Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: lovespace    05/12/2014    7 recensioni
- Dopo un duro combattimento Harlock si ritrova a dover portare sull’Arcadia un ufficiale medico. Una donna alla quale si sente misteriosamente legato. Perchè? Tra colpi di scena ed avventure il tempo svelerà la sua verità. - Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla terra, in egual maniera le onde del destino, nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via. –
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Come le onde del mare nel loro immutabile fluttuare a volte rendono ciò che hanno sottratto alla Terra, in egual maniera le onde del destino nel loro divenire dal passato al presente, talora restituiscono quello che un tempo ci hanno portato via.

 

 

14

 

 

 

L’ONDA ANOMALA

 

Entrambi si voltarono di scatto, guardando fulminei, verso la vetrata.

Helèn spaventata. “Co… cosa è stato?"

"Meteoriti". Il volto di Harlock era di colpo una maschera cupa.

"Presto in plancia!" Le disse guardando fuori con apprensione. "Con i deflettori in avaria*, bisogna evitarle ad ogni costo. Abbiamo già troppi danni non ne occorrono altri, non ora!"

Così dicendo la mise giù correndo via rapidamente. Helèn lo seguì non ancora pienamente in possesso delle sue facoltà.

Il metallo dell'Arcadia vibrava ad ogni colpo, stridendo nell'assorbire la potenza degli impatti.

Dal ponte di comando, Harlock al timone fece segno ad Helèn di utilizzare l'unica postazione monitor di cui aveva ripristinato le funzionalità.

La donna, in basso rispetto ad Harlock, attendeva ordini.

"Helèn sarai il mio pilota. Il mio ufficiale di rotta, guidami!" le disse con piglio.

La nave continuava ad essere scossa, investita a più riprese dai frammenti di Universo di quello sciame meteoritico.

Helèn guardava il monitor cercando di capire, prevedere la traiettoria di quella tempesta di veri e propri asteroidi che li stavano investendo. Con i sensori a lunga gittata ed il sistema di autoriparazione in avaria, ogni altro danno sarebbe potuto essere letale.

Si guardò intorno, l'Arcadia le parve un valoroso combattente in balia dell’avverso destino, senza né armatura, né scudo, mentre quegli urti sembravano scandire il tempo che le restava. Usare le armi sarebbe stato inutile, erano solo in due. Tutto dipendeva da lei.

Si riebbe. Guardò i monitor davanti a sé. "Tutto a dritta capitano!" urlò decisa. "Cosi'… bene, tenere la rotta e ora tutto a babordo. Presto!".

Harlock piantato al timone, energico, risoluto, lo sguardo fisso innanzi a sé eseguiva con precisione le manovre. Per un attimo guardò Helèn concentrata nel compito che le aveva affidato, riponeva in lei totale fiducia.

L'Arcadia lentamente obbediva al suo capitano ondeggiando vistosamente. Quei corpi celesti sfrecciavano veloci sfiorandoli.

"Abbattere la chiglia presto, tutto a ponente". Gridò la donna. Un'altra piccola formazione di meteoriti venne evitata per un soffio. "Mantenere la rotta capitano. Alla via così".

La nera cupola dell’Universo sovrastante pareva oscillare accompagnando i movimenti dell’ Arcadia. Ogni tanto Helèn distoglieva lo sguardo dai monitor per voltarsi ed osservare dal basso Harlock.

Il timone scricchiolava per il vigore dei rapidi e potenti movimenti delle sue braccia, ai quali imprimeva una forza quasi rabbiosa dettata dalla volontà di salvare la sua nave.

Helèn fu impressionata dalla titanica determinazione di quell'uomo che, pur con una limitata visione oculare, riusciva a far spostare una corazzata lunga un chilometro come fosse stato un piccolo veivolo, con una precisione che la sconcertò. Da quella postazione Harlock le parve ancora più imponente, incrollabile. Le gambe divaricate, il grande mantello che ondeggiava con lui, accompagnandolo nei movimenti, i lineamenti del viso contratti, la mascella serrata, lo sguardo prepotentemente sensuale.

"La nave beccheggia capitano, correggere la rotta 4 gradi a babordo… perfetto… mantenere la rotta!" Disse d’un fiato.

L' Arcadia gemeva sforzata dai rapidi movimenti, il metallo si lamentava, l’Universo sembrava sbuffare e gorgogliare mentre lo scafo lo fendeva prepotente.

Helèn sorrise realizzando che stava contribuendo a determinare la rotta della mitica, grande Arcadia col suo leggendario capitano, il più temuto condottiero di tutti i tempi, e lei, lei era lì con lui. Solo pochi mesi prima non lo avrebbe mai creduto possibile.

Ad un tratto, controllando i monitor si trovò ad un bivio. Due grossi sciami meteoritici che correvano quasi paralleli stavano per colpirli, potevano evitarne solo uno. Non c'era il tempo di chiedere ma solo di decidere. "Presto tutto a tribordo. Presto Capitano!" Disse in apprensione.

Harlock con entrambe le mani utilizzando anche il proprio corpo per imprimere forza alla manovra, fece roteare rapidamente il grande timone tutto a destra. La nave scarrocciò rapida. In quegli istanti, nei difficili movimenti che compiva con apparente facilità spostando il pesante timone era come se lui e l’Arcadia divenissero un solo corpo. Come se l’uno fosse stato creato per l’altro e viceversa.

L'impatto con l'altro gruppo di asteroidi fu inevitabile. Helèn perso l’equilibrio fu scaraventata lontano dalla postazione. Harlock si resse al timone con tutta la sua forza, digrignando i denti e tentando di ridurre al minimo il rollìo della nave. Quando nuovamente guardò in basso non la vide.

"Helèn? Stai bene? Helèn?" La voce era ferma ma allarmata.

"Si, scusa ho dovuto fare una scelta". Fece lei massaggiandosi un fianco e tornando al suo posto. Lui abbozzò un sorriso, fu il suo modo per dirle che aveva approvato la sua decisione.

Helèn comprese. "Capitano, credo che il peggio sia passato”. Disse pensando a loro due come alla mente ed al braccio. “Alla poggia!” fece posando due dita sul ciglio destro.

"Il computer non riporta la presenza di danni gravi all'esterno capitano". Disse soddisfatta guardandolo e regalandogli uno dei suoi sorrisi solari. Quindi lo raggiunse veloce sul ponte di comando da una delle scalette che lo collegavano alla plancia.

Lui la fissò impenetrabile. Era provato. "Sei un ottimo pilota Helèn". Si limitò a dire. Era ovvio che la poesia del bacio di poco prima si era del tutto dissolta, correndo via come le meteoriti. "Notte Helèn".

"Notte Harlock". Rispose lei seguendolo con lo sguardo sparire nell’oscurità del corridoio, fino ad udirne solo il cadenzato incedere. Il passo deciso e sicuro, il lento ondeggiare del mantello sfrangiato, il movimento ritmico della spada sul fianco. Si era nuovamente rinchiuso nei profondi recessi del suo spirito, pensò. Era già tornato a camminare tra i brandelli della sua anima.

Harlock meditabondo si avviò lentamente al computer centrale.

Qualche ora dopo, nei suoi alloggi attese amaramente che la solitudine insonne venisse a fargli compagnia. Non si fece attendere molto, percepì il setoso frusciare delle sue lunghe vesti cineree. Ne intravide il profilo tra le ombre dei drappi del suo letto. Le sorrise beffardo, stappando una bottiglia e sollevandola come per un brindisi e bevendone direttamente il dolce nettare ambrato. Sarebbe stata una lunga notte si disse. Doveva mettere in ordine pensieri e sensazioni. Ne aveva bisogno ogni qual volta l'intricato ginepraio del suo essere veniva scompaginato. Sapeva che entrandovi le spine acuminate lo avrebbero ferito ma tutto faceva parte di quello strano rito espiatorio che gli occorreva per temprare la forza e la volontà che lo tenevano fermamente saldo da oltre cento anni. Era un duro viaggio dentro se stesso, dal quale, pagato il tributo, ne usciva rigenerato ma con l'acre sensazione ogni volta d'aver perso qualcosa. Qualcosa di importante.

Helèn raggiunse il suo pennuto paziente in infermeria, lo nutrì con del pesce in scatola. Mentre lo carezzava dolcemente, acciambellato in una cesta sulla sua scrivania, pensava ad Harlock, al gesto di proteggerla quando avevano trovato Tori. L'aveva spinta dolcemente dietro di sé per farle da scudo. Era stato un comportamento spontaneo, protettivo. Ripensò all'intensità dello sguardo che le aveva donato quando era sotto la doccia e a come, dopo, entrambi erano riusciti ad aprire i loro cuori, o ciò che ne restava.

Chiuse gli occhi, un brivido di piacere la percorse, ripensando ai suoi baci caldi, pieni di una passione generosa che non aveva mai provato prima. Quei baci erano pregni di un’ immensa voglia di amare ed essere riamato. Nel suo sguardo leggeva chiaro uno spasmodico desiderio di amore e pace. Un sentimento inespresso che desiderava solo venir fuori.

Amare Harlock era come essere investiti da un'onda anomala.

Imprevista, immensa, che sorprende e travolge, all'improvviso completamente, strappando il respiro ma che non disorientava. Le sue braccia forti erano l'ancora a cui tenersi aggrappati, il suo sguardo il porto di quiete dove essere tratti in salvo.

Ma poi come sempre accadeva, improvvise si innalzavano alte ed invalicabili le mura che aveva eretto a protezione delle piaghe del suo cuore. Ma solo l'amore guarisce le ferite… non il tempo. Pensò, lei lo sapeva bene.

Helèn immaginava quei sette guardiani di pietra e ghiaccio: solitudine, rimpianto, tormento, rimorso, nostalgia, disperazione e impotenza; erigersi colossali e spaventosi a difesa di enormi mura spettrali.

Non ne aveva paura, si disse. Li avrebbe vinti tutti, uno ad uno. Avrebbe espugnato il suo cuore e lo avrebbe fatto a modo suo. Avrebbe colmato i suoi neri silenzi con bianche parole. Spazzato via il temporale della malinconia con il sole della comprensione. Soffiato via la solitudine che si nutriva di se stessa, portando alla luce quanto vi era ancora di bello nel suo cuore. Colmato l'amara nostalgia con nuovi dolci ricordi. Sarebbe stata il suo conforto, la sua protezione durante le intemperie. Ora era pronta ad amare, pronta a donare.

Era come se Harlock si fosse perso nella sua disperazione, rifuggendo qualunque cosa potesse portargli dolcezza, speranza, pace. Era come se dovesse espiare. Ma cosa? Si chiese se fosse tutto dovuto alla morte di Torchio, del quale si incolpava. O se non fosse invece solo paura di amare?

Dal cassetto della scrivania prese un suo vecchio porta documenti e ne tirò fuori un foglietto ripiegato. Era una foto segnaletica di Harlock di qualche anno prima. Sorrise divertita, non gli rendeva affatto giustizia. Oltre al numero SS00999 sotto la fotografia c’era scritto: 'Un criminale, un terrorista, una minaccia per il genere umano'. Guardò ancora l’immagine. L’aveva con sé da tempo, per lavoro, insieme a quelle di molti altri criminali, ma aveva conservato solo la sua. Perché? Non ci aveva fatto caso allora. Perché l'aveva tenuta?

Il mattino dopo un Harlock insonne si era messo subito all'opera. Dopo qualche ora non vedendola si era recato alla sua cabina bussando irrequieto. Nessuna risposta. Spalancò la porta col piglio indispettito del comandante, ma il letto era intatto. Non vi aveva dormito. Si recò quindi in infermeria. E lì la trovò alla scrivania.

Dormiva, il capo mollemente adagiato sul braccio disteso, il respiro flebile e regolare. Il suo bel profilo faceva capolino tra alcune ciocche di capelli, la bocca era semi dischiusa. Cambiando idea decise di andar via non svegliandola, ma Tori vedendolo gracchiò forte saltandogli su una spalla, iniziando poi a sistemarsi le piume.

Helèn si svegliò di soprassalto. "Che succede?"

"Il sole è sorto da un pezzo dottore!" fece ironico lui.

"Il sole? Che sole?" Chiese lei sapendo che il buio astrale li avvolgeva costantemente. "Sai Harlock se non sapessi il contrario, direi che hai vissuto sulla terra anche tu". Disse stiracchiandosi.

"In cucina c'è del caffè, forza c'è molto da fare". Disse lui terminando la frase di spalle allontanandosi.

Dopo il duro lavoro del mattino, nel pomeriggio Harlock la convocò nelle sue stanze.

La porta era aperta. Helèn lo vide in piedi, una mano posata sulla scrivania, accigliato, mentre guardava alcune grandi carte nautiche che aveva srotolato. Senza alzare il capo le disse. "Accomodati Helèn".

Ma come faceva quell'uomo ad avvertire sempre la sua presenza? Forse davvero aveva sette sensi?

Indicandole un punto sulla carta le disse. "Ho fatto delle ricerche, so dove li tengono".

"Sai… sai dove sono?" fece sorpresa lei.

"Sono dei malfattori piuttosto abitudinari e presuntuosi, non cambiano mai il loro modo di operare. Si disfano presto del loro bottino. Li portano sull'ottavo astro del sistema stellare di Gora, Tocharga. Lo conosci?"

"Si è un pianeta inospitale, ci sono stata". Rispose pensosa Helèn.

"E’ per questo che li tengono lì”. Proseguì lui. "Ho valutato tutte le ipotesi, le due migliori sono, o di liberarli mentre sono ancora rinchiusi in quella specie di galera, o durante il trasferimento, poco prima loro della vendita".

Helèn assorta rispose. "Siamo solo in due, credo che la soluzione migliore sia prima che avvenga lo spostamento dei prigionieri. Non vorrei coinvolgere civili. Certo questo riduce le nostre chance ad una sola".

"Avevo pensato ad una manovra diversiva dell'Arcadia". Le disse lui guardandola. "Bisogna scoprire quando ed a che ora ci sarà il trasferimento".

"Avevi pensato a qualcosa? Io ho ancora le mie divise della Gaia Fleet ed i ‘pass’ non credo li abbiano cambiati".

Harlock inclinato il capo la guardò colpito ed un lampo attraversò  il suo occhio. "Sai cosa rischi?"

"Certo che lo so! Ma ogni tua battaglia, ora è la mia". Rispose seria la donna.

Harlock la scrutò ammirato quasi a leggerle dentro, poi proseguì. "Tra una quindicina di giorni la nave tornerà ad essere operativa ci dirigeremo prima su Rain poi su Tocarga".

"Rain?"

"E’ un minuscolo pianeta disabitato lontano dalle rotte consuete su cui potremo fare scorta di acqua e dove abbiamo un nostro deposito di cibo, armi e munizioni”. Disse indicando un punto sulla carta.

"Bene!" assentì Helèn.

La ‘riunione’ sembrava terminata quando lei parlò. "Vorrei chiederti una cosa. Domani vorrei preparare una cena un po’ diversa".

"Diversa?"

"Si domani sulla Terra sarebbe stato Natale**".

"Natale? E tu come lo sai?"

"Ho un mio calendario terrestre. Lo so che ti sembrerà strano, ma per me che ci sono nata, mantenere in vita alcune tradizioni è importante. Va bene per te?"

"Certo". Rispose lui non sapendo bene cosa aspettarsi.

Il giorno dopo per Helèn fu un continuo canticchiare per tutta la nave. Svolazzava tra i corridoi cantando motivetti natalizi che riportarono Harlock indietro di un secolo. Lui si limitava ad osservarla in parte divertito, in parte affascinato perché quella donna, nonostante tutto, conservava una fresca voglia di vivere che le invidiava.

Helèn trascorse anche un'oretta al pianoforte. Harlock le aveva detto che poteva suonarlo ogni qual volta ne avesse avuto voglia, ma lei lo faceva solo quando sapeva che lui era altrove.

Le note risuonavano propagandosi piano per tutta la nave, che silente, con tanti corridoi e pareti di metallo, fungeva tipo da enorme cassa di risonanza.

Harlock ovunque fosse si interrompeva e ascoltava quella musica assorto, rapito.

Poggiava le spalle ad una parete, piegava una gamba, incrociava le braccia al petto, chiudeva gli occhi e riportava alla mente paesaggi della Terra che non c'erano più, ma che come diceva Helèn avrebbero rivissuto nel loro ricordo.

Gli piaceva molto sentirla suonare ma non glielo aveva mai detto. Rispettava il suo spazio e faceva ritorno in camera sua solo quando era sicuro che lei avesse terminato. Sfiorava i tasti ancora tiepidi del vecchio pianoforte e pensava a Tochiro, alla loro giovinezza svanita come neve al sole della verità. Presto, troppo presto.

Tori dopo le amorevoli cure che il medico gli aveva riservato non la lascia mai. Dove era lei era lui. Ormai era la sua ombra.

Nel tardo pomeriggio una Helèn indaffarata era alle prese con un bel pezzo di carne per la cena. Si era accorta tardi che, tutti i forni sensing ray*** per scongelare rapidamente erano inutilizzabili. Avrebbero pagato anche questo, quei dannati mercenari, si disse mentre cercava un soluzione. Pensò che tagliando la carne a fette sarebbe riuscita a farla cuocere più velocemente. Aveva fretta. Con la mano sinistra teneva la carne e con la destra impugnò un grosso coltello.

Ed accadde.

La lama scivolò rapida sul ghiaccio della carne passandole poi sul dorso della mano.

Helèn guardò paralizzata una vistosa macchia rosso scarlatto aprirsi rapida sul dorso candido della sua mano sinistra. Non vi erano danni ai tendini, la lama aveva leso solo i tessuti ma per lei che non coagulava poteva essere pericoloso.

"Merda!" disse odiandosi per la sua stupidità e tamponando la ferita con dei canovacci. Nel giro di pochi istanti il piano di lavoro era ricoperto di sangue.

"Tori ascoltami, chiama Harlock. Va’ da Harlock!" Ordinò disperata.

Il grosso volatile, gracchiò e dopo un paio di saltelli sgraziati spiccò il volo.

La donna si augurò che avesse capito. Non aveva nulla con sé per chiamare Harlock aveva lasciato il trasmettitore in camera ed i citofoni interni erano all'ultimo posto nell’ordine delle cose da ripristinare sulla nave.

Tori giunto alla porta del capitano iniziò a sbattervi contro emettendo striduli suoni di richiamo.

Harlock allarmato spalancò la porta di colpo. Alzò gli occhi, nere piume cadevano dall’alto lente verso su di lui. "Che succede?"

Tori volò lontano accettandosi però che lui lo seguisse.

Correndo Harlock chiese. "Dove andiamo? Da Helèn?".

Giunto davanti alla porta d’accesso della cucina, si bloccò rimanendo un istante sbalordito guardandosi intorno. Non capiva dove Helèn fosse ferita, vista l'assurda quantità di sangue.

"Non è nulla capitano è solo un piccolo taglio sulla mano”. Fece lei con un sorriso tirato, cercando così di dissimulare la sua profonda preoccupazione. “Devi prendere il kit per le suture". Aggiunse. "Presto per favore".

In un istante il necessario fu sul grande banco della cucina.

Helèn parlando lentamente disse. "Ti dirò io come fare, sutureremo come si faceva un tempo".

Grazie alle spiegazioni di Helèn, Harlock con insolita maestria riuscì a richiudere con ago e filo la ferita in breve tempo. Helèn non volle sedativi locali e certo provava dolore. Piccole gocce di sudore le imperlavano la fronte. Ma ogni volta che Harlock alzava il viso per guardarla lei sorrideva debolmente.

"Bravo un'altra delle tue doti nascoste. Punti piccoli e perfetti, quasi tu lo avessi già fatto". Disse per mascherare il disagio. Era pallida. “Hai dita lunghe ed affusolate da chirurgo”. Messasi in piedi, la testa le girò. Sì resse al tavolo.

Harlock la sostenne prima di prenderla per portarla in infermeria. Helèn non protestò. Lì assunse alcune compresse. Seduta alla scrivania si teneva la testa con la mano destra.

Harlock per tutto il tempo non aveva pronunciato una sola parola.

Continuava a guardarla cupo, accigliato.

"Su Harlock non è nulla! E' stato solo uno sciocco incidente". Fece lei avvertendo quello sguardo e quel silenzio come macigni.

"C'è qualcosa che non mi hai detto". Rispose lui finalmente.

 I due si fissarono un lungo momento come due pugili prima dell'inizio dell'incontro.

"Harlock  sai che non coagulo bene come gli altri".

"No tu non coaguli affatto Helèn!” replicò duro lui, palesemente agitato. “Ho l'impressione che le tue condizioni di salute peggiorino, o sbaglio?"

"Sbagli!” Fece lei concitata. “Era il tipo di taglio e di lama". Spiegò frettolosamente.

"Helèn il taglio non era profondo, ma tu hai perso troppo sangue". Disse lui poco convinto.

"Sto bene Harlock davvero. Sanguinare mi ricorda di essere viva”. Poi guardando la fasciatura aggiunse piano. “Io adoro le cicatrici e questa… avrà per sempre un valore speciale”. Lo guardò intensamente come se stesse per dirgli addio. “Perché l'hai fatta tu". Così dicendo lo spinse affettuosamente fuori dall'infermeria. "Dai! Ho da fare, tra poche ore è Natale".

Chiusa la porta vi crollò appoggiandovisi. Gli occhi le si riempiono di lacrime. Si mise la mano destra sulla bocca per non farsi sentire. Disperata annaspò guardandosi intorno.

Era vero, stava peggiorando, lo sapeva. Lo aveva sempre saputo.

Per quanto sarebbe riuscita a tenere nascosta la verità? La vita le sfuggiva via come sabbia tra le dita.

Quando aveva raccontato ad Harlock dei danni della lunga permanenza in criogenesi sul suo corpo aveva detto solo di non poter più avere dei figli, accennando solamente ad un altro problema.

Questo era l'altro problema.

Harlock tornò in cucina. La quantità di sangue per un taglio di pochi centimetri era impressionante. Helèn lo sapeva bene per questo aveva mandato Tori a cercarlo. Ripulì in fretta, con rabbia. Poi preso il pezzo di carne lo scaraventò con collera nel lavandino. Si guardò le mani sporche, riflettendo che quel sangue, il sangue di Helèn circolava già da qualche tempo anche dentro il suo corpo.     

 

 

 

 

Note

Termini  ‘tecnici’ da Glossario termini marinareschi. Ho voluto immaginare l’Arcadia come un vero galeone in balia delle onde del destino da cui la terminologia.  Abbattere la chiglia:inclinare su di un fianco. Beccheggiare:oscillare. Alla via:mantenere la rotta. Scarrocciare:deviare lateralmente. Rollio:movimento intorno al proprio asse. Alla poggia:mantenere la medesima direzione.

*Deflettore: Utilizza un campo di gravitoni per avere un effetto repulsivo. Devia le masse, meteore o detriti che possono entrare in collisione con la nave.

**Mai avrei pensato quando molti mesi fa ho iniziato a scrivere questa fic che avrei postato proprio vicino al Natale.     Vorrà dire che Capitano farà gli auguri a tutte noi J

***Forni  Sensing-ray: I forni del futuro.

Grazie sempre alla B-beta ed a chi si ferma a leggere e commentare.

 

 

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