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Autore: Euachkatzl    05/12/2014    2 recensioni
2013: la rivista Rolling Stone decide di pubblicare una biografia di uno dei gruppi rock più grandi di sempre, i Guns n' Roses. Ogni ex componente del gruppo viene intervistato singolarmente, vengono poste loro identiche domande. Ad una, però, rispondono tutti allo stesso modo.
"Un periodo della tua vita al quale vorresti tornare?"
"Febbraio 1986"
Ma che è successo, nel febbraio 1986?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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l problema non è che alla tv non danno nulla, il problema è che tutto quello che trasmettono fa schifo. Mi alzo e spengo l’apparecchio (il telecomando è scappato qualche mese fa, mi ha raccontato Duff un giorno), poi decido di andare in bagno e fissarmi allo specchio. E’ una cosa che fa bene, ogni tanto: aumenta l’autostima. Fisso il mio riflesso davanti, di profilo, dietro (con un po’ di difficoltà). Lascio scorrere il mio sguardo critico sui fianchi, sul piccolo tatuaggio nero che macchia la pelle candida, sulla linea della vita, sulla pancetta che a me, sinceramente, sembra sempre più evidente (spero davvero che sia solo un’impressione e che non sia ingrassata sul serio), sul seno stretto in un reggiseno che dovrebbe essere “Miracoloso per le tue curve”, a detta della pubblicità, sulle ossa sporgenti delle clavicole che ho sempre adorato. Mi guardo in faccia e, con orrore, noto che in un paio di settimane al posto delle sopracciglia hanno fatto in tempo a crescere un paio di cespuglietti folti folti (in realtà sono due peli fuori posto, ma noi donne tendiamo un po’ ad esagerare). Continuando a chiedermi da quanto tempo abbia quell’obbrobrio sulla faccia, mi metto alla disperata ricerca di una pinzetta, o di un qualcosa che riesca a regolare quei due arbusti. Anche una falciatrice mi andrebbe bene, a questo punto. Mi fermo un attimo e respiro. Non ha senso cercare a caso, anche perchè magari poi trovo per sbaglio qualcosa che è meglio resti nascosto dov’è e non veda la luce. Seguendo uno schema logico, dove riporrebbe una pinzetta il ventenne medio americano? Probabilmente il ventenne medio americano nemmeno ce l’ha, una pinzetta. Non saprà nemmeno cosa sia. Mi rassegno all’idea che, finchè sarò in questa casa, mi toccherà tenermi delle sopracciglia oscene e vado in cucina, giusto per tirarmi su con un paio di boscotti.
La piccola sveglia sopra il frigo (questa sveglia si sposta di giorno in giorno: ieri l’ho vista sul comò in salotto) mi informa che sono le sette e tre quarti. Troppo presto per fare qualsiasi cosa, considerando che in questa casa la giornata comincia verso le dieci, quando il grande capo Axl Rose alza il suo didietro dal materasso. Frugo nella credenza dove teniamo la carta igienica e, come previsto, dietro ad un muro ben compatto di rotoli trovo il sacchetto dei biscotti, che scopro incredibilmente leggero. Un dubbio si fa strada nella mia mente al sentire tutta quella leggerezza, dubbio che si rivela fondato quando scopro il pacco vuoto. Vuoto. Nemmeno un singolo biscotto per il mio pancino. Maledico mentalmente chiunque mi abbia giocato questo scherzo e inizio ad aprire tutte le ante in cucina alla ricerca di cibo. Apro pure l’armadietto del pronto soccorso, come ultimo scoglio. Non ci trovo i biscotti ma ci trovo la pinzetta che cercavo prima. Era nel posto più ovvio. Finalmente contenta, torno in bagno, con la mia nuova scoperta stretta nella mano: meglio non lasciarsela sfuggire, ora che l’ho finalmente riportata alla luce.
 
Richiudo il libro che stavo leggendo e mi trattengo dal lanciarlo a Steve, che russa come un treno e non mi permette di dormire. Russa senza decenza, produce un rumore che potrebbe essere benissimo oggetto di studi: non so quale organo o ghiandola o chissà cosa produca quel suono, ma Steve ce l’ha ben sviluppata e la sfrutta ogni notte per impedirmi di fare un sonno decente. In tutto il tempo in cui lui mi ha tenuto sveglio, ho fatto in tempo ad alzarmi, accordare la chitarra, suonare l’introduzione di Stairway To Heaven tre volte (lui neanche l’ha sentita), mettere giù la chitarra, trovare una copia di Playboy sotto il letto, avere due orgasmi, recuperare un libro dal nostro armadio (era sepolto da non so quanto tempo sotto le mutande di Steve) e arrivare a pagina sessantasei. Tutto senza che lui si accorgesse di nulla o desse il minimo segno di percepire qualcosa dall’esterno. Lui russava, placido e beato nel suo mondo dei sogni, mentre nella vita reale io progettavo come farlo tacere definitivamente mentre mi tenevo aggiornato sulle ultime mode in fatto di tette.
Rassegnato, seguo il consiglio che mi sta offrendo la mia vescica e vado in bagno, trovando Jeanette appiccicata allo specchio, intenta a depilarsi le sopracciglia alle otto di mattina.
“Fa pure, io non ti guardo” dice sovrappensiero, impegnata a litigare con un pelo che non ne vuol sapere di abbandonarla.
Io, complice il sonno e la scarsa capacità di elaborare dati che si ha alle otto di mattina, mi abbasso i boxer, piscio tranquillo e chiedo, ancora con il gingillo in mano: “Se mi facessi le sopracciglia sottili starei meglio?”
Dal riflesso di Jeanette nello specchio, noto una faccia che va dal perplesso, al divertito, all’orripilato, al curioso.
“Prova”
Dopo questo utilissimo ed esauriente consiglio, posa la pinzetta sul lavandino ed esce. Sento la tv accendersi e una voce spiegare che c’è stata una grossa rapina in una banca sulla Witcham, ma non mi interessa più di tanto: quella pinzetta appoggiata al lavandino mi sta guardando con un’aria di sfida, e io non rifiuto mai una sfida, nemmeno se me la propone un giochetto da estetista.

 
La ragazza del telegiornale conclude la trasmissione ricordando che in questi giorni le rapine a mano armata stanno aumentando, e che è sempre più consigliato essere prudenti lungo le strade e i quartieri fuori mano, soprattutto la notte (“Non siamo più negli anni del pace&amore”).
“Grazie...” commento prima di alzarmi e cambiare canale: sulla NBC fanno Highway to Heaven e, anche se mi fa un pochino cagare (già dal titolo, che è un miscuglio di canzoni), è sempre meglio di una tizia che mi ricorda che potrei farmi pestare un’altra volta, così imparo ad uscire la sera tardi.
Un urletto acuto giunge alle mie orecchie dal bagno. Mi dispiace per Duff, ma probabilmente questa scampagnata nel mondo femminile gli farà bene. Magari un giorno gli faccio pure la ceretta.
Guardo un po’ Landon e il suo compare French aiutare una tipa che aveva perso suo figlio durante una gita in montagna, poi preferisco concentrare la mia attenzione sugli addominali di uno Slash ancora in stato dormiente che fa la sua entrata in salotto con un plateale sbadiglio.
“Ciao” mi saluta, mentre i miei occhi erano ancora in contemplazione di quel piccolo spettacolo che ha addosso. Duff, totalmente irrispettoso del mio diritto di guardare una bella tartaruga, mi chiama dal bagno, intimandomi di venire subito o lui fa un macello. Mi immagino il macello che può fare lui, alto due metri e con il cervello di un dodicenne.
 
Le grida di Duff che chiama Jeanette mi svegliano. Perchè cazzo, perchè dovete urlare la mattina presto, quando sapete perfettamente che sto dormendo e che non voglio essere disturbato? Io ho bisogno di dormire, sono il più vecchio qui dentro e necessito dei miei tempi, dei miei spazi e della mia tranquillità. Nel tragitto tra la camera e il bagno (sette passi circa) elaboro velocemente il discorso da fare a quell’anima sciagurata che mi ha svegliato. Spalanco la porta e, senza neanche far caso alla scena che mi si presenta davanti, sbraito tutto quello che ho pensato durante quei sette passi. Gran bel discorso, non c’è che dire: include pure la spiegazione del perchè la mia voce stia diventando sempre più stridula, l’illustrazione degli orari in cui dev’esserci silenzio e alcune testimonianze sulle mie precedenti convivenze (una). Alla fine della ramanzina, Duff e Jeanette sono ancora nella stessa posizione nella quale li ho trovati, gli unici dettagli che sono cambiati sono l’espressione sulle loro facce e il fatto che si sia aggiunto Slash di fianco a loro, a pisciare. Incrocio le braccia al petto, in attesa di una risposta o di un commento sul mio discorso, o forse di un applauso. Nessuno risponde. Compiaciuto, giro i tacchi e torno in camera, rallegrandomi del fatto che, se sono riuscito a mettere a tacere tre ventenni, ho delle ottime possibilità di essere un buon padre, in futuro.
 
“Appuntatelo da qualche parte: mamma chioccia ci vuole silenziosi dalle diciotto alle dieci, altrimenti il suono che giunge alle sue orecchie si propaga fino alle sue corde vocali e le indebolisce, come ha dimostrato la convivenza con la sua ex ragazza, che aveva l’abitudine di solfeggiare operette di Verdi a mezzanotte, in compagnia del suo amico immaginario”
Ridacchio al riassunto di Duff e gli strappo un altro pelo dal sopracciglio destro, facendolo urlare.
“Fa male”
“Non fa così male”
“Fa male”
“Non hai mai provato una ceretta, tu”
“Fa male?”
Annuisco con severità e riprendo la mia opera di riparazione dell’oscenità che si è fatto sul viso.
“Non so se ce la faccio a mettere tutto a posto” devo ammettere. Duff mi rivolge uno sguardo da cucciolo bastonato. Senti, ragazzo, sei stato tu a decidere di depilarti le sopracciglia alle otto di mattina, senza un motivo preciso e una minima idea di come si facesse.
 
Non faccio in tempo a buttarmi di nuovo sul letto che Jeff mi chiede cosa sia tutto quel chiasso.
“Vallo a chiedere ai nostri amici di là” rispondo, soffocando le parole nel cuscino.
Tento di riaddormentarmi, o perlomeno di rilassarmi un attimo. Io sono abituato ad alzarmi alle dieci, perchè dovete rompere i coglioni, ragazzi? Poi lo sapete che me la prendo e succedono casini. Figlioli, perchè? Sto seriamente rivalutando l’idea di diventare padre che mi era venuta poco fa.
Sento Duff cacciare l’ennesimo urletto acuto (mi chiedo che diavolo stiano facendo lì in bagno), poi Jeff borbotta qualcosa e cala il silenzio. Davvero, una tomba. Jeff, sposami e facciamo dei figli assieme.

 
Guardo Jeanette, sposto lo sguardo su Slash, che ha appena finito di pisciare, noto con la coda dell’occhio Steven che sta andando in cucina, poi torno a fissare Jeff.
“Non stai parlando sul serio” balbetto con un filo di voce.
Izzy annuisce e Slash tenta una breve spiegazione.
“Ragazzi, non sapevo che la pinzetta fosse proprio quella”
“Quante cazzo di pinzette pensi che abbiamo in casa?” tenta di rimproverarlo Jeanette, ma la vocetta stridula con il quale lo dice non è degna di una sgridata. Lascia l’oggetto del misfatto sul lavandino e se ne va, lasciandomi solo in bagno con Jeff e Slash, sbigottito da quello che mi è appena stato raccontato.
“Ma quindi, cioè... “ tento di mettere in ordine le idee, ma non riesco a riflettere lucidamente: varie scene non particolarmente piacevoli affollano la mia testa.
“Senti, anche tu avrai fatto qualche giochino, non fare quella faccia sconvolta” si giustifica il riccio, scatenando una risatina totalmente inappropriata di Jeff.
“Saul, io non ho mai messo una pinzetta dentro... Cioè... Ma da dove ti vengono in mente queste cazzate? Te le sogni la notte?” sbotto, per poi alzarmi e andarmene anch’io. Mi fermo un secondo sull’uscio, fisso la pinzetta, ancora piuttosto schifato, poi decido di rivolgere a Slash una domanda di cui mi pentirò sicuramente, ma a questo punto...
“Non è che hai coinvolto qualche altro oggetto nei tuoi giochetti erotici?”
Saul fissa le piastrelle del pavimento, e questo momento di riflessione mi porta solo a pensare a pessime notizie.
“Ti faccio una lista più tardi”

 
Addento una carota e guardo Steve, che mi fissa con gli occhioni blu spalancati. Gliela porgo, ma lui scuote la testa.
“Non sono un coniglio”
“Neanch’io, ma è l’unica cosa commestibile in cucina”
“E se io mangiassi tazze?”
”Accomodati”
Passo a Steve la tazza verde che tecnicamente dovrebbe essere di Duff ma che in pratica è di chiunque abbia voglia di usarla. Il biondo scuote la testa una seconda volta e apre il frigo, alla ricerca di qualcosa per fare una colazione che non consista in carote. Il frigorifero, in tutta risposta, gli offre una vasta scelta tra mezzo limone (non voglio sapere che cosa ne è stato dell’altro mezzo, dopo la storia della pinzetta potrei aspettarmi di tutto), un’altra carota, due yogurt alle prugne, un sacchetto di ghiaccio e un pacco di riso. Sconsolato, Steve chiude il frigo e afferma che, se in due giorni non ci sarà qualcosa di decente da mangiare, la tazza verde finirà nel suo stomachino bisognoso di cibo. Annuisco distrattamente, approvando in pieno la sua idea.
“E comunque Axl oggi doveva chiarire qualcosa per un lavoro o roba del genere. E Duff fa i turni in una pizzeria. Quindi siamo a posto” si rallegra Steve. L’ottimismo è sempre un’ottima qualità, mette l’anima in pace alle persone che lo sanno sfruttare.
Finisco la carota e propongo una passeggiata. Più precisamente, vado in salotto e urlo che ho voglia di farmi un giro, tanto in questa casa grande come un’arachide basta sussurrare qualcosa in cucina ed ecco che Axl ti ha sentito dalla sua stanza. Infatti, pochi secondi dopo, mi arriva un secco “Taci” dalla porta del rosso, seguito da un “Va pure a farti pestare di nuovo”, sempre dallo stesso mittente. A quella frase, tocco istintivamente l’angolo del labbro che un qualche stronzo mi aveva rotto, e l’idea di una passeggiata non mi appare più così attraente.
“Andiamo?” mi domanda Steve tutto contento, finendo di infilarsi una felpa troppo grande per lui.
“No, ho cambiato idea” mormoro in trance, per poi appollaiarmi sul divano, con la coperta raggomitolata sulle ginocchia.
 
Dormo per un’oretta, ma ormai tutto quel casino di prima mi ha svegliato e so che non riuscirò più ad addormentarmi come si deve, per stamattina. Decido di andare in cucina a mangiare qualcosa (sempre che qualcosa sia rimasto) e mi imbatto in Jeanette e Jeff sul divano, con una coperta sulle gambe come una coppia di vecchietti. Stanno ascoltando Slash, che racconta una storia che gli è successa qualche anno fa con Steve, che sghignazza ad ogni parola.
“Il grande capo si è svegliato” mi accoglie la moretta, con un tono che riesce a farmi innervosire più di quanto non lo fossi già. Tanto per dimostrare tutta la mia simpatia, le chiedo come mai non sia uscita.
“Hai ancora paura, povera piccola Jeanette?”
Non mi degna di una risposta vera e propria, butta la coperta che aveva sulle gambe addosso a Jeff, si alza e tenta di mollarmi uno schiaffo. Le blocco il polso appena prima che arrivi sulla mia guancia e guardo la ragazzina negli occhi. Dire che è incazzata nera è dir poco. Ha le lacrime dalla rabbia. Decido che per ora mi basta e vado in cucina, annotando mentalmente il fatto che nessuno abbia tentato di fermarla quando stava per tirarmi uno schiaffo bello e buono. Mi siedo sul tavolo e fisso la credenza chiusa, come se di colpo dovesse aprirsi e una ciambella fluttuare verso di me. Una porta sbatte, viene riaperta e sbatte di nuovo.
“Ti diverte farla incazzare così ogni giorno?” mi chiede la vocedi Izzy dall’uscio.
“Non particolarmente, ho fatto cose più divertenti”
Tipo quando stavo per scoparmela in quella casa abbandonata al mio compleanno, ma ormai è acqua passata.
“E se un giorno decidesse di far finire tutto?”
Ridacchio. “Non potete cacciarmi. Stasera vado a sentire del lavoretto che vi ho detto ieri, sarò l’unico che porta due soldi a casa”
Izzy sospira e trascina i piedi fino a davanti a me.
“E’ una cosa seria? Cioè, davvero avremo qualcosa?”
“Forse è una cosa anche troppo seria, ma non abbiamo tante possibilità”
 

“Non piangere per lui, non ne vale la pena” tenta di consolarmi Duff, ma il punto è che non mi viene nemmeno da piangere. Mi rigiro nel letto e fisso il soffitto.
“C’è un ragno” mormoro, sperando vivamente che quel ragno non si accorga che lo sto guardando e decida di passare sul mio corpo per un saluto.
Duff si stende di fianco a me. Non è stata una grande idea, dato che siamo su un letto da una piazza e il biondo, per quanto ci provi, ne occupa tre quarti. Prima di venire lanciata giù dal materasso da un movimento improvviso del mio consolatore, con una mossa veloce mi appolaio sopra di lui, voltandomi sulla schiena per controllare quel maledetto ragnetto sul soffitto. Nel farlo, pianto una gomitata tra le costole di Duff, ma poco importa: ha vent’anni e passa, una gomitata non lo ucciderà di certo.
“Comoda?” si informa premuroso, anche se più che premura noto dell’ironia nel tono di voce.
“Ingrassa un po’ e poi vai bene”
E se stasera uscissi davvero? In fondo sono con i ragazzi, con Jennifer, con qualche centinaio di persone nel locale. Anche se non so di preciso dove andremo, so che quel centinaio di persone ci sarà: a Los Angeles devo ancora trovare un locale vuoto, la sera.
“Duff, tu non mi lascerai mai, vero?” mi trovo a domandare, senza un apparente motivo. Il biondo appoggia le mani sulla mia pancia e tamburella un po’ prima di rispondermi.
“Perchè dovrei lasciarti?”
“Non lo so, ma un sacco di volte va così. La gente entra nella tua vita per poi sparire. E tu non la vedi più. E non ha importanza cosa hanno fatto per te, se ti hanno cambiato la vita o se semplicemente ti hanno prestato l’accendino, se ne vanno e tu resti con un palmo di naso e un sacco di cose che non hai mai avuto il coraggio di dire”
Duff sospira direttamente contro il mio collo, facendomi sentire il suo respiro caldo.
“Io ci sarò sempre”
“Stasera usciamo?” raccolgo tutto il coraggio che ho per formulare quella domanda.
“Sei sicura?” vuole sapere il biondo ma sinceramente, più domande mi fa e più mi ci fa ripensare. Annuisco a chiudo il discorso, prima di cambiare idea sul serio.
 
Jeanette mi conferma che è sicura di voler uscire. Non so se davvero lo voglia o se semplicemente non vuole scontentare la sua amica, che dovrebbe arrivare tipo adesso: anche se usciamo la sera, le ragazze hanno sempre bisogno di quelle cinque ore minimo per farsi i capelli, le unghie, lavarsi (non ho mai capito come impieghino quei 40 minuti sotto la doccia, probabilmente lavano anche le piastrelle, non lo so), truccarsi, vestirsi, disfare tutto perchè il primo outfit non va mai bene e ricominciare. Almeno se sono perse a fare tutto questo non dovrò sorbirmi Jennifer. Quella ragazza è tremenda. E’ esasperante, riesce a prenderti per sfinimento.
Ma soprattutto, se Jeanette e Jennifer sono impegnate, io riuscirò finalmente a farmi delle sopracciglia decenti: non mi piace per niente il modo in cui me le ha ritoccate la moretta prima.

 
Sento qualcuno bussare pesantemente alla porta ed entrare senza nemmeno aspettare una risposta. La vocetta stridula di Jennifer ci saluta e urlacchia poco educatamente che se la sua sorellina non si presenta davanti a lei entro cinque secondi fa un macello. Me lo immagino, il macello che può riuscire a fare una tipa del genere. Per cosa poi, mi chiedo. E’ stata qui già ieri  sera, che cosa le è successo in queste dodici ore, che deve per forza raccontarlo a Jeanette? Non può risolversi i suoi problemi chiusa in casa, in silenzio, ferma, legata ad una sedia?
Jeanette corre subito dalla sua amica, non sia mai che la faccia attendere. Almeno riesce a zittirla, ma alla voce acuta di una si sostituisce quella dell’altra e siamo punto a capo. Jeff esce dalla cucina e va a salutare la sua pseudo parente, ed ecco un’altra voce che si aggiunge al mio mal di testa. Tanto per completare l’opera, Steven inizia a fare domande a raffica alle ragazze su cosa hanno intenzione di fare stasera. Concludo che così è davvero troppo e, per evitare di fare una carneficina, corro in camera a cambiarmi (ignorando un Duff che sta tentando di nascondersi da non so chi dietro al mio letto) ed esco prima che un qualsiasi plebeo possa rivolgermi la parola.
Gente, scusatemi, ma è mattina e mi avete svegliato prima del solito e sono in ansia per quell’idea del cazzo in cui tenta di mettermi in mezzo Joe da quando ci siamo conosciuti.

 
Tiro il lenzuolo verso di me, sperando che serva solo come precauzione e che Jennifer non entri in camera: suvvia, ragazze, questa è la camera di Slash e compagnia, ci sono gas letatli fuoriusciti durante la notte che voi non riuscireste a sopportare. Non entrate, non avete motivo di rischiare le vostre giovani vite.
Sento la maniglia scattare. Mi aggroviglio per bene nelle coperte e mi preparo al peggio. Di qui a pochi secondi sentirò una vocetta sgraziata urlacchiare il mio nome, lo so. E io dovrò uscire e sorbirmi quella pseudo cugina di Jeff o pseudo sorella di Jeanette o quello che è. Mi passa per un momento per la mente la speranza che le sia passata la cotta per me, ma mi sa che sto sperando invano, a giudicare da tutte le occhiate che mi ha lanciato ieri sera. E’ stato bruttissimo, sentirsi costantemente osservati e non poter far nulla senza essere visti da quella decerebrata.
“Ma che cazzo ci fai là sotto?” sento invece la voce di Slash, che è come manna dal cielo per le mie orecchie. Mi alzo di scatto e tento di inventarmi una scusa decente in fretta ma, alla fine, ammetto che mi stavo nascondendo dalla scassapalle. Slash si fa una sonora risata, per poi zittirsi e confessare: “Anche io. Andiamo a farci un giro prima che quella ricominci a parlare”

 
Jennifer continua a ridere e a scherzare con Steven, che a quanto pare la adora. Almeno qualcuno, oltre a me. Non capisco che cos’abbia di male questa ragazza; certo, parla tanto, a vanvera, tira fuori discorsi improponibili, spara cazzate a nastro, ma in fondo lo facciamo tutti.
Steven caccia un rutto da qualche centinaio di decibel e io mi volto di scatto a guardarlo male.
“E questo perchè?” chiedo fulminandolo. Ci sono delle cose nella gente che non riesco a sopportare. Una sono i rutti, o qualsiasi suono corporeo che esca ingiustificatamente da una persona. Steven si fa piccolo piccolo sotto il mio sguardo, lancia un’occhiata a Jennifer, poi a Jeff, cercando un po’ di sostegno da uno dei due.
“Stavamo... iniziando una sfida” si giustifica, facendo preoccupare non poco Jen, che sa benissimo del mio odio verso le sfide di rutti. Una volta ho preso a schiaffi Joe, nel backstage di un concerto a Cleveland. Quel rutto lo decretò vincitore della sfida e gli fece conquistare due sberle dalla sottoscritta, oltre all’astinenza forzata per due settimane. Certo, mi rimpiazzò con una mia amica, ma poco importa: sta di fatto che, ogni volta che inizia una gara del genere, o prendo e me ne vado o, più spesso, guardo male i partecipanti finchè non arriva il gran finale e vola qualche sberla.
“Okay, gioco finito, ora io e Jeanette iniziamo a prepararci, vero?” Jennifer salva Steven dal mio sguardo assassino e lo lascia nelle mani di Jeff, che sento sussurrare, appena volto l’angolo: “Come sei riuscito a farlo così forte?”
“E’ tutta una questione di diaframma” lo illumina il biondo, attaccando poi con un discorso degno di una laurea ad Harvard.
Jennifer mi fa sedere sul lavandino e mi fissa. Pettina i miei capelli lisci con le mani e tenta un paio di acconciature improvvisate, prima di chiedere quando ho idea di tagliarli. Inorridisco alla domanda e allontano le sue mani dai miei capelli. Tagliarli. I miei bei capelli neri. Non potrei mai, ci ho messo anni a farli diventare così e probabilmente lei lo sa: ho avuto sempre una mania incontrollata per i miei capelli e tagliarli mi sembra un sacrilegio.
“Ma accorciarli un attimo, intendo” tenta di convincermi. Spero vivamente che non le venga la balzana idea di farlo con le sue manine, e che soprattutto non ci siano forbici nei paraggi.
 
Vediamo Axl in piedi alla fermata dell’autobus, intento a fumarsi una sigaretta con lo sguardo perso nel vuoto. Ultimamente ha lo sguardo perso nel vuoto un po’ troppo spesso, e questo non è un buon segno: sta riflettendo su qualcosa e, se gli ci vuole così tanto tempo, è qualcosa di grosso.
Gli passiamo davanti e lo salutiamo con la mano; non sia mai che interrompiamo le sue elucubrazioni: rischieremmo la vita. Lui si limita a guardarci un attimo, per poi tornare a fissare il nulla. A volte sembra un po’ rincoglionito, devo ammetterlo.
Dopo qualcosa come una decina di passi, Slash annuncia che ha fame. Non c’è un momento in cui non abbia fame, gli faccio notare.
“Ma adesso ne ho più del normale e non posso più resistere” insiste.
“E dove andiamo a mangiare? Rubiamo nei negozi di caramelle?”
Lui mi guarda strano, come se avessi detto la cazzata più grande della storia.
”Michael, da quand’è che sei diventato un bravo ragazzo e ti fai problemi a rubare nei negozi di caramelle?”

 
Salgo nell’autobus e subito l’autista mi chiede di mostrargli il biglietto. Lo fisso chiedendomi se fa sul serio: in questo quartiere non c’è mai stata una sola persona che abbia comprato il biglietto per salire in autobus, tanto che un bel giorno gli autisti si sono arresi e hanno smesso di chiedere; com’è che ora si sono inventati di ricominciare? E soprattutto, perchè lo stanno chiedendo a me? Non si vede che sono un povero ventenne indifeso e senza un soldo e con un gruppo che va a rotoli e che si vorrebbe volentieri gettare sotto questo cazzo di autobus?
“Signore, se non ha il biglietto, le chiedo di scendere”
Sto per lanciare addosso a quel tizio tutta la mia vita di merda ma vengo bloccato da una vocina dentro di me che mi dice di lasiar perdere e non procurarsi altre beghe, perchè quelle che ho bastano e avanzano. Decido di ascoltare la mia coscienza, giusto perchè è da tanto che non mi da consigli, e scendo. Mi avvio verso il parco dove sono stato ieri, sperando che Joe non mi dia buca: non sarebbe la prima volta che succede.

 
Entro nel negozio di caramelle e guardo Slash con aria complice.
“Come sempre?”
Lui annuisce e si dirige rapido verso la corsia di destra, dietro ad una piramide di cioccolatini (finti, quella sì che fu una delusione), mentre io giro a sinistra, dove ci sono quei piccoli dannatissimi Skittles dai quali sono diventato dipendente qualche anno fa. Appena li vedo mi brillano gli occhi. Sono tornato, piccini miei, quanto mi siete mancati.
Slash interrompe il mio momento di estasi urlandomi dall’altra parte del negozio se ho voglia di marshmallow. Ma chi ha bisogno di marshmallow, quando ha davanti queste palline colorate distribuite sulla Terra direttamente da Dio? Non sentendomi rispondere, Saul appare dietro le mie spalle e si ferma anche lui a contemplare la fonte della felicità che ho davanti agli occhi. Mi posa una mano sulla spalla, sussurrando commosso: “Man, questo è meglio di tutta l’erba che ci siamo fumati da quando siamo arrivati a Los Angeles”
Annuisco semplicemente, incapace di proferire parola. Ci starebbe bene anche Steven a completare il quadretto.
“E’ meglio anche di tutta l’erba che ci siamo fumati prima” confermo.
“E noi vorremmo rubare questo ben di Dio?”
Mi sento improvvisamente in colpa: non è giusto privare le future generazioni di questa fonte di gioia. Mi volto e esco dal negozio mogio mogio, trascinando i piedi. Non potevo rubarle, il nostro Signore ci avrebbe punito troppo crudelmente. E avrebbe avuto ragione.

 
Sento l’ennesimo rutto provenire dal salotto.
“Il numero dodici” commenta Jennifer, aggiungendo un po’ di carta igienica dentro il reggiseno. Ignoro tutto e mi concentro nel piastrarmi una ciocca ribelle che non ne vuol sapere di stare come dovrebbe ma, al numero tredici, perdo le staffe e mi precipito in salotto, trovandomi davanti alla scena di Steven con carta e penna che assegna punteggi ai rutti di mio fratello.
“Il 7 rimane ancora il migliore” ricorda a Jeff, per poi voltarsi verso di me e sorridermi placido.
“O state zitti o vi sbatto fuori” dico, raccogliendo tutta la poca calma che mi è rimasta in corpo. “Vi sbatto fuori dalla finestra” rettifico: non ero stata abbastanza minacciosa.
“Okay, ma scusa, noi ci stiamo annoiando. Trovaci qualcosa da fare, così smetto di fare lezione a Izzy e riprendiamo un giorno in cui non ci sei” propone Steven, troppo ingenuo per cogliere qualsiasi minaccia.
Mi porto le mani alla faccia e mi godo quel breve momento di silenzio.
“Margherite” sparo a caso. “Uscite e andate a raccogliere margherite”
Jeff si alza e mi prende il viso tra le mani.
“Jeanette, viviamo a Los Angeles. Ed è febbraio. Le margherite non le troviamo neanche se le cerchiamo in tutta la città”
“Okay. Allora trovate un po’ di soldi” mi correggo. Jeff con un cenno chiama Steven e gli dice di seguirlo.
“Quante margherite volevi, Jeanette?”
 
Mi siedo sulla stessa, benedetta panchina che ormai ha preso la forma del mio sedere (gran bella forma, dopotutto) e aspetto che arrivi Joe. Mi guardo intorno, osservando qualsiasi cosa mi si pari davanti per ammazzare il tempo. Dopo dieci minuti, ho già fissato qualsiasi cosa possa offrirmi questo parco e ho capito che come parco fa cagare. Sarebbe meglio definirlo ‘spiazzo d’erba morta con due alberi, tre panchine e un vialetto con quella che dovrebbe essere ghiaia ma in realtà sono pezzi di bottiglia frantumati’. Butto la testa all’indietro e chiudo gli occhi. L’unico motivo per cui amo questo parco è la tranquillità. E’ perfetto. Nessuno viene qui per il semplice fatto che sia in un quartiere di merda, e i pochi che hanno il coraggio di sedersi su una delle tre panchine qui sono drogati, quindi mantengono la tranquillità perchè sono strafatti e incapaci di spiccicare due sillabe. E poi ci sono io, a venire in questo parco. Ma tra un po’ mi sa che rinentrerò nella grande categoria dei visitatori drogati, o almeno di quelli che li riforniscono.
Quella specie di ghiaia/vetri a pezzi scricchiola sotto i passi di qualcuno. Apro pigramente gli occhi e vedo la sagoma di Joe in controluce venirmi incontro. Mi sorride. Io nemmeno lo saluto: sta per trascinarmi nella merda insieme a lui, perchè mai dovrei essere educato? E soprattutto, tutti mi identificano come l’acido di turno, tantovale essere stronzi.
Joe si siede all’altra estremità della panchina e appoggia una borsa scura in mezzo a noi due. Fisso la borsa, incerto, poi alzo lo sguardo e incontro di nuovo il sorriso di Joe. Che cazzo ha da sorridere così tanto? Non capisce che al momento non c’è nulla da ridere?
“Sei sicuro” mi sento chiedere, anche se suona più come un’affermazione che come una domanda. In fondo, non ho molta scelta e lui lo sa, chiedere non avrebbe nemmeno senso.
Annuisco distrattamente e osservo le mani del mio nuovo socio in affari aprire la borsa per mostrarmene il contenuto.
Vedo esattamente ciò che mi stavo aspettando da ieri, quando Joe mi ha chiesto di collaborare con lui in questo progettino che ci manderà tutti a puttane.
 

“Siamo sole” esclamo allegra rientrando in bagno. Steve e Jeff sono usciti a raccogliere margherite e finalmente hanno lasciato in pace me e Jennifer, che possiamo dedicare anima e corpo nel restauro delle nostre facce, in previsione di stasera. Mi blocco sull’uscio e osservo cosa sta facendo la mia amica. Si sta rifacendo le sopracciglia. Perchè sono tutti così ossessionati dalle sopracciglia, oggi? Anche se la domanda migliore sarebbe: perchè Slash, una sera, ha deciso di impiegare la pinzetta come improprio giochino erotico con una tipa e non ha lavato, disinfettato, esorcizzato quell’oggettino dopo averlo usato? Poteva anche lanciarlo dalla finestra, non sarebbe stato un problema. Invece l’ha messo nell’armadietto del pronto soccorso, in attesa di usarlo di nuovo. Mi corrono i brividi lungo la schiena e fermo Jen a metà dell’opera, ricevendo un’occhiataccia e una raffica di domande sul perchè io non la lasci fare quello che vuole.
“Non vuoi davvero sapere la risposta” la zittisco. Lei annuisce e trova subito altro da fare, ossia frugare in qualsiasi angolo del bagno alla ricerca di qualcosa di divertente con cui giocherellare mentre io mi faccio la doccia. Lancio i vestiti in un angolo del bagno con noncuranza e apro l’acqua nella vana speranza che si scaldi. Dopo più di due settimane in questa casa, vivo ancora nell’attesa che un giorno lo scaldabagno o la caldaia o qualsiasi cosa regoli la temperatura dell’acqua inizi a funzionare.
“Sei ingrassata” mi fa notare con molto tatto Jennifer, intenta ad esplorare un cassetto della specchiera. Sempre delicata, lei. E poi lo so che sono ingrassata, non serve che tutti me lo ripetano ogni giorno. Ma, cosa più importante, io rimango sempre figa. Continuo a ripetermi questa frase nella testa, scacciando il pensiero che sì, mi si stanno accumulando chili e chili di grasso attorno a quella vita che ho impiegato secoli a mantenere. E non capisco come, poi. Vivo di carote e insalata, dove diavolo l’ho presa quella ciccia che continua a lievitare sul mio corpo?
“Perchè c’è un negozio abusivo di trucchi qui?” ride la mia amica. Mi avvicino a lei e scopro, ben nascosti sotto una pila di riviste delle quali preferisco non leggere il contenuto, una palettina di ombretti, un paio di mascara, uno smalto nero e uno rosso e, ultimo ma non ultimo, un rossetto color fiamma che farebbe impallidire la miglior lucciola. Caccio una risata e poi entro in doccia, beccandomi un getto gelato che mi fa ghiacciare all’istante.
 
“Forza man, ci andrà meglio la prossima volta” mi incoraggia Slash, facendomi pat pat sulla spalla da bravo amico mentre apro la porta di casa. “Ah, comunque non ho avuto il tempo di finire la lista di cose che ho usato impropriamente, faccio prima a dirtele a voce”
Si prospetta una discussione interessante, insomma.
Jennifer fa capolino dal bagno e ci saluta, seguita a ruota da Jeanette, che esce con un asciugamano piccolissimo avvolto attorno al corpo. Strabuzzo gli occhi.
“Non fissatemi così, tutti quelli grandi li avete usati voi e non ci tengo a prendermi la malaria” si giustifica, invitandoci poi gentilmente a levarci dalle palle e lasciarle campo libero per prepararsi. Sembra che si stiano preparando con un incontro con il presidente, invece che ad una serata in cui l’unico obiettivo sarà sbronzarci e dimenticare almeno uno del miliardo di problemi che abbiamo.
Slash chiude il frigo con un calcio e, in tono solenne, annuncia che la carota che ha in mano è l’ultima cosa commestibile rimasta in questa casa e che, finita questa, dovremo iniziare a mangiarci tra di noi.
“Proporrei di sacrificare Axl per primo, ma è troppo magro e mangeremmo poco e male. Quindi, biondo, mi dispiace per te” conclude, prima di uscire e portare la carota a fare un giro della casa, per onorare la memoria dell’ultimo cibo rimasto che tra un po’ servirà a riempire il suo stomaco bisognoso.
 

Ficco in tasca i cento dollari che Joe mi ha dato ‘come anticipo’ e mi dirigo in fretta verso casa, fermandomi lungo il percorso in un supermercato dall’aspetto piuttosto scadente. Ma, sinceramente, me ne frega poco: a casa stamattina era rimasta solo una carota e mi sa che ormai qualcuno l’avrà già mangiata, digerita e espulsa dal suo corpo e non voglio sapere altro del resto del viaggio della piccola carota. Frugo un po’ tra gli scaffali e prendo lo stretto necessario per sopravvivere per qualche giorno; una decina di pacchi di biscotti e sei o sette tavolette di cioccolato possono bastare. Il sapere che ho i soldi è una soddisfazione enorme; quando sarò vecchio e grasso voglio che i soldi mi escano dal culo, da quanto ricco sarò.
 
Vedo la porta aprirsi e sua maestà Axl Rose entrare con in mano una borsa della spesa. Mi luccicano gli occhi e le ginocchia iniziano a tremare. Cibo. Soldi. Lavoro. O furto, ma preferisco l’opzione lavoro. Mi trattengo dall’abbracciare il rosso (in fondo è sempre Axl), ma Slash non riesce a fare lo stesso. Si lancia a capofitto contro il grande capo, soffocandolo in un abbraccio stritolante.
“Amico, ho sempre saputo che tu dovevi essere il leader qua dentro”
Axl si stacca Slash di dosso e inizia imporre le sue condizioni, come prevedibile: “Allora, visto che sembra che io sia l’unico che è riuscito a portare due soldi in questa casa, dovrete fare quello che dico io senza fiatare e, soprattutto, dovrete tenere la bocca chiusa su qualsiasi cosa vi chieda di fare, anche se può sembrarvi la cosa più sbagliata del mondo. Siamo intesi?”
Sinceramente no, non siamo intesi per niente, se queste sono le condizioni, ma non ho molta scelta. Annuisco assieme agli altri e chiedo quali sarebbero queste cose da fare e alle quali non ci possiamo sottrarre.
“Intanto, tu devi tenere la bocca chiusa” attacca Axl. Si guarda un po’ intorno e finalmente si accorge che Steve e Izzy non ci sono e che Jen è tutt’orecchi dall’uscio del bagno, motivata a non perdersi nemmeno una parola della riunione condominiale. “Il resto ve lo dico dopo, ho bisogno che ci siano anche gli altri e che la gallina non ci ascolti”
Jennifer ci rimane piuttosto male; non tanto per l’aggettivo che le è stato appioppato, quanto per il fatto che si è persa la conversazione scottante proprio quando credeva di averla in pugno.
“Mi racconterai tutto, vero Jeanette?”
“Non è che sarà questa gran cosa, al massimo ci chiederà di non svegliarlo prima delle dieci di mattina, mica mi farà diventare la sua schiava sessuale” rispondo un po’ stizzita: a dirla tutta, ho paura di cosa possa inventarsi quella testa di cazzo ora che detiene il potere in casa.
Jennifer fa spallucce e annuncia che lei è pronta ad uscire. Sono appena le sette.
“Duff e Slash vengono con noi, abbiamo bisogno di due uomini che ci proteggano” ridacchia e, senza aspettare una risposta da qualcuno, raccatta il suo cappotto dal divano ed esce. Mi infilo le scarpe e la seguo, con ‘i due uomini’ dietro di me.
 
Finalmente di nuovo solo, mi stendo sul divano e chiudo gli occhi, assaporando il silenzio e i biscotti, entrambi ingredienti rari in questa casa. Una pessima idea mi stuzzica. Mi rigiro e fisso la borsa appoggiata a terra, che mi guarda con fare ammiccante. Non dovrei, non dovrei nemmeno pensarci. Ma in fondo, dovrò testare la qualità dei prodotti che vendo ai miei clienti, no?

 
Entriamo al Roxy e le ragazze vengono subito abbordate da due tizi che, messo un bicchiere in mano ad entrambe, riescono a trascinarle via da noi senza alcuna resistenza da parte delle ragazze. Jeanette si è già dimenticata che appena due giorni fa è stata pestata, evidentemente. Forse è meglio così, almeno non la sentirò più piagnucolare su quanta paura abbia.
“Non credo che da noi verrà qualche gnocca ad offrirci da bere” mi fa notare Slash, e devo ammettere che ha ragione: si prospetta una seratina noiosa. “Nel frattempo, vado a farmi consolare da quella bionda che mi sta fissando”
Vedo la sua massa di ricci scomparire in mezzo alla gente. Sono solo. E non ho le palle di cercarmi una ragazza, stasera. Resto al bancone a fissare Jeanette che ride alle battutine di un tizio che ha già iniziato ad allungare le mani. Non mi piace, questa cosa, ma dopotutto non posso farci nulla: ha ventisei anni, è maggiorenne e vaccinata, non posso farle ancora da paparino protettivo.
Una mano mi batte sulla spalla. Mi giro seccato, non avevo assolutamente voglia di parlare con qualcuno, stasera. Mi trovo un bicchiere sotto al naso e il sorriso a trentadue denti di Nicole.
“Serata noiosa?” mi chiede sporgendosi sul bancone nero, mettendo in mostra solo cose belle.
Faccio spallucce: sì, Nicole, è una serata di merda, di un periodo di merda, di un mese di merda, di una vita di merda, ma che ci vuoi fare? C’è chi nasce fortunato e riesce a cadere sempre in piedi e chi deve rialzarsi ogni volta e non pensare a tutte le botte che ha preso. Mi volto e il mio buon proposito di non ubriacarmi stasera va definitivamente a puttane quando adocchio Steven e Jeff in mezzo alla marmaglia di gente, anche loro intenti a limonarsi due tizie. Afferro il bicchiere che mi ha offerto Nicole e bevo a canna, sperando di arrivare a non capire più nulla il più velocemente possibile.
 

Arrivata al quarto gin lemon, decido che ho bisogno di un po’ d’aria ed esco dal locale, seguita a ruota dal gentilissimo ragazzo che mi ha offerto tutto quel ben di Dio. Mi appoggio ad un’auto, lasciandomi abbracciare dal mio accompagnatore. Indesiderato, aggiungerei, ma mi ha offerto da bere e non posso dirgli di no. La mia logica cambia completamente quando le sue mani si allungano pericolosamente verso il mio sedere: dove cazzo sta scritto che se uno mi offre dell’alcool io devo per forza dargliela? Riesco a fargli perdere l’equilibrio con una minima spintarella e, beccandomi qualche imprecazione, prendo il primo autobus per tornare a casa. Da qualche parte nel fondo della mia testolina una voce mi avvisa che forse è meglio dire a Jen e agli altri che sto tornando a casa, ma la ignoro: non riuscirei mai a trovarli in mezzo a quel disastro. E soprattutto, ho bisogno di un letto in questo preciso istante.
 
Scendo dall’autobus e a passi incerti salgo le scale, fino ad arrivare al portone di casa. Appena entrata, mi giunge alle narici una nuvoletta di profumo che non sentivo da tanto tempo, ma al quale ero abituata quando ero ancora nell’appartamento degli Aerosmith. Annuso meglio, tentando di capire se è vero o se sto avendo un’allucinazione. La lucina rossa della brace di una sigaretta accesa fuga ogni mio dubbio e in men che non si dica mi ritrovo di fianco ad Axl, a pregarlo di lasciarmi almeno una boccata di qualsiasi cosa stia fumando. Mi arriva un secco “Arrangiati” per risposta e lo considero come un via libera: prendo un po’ dell’erba che il rosso ha abbandonato sopra al tappeto e con tutta la precisione del mondo mi giro quella cara, piccola canna che attendevo pazientemente dal giorno in cui Tyler mi ha buttata per strada.
 
“Duff, manderai in rovina il Roxy stasera” ride Nicole quando mi scolo l’ennesimo bicchiere. Torno a girarmi verso la marea di gente nel locale e adocchio Steven e Izzy con due tizie diverse da quelle con i quali li ho visti prima. Slash non lo vedo proprio, e mi sa che non lo rivedrò fino a domattina. In compenso, noto che Jennifer sta venendo verso di me con una faccia che riassume tutte le più brutte intenzioni del mondo.
“Nicole, versamene un altro, per piacere”

 
Mi lascio cadere a peso morto sul divano, ridendo con Axl. Ha una faccia davvero buffa, non ci avevo mai fatto caso. Ha la pelle chiara. Chiara come la panna. E i capelli rossi, come una carota. E un naso piccolo piccolo come una patatina. E anche lui sta ridendo, quindi perchè io non dovrei? Mi stendo e rido ancora più forte, chiudendo gli occhi. Sento il peso di Axl appoggiarsi sul mio corpo. Riapro gli occhi. Il nasetto a patatina del rosso sta sfiorando il mio, il suo fiato si mescola ai miei respiri resi affannosi dal troppo ridere. Gli accarezzo le guance, improvvisamente seria.
“Perchè abbiamo inziato a litigare?” chiedo.
Non ricevo una risposta, ma ricevo un bacio. E un altro. E un altro ancora, finchè non si aggiungono le mani di Axl a completare l’opera. Mi unisco ben volentieri al gioco, non domandandomi più come mai litighiamo sempre o perchè ci urliamo dietro ogni volta che ci vediamo. Mi chiedo solo che giorno sia oggi perchè, nel caso non sia ancora scoccato il ventottesimo, sto per perdere la scommessa.
 
 
 
 
 
 
 
  Ciao gente, sono l’autrice e mi scuso profondamente per tutto questo tempo durante il quale sono letteralmente scomparsa. Okay, non cerco scuse, sono un po’ cretina e ho iniziato un altro miliardo di storie prima di finire questa ma, come ho già spiegato a qualcuno, Febbraio riuscirà ad avere tutti e ventotto i suoi giorni.
Grazie per non avermi ancora uccisa dopo tutta quest’attesa, un bacione.
euachkatzl    
 
 
    
  
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