo dissi mi stupii a mia volta; la timidezza a volte, per
fortuna, lasciava spazio all’arroganza.
Alzò le spalle. “In verità, sì” mi fissò dritto negli occhi.
I suoi avevano delle ciglia nere, bellissime.
“Come vuoi, ma prima o poi preferirei andarmene”.
“Eppure siamo a casa tua, non c’è nessun problema a quanto pare…”
“Sì, invece che c’è” mormorai, a denti stretti.
“E quale sarebbe?”
“Non sei invitato, non sei gradito. Come te lo devo dire?”
“Per essere una ragazzina ne hai di faccia tosta” mi sussurrò, sfiorandomi le labbra con le sue.
“Ma ti piaccio, che cosa vuoi?” bofonchiai, non capendo.
“Caspita, non ti facevo così coraggiosa” soffiò.
“Sto cercando di capire delle cose… e a volte la faccia tosta mi viene naturale, a quanto pare”.
Lui sorrise. “Quali cose?”
“Ma sei forse sordo? Oppure proprio non capisci?”
Lui alzò le sopracciglia, facendomi segno di andare avanti.
Sbuffai. “Che cosa vuoi da me” ripetei, meccanicamente.
Lui sbuffò, seguendomi. “Non posso nemmeno provare a rincorrerti, che subito ci deve essere un motivo?”
Sussultai; era davvero un tipo strano.
“Sei umano?” chiesi, non sapevo perché ma riuscivo a tener testa a una certa conversazione; pareva più
rilassato, pareva che non mi volesse uccidere, altrimenti avrei cambiato tono.
Lui soffiò un sorriso. Si alzò e mi lasciò andare. “Sei un’umana dolce e dalla faccia tosta” mi disse, sistemandosi i
pantaloni con una mano, dal retro.
“E si può sapere che cosa vuoi farmi?”
“Volevo farti male… ma ho cambiato idea”.
Mi prese alla sprovvista e sgranai gli occhi. “E si può sapere perché tutto questo?”
“Perché ti volevo far del male?” sorrise “perché non ti sopporto. E perché ho cambiato idea? Perché non ti sopporto”.
Corrugai le sopracciglia, confusa e sorpresa allo stesso tempo. “Sai che sei parecchio strano. Quello che dici non
ha senso. Un giorno o l’altro dovrò trasferirmi da qui”.
Alzò un sopracciglio, perplesso e curioso. “Perché?”
“Ci sono troppi tizi strani da queste parti… e la cosa mi fa paura” mormorai.
Scosse le spalle. “Non devi averne…”
Lo guardai, fissandolo negli occhi. “Ah, no?”
“No”.
Invece, in quel momento, fremetti spaventata, senza sapere bene il perché.
Il cellulare mi vibrò.
Gli gettai un’occhiata e poi aprii lo sportellino. “Sì?”
“Chey, sono andata da Loud, sono qui con lui e Antoine… siamo preoccupati. Dove sei?” mi disse Jen, la sua voce
era ansimante e ansiosa.
“Tranquilla, Jen. Sto bene. Sono a casa mia”.
Lei tirò un grosso sospiro di sollievo. “Oh mio Dio, non sai quanto sono felice di sentire che stai bene, ho avuto
davvero paura… e quando mi sono girata e non ti ho più visto… sono tornata in casa ma non c’eri”
“Eravamo sul tetto”.
“Sul tetto?” sembrò spaventata, di nuovo.
“Sì, ma tutto a posto. Credevo mi volesse uccidere, invece non è così”.
Un attimo… in quel momento mi illuminai. Mi voltai fulminea verso il ragazzo che era alle mie spalle, dagli occhi
castani e vestito di scuro… Lo guardai. I suoi capelli erano folti e ricci, castani. Sgranai gli occhi. Oh, mio Dio.
Lui mi ricambiò l’occhiata. “Che c’è che non va? Tutto a posto?”
Annuii. Terrorizzata.
Socchiusi la bocca e abbassai lo sguardo. Ripresi a parlare all’apparecchio. “Senti Jen…”
“Sì?” mi disse lei; la sua voce risultò meccanica.
“Ehm…” mi accorsi che non potevo parlare.
“Dovrei andare in bagno…” dissi al ragazzo, alle mie spalle.
Lui alzò uno sguardo su di me, e lo lasciò per un secondo, poi annuì.
Salii le scale, senza dare a vedere quanto in realtà fossi spaventata.
Le gambe, le sentivo tremare mentre camminavo. Quando fui in cima, diedi un altro sguardo a lui, al piano
 inferiore… non mi stava guardando.
Raggiunsi il bagno e mi ci chiusi dentro. “Jen” mormorai al telefono.
“Sì?” ripetè lei, e mi sembrò ancora in ansia.
“C’è un problema…” sussurrai, con la più bassa voce che conoscessi.
“Che cosa succede?” lei pareva veramente allarmata.
“Ho bisogno d’aiuto, credo” bofonchiai. “Il ragazzo che ci ha aggredito, è qui al piano inferiore, e prima ho detto
che pareva più cauto… insomma che ero fuori pericolo. Ma ora non ne sono più così sicura. L’ho visto a
scuola, e Loud mi ha detto che è un lupo mannaro”.
Jen prese una pausa, senza fiato. Sentii che mormorava qualcosa a Loud e Antoine, lì con lei.
“Chey, stai bene?”
“Sono in bagno” spiegai, velocemente.
“Senti, noi arriviamo subito… cerca di prendere tempo” Jen faceva una voce comandata; in realtà sapevo che
aveva una gran paura per me.
“D’accordo” mormorai, e chiusi la chiamata.
“Tutto bene?” una voce dall’esterno sopraggiunse. Sussultai.
“Sì, tutto a posto, ho quasi fatto” biascicai, completamente in preda all’agitazione. Tirai lo sciacquone.
Cosa faccio, cosa faccio? E ora cosa devo fare?
Mi guardai intorno; l’unica arma plausibile era la lametta. La presi e me la misi nella tasca…
“Parlavi da sola?” disse, sempre dall’altra parte della porta.
Sussultai ancora. “Sì”.
Sentii che non proveniva più nessun rumore dall’esterno.
Diedi un’ultima occhiata e poi uscii. “Ecco” dissi, cercando di nascondere l’agitazione che si faceva sempre più
crescente; soprattutto quando incontravo i suoi occhi. “Ho fatto”.
Mi portò un braccio oltre le spalle, accompagnandomi giù per le scale.
“E perché non mi sopporti?” chiesi, cercando di capire che cosa pensava di me, e cercando di prendere tempo.
Lui fece qua e là con la testa. “Tu quando non sopporti qualcuno a pelle, hai un motivo?”
Corrugai le sopracciglia, cercando di pensare, nonostante la testa in panne. “Ehm… forse, non so”
“Pensaci” continuò.
“No” mi decisi, dandogli uno sguardo di sbieco. Lo ricambiò, più lungamente.
“Esatto” sorrise. “Non ho un motivo per il quale non ti sopporto. Succede e basta”.
Rabbrividii sotto al suo tocco caldo.
“Allora, che cosa c’è che non va?” ripresi, e la mia voce suonò sulle prime roca e bassa.
Me la schiarii.
Scosse la testa, un po’ divertito, lanciandomi un’occhiata. “Niente, che c’è che non va?” rimarcò.
“Per me nulla, a parte il fatto che vorrei essere libera di stare in casa mia…” mormorai.
Alzò un sopracciglio. “E non lo sei?” mi guardò di sbieco e mi fece rabbrividire. Di nuovo.
“Ora no” risposi, cercando di farmi coraggio; di lì a poco Jen, Loud e Antoine sarebbero arrivati… sarebbero
arrivati, ne ero certa…
“Preparati quello che vuoi da mangiare, guarda quello che vuoi in tivù, vai in bagno, anche se presumo che tu
abbia già fatto, fumati una sigaretta, leggi un libro… insomma, fai quello che ti pare” sussurrò.
“Io non fumo” ribadii, schietta.
Sorrise. “Non mi interessa, comunque dovresti provare”.
Gli lanciai un’occhiata di disapprovazione. “No, grazie, non mi interessa”.
“Anche a me non interessavano certe cose… eppure dopo ne ho scoperto la meraviglia e l’ebbrezza”.
Sussultai. “Senti… nonostante quello che hai detto, io non sono libera. Non vedi? Ci sei tu a guardarmi e io
posso cucinare, leggere, e guardare la tivù… ma ci sei tu a guardarmi”.
“Mi piace guardarti” disse, fissandomi negli occhi.
Un brivido mi corse lungo la schiena. “Sì, ma… non avevi detto che non mi sopportavi?” alzai un
sopracciglio, confusa.
“Già, esatto. E perché non ti sopporto, significa che devo odiare guardarti?”
“Sì” risposi, guardandolo perplessa.
“Oh, avanti. Il desiderio può anche non andare nello stesso binario della sopportazione…” mormorò, avvicinandosi.
Fremetti ancora. “Senti… cosa vuoi dire con…”
“Desiderio?” si leccò le labbra con la lingua, socchiudendo gli occhi virtuosamente e avvicinandosi al mio viso.
“Posso non essere una creatura malvagia, ma il desiderio è anche dei comuni mortali”.
Che stava dicendo?
“Quindi ti piaccio, ma non mi sopporti?” cercai ancora di guadagnare tempo.
Annuì. “Forse” sorrise. Venne ancora avanti.
Un rumore, come di vaso caduto, interruppe il suo sguardo concentrato, e lo fissò da un’altra parte. Presi
 tempo per guardare oltre la finestra, ma non vidi nessuno dei tre che mi avrebbero salvato…
Dov’erano?
Si rigirò verso di me. “Ah, i gatti che cercano cibo… all’esterno delle case, come li capisco”:
Sussultai, guardandolo in quegli occhi così fissi sui miei…
Un altro rumore lo fece scostare dal mio viso, e si guardò in giro, più allarmato di prima.
“Che cos’è?” si rivolse a me e io abilmente lo guardai, scuotendo la testa leggermente.
Mi prese un braccio, con una mano…
Qualcuno entrò furtivamente dalla finestra e vidi che era Loud. I suoi capelli chiari me lo fecero riconoscere
anche in quello scatto veloce.
Raggiunse di spalle il licantropo, e quest’ultimo si voltò appena in tempo.
Loud ruggì. “Lasciala stare!”
“Che cosa vuoi?” il licantropo si adirò, mentre Loud gli aveva sferzato un colpo, al viso.
Il licantropo vacillò un istante, prezioso per me… e vidi Jen scavalcare la finestra subito dopo Antoine.
Raggiunsi Jen, ansimando in preda all’agitazione.
Il licantropo si rivolse verso di me e si aggrappò a un lembo della mia maglia, tirandomi verso di lui. Strillai e
afferrai, con le mani tremanti, la lametta dalla tasca. Gliela sferzai contro… vidi solamente di avergli fatto un taglio
sulla mano, perché gli stava uscendo del sangue…
Loud si scaraventò su di lui, buttandolo a terra.
Il licantropo diede un pugno in pieno viso a Loud; Antoine prese i polsi del licantropo e li tirò in alto, a terra.
Loud si avvicinò al viso del licantropo, steso sotto di lui. “Che cosa vuoi, eh? Perché non ti vai a cercare altre
prede?”
Il licantropo lo guardò riluttante e disgustato. “Io non sono mica come voi, io gli umani li aggredisco e basta”.
“Vantati” esclamò Loud, furente, tenendolo stretto per la gola. Le sue labbra erano rosse, e i denti aguzzi…
quando li scoprii.
“Non vorrai mica assaggiare…” Loud lo interruppe, sferzandogli un colpo sul viso.
Il licantropo rise, muovendo tutto il corpo, sotto di Loud.
Loud si intirizzì, palesemente irritato. “Cosa vuoi, scusa?” disse, furioso.
Il licantropo continuò a ridere.
Loud gli sferzò un pugno in pieno volto, facendoglielo girare di fianco e smorzandogli il sorriso. Sulla bocca
del licantropo apparve un rivolo di sangue.
“Questo…” Loud indicò il sangue “è la tua punizione per avermi preso in giro. E questo” Loud continuò ad
indicare ancora il sangue “è il tuo sangue schifoso, degno di un verme come te!” gridò.
“Senti chi parla!” esclamò il licantropo, riprendendo coscienza e rivoltandosi verso di Loud.
Loud digrignò i denti. “Se mi fosse piaciuto…” mormorò, a denti stretti.
Il licantropo fece comparire un sorriso tirato sul suo volto. “Hai finito di sfogarti su di me?”
“Stanne certo, che non finisce qui”
“Lo sospetto anch’io” mormorò il licantropo, mentre Antoine gli lasciò i polsi e li affidò a Loud, avvicinandosi
a me e a Jen.
“E ora vattene” biascicò Loud, lasciandogli i polsi.
“Non vuoi più uccidermi?” rise il licantropo, dandomi uno sguardo carico di tensione e lasciando la
 casa, sbattendo la porta.
Loud mi lanciò un’occhiata preoccupata. “Stai bene?”
Annuii. “Sì, grazie a voi… a te” mormorai, abbracciandolo. “Ma ho avuto una paura…”
“Te l’ho detto di star attenta. E come ci è entrato? Ha fatto finta di vender oggettistica?” corrugò lo sguardo; non
sapendo nemmeno che era da battuta quella frase…
Scossi la testa. “No, è entrato dalla finestra, aprendola con qualcosa… probabilmente”.
“Adesso la mettiamo a posto noi…” disse Loud, alzandosi, era rimasto in ginocchio, e guardando per un attimo
Antoine.
“Facciamo in modo che questo non accada più”-

*
Ringraziamenti a tutte le persone che continuano a seguirmi, e che leggono! e a:
alexis ohhh *_* wow una nuova lettrice! : ) grazie mille per i complimenti e per aver letto la storia! sono davvero contenta che ti piaccia e grazie per aver commentato! ; )
  
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