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Autore: ansaldobreda    07/12/2014    1 recensioni
allora, prima di tutto è la mia prima storia (vi prego non sbranatemi!) e volevo dedicarla al mio personaggio preferito di sempre, C-17. da quando ero piccola mi sono sempre divertita a creare storie insieme a lui, e vorrei raccontarvi la mia versione della sua storia, o almeno provarci :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: 17
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non avrei mai immaginato che uno come Gelo potesse organizzare una festa, infatti avevo ragione. Siamo in giardino, sembra il giardino di una casa di bambole. Non tanto per le donne, i loro vestiti sono anche accettabili, a parte quello della vecchia in fondo a destra, che indossa un tappeto. Ma per quanto riguarda gli uomini sembra un raduno di Ken, forse perché sono tutti in smoking, oppure perché camminano come se avessero le gambe di plastica e la schiena rigida. Magari soffocano per il papillon. L’unico che non potrebbe mai sembrare un Ken è Gelo, non trovo le parole per descriverlo, vorrei tanto potergli fare una foto. Naturalmente io non sono in smoking, e mia sorella è vestita con la solita gonna di jeans. È circondata dagli invitati, la fissano praticamente sbavando con la lingua floscia, riesco a vedere da qui il rigonfiamento dei pantaloni. Che schifo. Sento la rabbia pulsarmi nelle orecchie, li avrei già sistemati se non dovessi occuparmi di Samantha. Con un vestito addosso la trovo quasi carina, non so ancora cosa farmene, anche se comincia a venirmi un’idea. L’unico problema è Gelo, i suoi occhi sono solo per me e ogni tanto per C18, ed è sempre rimasto incollato alla figlia. Deve andarsene. So che non lo farà. Dovrei trovare il modo di farlo allontanare, di distrarlo. Potrei entrare nel laboratorio, far scoppiare qualcosa, allagare i bagni, uccidere un inviato, dare fuoco alla casa, causare l’apocalisse, qualunque cosa. Potrei allontanarmi, così mi verrebbe a cercare, anche se potrebbe mandare l’assistente al suo posto. Ma è l’unica idea fattibile che mi viene in mente, e avrei comunque bisogno di allontanarmi da questa gente. Mi nascondo dietro la prima porta che vedo, mi ritrovo in uno sgabuzzino. Lascio uno spiraglio per poter vedere fuori, ci vorrà un po’.
Dopo minuti che sembrano ore, mi inizio a stancare. Sono inquieto, non so bene perché. Le mie dita sbattono le une contro le altre, e a furia di passarmi le mani tra i capelli ho paura che quando uscirò da qui mi accorgerò di essere pelato. E poi questa penombra è irritante, ma anche rilassante, abbastanza da permettermi di finire in uno stato molto simile al coma. È da giorni che non dormo, non mi addormenterò certo adesso. È odioso non poter dormire, nella mia testa cominciano a formarsi i sogni, e se dovessi parlare in questo momento saprei usare solo bestemmie. Però è bello stare qui, senza gente a fissarmi, senza…
 
Uno strapiombo, l’odore del mare, non sento la terra sotto i piedi. Poi rosso, tanto rosso, mi soffoca, si insinua nel naso e nella bocca. Sto morendo, sto per morire. Poi Gelo, ha un bisturi in mano, è sporco di sangue e ride…
 
La luce mi ferisce gli occhi a un tratto. Ho la bocca spalancata e il mio urlo riecheggia ancora per la stanza. Ce l’ho fatta, mi sono addormentato alla fine. Bel lavoro. In bocca ho il sapore della saliva pastosa, e sento in corpo un fremito, come se mi fosse successo qualcosa di bello e terribile allo stesso tempo. Cazzate, è stato solo un incubo, un maledetto incubo. I miei occhi si sono appena abituati alla penombra dello sgabuzzino, quando la porta viene spalancata e la luce invade la stanza, costringendomi a ripararmi con una mano. Dopo qualche secondo riconosco la sagoma del grasso assistente di Gelo.
«Che cosa stai facendo?» Che voce orrenda. Rimango a fissarlo tranquillamente, sdraiato per terra. Poi quando comincia a diventare troppo disgustoso per i miei occhi (ci mette molto poco) mi decido ad alzarmi.
«Che cosa stavi facendo?»
«Una sega.» gli rispondo, poi esco. Non credo che sia rimasto scandalizzato, ha la faccia di uno che si è slogato il polso almeno tre volte a furia di seghe.
Fuori c’è una grande agitazione, troppa, mi innervosisce. Ma soprattutto non c’è traccia di Gelo, e questo mi piace molto. Mi guardo intorno, cercando mia sorella. La vedo in mezzo a un gruppo di invitati che si sono ammassati davanti a una porta.
«Cosa succede?» le chiedo. Lei alza le spalle.
«Non lo so, ma con tutto questo casino potrebbero benissimo aver trovato un cadavere.» Poi si blocca e rimane a fissarmi. «Tu… non hai ucciso nessuno?»
«No, e tu?» Scuote la testa, sembra abbastanza delusa. Decido che qualunque cosa ci sia dietro quella porta non mi interessa, e poi tutti questi umani ammassati mi danno fastidio. Mi allontano dal gruppo e, questa è fortuna, trovo Samantha seduta su un tavolo, sola.
«Ehi.» Mi avvicino, guardandomi le spalle. «Cos’è successo?» Ha un’espressione spenta, forse potrebbe centrare con qualunque cosa ci sia dietro quella porta.
«Hanno ucciso mio zio.» mi risponde, senza neanche guardarmi in faccia.
«Ah…» Dì che ti dispiace, no? «Mi dispiace.»
«A me no, lo odiavo.» Chissà perché dopo questa frase inizia quasi a starmi simpatica. È un momento perfetto, ho davanti a me una verginella depressa, figlia di un padre iperprotettivo che è la persona che voglio distruggere. Come potrebbe andare a finire? Mi siedo di fianco a lei, che finalmente alza lo sguardo. «Che festa noiosa, eh? Mi dispiace di averti trascinato qui, con gli occhi di mio padre sempre addosso.»
«Come?»
«Mi sono accorda che mio padre continuava a fissarti, hai combinato qualcosa?»
«No, ma… diciamo che non mi è facile seguire le regole, ecco.» Ride. Perché ride?
«Non deve essere facile con lui, allora.»
«Già… mi sembra molto protettivo, no?»
«Beh, ci tiene molto a me… sì, forse è un po’ troppo protettivo.»
E da qui inizia a raccontarmi tutta la sua vita, come se i suoi problemi fossero i più grandi del mondo. Devo farla smettere. Mi avvicino abbastanza perché si blocchi, iniziando ad ansimare e cercando di nasconderlo. È così facile, mi avvicino ancora e lei fa lo stesso, avvicinandosi molto più di quanto abbia fatto io, praticamente le nostre labbra si sfiorano.
«Stai cercando di baciarmi, Samantha?» Non so perché l’ho detto. Lei arrossisce in un lampo e si ritrae subito, iniziando a balbettare. Mi faccio avanti io, la afferro e la bacio. Mi viene naturale, come se l’avessi fatto miliardi di volte. Lei risponde subito. Sposto i miei baci lungo il suo collo. Non so cosa spero di ottenere con questo, magari solo divertimento. Ma, infondo, cos’è che un padre ama di più al mondo?
Il gruppo davanti alla porta si sta sciogliendo, porto Samantha lontano e riprendiamo. È schiacciata contro un muro, faccio tutto io, è come una bambola. Le sfioro le braccia, i fianchi, fino a scendere lungo le gambe.
«Harry… io… non so se…» continua a ripetere, ma se provo ad allontanarmi la sento cercare il mio corpo, così finisce che oso. Le mie mani si insinuano sotto la gonna, e i suoi respiri si fanno corti. Non ancora, non è il momento, deve essere lei a venirmi a cercare. «Che cosa c’è?»
«Senti… mi sono lasciato trasportare, ma non me la sento di fare niente se tu non sei sicura. Sarebbe la tua prima volta, devi pensarci bene.» Certo che sono proprio bravo.
«Sì…» Le do un buffetto sulla guancia,e questo nel tempo di un battito di ciglia mi trasporta in un altro posto, in un altro tempo, con un’altra ragazza davanti, di cui non faccio in tempo a vedere il volto. Poi passa, davanti ai miei occhi c’è ancora Samantha. Sorrido e me ne vado, Gelo mi starà cercando.

 
 
Angolo autore: Ehi!!! Eccomi qua, a chiedere umilmente perdono per questo ritardo vergognoso, e per essermi presentata dopo secoli con un capitolo che non è neanche un granché (sì, lo so, lo dico tutte le volte, ma questo è stato particolarmente complicato da scrivere). Chiedo ancora perdono, un bacio a tutti i lettori <3
  
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