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Autore: Alice_Leonetta    05/12/2014    17 recensioni
Dal testo:
|| Violetta aprì la porta della sua stanza, seguita da Leon. Era da tanto che non trascorrevano del tempo insieme, e non vedeva l’ora di raccontargli tutto. La mora si sedette sul letto, mentre il ragazzo chiuse la porta, dietro di sè, per poi raggiungere la sua amica, sul letto. Si sdraiò accanto a lei, circondandola con le sue braccia e facendola accoccolare sul suo petto. Leon giocava con i capelli di Violetta, mentre lei guardava il braccialetto di stoffa che aveva al polso lui. Lo sfiorò con un dito, e sorrise. Poi guardò lo stesso, identico, bracciale che aveva anche lei. Non l’aveva affatto dimenticata. Sorrise, al ricordo del giorno che glielo regalò. Quanto tempo era trascorso, eppure.. ora erano lì. Insieme. Niente e nessuno li avrebbe più separati. Era una promessa.||
Ovviamente questa è solo una piccola trama, i capitoli saranno molto più lunghi. E’ una Leonetta, naturalmente. Se vi va, passate a dare un’occhiata, mi farebbe piacere. E se la storia vi piace, lasciate una recensione. Per tutti i chiarimenti, o domande, contattatemi in chat privata. Dedico la storia al gruppo di WhatsApp, che mi fa morire! Baci e alla prossima.
#Alice_Leonetta.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccola qua: Violetta Castillo, diciassette anni, capelli castani con punte tendenti al biondo, fisico perfetto ed una paura indescrivibile. Primo giorno di scuola. Avete presente alle elementari, il primo giorno, quando non conosci nessuno e nessuno conosce te? Quando sei sola, sola con i tuoi pensieri, le tue paura. Sola. E’ così che Violetta si sentiva in quel momento, in quel primo giorno di scuola. Certo, frequentava l’ultimo anno di liceo linguistico, ma la paura c’era sempre. Si trasferì a Buenos Aire, un paio di giorno fa. Sua madre, Maria, era stata ricoverata a Madrid, per un tumore al cervello, purtroppo incurabile. Non c’era nulla che si potesse fare, solo godersi gli ultimi momenti con lei. Dopo la brutta e sconvolgente notizia, la famiglia Castillo, si trasferì a Buenos Aires. O meglio, tornò a Buenos Aires. Avevano già vissuto lì. Quando Violetta aveva dodici anni, dovettero trasferirsi a Madrid per il lavoro di German, e restarono lì, appunto fino ad un paio di giorni prima. A Violetta era mancata da morire la sua città. Le strade, le vie alberate, i parchi pieni di bambini (non che a Madrid non ce ne fossero, anzi era pieno di parchi con bambini che giocavano. Era solo che rivedere i parchi di Buenos Aires, la faceva stare talmente bene che era impossibile paragonarli a quelli di Madrid). Violetta fece un sorriso, scendendo dalla macchina e salutando suo padre, il quale le augurò un imbocca al lupo, per il primo giorno. La ragazza sorrise, davanti all’enorme edificio. Quanto le era mancato quel posto! Aveva passato lì i suoi giorni più belli delle elementari e della prima media. Alle fine del primo anno di medie, dovette appunto andare via. Un dolce sorriso, era stampato sulle sue labbra. Anche a distanza di anni, ricordava benissimo i corridoi, le aule, la palestra, l’aula magna, la sala mensa. Perfino il cortile non era cambiato di un millimetro. La cosa che la faceva star più bene di tutte, quella che le faceva battere forte il cuore, era l’idea che avrebbe rivisto, dopo anni, i suoi amici. I suoi più cari amici. Dio, quanto le mancavano cinque anni lontana da loro, e finalmente poteva rivederli. Si sarebbero ricordati di lei? Si sarebbero ricordati della Violetta con la quale facevano le pazzie più assurde? L’avrebbero riconosciuta? Lo sperava con tutta se stessa. Improvvisamente, un pensiero, forze, anzi, il più importante le attraversò la mente. Leon. Dio, Leon. Quanto le mancava. Il suo migliore amico. Ne avevano combinate insieme, eh. Si ricorderà di lei, dopo cinque anni? Si ricorderà di tutte le avventure passate insieme? Di tutti gli scherzi, le litigate, le prese in giro che si sono fatti? Si ricorderà delle sua migliore amica? Della ragazza del quale era sempre stato innamorato? Il pensiero di Leon, la fece bloccare. Mille domande, all’improvviso, frullavano per la sua testa. E se avesse conosciuto un’altra? E se avesse un’altra migliore amica? E se si fosse dimenticato di lei? Sarebbe riuscita a superarlo? Sarebbe riuscita a passarci sopra, come se niente fosse accaduto? Sarebbe stata in grado di far finta di niente, e dimenticarsi di Leon? Del ragazzo più bello del mondo?, dei suoi occhi verde smeraldo? Dio quanto amava quegli occhi! Tutte le volte, le trasmettevano tranquillità. La facevano star bene. Quel ricordo la fece sorridere ancora di più. Spostò lo sguardo sul suo polso destro, e con un dito dell’altra mano, sfiorò il braccialetto di stoffa blu, con i lacci rossi. Anche Leon indossava un braccialetto come quello. Era la sua promessa che non si sarebbe dimenticato, mai, di lei, nonostante i kilometri di distanza che c’erano a separarli. Violetta, da quando partì, non si tolse mai, quel braccialetto. Era come sentire il suo migliore amico accanto a lei, era come sentirlo vicino. Quando la coccolava, la tranquillizzava e le ripeteva che andava tutto bene. Non vedeva l’ora di rientrare, dopo tanti anni, dentro quell’edificio e riabbracciare i suoi amici. Non vedeva davvero l’ora. Qualche secondo dopo, la campanella suonò, riportandola sulla Terra. Sorrise nuovamente, e si precipitò dentro. Una folata di studenti camminava svelta tra i corridoi. A Violetta non fu difficile trovare il suo armadietto. Inserì la combinazione, la quale richiese in segreteria prima di entrare, ed aprì l’armadietto. Ripose lo zaino, e prese l’occorrente per la prima lezione. La campanella suonò la seconda volta, ed a quel punto si affrettò a trovare l’aula 19: storia. Quando entrò, il professore non era ancora arrivato. Individuò un banco vuoto, nella penultima fila, e ci si diresse alla svelta. Si guardò intorno, cercando di individuare qualcuno dei suoi vecchi amici. Ma non riconobbe nessuno, purtroppo. La campanella suonò una terza, ed ultima volta, ed in quel preciso istante entrò in classe il professore, seguito da qualche studente. Violetta spalancò gli occhi, e sulle sue labbra si stampò un sorriso. Tra gli studenti, che erano appena entrati, riconobbe due sue vecchie conoscenze. Due ragazze: una con i capelli corvini, lunghi fino alle spalle, bassina ma snella e perfetta. Ciglia folte, sorriso mozzafiato e un visino da angelo: Francesca. Violetta non riusciva a credere ai suoi occhi. La sua migliore amica era appena entrata in classe. Era cambiata moltissimo, ovviamente, ma era rimasta sempre la stessa Francesca. Da cosa l’aveva riconosciuta? Dagli occhi: verdi scuri, grandi ed espressivi. L’altra ragazza, anche lei perfetta e vecchia amica di Violetta, aveva dei lunghi capelli biondo platino. Fisico perfetto, trucco del giusto temperamento e due occhi da pietrificarti: Ludmilla. Anche lei era cambiata incredibilmente, ma come poteva non riconoscerla? Con lei non si annoiava mai. Violetta sorrise, ancora di più, gli occhi che brillavano ed il cuore che batteva a mille. Le sue amiche. Non vedeva l’ora di poter parlare con loro. La bionda si separò dalla mora, e si andò a sedere ad un banco, in prima fila. Francesca, invece si diresse verso il fondo dell’aula, precisamente accanto a Violetta. Appena si mise seduta, Violetta si voltò verso la sua amica, stupita nel non averla riconosciuta. Si schiarì la voce, mentre Francesca apriva il libro di testo. “Scusa..” disse Violetta, attirando l’attenzione della mora. Francesca si voltò di scatto rispondendo “Oh, scusa, ciao” disse voltandosi di nuovo verso il professore. In quel momento, solo in quel momento, realizzò l’accaduto. Sgranò gli occhi, le mani tremavano ed il cuore accelerava sempre di più. No, non era possibile. Era matematicamente, fisicamente impossibile. Si voltò lentamente verso la sua compagna di banco. Restò pietrificata quando si trovò di fianco, la sua amica, la sua vecchia amica Violetta, con un sorriso a trentadue denti. Francesca non riusciva a parlare, infatti per più di un minuto, tra loro non volò neanche una mosca. Si sentiva solo la voce del professore, che spiegava. “T-t-t-t-t-t-t-u” riuscì a dire la mora. Violetta sorrise davanti all’espressione dell’amica. “N-n-no. N-non è.. possibile”, continuò la mora, scuotendo la testa e cercando di convincersi veramente, che non era possibile che la sua vecchia amica Violetta fosse lì, dopo anni di assenza. “No. T-tu.. tu non sei.. Non sei.. Non puoi essere.. No, mi rifiuto di crederci”. Violetta serrò le labbra tra loro, sorridendo. “Allora mi dispiace deluderti, ma sono io, Fran” rispose Violetta, scandendo chiaramente e lentamente l’ultima parola. Francesca non riusciva a parlare, troppo era lo stupore, troppa era l’emozione. Com’era possibile che la sua vecchia amica Violetta, ora si trovava di fianco a lei? Ma non si era trasferita a Madrid? Che ci faceva a Buenos Aires? NON LA POTEVA AVVERTIRE!? Francesca aprì la bocca, stupita, poi sorrise mostrando tutti e trentadue i denti. Saltò al collo della sua amica, e la strinse forte, forte a sé. Quanto le era mancata. Violetta rispose all’abbraccio, stringendo anche lei la sua amica. Le erano mancati gli abbracci-rompi-costole di Francesca. Sciolsero l’abbraccio, ed entrambe si sorrisero, come da piccole. “Quando sei tornata? Perché? Perché non mi hai avvertita? Potevamo vederci! Parlare, raccontare le..”. Violetta la bloccò con un gesto della mano. “Fran, Fran, calma. Ti racconterò tutto dopo, promesso” promise la mora, mettendo una mano sul cuore. Entrambe scoppiarono a ridere “Scusi, signorina Francesca. Sarebbe così gentile da presentarci la sua nuova compagna di banco? Lei non ha avuto l’occasione di presentarsi. Vedo che avete molto da parlare” le riprese il professore. La mora si alzò in piedi, con un sorrisino soddisfatto sulle labbra, ed incrociò subito lo sguardo della sua amica bionda, e confusa. “Con molto piacere, professore” rispose la ragazza. Fece segno a Violetta di alzarsi anche lei in piedi, e la mora obbedì. Tutti i presenti fissavano la nuova arrivata.. o meglio, la vecchia arrivata. “Professore, classe, Ludmilla.. E’ con grande onore che vi presento, o meglio, vi ripresento.. Violetta Castillo!”. Ludmilla sgranò gli occhi, iniziò a tremare ed il cuore accelerò ad una velocità incredibile. Stessa reazione di Francesca. No, impossibile. No, no, no, no, no. ASSOLUTAMENTE IMPOSSIBILE. Quando iniziò a scrutare meglio la ragazza di fianco alla sua amica Francesca, un sorriso le si stampò sulle labbra. Era Violetta, la sua vecchia amica Violetta. Gregorio, all’annuncio della sua alunna, sorrise. Violetta Castillo? Quella, Violetta Castillo? Si tolse gli occhiali, poggiandoli sulla cattedra. “Oh, signorina Castillo. Che piacere rivederla! Quanto tempo che è passato! Sono lieto che sia ritornata. Spero che si stia riambientando bene” disse Casal. Violetta sorrise, riconoscendo solo in quel momento, che il professore nell’aula, era il suo vecchio insegnante Gregorio Casal, nonché padre di uno dei suoi amici più cari: Diego. “Grazie, professore. Anch’io sono molto felice di essere tornata a Buenos Aires. E comunque non c’è bisogno che mi riambienti.. Conosco questa scuola come il palmo della mia mano!” esclamò la mora, facendo scoppiare la classe in una fragorosa risata. “Ne sono lieto, cara. Ne sono lieto. Bene, adesso sedetevi ed aprite il libro a pagina trecentonovantaquattro”. Le due si sedettero, e per l’intera lezione rimasero ad ascoltare il professor Casal. Verso la fine dell’ora, Gregorio si avvicinò a Violetta “Il suo amico, aspettava con ansia il suo ritorno. Sono sicuro che sarà più che felice di rivederla” sussurrò, sorridendole, per poi proseguire la lezione. Violetta sorrise alle parole del suo professore. Il suo amico: Leon. Non vedeva l’ora di rivederlo.
 
 
 A casa Castillo regnava un silenzio allucinante. Da quando erano tornati a Buenos Aires, German era sempre rinchiuso nel suo studio, assieme a Roberto, assistente dell’uomo, ed uno dei suoi più cari amici. German si dedicava al lavoro; ovviamente si occupava anche di sua moglie. Più e più volte al giorno, saliva in camera e le parlava dei suoi progetti , di quanto potessero aiutare a migliorare la Terra, naturalmente non per vantarsi. Voleva solo che sua moglie si sentisse meglio, che si sentisse fiera di suo marito. Erano quasi due anni che era sdraiata in un letto, senza poter muovere un muscolo, senza parlare o poter fare qualsiasi altra cosa. Era incapace di far tutto. Non riusciva più neanche a sorridere. Tutto quello, faceva star male sua moglie, e sua figlia. La sua bambina. Violetta ne soffriva più di tutti. Alla sua età, avere una mamma accanto, avere una figura femminile, per potersi confidare con lei, ridere e scherzare era indispensabile. Vedeva sua figlia sempre triste, distrutta e in pena per sua madre. Era passata una settimana da quando gli avevano riferito quella notizia, quella maledettissima notizia. “Mi dispiace, signor Castillo. Sua moglie, soffre di un tumore, purtroppo, incurabile. Vede, il problema sussiste in una parte del cervello, dove noi medici non possiamo intervenire. L’unica cosa che potete fare, è pregare per lei, e non sprecare un secondo senza la sua compagnia. So che ha una figlia, molto giovane, la vedo tutti i giorni accanto a sua madre. Mi dispiace, signore, ma non.. non le resta molto”. Quelle parole rimbombavano nella mente di German, come musica nelle orecchie. Non le rimaneva molto, ed ogni istante in sue compagnia era prezioso. L’uomo sbuffò, facendo cadere la penna sulla scrivania. Si affrettò ad alzarsi dalla sedia, ed uscire fuori dallo studio. Roberto lo guardava stupito e curioso. German si affrettò a salire le scale, e ad entrare nella camera di sua mogli. Vederla lì, in quel letto, senza possibilità di movimento, gli fece contorcere lo stomaco. Il cuore gli faceva male. Si andò a sedere accanto a sua moglie. I pochi raggi del Sole, entravano da sotto le serrande non chiuse. Marie era sdraiata nel nello, gli occhi chiusi e un ago nel braccio, che era collegato ad una flebo. “Ehi,amore.. Come stai? Ti senti meglio?” le domandò l’uomo, prendendo la mano di sue moglie, e stringendola. Sapeva che ovviamente sua moglie non poteva rispondergli, ma tentò ugualmente. “Sai, oggi Violetta, la nostra bambina, ha iniziato la scuola. Ti ricordi dove andava da piccola? Bhè, l’ho segnata lì. Spero tanto che rincontri i suoi vecchi amici. Francesca, Ludmilla, Camilla, Federico, Leon. Eh, Leon. Ti ricordi di Leon, vero amore? Ti ricordi di quando passavano interi pomeriggi a giocare in giardino? Ti ricordi di quanto erano felici? Sono sicuro che quando si rivedranno saranno felici entrambi. Le do’ un giorno, e vedrai che Leon sarà di nuovo in giro per casa, ne sono sicuro”. Per tutto il tempo nel quale German parlò, un sorriso era stampato sulle sue labbra, gli occhi gli luccicavano. Voleva un gran bene, a Leon. Era come un secondo figlio, per lui. Era il figlio del suo migliore amico: Alejando Vargas. Leon era davvero un gran bravo ragazzo, ed era felice se fosse stato accanto alla sua bambina, durante quel periodo difficile. “Sai una cosa, amore? Ho avuto un’idea! Che ne dici di invitare i Vargas a cena, qui da noi? Stasera? Sarebbe un modo per ritrovarci, tutti insieme. Così tu potrai rivedere anche Clara, no? Non sarebbe bello? Poi Violetta potrebbe passare del tempo con Leon. Sono sicuro che riuscirà a farla sorridere, di nuovo. Ora li chiamo, torno dopo amore mio”. German si alzò dal letto, baciando la mano di sua moglie ed uscendo dalla stanza. Sì, i Vargas sarebbero andati a cena da loro, quella sera. Tornò nello studio, dove vi ci trovò Roberto, impegnato in una telefonata alquanto importante. German gli chiese di rimanere da solo, e l’uomo acconsentì. Quando Roberto uscì dalla stanza, aprì l’agenda dei contatti e cercò il numero di Alejandro. Rispose dopo un paio di squilli. “Pronto?”. “Pronto, Alejando?” domandò German.”Sì, sono io. Chi parla?”. “Ma come, non mi riconosci, Alejandro? Sono German!”. “German! Ma che piacere sentirti! Quanto tempo è passato dall’ultima telefonata? Sette mesi?_” chiese Vargas scoppiando poi a ridere. “Lo so, perdonami. Ma sai, tra Maria, Violetta, il lavoro e tutto il resto” spiegò German. “Certo, certo, capisco. Ma dimmi, Maria? Come sta? Si è ripresa, un po’?” domandò l’uomo abbastanza preoccupato per la donna. Conosceva Maria da molti anni, e quando il suo migliore amico gli diede la notizia della malattia della donna, non riuscì a crederci. Sua moglie, Clara, scoppiò in un pianto disperato. Invece Leon, suo figlio, avrebbe tanto voluto essere al fianco di Violetta, della sua Violetta. Ma purtroppo non poteva, lei era lontana migliaia e migliaia di kilometri. Non riusciva ad immaginare quanto fosse difficile quella situazione per la sua bambina. Perché, per Leon, Violetta era una bambina.. la sua piccola bambina. Avevano quasi la stessa età, certo lui era più grande di qualche mese, ma poco importava. “Maria? Ecco.. una settimana fa.. abbiamo saputo.. che.. che.. il.. t-t-tumore.. è.. i-i-in-incurabile”, balbettò l’uomo, scoppiando poi a piangere. Aveva cercato di resistere, di trattenersi.. ma cedette. Dall’altro capo del telefono, si sentì un altro pianto. Anche Alejandro, stava piangendo “ Ma com’è possibile?! Con tutte queste medicine, farmaci.. non è possibile che non ci sia una cura!” gridò l’uomo. “Lo so. Anche io n-non riesco a credere.. che.. che la p-p-p-p-perderemo”. “Mi dispiace molto, German. Questo lo sai. Maria è una delle mie più care amiche, come te. Staremo vicini sia a te, che a Violetta. Stai tranquillo, i Vargas ci saranno, sempre e comunque”. “Grazie, Alejandro. Non immagini quanto mi faccia piacere il tuo appoggio. Significa molto per me, e per Violetta. Grazie”. Rispose sinceramente l’uomo. Per lui, l’appoggio del suo più caro amico, era davvero importante. “Ma ti pare, amico mio. Adesso raccontami, Violetta, come sta la piccolina?” domandò. “Eh, Violetta. L’ha presa più male di tutti. Non mangia più, si chiude in camera per ore, non sorride più. Vedendola in questo stato mi si spezza il cuore. Questo è uno dei motivi per il quale ti ho chiamato. Vorrei che.. Leon, passasse del tempo con Violetta. Ricordi da piccoli, passavano ore a giocare, e lui le faceva spuntare quel sorriso che neanche io e sua madre riuscivamo. Vorrei che parlasse, che si sfogasse, ma soprattutto che ricominciasse a vivere. Vorrei che Leon la aiutasse”. Alejando, intanto stava sorridendo. Le parole del suo amico, gli avevano davvero scaldato il cuore. “Tranquillo, German. Leon c’è stato, c’è e si sarà sempre, per Violetta. Le vuole un mondo di bene, e non permetterà mai che sia triste. Tranquillo, amico mio”. “Grazie mille, davvero. Comunque un altro motivo per i quale ti ho chiamato, è per invitarvi tutti a cena da noi, stasera!” esclamò Castillo, entusiasta. “SIETE A BUENOS AIRES E NON ME LO HAI DETTO?!”. Sembravano esser tornati ai tempi del liceo, quando uno andava in discoteca e non chiamava l’altro. Dalla bocca di German, uscì una risata “Perdonami. Siamo tornati solo un paio di giorni fa. Comunque stasera alle 20.00 qui! Niente obiezioni!”. “D’accordo, ci saremo. A stasera”. “Ciao, Alejandro”. German chiuse la chiamata e sorrise. Sorrise, pensando a Clara, la moglie di Alejandro, migliore amica di Maria. Sorrise pensando ad Alejandro, suo migliore amico. Sorrise pensando a Leon, migliore amico della sua bambina. I Castillo ed i Vargas, erano e saranno sempre migliori amici. Andò in cucina, ed informò Olga che quella sera, a cena, ci sarebbero stati tre ospiti, molto importanti.
 
 
 La campanella della prima ora suonò. Violetta e Francesca non fecero in tempo ad alzarsi dalla sedia, che già la bionda era davanti a loro. “Non. Ci. Posso. Credere!” esclamò Ludmilla, saltando al collo di Violetta, la quale la strinse forte a sé. Quanto le era mancata la sua bionda! Non vedeva l’ora di raccontarle tutto: del viaggio, di quanto fosse spettacolare Madrid, ella sue vecchia scuola, e purtroppo anche di quella maledetta, maledettissima malattia di sua madre. “Non immagini neanche quanto mi sei mancata!” gridò Ludmilla, rompendo quasi un timpano alla mora. “L-L-L-Ludmilla n-non riesco a r-r-espiarare”. “Oh, scusa”, disse sciogliendo l’abbraccio Violetta respirò profondamente, poi sorrise alla sua amica. “Anche tu mi sei mancata da morire. Tutti mi siete mancati!” disse voltandosi anche verso la sua amica mora. “Abbiamo molto, molto, molto, molto, molto, molto, molto, molto, ma molto da raccontarti!” esclamò Francesca, facendo scoppiare a ridere le sue due amiche, e seguendole a ruota. Violetta circondò il collo delle sue amiche, con entrambe le braccia “Ragazze.. siete mitiche! Mi siete mancate troppo! Non vi ricordavo così pazze”. Risero ancora, come i vecchi tempi. “Noi? Noi siamo quelle più tranquille del gruppo! Dovresti vedere Diego, Federico e Camilla. Loro si che sono pazzi!” ribatté la bionda. Violetta si morse il labbro inferiore, ripensando ai suoi amici. Aveva una voglia matta di rivederli, soprattutto uno. Ma si sarebbe ricordato di lei, come Francesca e Ludmilla? Solo al pensiero di Leon, a Violetta tremavano gambe e mani, e il cuore accelerava. Avrebbe rivisto il suo amico, il suo migliore amico. Dopo cinque anni, cinque anni senza di lui. “Dove sono?” chiese Violetta, improvvisamente diventata seria. Voleva, doveva assolutamente rivederli. Era sicura che l’avrebbero aiutata a superare quel brutto, bruttissimo periodo. Stava per perdere una delle persone più importanti della sua vita. Una delle persone con cui aveva riso, pianto e gioito. La persone che riusciva a capirla, quella che l’assecondava sempre, che le dava i giusti consigli, e che non l’avrebbe mai lasciata sola. La sua confidente. La sua mamma. Già, Maria. Come avrebbe fatto senza di lei? Senza le sue carezze, le sue rassicurazioni. Stava per perdere la sua mamma. La persona che le aveva dato la vita, e quella che la stava per perdere a causa di un maledettissimo tumore al cervello! Ludmilla e Francesca sorrisero “Vieni con noi” disse la mora, uscendo dall’aula e seguita dalle sue amiche. Camminarono per il corridoio, ed in quel momento Violetta aveva paura. Ma non paura come perdere sua madre, come non vederla mia più. Non era quel tipo di paura. Quella che sentiva in quel momento, era una paura piacevole. Una paura anche chiamatasi emozione. Sì, era emozionata, ed anche molto. Dopo cinque anni, poteva finalmente rivedere i suoi amici. I suoi più cari amici. Quelli con cui aveva trascorso i momenti più belli della sua vita, quelli con cui aveva fatto pazzie. Improvvisamente, intravide un gruppo di ragazzi, accanto a degli armadietti. Il cuore accelerò, le gambe tremavano sempre di più, gli occhi luccicavano come non mai, sulle labbra era stampato un dolce sorriso, e stringeva il libro al petto, quasi come volesse aggrapparsi ad esso per sopravvivere. Come se da esso potesse trarre ossigeno. Avvicinandosi di più, li riconobbe tutti. Non erano cambiati di una virgola. O meglio, certo che erano cambiati, ma anche loro, come Francesca e Ludmilla, erano rimasti gli stessi. Per prima riconobbe Camilla: i suoi ricci rossi spiccavano tra i ragazzi. Stava chiacchierando tranquillamente con tutti. Era diventata davvero una gran bella ragazza. Le lentiggini, con il tempo, si erano accentuate di poco, ma la facevano sembrare ancora più perfetta. Aveva sempre quel sorriso bellissimo, che fin da piccola, aveva fatto innamorare Brodway. Il ragazzo le circondava la vita con le braccia, posando le sua mani sul ventre della ragazza. Anche lui era diventato davvero bello, certo non quanto la sua ragazza, ma era ovvio che le ragazze erano sempre meglio dei ragazzi. Di fianco a loro c’era Federico. Anche lui bellissimo. Senza ombra di dubbio. Capelli perfetti, con un ciuffo all’insù. Due occhi incantevoli ed anche lui un sorriso togli fiato. L’italiano ci sa fare. Stava scherzando con Diego. Ok, Diego.. Non servivano descrizioni, lui era perfetto di natura. Fin da piccolo era bellissimo, ma adesso che era cresciuto, faceva invidia a tutti i ragazzi.. eccetto uno, ovviamente. Poi c’erano Maxi e Nata.. i due piccioncini che stavano insieme fin dalla prima media. Se li ricordava bene, Violetta. Nata la assaliva sempre su quanto fosse bello, gentile, altruista e perfetto Maxi. Infatti era stata lei a farli mettere insieme. Avevano escogitato un piano. Bhè, ‘piano’ era un modo di dire. In poche parole, Nata scrisse un biglietto a Maxi, dove c’era scritto che lui le piaceva molto e se si voleva mettere con lei, la doveva raggiungere alle altalene, durante la ricreazione. Soliti bigliettini da bambini. Questo bigliettini lo dovette consegnare Violetta, a Maxi. Alla fine si sono messi insieme. La riccia sorrideva al suo fidanzato, come il primo giorno. Erano davvero una bella coppia, stavano molto bene insieme. Infine, c’era Andres, il più scemo, ma anche uno dei più dolci del gruppo. Eh si, Andres. Quante ne ha combinate! Vedendoli tutti lì, a Violetta si stampò un sorriso dolce, più del precedente. Ludmilla andò incontro al suo ragazzo, e l’italiano l’accolse con le braccia aperte, depositandole un bacio a fior di labbra. Francesca invece, si gettò tra le braccia dello spagnolo, ed anche lui aveva riservato un dolce bacio per la ragazza. Quando si accorsero che Francesca e Ludmilla non erano sole, si pietrificarono alla vista della ragazza mora, davanti a loro. Sgranarono tutti gli occhi, tranne uno. “Ragazzi, ma chi è questa ragazza?” chiese Andres, grattandosi la nuca, e squadrando ‘l’intrusa’. Tutti non riuscivano a credere ai loro occhi. Era davvero Violetta? La Violetta delle medie, quella trasferitasi a Madrid? No, impossibile. Francesca e Ludmilla, si lanciarono uno sguardo furbo, ed un sorrisetto dolce era stampato sulle loro labbra. Diego si voltò verso la sua ragazza, con gli occhi spalancati, la bocca aperta ed un’espressione tra lo stupito, il confuso e il ‘non può essere!’. La mora annuì, sorridendo al suo ragazzo. “Sì, ragazzi. E’ proprio Violetta” disse Francesca. Per alcuni secondi nessuno disse nulla poi come se si fossero coordinati, tutti insieme iniziarono a riempirla di domande. La mora non riusciva a rispondere a nessuna, anche perché non le davano tempo. “Ehi, ehi, ehi! Calmi!” esclamò la mora, parandosi le braccia davanti. “Uno alla volta!”. Scoppiarono a ridere, ed uno alla volta la salutarono tutti, abbracciandola e stringendola forte. Era mancata a tutti, come tutti loro erano mancati a lei. Rispose a tutte le loro domande, solo che non disse nulla sulla.. malattia di sua madre. Non voleva rattristarli. Maria, era come una seconda madre per tutti. Li aveva visti crescere,li aveva aiutati in tutto e per tutto. Saperlo così, su due piedi, li avrebbe di sicuro scoraggiati. Quella giornata stava andando alla grande, mancava solo una cosa. O meglio.. una persona. “Ragazzi, scusate. Ma Leon?” chiese improvvisamente Ludmilla. Violetta si fece seria, e tutti la fissarono. Sentendo quel nome, si emozionò di più. Mancava solo lui all’appello del gruppo. Solo lui. Dov’era finito? Perché non era lì con i suoi amici? Perché non era lì con lei, con la sua migliore amica? Aveva bisogno di lui, aveva bisogno delle sue coccole, dei suoi abbracci, delle sue carezze, del suo profumo, delle rassicurazioni e dei suoi ‘andrà tutto bene’. Aveva bisogno di averlo accanto. “Ecco.. Leon.. è con.. è con.. Gery. Stanno sistemando delle cose nell’aula magna” spiegò Federico, spostando lo sguardo da Violetta a Ludmilla, e così per altre tre volte. Non doveva dirlo? L’espressione triste, delusa e affranta della mora, non prometteva nulla di buono. Gery? E adesso ch era, Gery? Cosa voleva dal suo Leon? Che faceva con lui? Stavano insieme? Da quanto? Perché? Perché aveva tradito la loro amicizia? “Chi.. chi è G-Gery?” domandò balbettante Violetta. Tutti si guardarono preoccupati. Verità o non verità? Farla soffrire, o no? Problema. Violetta iniziò a respirare con fatica, stringeva il libro più forte che poteva, preparandosi a ricevere quella bastonata. Lo sapeva, stava accadendo quello di cui aveva sempre avuto paura: Leon l’aveva dimenticata.
 
 
ANGOLO AUTRICE:
SALVEEEEE! Sono di nuovo io, Alice_Leonetta. Vi sarete stancati delle mie storie. Vi piace questa? E’ troppo lungo come primo capitolo? Che ne pensate? Non ci crederete come mi è venuta l’ispirazione. Allora, l’altra sera stavo andando a dormire, quando all’improvviso.. BUM! Ho iniziato a scrivere sul telefono. Dalle undici fino alle 5.30 di mattina, a scrivere il capitoloooooo!!!!!!!!!!! Vi sembro normale? Io non credo. Bhè, comunque mi piacerebbe che recensireste in molti. Spero che vi sia piaciuto il primo capitolo. Scusate ma non ho resistito.. DOVEVO SCRIVERE CHE GREGORIO DICEVA “Andate a pagina trecentonovantaquattro”. Solo i veri fan di Harry Potter (*---------*) lo capiranno e lo ricorderanno. (FRASE EPICA!). Vorrei ringraziare Ivi, che mi ha permesso di prendere spunto dalla sua storia. Ti prego aggiorna prima!!! Allora, che ne pensate della situazione? Leon e Violetta si rincontreranno a casa di quest’ultima. Come la prenderà Leon quando la rivedrà? E Gery? Che c’entra nella storia? Non vi resta che scoprirlo nel prossimo capitolo. Dedico la storia al gruppo di WhatsApp, che amo e che saluto! Bacioni e alla prossima!
#Alice_Leonetta
 

 
  
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