I
muscoli le bruciavano.
Erza stava praticando esercizi di
stretching in preparazione alla corsa che si apprestava ad
intraprendere.
Sedette sul tappetino che aveva sistemato a terra e divaricò
le gambe,
mantenendole tese e piegando il busto in avanti per permettere alla
schiena di
allungarsi; mantenne quella posizione per trenta secondi e poi
cambiò, stavolta
toccandosi la punta dei piedi con le dita. Completata quella serie di
esercizi,
si rialzò, mise da parte il tappeto e si avvicinò
ad un tapis roulant, selezionando
velocità e pendenza: avrebbe tonificato per bene le sue
longilinee gambe
bianche.
-Perché non hai risposto al messaggio
che ti ho mandato?-.
La voce di Lucy Heartphilia la fece
voltare e si accorse che la ragazza aveva occupato la cyclette alla sua
destra;
si stava riferendo alle parole che la sera prima aveva affidato alla
chat.
-Ciao-, la salutò. -Scusami, ma ho
fatto tardi con il lavoro. Quando sono tornata a casa ero stremata e ho
avuto
giusto il tempo di leggere, prima di cadere addormentata-.
-OK, d’accordo… E che ne pensi?-.
-Di cosa?-.
-Di me e Natsu-.
-Vuoi la mia benedizione?-.
-Non è questo quello che intendevo-.
Erza sospirò: -Mi permetti di essere
sincera?-.
-Devi esserlo-, disse con risolutezza
Lucy.
L’amica si prese un paio di minuti
prima di rispondere: -Vedi… Credo che siate una bella
coppia. Insomma, i tipici
opposti che si attraggono e cose simili. Ma alla lunga…-.
-Cosa?-.
-Ho paura che la vostra possa
trasformarsi in una relazione breve, ma intensa. E da quanto ho capito
tu non
punti di certo a questo, no?-.
-Stai dicendo che Natsu si stancherà
di me?-.
-No, Lucy. Al contrario, credo che sia
più probabile che sia tu a decidere di interrompere la
vostra storia-.
-Ma non farei mai una cosa del genere!
Sono innamorata di lui da anni, lo sai!-.
-Penso solo che siate davvero troppo
diversi, ecco tutto. Poi, per carità, vi auguro ogni bene,
ci mancherebbe. Se
siete felici, sarò contenta per voi-.
-Hai qualche altro consiglio?-.
Erza fece spallucce: -Niente di
particolare-.
Lucy aumentò la resistenza della cyclette e
improvvisò una corsa leggera: -Mi sembri stanca. Sicura di
esserti
riposata a dovere?-.
-Uhm? Sì, certo-.
-Allora hai la testa tra le nuvole per
qualche motivo di cui non vuoi parlare?-.
-Sono solo sovrappensiero-, disse
Erza.
Aveva staccato da lavoro alle tre di
quel pomeriggio ed aveva avuto giusto il tempo di tornare a casa per
prendere
il borsone con cui andare in palestra; nonostante tutto, non aveva
smesso per
un istante di riflettere sullo strano sogno che aveva movimentato la
sua
nottata.
-Non ti va di confidarti un po’?-, le
domandò ancora Lucy, che adesso stava pedalando a
perdifiato. -Insomma, sono tua
amica, no? E sarebbe bello se parlassimo apertamente di qualsiasi cosa-.
-Tranquilla-, la rassicurò lei, mentre
fermava il tapis roulant e si avvicinava con sicurezza agli attrezzi
per
l’esercizio degli addominali. -È solo una
sciocchezza-.
-Dall’espressione che hai, non la
definirei esattamente così-, obiettò
l’altra. -Comunque… Devi tornare a
lavoro?-.
-Ho il turno dalle sei all’una, come
al solito-, confermò Erza. -E probabilmente sarò
costretta a trattenermi anche
una mezz’ora in più, visto che ieri sera sono
uscita prima-.
-Tu e Mira dovreste assumere qualcuno
che vi dia una mano-, suggerì Lucy. -Non potrete andare
avanti così per
sempre-.
-Abbiamo appena aperto l’attività e
non possiamo ancora permetterci l’aiuto di nessuno. A meno
che lì fuori non ci
sia qualcuno disposto a lavorare gratis-, aggiunse Erza, indicando
l’esterno
della palestra con un cenno della testa.
-Se volete, posso contribuire alla
vostra causa. Il mio attuale impiego non mi impedisce di collaborare
altrove. E
non avrete bisogno di pagarmi, perché vi aiuterò
come farebbe una qualsiasi
amica-.
-Lucy, non devi-, la bloccò la
ragazza. -Non hai alcun obbligo a…-.
-Lo faccio con piacere-, replicò
l’altra. -Se avessi avuto dei problemi, non mi sarei neanche
proposta, no?-.
Erza le sorrise: -Devi parlarne con
Mira. È lei che gestisce la parte economica-.
-D’accordo. Sono sicura che non ci
penserà due volte prima di accettare la mia offerta-, rise a
sua volta Lucy.
-Ti dispiace se vengo direttamente con te, più tardi?
Così avrò subito una
risposta da parte sua-.
-Come vuoi. Ma se dovessi davvero
iniziare a lavorare con noi al pub, non lamentarti dei ritmi disumani
di Mira,
mi raccomando!-.
Scherzarono ancora su quell’argomento
e Erza fu così presa dalla chiacchierata da dimenticare
momentaneamente il
sogno avuto.
Quella notte, in un modo o nell’altro,
si sarebbe dovuta ricredere.
***
-Lucy
è stata davvero molto gentile,
non trovi?-.
Mirajane stava miscelando rum e cognac
per servire uno dei suoi cocktail migliori e Erza le era accanto per
aggiungere
gradualmente succo di limone e gin.
-Sì-, concordò lei. -Non mi aspettavo
che si proponesse per lavorare con noi-.
-Ha ragione, ad ogni modo: non
possiamo fare tutto da sole. Ti serve qualcuno che ti dia una mano-.
-Mi
serve? Perché, tu invece sei bionica?-.
-No, ma reggo meglio di te. È un dato
di fatto-.
-Mira, devo solo abituarmi agli
attuali orari. Cerca di capirmi…-.
-Ti capisco, infatti. Ed è per questo
che ho accettato l’aiuto di Lucy. Certo, se avesse voluto uno
stipendio
probabilmente non le avrei detto di sì, ma grazie al Cielo
è nostra amica. Ogni
tanto la fortuna è dalla nostra parte-, rise la ragazza,
shakerando e versando
il liquido dorato in un bicchiere di vetro massiccio.
-Quindi inizierà a lavorare da
domani?-.
-Già. Mi ha dato piena disponibilità.
Vuoi spartire il turno con lei?-.
-Cosa? No!-.
-Erza, ti si legge in faccia quanto tu
sia stanca. Puoi truccarti quanto ti pare, ma il fondotinta non
nasconde le
occhiaie; e io non voglio che la mia migliore amica si senta male a
causa del
lavoro-.
-Mira…-.
-Siamo indipendenti, adesso. Siamo le
proprietarie di questo locale e possiamo decidere liberamente cosa fare
o non
fare. Quindi prenditi pure una settimana di riposo, se è
questo quello di cui
hai bisogno. Te l’ho detto, io ce la faccio benissimo. E con
Lucy di supporto
l’attività del pub non rallenterà-.
-Così mi fai sentire in colpa…-,
sussurrò Erza, riponendo cognac e gin dietro una vetrina.
-Niente affatto. Devi renderti conto
dei tuoi limiti. Pensa a quando eravamo alle dipendenze di Laxus: io
lavoravo
ininterrottamente dalle sette del mattino alle undici della sera, con
due sole
pause a pranzo e cena; tu invece avevi dei turni più
leggeri, di cinque o sei
ore al massimo. A darti il cambio erano Cana o Lluvia e non accumulavi
lo
stesso stress di adesso. Perciò pensa un po’ a te
stessa: riguardati e
riprenditi dalla fatica. L’ultima cosa che devi fare
è sentirti in colpa,
credimi-.
Erza abbassò lo sguardo sul bancone:
sebbene non fosse troppo convinta delle parole dell’amica,
era indubbio che
avesse bisogno di staccare la spina.
-Ma come te la caverai se io dovessi
fermarmi? Saresti da sola fino alle sei del pomeriggio, quando
finalmente
arriverebbe Lucy. E chi ti ha detto che lei invece sarà
capace di resistere a
sei ore filate di servizio?-.
-Ce la farà-, la rassicurò Mirajane.
-È una ragazza resistente, anche se a prima vista non lo si
direbbe-.
-Un Blu Margarita, per favore-, ordinò
un uomo di mezza età, avvicinandosi al bancone e
interrompendo la
conversazione.
-Subito, signore-, gli sorrise Mira,
voltandosi e recuperando da una mensola della tequila e del succo di
lime.
-Erza, passami del sale e prendi del Curaçao dal retro-.
L’amica non se lo fece ripetere due
volte: tre minuti più tardi il cliente stava già
assaporando l’amarissimo
drink.
***
-Te
lo chiedo di nuovo: sei sicura di
non aver bisogno di me?-.
-Stai tranquilla e va’ a casa-.
-Per quanto…?-.
-Prenditi tutto il tempo necessario.
Quando ritornerai al lavoro, sarai una persona nuova-.
Mirajane abbracciò Erza e le aprì la
porta del locale per permetterle di uscire. Anche quella sera avevano
fatto
tardi – Scarlet si era imposta di recuperare la
mezz’ora persa il giorno prima
– e finalmente era giunto il momento di ritirarsi.
-Spiega a Lucy la situazione-, la
pregò ancora Erza, mettendo un piede fuori dal locale.
-Altrimenti penserà che
ho voluto approfittare della sua gentilezza-.
-Mi occuperò io di tutto-, le sorrise
la ragazza. -Ci vediamo presto-.
Si congedarono definitivamente e si
separarono, prendendo ciascuna la direzione opposta: Erza si
incamminò in
direzione di Green Lane, Mirajane prese Victoria Street. Entrambe
preferirono
non prendere il taxi, come se camminare nel freddo della notte potesse
allontanare tutti i pensieri e le preoccupazioni che le attanagliavano.
Un quarto d’ora dopo Erza era davanti al proprio condominio.
Aprendo la porta d’ingresso si chiese se
l’ascensore
fosse stato fatto aggiustare, ma a quanto pareva ci sarebbe voluto
qualche giorno
in più: il cartello che ne proibiva l’utilizzo era
ancora appeso al suo posto e
la ragazza utilizzò di nuovo le scale.
Una volta entrata nell’appartamento,
si liberò dell’impermeabile e lo gettò
malamente sul divano insieme alla borsa.
Ebbe giusto il tempo di spogliarsi ed indossare la camicia da notte,
prima di
addormentarsi così profondamente da iniziare a confondere i
sogni con la
realtà.
***
Stava
parlando animatamente con
Mirajane, cercando di farla ragionare. Domani sarebbe andata a lavoro,
poche
storie. L’amica avrebbe anche potuto buttarla fuori dal
locale per imporle di
riposare, ma a lei non sarebbe importato: sarebbe rientrata dalla porta
sul
retro e le avrebbe dimostrato di potercela fare. Non sarebbe stata la
stanchezza a fermarla.
Poi, tutto d’un tratto, la scena
sfumò. Non si trovava più nel pub, ma di fronte
al cancello d’entrata del
Magnolia Park. Si guardò intorno con discrezione e
constatò che non ci fosse nessuno
nei paraggi; pensò che avrebbe fatto bene ad andarsene, ma
c’era qualcosa che
la spingeva ad inoltrarsi nel parco. E così fece.
Nulla era cambiato rispetto al sogno
della notte precedente. L’unica differenza era che non aveva
nessun cane con
sé. Non che le dispiacesse, in fin dei conti, ma sapere di
essere
apparentemente sola e con la foschia invernale pronta ad assalirla non
la
rassicurava affatto.
Camminò per minuti che le parvero
interminabili, facendosi strada tra corridoi di alberi spogli e foglie
crepitanti. Si rese conto che avanzare le faceva aumentare i battiti
del cuore:
era una sensazione strana e non aveva idea di cosa la stesse
provocando. Era
difficile stabilire se il ritmo cardiaco stesse dando in escandescenze
per
l’ansia – quel parco aveva iniziato ad inquietarla
– o per il desiderio di
sapere chi o cosa avrebbe visto continuando ad andare avanti.
Quando raggiunse la fine di quel
lunghissimo corridoio alberato, uno specchio d’acqua grigia
le riempì lo
sguardo. Aveva raggiunto il laghetto artificiale costruito al centro
del
Magnolia Park ed immediatamente ricordò cosa era accaduto la
notte precedente:
era quello il posto in cui lei e lo sconosciuto di nome Jellal
Fernandes – si
chiamava così, vero? Temeva di non ricordarlo più
– stavano andando prima che
il suono della sveglia la riscuotesse dal sogno.
“Ci sarà anche lui?”, si
ritrovò a
pensare Erza, sfregandosi le mani per impedire che congelassero.
Perché
dimenticava sempre i guanti?
Scrutò le piccole onde che
increspavano la superficie del lago e le venne naturale pensare che in
inverno
quella fonte d’acqua fosse molto simile ad una gigantesca
pozzanghera.
Dopotutto, non valeva la pena di rimanere lì: se fosse stata
nei panni di
quello strano uomo, avrebbe evitato quel posto almeno fino a primavera,
quando
il sole avrebbe scintillato nel cielo e il lago sarebbe tornato ad
essere di un
azzurro brillante.
Erza si strinse nell’impermeabile e
cercò di contrastare un brivido che le aveva percorso la
schiena per colpa del
vento freddo che spazzava i dintorni del laghetto. Diede le spalle
all’acqua e
si avviò nella direzione opposta, costeggiando comunque la
bassa recinzione che
separava il prato dalle rive fangose del lago. Pensò se non
fosse il caso di
uscire di lì: il silenzio regnava sovrano come nel
precedente sogno e ormai
aveva perso la speranza di incontrare quell’insolito tipo dal
tatuaggio rosso.
“Di tanti posti che potevo immaginare,
sono tornata qui”, si disse Erza, scuotendo la testa.
“Mi sarebbe piaciuto
sapere come sarebbe finito quel sogno, ma a questo
punto…”.
Una folata più forte di vento la
costrinse a chiudere gli occhi e ad abbassare il capo, scuotendola da
capo a
piedi. Un vortice di foglie la investì in pieno e
scacciò con fatica tutte
quelle che le si erano impigliate tra i capelli. Quando schiuse le
palpebre lo
vide.
C’era una panchina in ferro battuto a
una ventina di metri da lei. Era rivolta proprio verso il lago e su di
essa,
rilassato, ma pensieroso allo stesso tempo, era seduto il giovane che
stava
cercando – cercando? No, affatto. Perché avrebbe
dovuto interessarsi di uno
sconosciuto con cui aveva anche avuto una discussione?
Lo ammirò da lontano ed il cuore, che
si era calmato per tutto il tempo in cui aveva contemplato il lago,
riprese a
battere con maggior vigore. Per un attimo ebbe l’impressione
che il muscolo la
stesse guidando in quella direzione al pari di una bussola, ma come
poteva
essere? Non aveva senso, no?
Mentre quelle domande si accalcavano
nella sua testa, il ragazzo si voltò nella sua direzione. Le
parve che avesse
sorriso.
-Ehi!-, la chiamò, agitando in alto un
braccio.
Erza non si mosse: stava aspettando
che fosse lui a compiere il primo passo, ma a quanto pare Jellal non
aveva
alcuna intenzione di alzarsi. Così si arrese e gli si
avvicinò, preparando
mentalmente ciò che avrebbe voluto chiedergli.
-Ciao-, lo salutò con un’informalità
che stupì lei per prima. Era normale salutare in quel modo
qualcuno di cui non si
conosce altro che il nome?
-Non mi aspettavo di rincontrarla così
presto, anche se ieri mi è dispiaciuto vederla scomparire
come se nulla fosse-,
disse lui con tono rammaricato. Però si ostinava a darle del
“lei”, come Erza
si accorse subito.
-Le avevo detto di avere fretta-,
provò a giustificarsi.
-Ma non mi aspettavo che fosse così
tanta-, rise Jellal. -Ho avuto
paura che se la fosse davvero presa per la faccenda di Buck-.
-No. La questione è chiusa-.
-Sono contento di sentirglielo dire-.
-A proposito… Lui dov’è?-,
domandò la
ragazza, guardandosi intorno alla ricerca del labrador.
-È stato con me fino ad un momento fa.
È sparito di nuovo-.
-Non è preoccupato?-.
-Tornerà. Torna sempre-.
Erza lo osservò per una manciata di
secondi – quel trench nero gli stava davvero bene, doveva
ammetterlo – e rimase
impalata finché lui non la riscosse da quei pensieri.
-Perché non si siede?-, la invitò
Jellal, battendo delicatamente la mano sul posto vuoto al suo fianco.
-C’è
abbastanza spazio per tutti e due-.
Nonostante diffidasse ancora di
quell’uomo, Erza si accomodò sulla panchina,
rigirandosi le dita, a disagio.
-Forse dovrebbe andare a cercare
Buck-, gli disse.
-No-.
-Ma è il suo cane!-.
-Ho elaborato un’altra teoria, in
merito-, cominciò a spiegare Jellal.
-Per favore, non discutiamo di nuovo
se…-.
-Mi ascolti-, la pregò, poggiandole
una mano sulle sue. Un altro brivido investì Erza, ma
stavolta la causa non fu
il vento. -Ho pensato che Buck non sia di nessuno-.
-Sta dicendo che è un randagio?-. Ma
quanto erano calde le mani di quel ragazzo? Eppure neanche lui
indossava i
guanti.
-Più o meno-.
-Cosa vuol dire?-.
-Deve essere un cane fantasma-.
Erza lo guardò prima sollevando un
sopracciglio, poi ridendo apertamente.
-Ma cosa dice!-, esclamò, sentendo
lacrime di ilarità bagnarle le ciglia. -Un fantasma!-.
-Perché no? Dopotutto, compare e
scompare a suo piacimento. E sembra che l’unica cosa che gli
interessi sia…-.
Jellal si bloccò. Stava per dire
qualcosa, ma all’ultimo secondo pensò che fosse
meglio tacere.
-Che gli interessi…? Vada avanti-, lo
incoraggiò Erza, temendo di averlo fatto vergognare con la
risata di poco
prima.
-Nulla. Era solo un mio
vagheggiamento, mi scusi-.
Rimasero in silenzio per parecchi
minuti. Il sibilo del vento era l’unico suono che riempiva
l’aria attorno a
loro.
-È stato lui a portarmi qui-, le disse
in un soffio il ragazzo. -Ero da tutt’altra parte, ma di
colpo si è
materializzato accanto a me e mi ha accompagnato in riva al lago. Ho
visto
questa panchina e ho pensato di sedermi un po’ mentre lui
giocava, ma Buck è
sparito subito dopo. E l’istante successivo…
È arrivata lei. Un po’ come è
successo ieri-.
Jellal ritirò la mano e Erza sentì le
proprie tornare a gelare: -Mi stava… aspettando?-,
domandò, incerta.
-Be’… Diciamo che sarei stato molto
contento di rivederla-, le sorrise. -E sono rimasto qui in attesa per
parecchio, ad essere sincero. Stavo quasi per andarmene, ma la mia
pazienza è
stata ripagata-.
Le rivolse lo stesso sguardo che
l’aveva trafitta – era davvero quella la sensazione
che aveva provato? – nel
sogno precedente e Erza si preoccupò di non arrossire.
Jellal aveva degli occhi
in grado di intimidirla, in un certo senso.
-Perché proprio il lago?-, gli chiese.
-Forse perché era questa la meta che
avevamo fissato-.
Sì, era la stessa cosa che aveva
pensato anche lei. Ma era tutto troppo strano, per quanto quella fosse
un’illusione creata dalla mente.
-Faremo bene a cambiare posto,
allora-, disse Erza, sorridendo a sua volta.
-Come mai?-.
-Non è molto allettante fissare questa
grossa pozzanghera grigia-.
-Uhm, ha ragione. Ma sa cosa penso?-.
La ragazza scosse la testa.
-Che in qualche modo questo sia un
luogo magico. E non rida di nuovo, per favore-.
-Non lo farò-, lo rassicurò. Per un
attimo fu tentata di toccargli le mani come lui aveva fatto poco prima
nei suoi
confronti, ma desistette. -Cosa le fa credere che sia davvero
così?-.
-Il fatto che ci siamo incontrati di
nuovo quando non ci si imbatte mai in nessuno, da queste parti; il
fatto che
avevamo deciso di venirci insieme, ma non ne abbiamo avuto la
possibilità. Ed
infine, il fatto che lei sia comparsa così
all’improvviso, proprio quando
pensavo che non l’avrei rivista mai più-.
Erza non mosse un muscolo. Il cuore
aveva ripreso a bruciarle e provò l’impulso di
alzarsi e allontanarsi da lì il
prima possibile. Tuttavia non fece nulla di ciò.
Fu Jellal a scattare in piedi e i suoi
movimenti furono così improvvisi da coglierla di sorpresa.
-Cosa succede?-, gli domandò.
-Vuole fare una passeggiata? Almeno ci
riscalderemo un po’, camminando-.
Le tese la mano e Erza, soppesata
l’offerta, la strinse.
-Oggi non la lascerò scappare-, le
disse lui con un sorriso, prendendola a braccetto. -Mi piacerebbe
sapere
qualcosa in più sul suo conto-.
-Solo se anche lei mi parlerà della
sua vita-, precisò la ragazza.
-Benissimo. Non c’è nulla che non
possa dire-.
-Allora cominci-, lo esortò Erza.
-Mi ha detto che frequenta la
palestra, giusto?-.
-Già-, annuì. Si ricordava quel
particolare? E pensare che lei aveva già dimenticato di
averglielo riferito!
-A me piace correre all’aria aperta.
Credo che sia molto più sano che non starsene al chiuso-.
-Anche a me piace, ma con questo
freddo…-.
-L’ho notato. Le sue mani sono
gelide-.
Si fermò e la guardò negli occhi,
mentre Erza sentiva un fuoco estraneo infiammargli il viso –
eppure avrebbe
giurato di essere pallida, visto che il vento non aveva smesso di
soffiare,
impetuoso – poi intrecciò le proprie dita a quelle
della ragazza.
-Va meglio?-.
-P-penso di s-sì-, lei batté i denti.
Per la seconda volta non era stato il gelo a ridurla in quello stato.
-Potremmo correre insieme, un giorno-,
le disse Jellal. -Magari quando tornerà la primavera-.
-Meglio-, concordò Erza.
-Fino ad allora, temo che saremo
costretti a vederci qui, nella foschia di dicembre. Ma solo se lei lo
vorrà-.
Quel sogno riusciva a spiazzarla. Era
come se avesse incontrato un amico – poteva definirlo
così? C’erano momenti in
cui le sembrava che riuscisse a capirla molto più di quanto
non avrebbe fatto
una persona come Mirajane – con cui avrebbe potuto parlare davvero di ogni cosa. Eppure rimaneva un
estraneo, un’illusione. E
quel pensiero di colpo le fece male.
Si rese conto che il calore che le
mani di Jellal sprigionavano non era completamente reale. Era solo una
sensazione e questo perché, nella vita di tutti i giorni,
aveva avuto
esperienza di cosa era freddo e cosa caldo. Così come da
piccola – quando
ancora viveva con i propri genitori – aveva tenuto per
qualche tempo in casa il
cane di Wally, un suo compagno di classe delle Elementari che era
andato in vacanza
e gli aveva affidato il proprio animale durante l’estate.
-Ci incontreremo solo nei sogni,
allora?-, chiese lei.
-Finché lo vorrai, sarò qui per te-.
Era passato a darle del “tu” come se
nulla fosse. Erza ne fu felice, salvo accorgersi l’istante
successivo che
probabilmente quel cambiamento era avvenuto perché lei aveva
desiderato che accadesse.
-Guidami, allora-, sussurrò la
ragazza. -Mostrami luoghi che non ho ancora visto-.
Jellal le sorrise e la prese di nuovo
sottobraccio: -Non vedevo l’ora di sentirtelo dire-.
Si incamminarono verso il lato est del
parco, attraversando un viale di alberi sempreverdi; a Erza
sembrò che quello
fosse veramente un posto diverso.
Poi una luce accecante le fece serrare
le palpebre e non percepì più il braccio del
ragazzo intorno al suo.
Quando aprì gli occhi, si accorse che
un debole raggio di sole trapelava dalle tapparelle della finestra
della
propria camera.
Era tornata nel suo appartamento.