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Autore: Fidaide    04/11/2008    3 recensioni
Corre l'anno 1955... Qualcosa di strano accade a Malfoy Manor.
"La tensione crebbe palpabilmente. Pensieri tumultuosi mulinarono nel cervello di Hilda, che, abbrancata da una fitta di paura, si voltò di scatto, mentre il viso del maggiordomo, ritto dinnanzi a lei, sembrava essersi impietrito. Nelle loro vene il sangue fluiva veloce e raggelato.
Alla servitù non era concesso di entrare nella stanza delle armi, la camera preferita dei signori Malfoy, Abraxas e Lysiart, che conteneva una sfilza di stemmi e fucili Babbani, insieme con un mucchio di stampe antiche provenienti da tutte le parti del globo. Ma l’infermiera, colta dal terrore e dall'ansia, dimenticò ogni divieto. Afferrò la maniglia e spalancò la porta della sala sfarzosa. Ai suoi occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante..."
Scritta a quattro mani da Fidia e Alaide.
Genere: Drammatico, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo XXX


Abraxas e Charlotte schivarono volutamente la folla di uomini e donne che si riversava a frotte sulla caotica strada del paese, ancora rischiarata dai raggi obliqui del sole, che sembrava aver esaurito, dopo un giorno di radiosità, gli ultimi residui della propria energia, sfavillando incerto e timoroso o celandosi di quando in quando dietro stracci di nubi chiare.
«Ho avuto modo di leggere il libro di Henry James, quattro anni fa. Britten ha reso sulla scena tutta la genialità dell’atmosfera che permea il romanzo. – stava dicendo Charlotte, mano nella mano con un Abraxas che ricusava severamente gli sguardi della massa. – Ho ancora le lacrime agli occhi per la morte di Miles. E quella lotta tra l'istitutrice e Quint per il possesso dell'anima del bambino ha avuto su di me un...»
Ammutolì, incespicò sui tacchi e strinse con vigore la mano di Abraxas.
«C’è qualcosa che non va?»
«Molte cose non vanno, Lotte. – rispose Abraxas, scuotendo appena la testa. – Non va, per esempio, la folla di pettegoli che ci scruta da lunghi minuti con occhio svilente. Ti basterebbe voltarti per capire che Tovey ha messo sulla bocca di mezzo teatro la storia della nostra uscita, e le malelingue sguazzano in quella che ritengono una circostanza disdicevole per me e per te. Che pratichino il mestiere al quale sono stati educati, come se ne traessero dei benefici! E vedessi, Lotte, da qual pulpito provengono i sermoni moraleggianti a cui alludo!»
Con fare esitante la bambinaia osservò la gente appena uscita dal teatro. Un uomo dal fine cappello nero, impegnato in una discussione senz’altro interessante con una grassa signora scozzese, celò gli occhi dietro la falda non appena realizzò di essere stato scoperto, per poi sussurrare qualcosa di sfuggita e riprendere, a voce inusitatamente alta, i commenti sull’opera di Britten che, come voleva lasciar intendere, stava esponendo poco prima alla consorte. Il suo volto placido sembrava urlare al mondo: «Non stavamo certo parlando del signor Malfoy e della sua nuova compagna: certe discussioni non ci riguardano minimamente.»
I due amanti stettero in silenzio fino a che le voci degli spettatori in lontananza non si mescolarono, divenendo pressoché indistinguibili fra i segnali dei clacson Babbani e i rumori urbani di quello spento pomeriggio estivo. Tra i muri umidi e scuri di una lercia traversa secondaria, Abraxas e Charlotte, dopo ogni dovuta precauzione, si Materializzarono nei pressi della vecchia magione.
L’atmosfera cittadina fu annullata violentemente dalla cupezza del nuovo paesaggio. Paziente nel vallone, il borgo di St. Martin Abbey pareva sospirare mentre le zappe dei campagnoli si accatastavano nei depositi, e le donne, intonando canzoni nazionalistiche per le vie polverose, si scambiavano fugaci saluti. Ma questi minimi segnali di tumulto agreste non arrivavano alle orecchie di Abraxas e della bambinaia, che davano le spalle al villaggio. Ad accoglierli, nei pressi del Manor, furono le chiome degli alberi, su cui la luce del sole scivolava bagnando l’erbetta, i campi e i maggesi. Lo sciabordare della falda acquifera che corrodeva le fondamenta dell’acquedotto abbandonato si spandeva, come una nota scura, nel pallido crepuscolo.
La cancellata di Malfoy Manor fu schiusa dal maggiordomo Green. Abraxas non lo vedeva tanto scosso da parecchio tempo, e il suo atteggiamento lo sorprese al punto da fargli presentire una catastrofe. La notizia della morte di Megan si abbatté sul cervello dell’uomo con una forza spaventosa. Non era pronto a reggere l’urto, e subito il suo viso lasciò trapelare una nota di meraviglia, smarrimento, timore, curiosità. Si sentì incapace di prendere un’immediata deliberazione od eventuali provvedimenti sul da farsi. La velocità con cui tutti quei sentimenti si erano palesati fu la stessa con cui scomparvero dal viso di Abraxas. Charlotte, portatasi una mano dinnanzi alla bocca, era squassata dal tremore.
«Morta?» ripeté incredulo all’annuncio di Green, ancor prima che l’amante potesse proferire alcunché.
«Il suo cuore ha smesso di battere pochi minuti fa. Si trovavano nel salottino estivo, signore, al secondo piano. – aggiunse rivolto al padrone di casa. – La signorina Mallory, dopo aver assistito alla morte, ha colto uno strano odore nell’aria ed è corsa immediatamente giù, onde avvisare gli altri abitanti di non mettere piede nelle vicinanze del salottino prima del suo ritorno, signore. Hanno tutti rispettato il consiglio. La signora Zurrey, arrivata poco fa, è sconvolta dalla paura.»
«Mia sorella è qui?» domandò Lotte, preoccupata.
«Chiedeva di lei, le è stato detto che non era in casa. L’ho intrattenuta, e adesso siede al pianterreno. Le abbiamo offerto un bicchiere d’acqua, ma le sue pulsazioni sono aumentate in maniera progressiva, tanto da farci temere il peggio. Non ci ha detto cosa le sia successo, signorina Zurrey. – rispose alle persistenti occhiate della bambinaia. – La morte di Megan Malfoy deve averla scossa, e in modo alquanto preoccupante.»
Abraxas si fece spazio nel giardino, allontanandosi da Charlotte senza rivolgerle uno sguardo. Superò il viottolo e piombò nell’atrio, dove Laureen singhiozzava, mordendosi le dita, adagiata sul primo gradino della scalinata.
«Oh, Megan, Megan, Megan…- si lamentava innalzando il suo compianto funebre come una prefica dietro un lauto compenso. –Oh, Megan!»
«Smettila di cianciare, Laureen! – sbottò Abraxas, spezzando con decisione la lenta nenia che fino a un attimo prima riempiva l’atmosfera già greve. - Cos’è successo? Desidero che mi venga raccontata la vicenda nei minimi dettagli.»
«Oh, Abraxas, sei tornato! Tutto ciò che ho visto è Megan agonizzante con una mela muffita fra le mani, che rovinava sul pavimento simile ad una preda trafitta al cuore. – riuscì a dire Laureen fra i singulti. – Quando le ho prestato soccorso, ho capito che non c’era nulla da fare. Era già morta. Oh, povera Megan!»
Nell’apprendere la faccenda della mela muffita, Abraxas si era fatto bianco come un cencio lavato.
«Dov’è adesso?»
«Lì dove l’ho lasciata. Al secondo piano, dinnanzi alla porta d’ingresso del salottino estivo. Megan, povera Megan!»
«Di’ agli altri di non muoversi. L’hanno assassinata con un oggetto pericolosissimo il cui effluvio potrebbe sterminare metà degli abitanti.»
Laureen chinò la testa e riprese il suo lamento di morte, nel momento esatto in cui Abraxas, dalle scale di servizio, si avviava al secondo piano. Una volta lì, spalancò la porta della stanza delle armi e la traversò, senza prestare molta attenzione al signore di Mictlan che aveva cambiato posizione sulla parete.
Superò quindi il disimpegno per immettersi nello stretto corridoio per il quale transitò prima di giungere al proprio laboratorio. Varcò la soglia, indossò una mascherina ed i guanti, quindi si richiuse la porta alle spalle.
Qualche istante dopo, rabbrividiva davanti al cadavere della propria moglie, stesa per terra in una posizione scomoda e con un dito puntato verso una statuetta dallo sguardo perverso posta nel corridoio. Una mela apparentemente poco matura era rotolata via dalle mani di quell’orrenda Biancaneve, urtando il muro e finendo sulla soglia della stanza, dove aveva arrestato la propria marcia. Abraxas si chinò per raccogliere il frutto, riconoscendolo senza dubbio come un manzanillo. Come quella mela avvelenata fosse stata portata via dal laboratorio segreto, come fosse finita nelle mani di Megan, come mai l’indice destro della donna tendesse a quella statuetta, quasi nel tentativo di attrarla a sé, erano considerazioni su cui avrebbe meditato in momenti migliori. La prima cosa che la sua prudenza lo spinse a fare fu prendere il manzanillo, portarlo nel laboratorio al piano di sopra e diluirlo in un acido, facendone sparire ogni traccia.
Fu chiamato Green affinché scrivesse una missiva da indirizzare all’Ufficio Auror, mentre Ottilia, malgrado le pressioni di Charlotte, si rifiutava di sciorinare il motivo della propria angoscia.
Quando Rosamund Jameson giunse al Manor, ci si sarebbe aspettato di vedere dispiacere o confusione sul suo volto, che invece rivelava unicamente paura: una paura atroce, inarrestabile e travolgente, che sembrò impadronirsi della sua mente ancora di più quando la salma di Megan le fu mostrata da Abraxas. Tutti gli abitanti erano al pianterreno, sotto consiglio del padrone, che riteneva l’ambiente potenzialmente contaminato. Rosamund si chinò per osservare gli occhi traumatizzati e stravolti, la bocca storta e i capelli scarmigliati di Megan, prima di soffermarsi sulle mani, la sinistra puntata, come detto, sulla scultura della dama perversa, la destra stretta allo stomaco.
«Ho controllato il corridoio, rinvenendo vicino al cadavere un frutto di manzanillo.» spiegò Abraxas.
«Manzanillo? – ripeté Rosamund, distogliendo lo sguardo dalla donna morta. – Se la memoria non mi inganna, è un frutto fortemente tossico.»
«Un frutto esotico, per la precisione. Si trovava nel mio laboratorio, era oggetto dei miei studi. – volle puntualizzare Abraxas, sotto gli sguardi terrorizzati dell’Auror. Quindi riprese: - C’è qualcosa che non va nel suo viso, signorina Jameson. Crede di dovermi dire qualcosa?»
Rosamund si guardò intorno, abbassando il tono.
«Appena ieri, forse non lo sa, Megan mi ha convocato, tutta infervorata, con la convinzione di aver scoperto il nome dell’assassino. Sono assolutamente certa che questa persona, di cui non farò il nome per una questione che non mi è dato spiegarle, sta attuando un piano altamente complicato per restare nell’ombra; un piano che avevo scartato molto tempo fa, perché ritenevo improbabile o semplicemente assurdo. Il mio cervello è in subbuglio perché, francamente, non mi aspettavo una simile mossa. Qualcuno ha origliato, senza dubbio, la discussione che ho avuto con sua moglie, signor Malfoy. L'assassino sa che so, e corro un terribile pericolo. Ma proprio come ha fatto Megan, è meglio che non dica nulla, sia perché potrei essere in errore, il che è alquanto improbabile, visto che la pista che sto seguendo è convincente, sia perché ho intenzione di attuare un piano. Mi occuperò domattina degli interrogatori, che, come capirà, sono essenziali. Se è possibile, vorrei vedere la signora Zurrey qui, domattina. Mi informi a proposito della data dei funerali. Le chiedo inoltre di comportarsi in maniera del tutto normale, come se io non sapessi nulla, come se la morte di Megan mi avesse spiazzato del tutto e non stessi seguendo alcuna linea d'indagine. - Si zittì, poi scosse la testa. - Passi tutto, ma quest'omicidio non glielo perdonerò mai. E' arrivato il momento di mostrare le reali doti di Rosamund Jameson. Arrivederci, signor Malfoy. Dorma sonni tranquilli, ma diffidi di quelle persone che le sembrano sincere.»
L'Auror si allontanò prima che Abraxas avesse il tempo di ribattere.


Il pomeriggio si trascinò sonnacchioso e lento fino all’ora di cena. A tavola, Abraxas e Charlotte sedettero distanti, preferirono non rivolgersi la parola e scelsero di comunicare per mezzo di occhiate compunte. Laureen, nel suo abito nero, chiaramente addolorata per la morte di Megan, non smetteva di piangere e lamentarsi, richiamando l’immagine di un corvo che, nel precipitare dal cielo, pigola per un dolore acuto e improvviso.
La notte trapunse il cielo di stelle. A dispetto dell’ostilità e dell’inimicizia che gli abitanti covavano verso la padrona defunta, all’interno della magione qualcosa di simile alla malinconia si propagò a macchia d’olio, avvelenando l’atmosfera già soffocante. Alle dieci di quella stessa sera, gli occhi rivolti al soffitto del Manor, su cui macchie d’ombra nereggiavano alternamente, una figura mugolava per la paura.
“Se l’Auror risalisse al mio passato, non sentirebbe ragioni e mi arresterebbe, avendo a disposizione un valido movente e forse delle prove. Allora non troverei via di fuga: cosa attende un pluriomicida, se non anni e anni di prigione? Vivrò nei tormenti in una cella buia, e forse morirò senza aver coronato il mio sogno.”
Simili parole di sconforto erano suggerite dalla bocca di una coscienza inquinata, irrimediabilmente corrotta dal più grave dei delitti.


La mattina di Lunedì 11 Luglio 1955, il sole splendeva radioso nel cielo turchino, sopprimendo in parte l’alone di mistero che circondava l’omicidio di Megan, ma non la sensazione, ormai largamente diffusa, che una talpa tramasse nell’ombra, destinata a perdurare per molti altri giorni. La sconvolgente notizia dell’assassinio non passò oltre le mura di Malfoy Manor. Nessuno fra gli abitanti era così ardito e pettegolo da spifferare ai quattro venti il triste accaduto. Laureen, chiamata più volte a colazione, si rifiutò di uscire dalla propria camera, sostenendo che voleva «piangere in pace la morte della cugina e osservare un digiuno rigoroso per i giorni a venire.» Ottilia Zurrey era rimasta a dormire nella stanza degli ospiti e, nel destarsi, fu colta da un improvviso dolore alla tempia. Doveva aver sognato qualcosa di inquietante, poiché le sembrava che forti grida sgorgassero dal suo inconscio e immagini spettrali, come teschi, danzassero briosamente per solennizzare il trapasso di Megan. Scostò le tendine, cercando pace nel cavedio su cui davano le finestre interne, ma provò tanta repulsione verso la natura ed in particolare verso il sole, che si gettò ancora fra le coperte, pensando degli uomini che fossero ipocriti e menzogneri. Ciò che era successo il giorno prima – si trattava di qualcosa di diverso dall’omicidio di Megan – le aveva infuso tale convinzione.
Agghindata a lutto, con un monile nero al collo ed una nappa di seta corvina a legare i capelli fluenti, una Rosamund Jameson del tutto differente dall’Auror che aveva lavorato al caso nei mesi precedenti oltrepassò la cancellata. La fronte severa e le labbra congiunte lasciavano trasparire fierezza e risoluzione. Abraxas chiamò a raccolta gli abitanti, affinché si desse il via al più presto agli interrogatori. Erano appena le otto e mezzo quando lo stesso padrone di casa inaugurò la mattinata di lavoro dell’Auror con la propria deposizione.
«Abbiamo avuto modo di parlare ieri sera, signor Malfoy. – esordì Rosamund con l’atteggiamento di chi s’accinge ad ascoltare attentamente. – Mi ha spiegato che il manzanillo si trovava nel suo laboratorio, cui, immagino, hanno accesso tutti gli abitanti.»
«Confermo ciò che le ho detto ieri sera.» disse Abraxas. «Dunque sostiene che ogni abitante, persino gli elfi, avessero la possibilità di impossessarsi del pericoloso frutto?»
Si udì la pendola ticchettare e qualche sordo singulto di Laureen.
«Non le ho detto questo. – disse Abraxas. – Spesso chiudo il mio laboratorio. Ieri non l’ho fatto.»
«Dove era posto esattamente il manzanillo, all’interno del suo studio chimico?»
Abraxas si alzò, sincerandosi che la porta fosse ben chiusa e nessuno stesse ascoltando, quindi tornò a sedere, sfiorandosi la fronte con le dita.
«E’ giusto che le riferisca ogni dettaglio nei minimi particolari. Immagino che non vorrà rivelare ciò le sto per dire, poiché mi metterebbe nei guai. – Abraxas fece una pausa. – All’interno del laboratorio, si trova una stanza segreta che uso per la produzione di particolari veleni e cosmetici. Non ho l’autorizzazione per lavorare a tale progetto, ma non arreco danni a nessuno, tranne a me stesso. Il manzanillo si trovava nella stanza segreta del laboratorio, cui è possibile accedere attraverso il muro. Alcune proprietà di questo frutto erano oggetto della mia attenzione. Sono pronto a giurarle che nessuno conosce l’ubicazione della camera occulta, fuorché io stesso, mio padre, il mio fratello defunto e Deirdre O’Connor, la quale, come avrà saputo, sta scrivendo un saggio sulla storia del precedente inquilino di Malfoy Manor.»
Rosamund annuì. «Utilizza, insomma, sostanze proibite all’interno di questa camera?»
«Sarebbe inutile negarlo. Se glielo dico, è perché lo ritengo giusto. Una scoperta successiva della stanza da parte degli Auror mi potrebbe mettere nei guai. Non sarebbe saggio nasconderle l’esatta posizione del manzanillo, dettaglio importantissimo per le indagini.»
«E’ sicuro che questa stanza sia conosciuta solo dalle persone che ha citato?»
«Non c’è cosa più certa. Escludo anche la possibilità che qualcuno abbia scoperto il passaggio. Lo utilizzo solo quando ho chiuso la porta del laboratorio, adotto ogni volta tutte le precauzioni necessarie al fine che nessuno mi scopra e posso davvero affermare con tutta la sicurezza del mondo che la stanza segreta è conosciuta soltanto da me, da mio padre, dalla signorina O’Connor e da Lysiart.»
«Quand’è così, una delle tre persone in vita che conoscono il passaggio deve avere preso il manzanillo.»
«Vorrei poterle dire il contrario, signorina Jameson, ma so che mentirei. Una di queste tre persone deve aver preso il manzanillo. Mio padre non sarebbe capace di aprire il passaggio nelle condizioni in cui si trova attualmente. Senza contare che, dalla morte di Hilda, è perennemente sotto controllo: rispettiamo dei turni per badare a lui. Quanto a Deirdre O’Connor, non avrebbe avuto alcun motivo di prendere il manzanillo. Se l’avesse fatto, ciò sarebbe dovuto accadere tra avantieri sera e ieri a mezzogiorno. Si dà il caso che io abbia però controllato ieri mattina la stanza segreta. Il manzanillo era al suo posto. Deirdre non è venuta ieri mattina, per cui non vedo come potesse prenderlo. Anche se…»
Rosamund intercettò lo strano sguardo di Abraxas e cercò di interpretare il suo silenzio. «C’è qualcos’altro di cui vorrebbe parlarmi?»
Abraxas meditò un istante. «Una riflessione insignificante, indegna di essere spiegata. No, non c’è nient’altro.»
«Bene! – disse Rosamund, finendo di appuntare. – Posso ora chiederle un resoconto dei suoi spostamenti nella giornata di ieri, 10 Luglio?»
«Certamente. – fu la risposta di Abraxas. – Tuttavia, non credo possa giovarle molto, se non per aggiungerlo agli altri resoconti. Ieri mattina, dopo essermi svegliato, sono andato al laboratorio. Dovevano essere più o meno le sette del mattino, perché ho guardato l’orologio a cipolla che porto con me poco prima di cominciare a lavorare.»
«Posso sapere quello che ha fatto in laboratorio?»
«Fino alle dieci ho lavorato nella stanza segreta ad un potente profumo, un preparato altamente complesso che ho messo a punto già lo scorso anno. E’ una fragranza di rose molto forte, come le dicevo, capace di stregare i sensi per alcuni istanti. Una sorta di droga non nociva, insomma… – Fece una pausa. – Ho tenuto sott’occhio i manzanilli per tutto il corso della mattinata. Quando sono uscito dalla stanza ero stanco. Sono andato nella camera dei giochi, dove si trovava la signorina Zurrey con Lucius. Ho discusso un po’ con la bambinaia, ho letto alcune pagine delle Storie di Erodoto in biblioteca e sono andato in giardino. All’ora di pranzo, ho annunciato che dovevo recarmi al teatro con la signorina Zurrey. Sono stato a vedere The turn of the screw fino alle sei. Quando sono tornato, Megan era morta.»
«E in biblioteca, qualcuno è stato con lei?»
«Zephyrus MacNiemand ha letto per tutta la mattinata al tavolo accanto.»
«Quanto tempo ha trascorso in giardino?»
«Pochissimi minuti. – disse Abraxas. – Ho fatto una passeggiata rapida, dapprima solo, poi con mia cugina Laureen, che mi ha raggiunto.»
«C’è qualcuno che può testimoniare la presenza sua e della signorina Zurrey a teatro? Un conoscente, o anche uno spettatore qualsiasi…»
«Ho incontrato Tovey, un suo collega Auror, nel foyer, prima dell'inizio.»
«Edgar Tovey? – ripeté Rosamund, e Abraxas assentì. – E’ sicuro che lui vi abbia notato?»
«Ci siamo salutati, dunque può testimoniarlo.»
«Sta bene, chiederò a lui. – Poggiò la penna sul tavolo e tese la mano al suo interlocutore. – Non ho nient’altro da chiederle, signor Malfoy. La ringrazio per l’aiuto.»
«Dovere.» rispose l’uomo, stringendo la mano dell’Auror, alzandosi, varcando poi la soglia della stanza per lasciare il posto a Laureen.


Interrogando la vecchia cugina dei Malfoy, Rosamund ricavò da parte sua pochi e irrilevanti indizi, oltre ad un alibi efficace e alla riprova che Abraxas era stato in giardino prima dell’ora di pranzo. Dettaglio del tutto ininfluente, cui l’Auror destinò un appunto marginale: l’uomo sarebbe stato in grado di portare via il manzanillo ancor prima di abbandonare il laboratorio – certo di non essere visto da nessun abitante –, con la stessa facilità con cui avrebbe potuto, in seguito, sostituire il frutto dalla cesta di Megan, vagare a zonzo per la magione e recarsi a teatro protetto da un alibi di ferro.
Seguì l’interrogatorio del bibliotecario, Zephyrus MacNiemand, il quale, non appena fu immesso nel salone, si guardò intorno con l’aria di un ladro braccato. Rosamund lo invitò a sedersi, scrutandolo dapprima con sospetto. La diffidenza dell’Auror lo piegò definitivamente al suo volere.
«Mi creda, sono innocente, e non caverà informazioni utili dalla mia bocca.»
L’Auror si umettò le labbra. «Signor MacNiemand, nessuno la sta accusando di aver ucciso la signora Malfoy. Avrà inteso che ogni singolo abitante del Manor viene sottoposto alla medesima procedura formale, affinché il Ministero abbia prove a sufficienza, versioni e testimonianze per risolvere il caso. Se ha la coscienza pulita, non v’è nulla da temere. Una semplice domanda potrà giovarle a sopprimere l’emotività. Ricorda cosa ha fatto nella giornata di ieri, 10 Luglio, dall’alba all’ora della morte di Megan Malfoy?»
«Naturalmente. – assentì Zephyrus. – Sono stato in biblioteca tutto il giorno, signorina Jameson, e, lo giuro, non mi sono mosso di lì. Nel mattino, ho sfogliato per un po’ le Lettere di Abelardo a Eloisa… Quando mi sono stancato, ho leggiucchiato diversi brani tratti da I Promessi sposi e frammenti del De Amore di Andrea Cappellano. Nessuno può assicurarlo, fuorché il signor Malfoy e la signorina Mallory, che sono stati con me in periodi differenti della giornata. Può… può chiedere a loro, sperando che ricordino.»
“Quest’uomo nasconde qualcosa!” pensava Rosamund, mentre appuntava, da brava Auror, non solo le parole, ma persino gli indugi del bibliotecario. “Se sia perdita di controllo o altro, non riesco a capirlo. Ma è giusto che vada a fondo.”
«Credo di non averle mai chiesto, per sventatezza, da quanto tempo lavora qui, signor MacNiemand.»
«E io credo di aver perso il conto esatto, signorina Jameson. Saranno sei, sette anni al massimo.»
«Operava nei paraggi prima di stabilirsi a Malfoy Manor?»
«Non esattamente. Nella mia vita ho gestito due biblioteche. La prima in Irlanda, molti anni or sono, la seconda in Inghilterra, a trecento chilometri da qui.»
«Ho avuto modo di notare che conosce la signorina O’Connor. – disse Rosamund. – Posso sapere come mai?»
«Naturalmente. – disse Zephyrus, facendosi paonazzo. – Come le dicevo, ho lavorato in Irlanda. Deirdre era un’assidua frequentatrice della mia biblioteca. Spesso la aiutavo nella stesura dei suoi saggi.»
Rosamund si accigliò. “Un fatto curioso!” le venne da pensare.
«Immagino conoscesse anche la sorella di Deirdre, allora. Mi riferisco a Loreley O’Connor.»
«Oh, no, non l’avevo mai incontrata, ed è stato un fatto assai singolare scoprire che era qui tra noi al Manor. – rispose l’interrogato. – Non mi guardi a quel modo, signorina Jameson. Questa coincidenza l’ha forse insospettita? E perché, poi? Esistono dei collegamenti con la morte di Megan?»
«Non si bagni prima che piova, signor MacNiemand. Non mi sognerei mai di accusare qualcuno di omicidio sulla base di una combinazione simile. Sapesse con quanti concorsi d’eventi ho a che fare ogni anno, lavorando nell’Ufficio Auror! Ma dunque, lei e la signorina O’Connor eravate degli ottimi amici? Perdoni l’indiscrezione. E’ dettata da un fatto che, a torto o a ragione, ho ritenuto singolare: l’altro giorno, assistendo a un vostro dialogo, la signorina O’Connor mi è sembrata quanto mai fredda, direi quasi indignata, nel rivolgersi a lei.»
«Ottimi amici? Signorina Jameson, davvero non immagina quanto alto fosse il numero di ragazze e ragazzi che venivano a consultare la biblioteca di giorno in giorno. Decine su decine! Non eravamo più che conoscenti. Quanto alla freddezza e all’indignazione cui allude, non credo di saperne alcunché. Si sarà trattato di una sua impressione.»
“Sempre più strano!” meditò l’Auror, fissando sulla carta le reazioni del bibliotecario, mentre, nel suo cervello, ribollivano idee strane che si andavano tra loro concatenando.
«Tra lei e il signor Lysiart Malfoy i rapporti erano pacifici? Glielo chiedo anche se, con tutte le probabilità, mi è stato da lei riferito al primo interrogatorio.»
«Se erano pacifici? Beh, naturalmente. Lysiart Malfoy era un brav’uomo, molto fortunato e intelligente, e lo apprezzavo per il suo carattere e per la sua cultura.»
Il viso di Rosamund assunse una strana espressione, un misto di incertezza e desiderio di rimanere impassibile.
«Quanto all’ubicazione del manzanillo, la conosceva?»
«Non sono mai entrato nel laboratorio del padrone di casa. Dal momento in cui mi ha assunto, l’avrà notato, parlo pochissimo, trascorro il mio tempo in camera o in biblioteca e cerco di vivere una vita dimessa e riservata. Ne sono un esempio i due o tre discorsi di poche parole che ho intavolato con la signora Malfoy in tutta una vita.»
«Va benissimo. – Rosamund cancellò qualcosa sul taccuino. – Può andare, signor MacNiemand. Non ho nient’altro da chiederle.»
«Spero di esserle stato d’aiuto, – disse il bibliotecario, – pur non sapendo nulla.»
«Oh, mi è stato utilissimo, davvero.» sorrise Rosamund, per poi annuire ripetutamente.
Quando Ottilia Zurrey sostituì il bibliotecario e si accinse ad esporre i propri spostamenti del giorno precedente, Abraxas aveva da tempo abbandonato l’ingresso della magione per recarsi nella stanza delle armi al secondo piano.
Abraxas esaminò l’esatta posizione della scultura vicino al camino da ogni prospettiva immaginabile. Delicatamente e con svogliatezza passò un dito attorno al cranio di Mictlantecuhtli, ritrovandoselo imbrattato di una polvere grigiastra.
«Come pensavo…» sospirò scuotendo la testa.
Si voltò intanto verso la stampa cinese attorno alla quale l’indecifrabile rebus della morte di Lysiart sembrava ruotare. Abraxas non guardava il gelsomino da così tanto tempo che adesso gli apparve più cupo e inquietante di prima, quasi che nella notte, mentre il Manor dormiva, si fosse rinsecchito. Una macchia di sangue grande quanto una mano tinteggiava una parte esigua della grande illustrazione.
Abraxas abbreviò la distanza che lo teneva lontano dalla stampa, saggiandone la superficie e provando a schiodarne l’estremità. Nell’attimo in cui la stampa venne via dal muro con sbalorditiva celerità, l’uomo capì di aver scoperto uno scompartimento nascosto. Scollò dalla parete l’illustrazione; allora notò che la stampa era atta a celare qualcosa: un quadro ingentilito dalla cornice argentata e fregiata aveva trovato il suo rifugio sotto il gelsomino in fiore.
Con mano tremante, quasi fosse scosso da una crisi epilettica, Abraxas lo prelevò dal suo nascondiglio e osservò la donna affacciata alla finestra che vi era dipinta sopra. Si girò fra le mani il prezioso reperto e ne analizzò il retro, su cui campeggiava una dicitura in inchiostro nero: «Commissionato da Lysiart Malfoy, addì 15 Settembre 1954. Riproduzione ad opera di Jonathan Crimes.» L’ennesimo tassello cercava il suo posto nel grande mosaico dell’enigma.


Durante l’interrogatorio di Ottilia, gli abitanti furono meravigliati nel vedere la porta del salotto aprirsi assai prima del tempo e l’Auror chiamare Charlotte Zurrey a gran voce.
«Ho bisogno di parlare con lei mentre sua sorella è presente, signorina.» furono le testuali parole di Rosamund, subito commentate da Laureen e Green.
La bambinaia, prima seduta sulla scalinata, con i gomiti sulle ginocchia e il viso fra le mani, in attesa del ritorno di Abraxas, si resse in piedi dispnoica e avanzò verso il salotto non senza palesare il proprio timore per l’evento curioso che stava avvenendo. La porta fu chiusa alle sue spalle, e lei sedette accanto alla sorella, prendendole la mano, che trovò fredda come un pezzo di ghiaccio.
Rosamund, intrecciando le dita: «Ci troviamo di fronte a un’incoerenza nelle deposizioni. – disse. – Da quando mi occupo del caso, non era mai successo.»
Charlotte cercò gli occhi di Ottilia, che continuavano a fuggirla.
«Si dà il caso, - riprese l’Auror, - che Abraxas Malfoy mi abbia riferito ciò che è successo ieri pomeriggio. Stando alle sue parole, signorina Zurrey, lei è stata col padrone di casa a vedere un’opera in un teatro di provincia.»
«E’ così. – si affrettò a confermare Charlotte, per niente imbarazzata dall’asserzione dell’Auror, in quanto troppo colta dal terrore. – E’ stato… è stato messo in dubbio?» «Sua sorella lo ha negato.»
Charlotte spalancò la bocca e gli occhi, scosse la testa e fissò un’Ottilia indocile e accipigliata, con lo sguardo al pavimento, nella direzione opposta a quella in cui sedeva la sorella.
«Ottilia sa benissimo che ero al teatro.» esclamò Charlotte, evidentemente alla ricerca di immediate spiegazioni.
«Ma ci sei stata tutto il tempo?»
Per la prima volta in quella mattina la sorella le aveva rivolto la parola, volgendosi verso di lei e mostrando un volto appannato dalle lacrime.
«Certo che sono stata tutto il tempo a teatro, Ottilia! Gli altri spettatori possono confermarlo!»
«Sua sorella sostiene, signorina Zurrey, di averla vista intorno alle sedici nel salottino estivo, mentre trafficava con la cesta di mele di Megan Malfoy.»
La bambinaia strinse forte la mano della sorella, ancora troppo scossa per parlare.
«Non voglio mettermi contro di te, Charlotte. Ma sono certa di aver visto bene, perché mi sono avvicinata mentre mi davi le spalle: eri tu.»
Charlotte si passò una mano fra i capelli. «Oh, no! Questo è impossibile! – Portò i propri occhi su quelli della sorella, non riuscendo tuttavia a fissarli. – Ottilia…Tu… Devi esserti sbagliata.»
«No. – disse Ottilia, ancora piangendo. – Tu menti, Charlotte. Non voglio ferirti, non ne avrei motivo. Eppure ti ho visto. Eri nel salottino estivo alle quattro del pomeriggio.»
Persa d’animo, Charlotte si rivolse all’Auror, che intervenne: «Cosa stava facendo a quell’orario, signorina Zurrey?»
«Gliel’ho già spiegato. – risolse Charlotte, tentando di mantenere la calma. – Ero a teatro con Abraxas… Tovey può testimoniarlo.»
«Ma alle quattro del pomeriggio era appena cominciato l’intervallo di The turn of the screw. – disse Ottilia. – Avresti avuto tutto il tempo di uscire dall’auditorio, ritornare in strada, smaterializzarti, entrare nel Manor con le chiavi di Abraxas, sostituire una mela dal cesto di Megan con il manzanillo per far sì che lo ingerisse, e poi tornartene a teatro in tempo per il secondo atto.»
Charlotte si sentì precipitare in un baratro di orrore. Fantasmi e voci concitate turbinavano attorno a lei, mentre le fauci di quel buio pozzo senza fondo la attiravano a sé con spaventosa forza. Le parole di Ottilia, in quell’universo caotico di suoni, si spandevano forti come squilli di tromba. Per una qualche bizzarra ragione, a Charlotte parve di riconoscere nel baratro in cui stava precipitando l’inferno dantesco e, sul fondo, il Cocito, con Ottilia che strisciava sul ghiaccio fra i traditori dei parenti.
«E’ un complotto. – disse infine, e vide che le sue parole sortivano un effetto dolorosissimo sul viso di Ottilia. – Io non capisco perché tu stia mentendo.»
«Di’ la verità, ti prego. – rispose Ottilia. – Ogni tua bugia è una sferzata al mio povero cuore. Ti sei sbarazzata di Megan Malfoy. Oh, mio Dio, Charlotte! Ti avevo già chiesto di abbandonare la pericolosa relazione con Abraxas, di badare perché non ti corrodesse l’anima. Dimmi almeno perché l’hai fatto: non riesco a credere che sia stata spinta dalla cupidigia. Perché? Perché hai ucciso Megan Malfoy?»
« E’ una falsità! – gridò Charlotte, sperando di svegliarsi al più presto o di scoprirsi vittima di un brutto scherzo. – Non ho sostituito la mela col manzanillo! Non conosco nemmeno il laboratorio di Abraxas!»
«Qualcuno può assicurare che lei è rimasta a teatro anche durante l’intervallo?» chiese Rosamund, alleviando la tensione.
«Oh, no, non sono rimasta a teatro! Durante l’intervallo io e Abraxas siamo usciti per prendere un tè, mentre gli altri spettatori sono rimasti nel foyer o sul marciapiede. La prego di credermi, è la verità. – Il tono di Charlotte, a Ottilia e all’Auror, parve tutt’altro che suasivo. – Potrebbe chiedere all’inserviente che ci ha servito, ma non si ricorderà certo di noi. – Fece una lunga pausa, colpita da un’asma inattesa. – Non ho ucciso Megan Malfoy. Non ne avrei avuto motivo.»
«E’ proprio questo il punto. – disse Ottilia, serrando la mascella, come se le parole che stava per pronunciare già la stessero martoriando. – Vorrei non doverlo dire, ma c’è forse un’altra spiegazione? Tu, Charlotte, avevi un valido movente per assassinare Megan. Hai conosciuto Abraxas durante un corso, lì avete imbastito una tresca, avete ucciso insieme gli eredi del vecchio Malfoy per intascarne il patrimonio. E adesso vi sposerete e abiterete qui a Malfoy Manor, ricchi, paghi e felici, ma con quattro omicidi sulle spalle.»
Sarebbe inutile provare a descrivere lo strano sentimento di angoscia e terrore che passò sul volto della bambinaia in quell’istante.


Ecco a voi un altro capitolo! La vicenda si sta avviando alla conclusione. Ci farebbe piacere sapere se avete una qualche idee sull'identità dell'assassino.

Un grazie particolare a:

Vekra: le tue parole sono molto interessanti (per noi è importante vedere che ipotesi fate e cosa colpisce di più il lettore), così come le tue domande (che troveranno tutte risposta nei prossimi capitoli ovviamente. Speriamo che questo capitolo ti possa piacere! (vorremmo rispondere più lungamente, ma non possiamo dire assolutamente nulla)

Thiliol: Interessantissima anche la tua recensione! Ci fa molto piacere leggere il tuo pensiero sulla fic! Sappici dire cosa pensi di questo capitolo! (ovviamente abbiamo le bocche cucite su ogni cosa)

Un grazie a chi recensisce e a chi legge soltanto!

  
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