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Autore: Amor31    06/12/2014    0 recensioni
Da quando ha aperto un'attività indipendente con Mirajane, Erza Scarlet non trova pace.
Stremata dalla fatica, decide di prendersi qualche giorno di riposo per riconquistare le forze.
Non ha messo in conto che nei sogni si vive un'altra vita.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erza Scarlet, Gerard, Lucy Heartphilia, Luxus Dreher, Mirajane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

I muscoli le bruciavano.
Erza stava praticando esercizi di stretching in preparazione alla corsa che si apprestava ad intraprendere. Sedette sul tappetino che aveva sistemato a terra e divaricò le gambe, mantenendole tese e piegando il busto in avanti per permettere alla schiena di allungarsi; mantenne quella posizione per trenta secondi e poi cambiò, stavolta toccandosi la punta dei piedi con le dita. Completata quella serie di esercizi, si rialzò, mise da parte il tappeto e si avvicinò ad un tapis roulant, selezionando velocità e pendenza: avrebbe tonificato per bene le sue longilinee gambe bianche.
-Perché non hai risposto al messaggio che ti ho mandato?-.
La voce di Lucy Heartphilia la fece voltare e si accorse che la ragazza aveva occupato la cyclette alla sua destra; si stava riferendo alle parole che la sera prima aveva affidato alla chat.
-Ciao-, la salutò. -Scusami, ma ho fatto tardi con il lavoro. Quando sono tornata a casa ero stremata e ho avuto giusto il tempo di leggere, prima di cadere addormentata-.
-OK, d’accordo… E che ne pensi?-.
-Di cosa?-.
-Di me e Natsu-.
-Vuoi la mia benedizione?-.
-Non è questo quello che intendevo-.
Erza sospirò: -Mi permetti di essere sincera?-.
-Devi esserlo-, disse con risolutezza Lucy.
L’amica si prese un paio di minuti prima di rispondere: -Vedi… Credo che siate una bella coppia. Insomma, i tipici opposti che si attraggono e cose simili. Ma alla lunga…-.
-Cosa?-.
-Ho paura che la vostra possa trasformarsi in una relazione breve, ma intensa. E da quanto ho capito tu non punti di certo a questo, no?-.
-Stai dicendo che Natsu si stancherà di me?-.
-No, Lucy. Al contrario, credo che sia più probabile che sia tu a decidere di interrompere la vostra storia-.
-Ma non farei mai una cosa del genere! Sono innamorata di lui da anni, lo sai!-.
-Penso solo che siate davvero troppo diversi, ecco tutto. Poi, per carità, vi auguro ogni bene, ci mancherebbe. Se siete felici, sarò contenta per voi-.
-Hai qualche altro consiglio?-.
Erza fece spallucce: -Niente di particolare-.
Lucy aumentò la resistenza della cyclette e improvvisò una corsa leggera: -Mi sembri stanca. Sicura di esserti riposata a dovere?-.
-Uhm? Sì, certo-.
-Allora hai la testa tra le nuvole per qualche motivo di cui non vuoi parlare?-.
-Sono solo sovrappensiero-, disse Erza.
Aveva staccato da lavoro alle tre di quel pomeriggio ed aveva avuto giusto il tempo di tornare a casa per prendere il borsone con cui andare in palestra; nonostante tutto, non aveva smesso per un istante di riflettere sullo strano sogno che aveva movimentato la sua nottata.
-Non ti va di confidarti un po’?-, le domandò ancora Lucy, che adesso stava pedalando a perdifiato. -Insomma, sono tua amica, no? E sarebbe bello se parlassimo apertamente di qualsiasi cosa-.
-Tranquilla-, la rassicurò lei, mentre fermava il tapis roulant e si avvicinava con sicurezza agli attrezzi per l’esercizio degli addominali. -È solo una sciocchezza-.
-Dall’espressione che hai, non la definirei esattamente così-, obiettò l’altra. -Comunque… Devi tornare a lavoro?-.
-Ho il turno dalle sei all’una, come al solito-, confermò Erza. -E probabilmente sarò costretta a trattenermi anche una mezz’ora in più, visto che ieri sera sono uscita prima-.
-Tu e Mira dovreste assumere qualcuno che vi dia una mano-, suggerì Lucy. -Non potrete andare avanti così per sempre-.
-Abbiamo appena aperto l’attività e non possiamo ancora permetterci l’aiuto di nessuno. A meno che lì fuori non ci sia qualcuno disposto a lavorare gratis-, aggiunse Erza, indicando l’esterno della palestra con un cenno della testa.
-Se volete, posso contribuire alla vostra causa. Il mio attuale impiego non mi impedisce di collaborare altrove. E non avrete bisogno di pagarmi, perché vi aiuterò come farebbe una qualsiasi amica-.
-Lucy, non devi-, la bloccò la ragazza. -Non hai alcun obbligo a…-.
-Lo faccio con piacere-, replicò l’altra. -Se avessi avuto dei problemi, non mi sarei neanche proposta, no?-.
Erza le sorrise: -Devi parlarne con Mira. È lei che gestisce la parte economica-.
-D’accordo. Sono sicura che non ci penserà due volte prima di accettare la mia offerta-, rise a sua volta Lucy. -Ti dispiace se vengo direttamente con te, più tardi? Così avrò subito una risposta da parte sua-.
-Come vuoi. Ma se dovessi davvero iniziare a lavorare con noi al pub, non lamentarti dei ritmi disumani di Mira, mi raccomando!-.
Scherzarono ancora su quell’argomento e Erza fu così presa dalla chiacchierata da dimenticare momentaneamente il sogno avuto.
Quella notte, in un modo o nell’altro, si sarebbe dovuta ricredere.

 

***

 

-Lucy è stata davvero molto gentile, non trovi?-.
Mirajane stava miscelando rum e cognac per servire uno dei suoi cocktail migliori e Erza le era accanto per aggiungere gradualmente succo di limone e gin.
-Sì-, concordò lei. -Non mi aspettavo che si proponesse per lavorare con noi-.
-Ha ragione, ad ogni modo: non possiamo fare tutto da sole. Ti serve qualcuno che ti dia una mano-.
-Mi serve? Perché, tu invece sei bionica?-.
-No, ma reggo meglio di te. È un dato di fatto-.
-Mira, devo solo abituarmi agli attuali orari. Cerca di capirmi…-.
-Ti capisco, infatti. Ed è per questo che ho accettato l’aiuto di Lucy. Certo, se avesse voluto uno stipendio probabilmente non le avrei detto di sì, ma grazie al Cielo è nostra amica. Ogni tanto la fortuna è dalla nostra parte-, rise la ragazza, shakerando e versando il liquido dorato in un bicchiere di vetro massiccio.
-Quindi inizierà a lavorare da domani?-.
-Già. Mi ha dato piena disponibilità. Vuoi spartire il turno con lei?-.
-Cosa? No!-.
-Erza, ti si legge in faccia quanto tu sia stanca. Puoi truccarti quanto ti pare, ma il fondotinta non nasconde le occhiaie; e io non voglio che la mia migliore amica si senta male a causa del lavoro-.
-Mira…-.
-Siamo indipendenti, adesso. Siamo le proprietarie di questo locale e possiamo decidere liberamente cosa fare o non fare. Quindi prenditi pure una settimana di riposo, se è questo quello di cui hai bisogno. Te l’ho detto, io ce la faccio benissimo. E con Lucy di supporto l’attività del pub non rallenterà-.
-Così mi fai sentire in colpa…-, sussurrò Erza, riponendo cognac e gin dietro una vetrina.
-Niente affatto. Devi renderti conto dei tuoi limiti. Pensa a quando eravamo alle dipendenze di Laxus: io lavoravo ininterrottamente dalle sette del mattino alle undici della sera, con due sole pause a pranzo e cena; tu invece avevi dei turni più leggeri, di cinque o sei ore al massimo. A darti il cambio erano Cana o Lluvia e non accumulavi lo stesso stress di adesso. Perciò pensa un po’ a te stessa: riguardati e riprenditi dalla fatica. L’ultima cosa che devi fare è sentirti in colpa, credimi-.
Erza abbassò lo sguardo sul bancone: sebbene non fosse troppo convinta delle parole dell’amica, era indubbio che avesse bisogno di staccare la spina.
-Ma come te la caverai se io dovessi fermarmi? Saresti da sola fino alle sei del pomeriggio, quando finalmente arriverebbe Lucy. E chi ti ha detto che lei invece sarà capace di resistere a sei ore filate di servizio?-.
-Ce la farà-, la rassicurò Mirajane. -È una ragazza resistente, anche se a prima vista non lo si direbbe-.
-Un Blu Margarita, per favore-, ordinò un uomo di mezza età, avvicinandosi al bancone e interrompendo la conversazione.
-Subito, signore-, gli sorrise Mira, voltandosi e recuperando da una mensola della tequila e del succo di lime. -Erza, passami del sale e prendi del Curaçao dal retro-.
L’amica non se lo fece ripetere due volte: tre minuti più tardi il cliente stava già assaporando l’amarissimo drink.

 

***

 

-Te lo chiedo di nuovo: sei sicura di non aver bisogno di me?-.
-Stai tranquilla e va’ a casa-.
-Per quanto…?-.
-Prenditi tutto il tempo necessario. Quando ritornerai al lavoro, sarai una persona nuova-.
Mirajane abbracciò Erza e le aprì la porta del locale per permetterle di uscire. Anche quella sera avevano fatto tardi – Scarlet si era imposta di recuperare la mezz’ora persa il giorno prima – e finalmente era giunto il momento di ritirarsi.
-Spiega a Lucy la situazione-, la pregò ancora Erza, mettendo un piede fuori dal locale. -Altrimenti penserà che ho voluto approfittare della sua gentilezza-.
-Mi occuperò io di tutto-, le sorrise la ragazza. -Ci vediamo presto-.
Si congedarono definitivamente e si separarono, prendendo ciascuna la direzione opposta: Erza si incamminò in direzione di Green Lane, Mirajane prese Victoria Street. Entrambe preferirono non prendere il taxi, come se camminare nel freddo della notte potesse allontanare tutti i pensieri e le preoccupazioni che le attanagliavano.
Un quarto d’ora dopo Erza era davanti al proprio condominio. Aprendo la porta d’ingresso si chiese se l’ascensore fosse stato fatto aggiustare, ma a quanto pareva ci sarebbe voluto qualche giorno in più: il cartello che ne proibiva l’utilizzo era ancora appeso al suo posto e la ragazza utilizzò di nuovo le scale.
Una volta entrata nell’appartamento, si liberò dell’impermeabile e lo gettò malamente sul divano insieme alla borsa. Ebbe giusto il tempo di spogliarsi ed indossare la camicia da notte, prima di addormentarsi così profondamente da iniziare a confondere i sogni con la realtà.

 

***

 

Stava parlando animatamente con Mirajane, cercando di farla ragionare. Domani sarebbe andata a lavoro, poche storie. L’amica avrebbe anche potuto buttarla fuori dal locale per imporle di riposare, ma a lei non sarebbe importato: sarebbe rientrata dalla porta sul retro e le avrebbe dimostrato di potercela fare. Non sarebbe stata la stanchezza a fermarla.
Poi, tutto d’un tratto, la scena sfumò. Non si trovava più nel pub, ma di fronte al cancello d’entrata del Magnolia Park. Si guardò intorno con discrezione e constatò che non ci fosse nessuno nei paraggi; pensò che avrebbe fatto bene ad andarsene, ma c’era qualcosa che la spingeva ad inoltrarsi nel parco. E così fece.
Nulla era cambiato rispetto al sogno della notte precedente. L’unica differenza era che non aveva nessun cane con sé. Non che le dispiacesse, in fin dei conti, ma sapere di essere apparentemente sola e con la foschia invernale pronta ad assalirla non la rassicurava affatto.
Camminò per minuti che le parvero interminabili, facendosi strada tra corridoi di alberi spogli e foglie crepitanti. Si rese conto che avanzare le faceva aumentare i battiti del cuore: era una sensazione strana e non aveva idea di cosa la stesse provocando. Era difficile stabilire se il ritmo cardiaco stesse dando in escandescenze per l’ansia – quel parco aveva iniziato ad inquietarla – o per il desiderio di sapere chi o cosa avrebbe visto continuando ad andare avanti.
Quando raggiunse la fine di quel lunghissimo corridoio alberato, uno specchio d’acqua grigia le riempì lo sguardo. Aveva raggiunto il laghetto artificiale costruito al centro del Magnolia Park ed immediatamente ricordò cosa era accaduto la notte precedente: era quello il posto in cui lei e lo sconosciuto di nome Jellal Fernandes – si chiamava così, vero? Temeva di non ricordarlo più – stavano andando prima che il suono della sveglia la riscuotesse dal sogno.
“Ci sarà anche lui?”, si ritrovò a pensare Erza, sfregandosi le mani per impedire che congelassero. Perché dimenticava sempre i guanti?
Scrutò le piccole onde che increspavano la superficie del lago e le venne naturale pensare che in inverno quella fonte d’acqua fosse molto simile ad una gigantesca pozzanghera. Dopotutto, non valeva la pena di rimanere lì: se fosse stata nei panni di quello strano uomo, avrebbe evitato quel posto almeno fino a primavera, quando il sole avrebbe scintillato nel cielo e il lago sarebbe tornato ad essere di un azzurro brillante.
Erza si strinse nell’impermeabile e cercò di contrastare un brivido che le aveva percorso la schiena per colpa del vento freddo che spazzava i dintorni del laghetto. Diede le spalle all’acqua e si avviò nella direzione opposta, costeggiando comunque la bassa recinzione che separava il prato dalle rive fangose del lago. Pensò se non fosse il caso di uscire di lì: il silenzio regnava sovrano come nel precedente sogno e ormai aveva perso la speranza di incontrare quell’insolito tipo dal tatuaggio rosso.
“Di tanti posti che potevo immaginare, sono tornata qui”, si disse Erza, scuotendo la testa. “Mi sarebbe piaciuto sapere come sarebbe finito quel sogno, ma a questo punto…”.
Una folata più forte di vento la costrinse a chiudere gli occhi e ad abbassare il capo, scuotendola da capo a piedi. Un vortice di foglie la investì in pieno e scacciò con fatica tutte quelle che le si erano impigliate tra i capelli. Quando schiuse le palpebre lo vide.
C’era una panchina in ferro battuto a una ventina di metri da lei. Era rivolta proprio verso il lago e su di essa, rilassato, ma pensieroso allo stesso tempo, era seduto il giovane che stava cercando – cercando? No, affatto. Perché avrebbe dovuto interessarsi di uno sconosciuto con cui aveva anche avuto una discussione?
Lo ammirò da lontano ed il cuore, che si era calmato per tutto il tempo in cui aveva contemplato il lago, riprese a battere con maggior vigore. Per un attimo ebbe l’impressione che il muscolo la stesse guidando in quella direzione al pari di una bussola, ma come poteva essere? Non aveva senso, no?
Mentre quelle domande si accalcavano nella sua testa, il ragazzo si voltò nella sua direzione. Le parve che avesse sorriso.
-Ehi!-, la chiamò, agitando in alto un braccio.
Erza non si mosse: stava aspettando che fosse lui a compiere il primo passo, ma a quanto pare Jellal non aveva alcuna intenzione di alzarsi. Così si arrese e gli si avvicinò, preparando mentalmente ciò che avrebbe voluto chiedergli.
-Ciao-, lo salutò con un’informalità che stupì lei per prima. Era normale salutare in quel modo qualcuno di cui non si conosce altro che il nome?
-Non mi aspettavo di rincontrarla così presto, anche se ieri mi è dispiaciuto vederla scomparire come se nulla fosse-, disse lui con tono rammaricato. Però si ostinava a darle del “lei”, come Erza si accorse subito.
-Le avevo detto di avere fretta-, provò a giustificarsi.
-Ma non mi aspettavo che fosse così tanta-, rise Jellal. -Ho avuto paura che se la fosse davvero presa per la faccenda di Buck-.
-No. La questione è chiusa-.
-Sono contento di sentirglielo dire-.
-A proposito… Lui dov’è?-, domandò la ragazza, guardandosi intorno alla ricerca del labrador.
-È stato con me fino ad un momento fa. È sparito di nuovo-.
-Non è preoccupato?-.
-Tornerà. Torna sempre-.
Erza lo osservò per una manciata di secondi – quel trench nero gli stava davvero bene, doveva ammetterlo – e rimase impalata finché lui non la riscosse da quei pensieri.
-Perché non si siede?-, la invitò Jellal, battendo delicatamente la mano sul posto vuoto al suo fianco. -C’è abbastanza spazio per tutti e due-.
Nonostante diffidasse ancora di quell’uomo, Erza si accomodò sulla panchina, rigirandosi le dita, a disagio.
-Forse dovrebbe andare a cercare Buck-, gli disse.
-No-.
-Ma è il suo cane!-.
-Ho elaborato un’altra teoria, in merito-, cominciò a spiegare Jellal.
-Per favore, non discutiamo di nuovo se…-.
-Mi ascolti-, la pregò, poggiandole una mano sulle sue. Un altro brivido investì Erza, ma stavolta la causa non fu il vento. -Ho pensato che Buck non sia di nessuno-.
-Sta dicendo che è un randagio?-. Ma quanto erano calde le mani di quel ragazzo? Eppure neanche lui indossava i guanti.
-Più o meno-.
-Cosa vuol dire?-.
-Deve essere un cane fantasma-.
Erza lo guardò prima sollevando un sopracciglio, poi ridendo apertamente.
-Ma cosa dice!-, esclamò, sentendo lacrime di ilarità bagnarle le ciglia. -Un fantasma!-.
-Perché no? Dopotutto, compare e scompare a suo piacimento. E sembra che l’unica cosa che gli interessi sia…-.
Jellal si bloccò. Stava per dire qualcosa, ma all’ultimo secondo pensò che fosse meglio tacere.
-Che gli interessi…? Vada avanti-, lo incoraggiò Erza, temendo di averlo fatto vergognare con la risata di poco prima.
-Nulla. Era solo un mio vagheggiamento, mi scusi-.
Rimasero in silenzio per parecchi minuti. Il sibilo del vento era l’unico suono che riempiva l’aria attorno a loro.
-È stato lui a portarmi qui-, le disse in un soffio il ragazzo. -Ero da tutt’altra parte, ma di colpo si è materializzato accanto a me e mi ha accompagnato in riva al lago. Ho visto questa panchina e ho pensato di sedermi un po’ mentre lui giocava, ma Buck è sparito subito dopo. E l’istante successivo… È arrivata lei. Un po’ come è successo ieri-.
Jellal ritirò la mano e Erza sentì le proprie tornare a gelare: -Mi stava… aspettando?-, domandò, incerta.
-Be’… Diciamo che sarei stato molto contento di rivederla-, le sorrise. -E sono rimasto qui in attesa per parecchio, ad essere sincero. Stavo quasi per andarmene, ma la mia pazienza è stata ripagata-.
Le rivolse lo stesso sguardo che l’aveva trafitta – era davvero quella la sensazione che aveva provato? – nel sogno precedente e Erza si preoccupò di non arrossire. Jellal aveva degli occhi in grado di intimidirla, in un certo senso.
-Perché proprio il lago?-, gli chiese.
-Forse perché era questa la meta che avevamo fissato-.
Sì, era la stessa cosa che aveva pensato anche lei. Ma era tutto troppo strano, per quanto quella fosse un’illusione creata dalla mente.
-Faremo bene a cambiare posto, allora-, disse Erza, sorridendo a sua volta.
-Come mai?-.
-Non è molto allettante fissare questa grossa pozzanghera grigia-.
-Uhm, ha ragione. Ma sa cosa penso?-.
La ragazza scosse la testa.
-Che in qualche modo questo sia un luogo magico. E non rida di nuovo, per favore-.
-Non lo farò-, lo rassicurò. Per un attimo fu tentata di toccargli le mani come lui aveva fatto poco prima nei suoi confronti, ma desistette. -Cosa le fa credere che sia davvero così?-.
-Il fatto che ci siamo incontrati di nuovo quando non ci si imbatte mai in nessuno, da queste parti; il fatto che avevamo deciso di venirci insieme, ma non ne abbiamo avuto la possibilità. Ed infine, il fatto che lei sia comparsa così all’improvviso, proprio quando pensavo che non l’avrei rivista mai più-.
Erza non mosse un muscolo. Il cuore aveva ripreso a bruciarle e provò l’impulso di alzarsi e allontanarsi da lì il prima possibile. Tuttavia non fece nulla di ciò.
Fu Jellal a scattare in piedi e i suoi movimenti furono così improvvisi da coglierla di sorpresa.
-Cosa succede?-, gli domandò.
-Vuole fare una passeggiata? Almeno ci riscalderemo un po’, camminando-.
Le tese la mano e Erza, soppesata l’offerta, la strinse.
-Oggi non la lascerò scappare-, le disse lui con un sorriso, prendendola a braccetto. -Mi piacerebbe sapere qualcosa in più sul suo conto-.
-Solo se anche lei mi parlerà della sua vita-, precisò la ragazza.
-Benissimo. Non c’è nulla che non possa dire-.
-Allora cominci-, lo esortò Erza.
-Mi ha detto che frequenta la palestra, giusto?-.
-Già-, annuì. Si ricordava quel particolare? E pensare che lei aveva già dimenticato di averglielo riferito!
-A me piace correre all’aria aperta. Credo che sia molto più sano che non starsene al chiuso-.
-Anche a me piace, ma con questo freddo…-.
-L’ho notato. Le sue mani sono gelide-.
Si fermò e la guardò negli occhi, mentre Erza sentiva un fuoco estraneo infiammargli il viso – eppure avrebbe giurato di essere pallida, visto che il vento non aveva smesso di soffiare, impetuoso – poi intrecciò le proprie dita a quelle della ragazza.
-Va meglio?-.
-P-penso di s-sì-, lei batté i denti. Per la seconda volta non era stato il gelo a ridurla in quello stato.
-Potremmo correre insieme, un giorno-, le disse Jellal. -Magari quando tornerà la primavera-.
-Meglio-, concordò Erza.
-Fino ad allora, temo che saremo costretti a vederci qui, nella foschia di dicembre. Ma solo se lei lo vorrà-.
Quel sogno riusciva a spiazzarla. Era come se avesse incontrato un amico – poteva definirlo così? C’erano momenti in cui le sembrava che riuscisse a capirla molto più di quanto non avrebbe fatto una persona come Mirajane – con cui avrebbe potuto parlare davvero di ogni cosa. Eppure rimaneva un estraneo, un’illusione. E quel pensiero di colpo le fece male.
Si rese conto che il calore che le mani di Jellal sprigionavano non era completamente reale. Era solo una sensazione e questo perché, nella vita di tutti i giorni, aveva avuto esperienza di cosa era freddo e cosa caldo. Così come da piccola – quando ancora viveva con i propri genitori – aveva tenuto per qualche tempo in casa il cane di Wally, un suo compagno di classe delle Elementari che era andato in vacanza e gli aveva affidato il proprio animale durante l’estate.
-Ci incontreremo solo nei sogni, allora?-, chiese lei.
-Finché lo vorrai, sarò qui per te-.
Era passato a darle del “tu” come se nulla fosse. Erza ne fu felice, salvo accorgersi l’istante successivo che probabilmente quel cambiamento era avvenuto perché lei aveva desiderato che accadesse.
-Guidami, allora-, sussurrò la ragazza. -Mostrami luoghi che non ho ancora visto-.
Jellal le sorrise e la prese di nuovo sottobraccio: -Non vedevo l’ora di sentirtelo dire-.
Si incamminarono verso il lato est del parco, attraversando un viale di alberi sempreverdi; a Erza sembrò che quello fosse veramente un posto diverso.
Poi una luce accecante le fece serrare le palpebre e non percepì più il braccio del ragazzo intorno al suo.
Quando aprì gli occhi, si accorse che un debole raggio di sole trapelava dalle tapparelle della finestra della propria camera.
Era tornata nel suo appartamento.

   
 
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