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Autore: Dregova Tencligno    07/12/2014    0 recensioni
Sono la figlia di una strega, sono dotata di poteri che in molti non riuscirebbero nemmeno a immaginare. Vivo ricordi che non sono i miei ma sono gli unici indizi che ho per capire la mia natura. Sono stata una figlia, un’oggetto, un'anima, un fantasma. Se i nomi definiscono chi siamo sono stata Pulce, Piccola, Emma, Custode, Amore… Ma solo ad un nome, che ho perso molti anni fa, posso rispondere con certezza… nessuno me lo potrà togliere perché con quello sono morta e sono rinata.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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È come l’ho lasciato.
Gli alberi spogli dai tronchi carbonizzati e la terra bruciata liberano un odore secco che fa pizzicare gli occhi e la gola, è qui che cento anni fa è incominciata la mia storia ed è giusto che in questo luogo termini. La desolazione regna come un sovrano e non si sente nessun suono a parte un flebile fruscio che proviene dalla cenere che scivola su se stessa, quella stessa cenere creata dal mio stesso fuoco distruttivo. Pure gli animali sembrano essere fuggiti da questo luogo, timorosi che si possa ripetere l’apocalisse causata da me.
A tre metri da me il suolo sembra sciogliersi e da essa emerge una figura molliccia che si trasforma rendendosi familiare ai miei occhi.
-Non dovevi farlo.- Le mie parole sibilano nell’aria.
-Perché rovinare tutto?- Mi chiede, sembra quasi ferita.
-Io mi fidavo di te e mi hai sempre mentito, hai cercato in tutti i modi di tenermi al tuo fianco per potermi controllare. Sono solo un animaletto domestico per te, non è così?-
-Mi sembra di averti trattato molto meglio di un animaletto. Sempre lì ad ascoltare le tue solite lamentele. “Devi aiutarmi a spezzare la maledizione, voglio essere libera.” E poi con quella tua stupida canzone che dicevi di sentire.-
-Perché mi hai uccisa?-
-Perché mi hai fatto soffrire, sei riuscita a fare innamorare di te l’unico ragazzo che non sono riuscita a controllare.
Un fruscio alle mie spalle, rumore di passi. Ho imparato a riconoscere al volo il suono dei loro cuori.
-Ogni volta che mi hai ringiovanita o guarita io ho preso un po’ dei tuoi poteri e fortificato quelli che già possedevo. Adesso sono in grado di possederli nel vero senso della parola.-
La Possessione. Il potere che ho acquisito subito dopo quello di guarire gli altri. L’ho usato una volta sola e non mi è piaciuto.
Erano passati venti anni dal mio ritorno alla vita. Mi sono abituata al nuovo panorama che ho visto cambiare dalla finestra. Là dove c’era una pianura verdeggiante lei aveva creato una foresta per tenere lontani i Viventi e nonostante il tempo sia trascorso anche per me, non posso che sentirmi in colpa per quello che feci.
Esmeralda era andata in paese ed io ero rimasta sola.
Verso sera ricevetti una visita, non erano i soliti ragazzi fissati con le prove di coraggio, era una coppia. Una ragazza un po’ pallida e un ragazzo dalla carnagione scura. Entrambi della stessa età.
-Theo, non dovremmo essere qui.-
-Nata, non c’è nessuno. Dicono solo tante sciocchezze.-
-Io ho paura.-
-Ci sono io con te.-
Theo abbracciò la ragazza e lei si aggrappò a lui come se fosse la sua unica ancora di salvezza, Theo prese tra le mani il volto di Nata.
-Ti amo.- le disse.
-Anch’io.-
Incominciarono a baciarsi. Solitamente si trattava solo di questo, ma i due andarono oltre.
Theo abbassò la spallina dell’abito di Nata e le scoprì i seni, lei gli sbottonò la camicia e slacciò la cintura aprendogli i pantaloni.
Incominciarono a giocare, a percorrere ogni strada di quell’intricato e interessante labirinto. Potevo percepire quello che stavano provando, erano sensazioni a me sconosciute, mi allettavano.
Volevo che quell’emanazione fosse mia perché era incomparabile, energia liberata per creare una sinuosa armonia di suoni e odori. Mi bastò avvicinarmi alla ragazza e sfiorarle una spalla. Il suo corpo mi attrasse come una calamita e mi trovai al suo interno. Era come indossare un vestito stretto ma non aveva importanza, ero immersa in quel flusso impetuoso. Ma la cosa finì col spaventarmi e il sogno si tramutò nel peggiore degli incubi.
Quello non era il mio corpo e incominciai a sentirlo come una gabbia, volevo liberarmene al più presto. Percepii uno strappo doloroso al livello dell’ombelico quando mi liberai da quell’involucro.
-Liberali.-
Si diverte, lo leggo nei suoi occhi.
Un movimento alle mie spalle. Mi scanso verso destra e un arco scintillante cozza contro il terreno duro.
Mi chiedo dove sia finito Cerberus e prego che non gli abbia fatto del male.
Una fitta dolorosa divampa al polpaccio sinistro e la gamba cede.
Ho una freccia infilata nel muscolo e il dolore è insopportabile, dalla ferita non esce sangue ma dallo strappo del pantalone vedo che la pelle sta diventando grigia ed è questo che mi spaventa di più.
Com’è accaduto la prima volta.
Afferro il dardo e lo sfilo dalla carne, ruoto il tronco per schivare un affondo di Zephyro e lancio la freccia.
Un sibilo. Un fischio. Un rumore secco.
La freccia è conficcata nella fronte di Samara. Il volto le torna serio e una profonda spaccatura lo divide in due. L’accenno di un sorriso e la terra torna a essere terra.
Vorrei sapere dove si nasconde la vera Samara, ma non ho il tempo per pensarci più di tanto. Elebene sta caricando la balestra, le scaglio contro un muro d’energia che la fa volare all’indietro; sbatte contro il tronco di un albero.Mi dispiace per lei, ma non ho molte altre possibilità.
Zephyro mi afferra un braccio e mi butta per terra. Il filo della sua spada mi sfiora la gola, gli tiro un calcio al petto, il fiato gli si spezza e molla la presa.
Posando la gamba sinistra a terra mi sorprende la sensazione di dolore che mi fa contrarre il volto in una smorfia, sarei dovuta essere già guarita. Lancio velocemente un’occhiata allo squarcio del pantalone e vedo che il foro che ha creato la freccia si è rimarginato, ma la pelle è arrossata e si vedono i capillari viola sotto la cute. Un’arma magica, come quella che ho visto nelle mie visioni nella grotta: anche se la ferita non è permanente, gli effetti rimangono per più tempo contrastando il mio potere di guarigione.
Zephyro cerca di colpirmi ancora con la spada, questa volta mira al fianco.
Evoco la nebbia che mi fa da scudo e lo spingo via usandola come ariete.
Urlo di dolore quando un’altra freccia si conficca nel mio corpo. Dritta nel petto, al livello del cuore.
Ho usato la nebbia per allontanare Zephyro e non ho pensato a concentrarne un po’ intorno a me per proteggermi.
Dolorosamente la sfilo e la lascio cadere a terra. Elebene mi osserva con occhi carichi di rabbia. Uso la nebbia per afferrarla ma una spilla sulla sua maglia si accende di un bagliore vermiglio e provo una scarica elettrica che mi fa vibrare la pelle causandomi dolore. È successa la stessa cosa quando ho usato i miei doni contro Stefano. Allora le strappo di mano la balestra con la Telecinesi per poi darle fuoco.
Si lancia contro di me liberando dal corpetto un pugnale. Si prepara a colpirmi, le blocco il braccio e rimaniamo ferme in uno scontro di forze.
Vedo Zephyro rialzarsi e guardarci, si avvicina con la spada pronta a colpire che brilla alla luce del sole che tramonta.
Libero la nebbia dal mio corpo e colpisco la gamba a Elebene che perde l’equilibrio, lascia la presa sul pugnale che cade a terra ed io lo afferro. Ruoto su me stessa e la lama scivola su quella della spada deviandone il percorso, poi uso il pugnale per rompere la spilla di Elebene. È in ferro con un rubino incastonato, sento la sua magia, potente, svanire appena il metallo si spezza.
L’afferro con la bruma e la spingo lontano. Vengo colpita da un pugno, ma non mi sbilancio e, lasciando Elebene, mi avvento su Zephyro che mi afferra il braccio con cui tengo il pugnale e me lo immobilizza, con il manico della spada mi colpisce la spalla facendomi perdere per qualche secondo la sensibilità a questo braccio.
Sento il pugnale toccare il terreno e tintinnare.
Mi tiene ancora stretta e dà un calcio al pugnale che scivola lontano da noi. Cerco di divincolarmi, uso anche la nebbia, ma anche lui ha un oggetto in grado di spezzare la mia magia, allora tento di usare anche la telecinesi ma ogni volta che ci provo sento l’energia abbandonarmi progressivamente.
Comincio a sentire il fianco destro dolorante, mi volto quel tanto che basta per rendermi conto che Elebene mi ha pugnalata.
La lama dentro la mia carne si surriscalda, Zephyro continua a tenermi bloccata e qualsiasi potere cerchi di usare non è abbastanza forte.
Tento di evocare la nebbia ma dalla superficie del mio corpo non si libera niente e la mia mente comincia a vagare nel vuoto.
Anche se continua a essere consistente, il mio corpo inizia a diventare trasparente e delle piccole fiammelle scoppiettano sulla mia pelle bruciacchiando i vestiti.
No, non posso. Se torno a essere un fantasma non potrò salvarli.
Capisco che è proprio questo che Samara vuole, indebolita da quelle armi incantate diverrei troppo debole e facile da controllare.
Mentre mi sento pizzicare dall’interno guardo Zephyro negli occhi nella disperata ricerca di una celata umanità perché sono convinta che anche se la sua volontà è incatenata dalla magia, deve ancora provare qualcosa per Lovro ed Elebene, ci deve essere ancora un segno della sua umanità all’interno di quel corpo schiavo di un incantesimo.
Samara ha fatto in modo che tre pilastri dell’anima umana vengano meno. Famiglia, Elebene, amicizia, Zephyro. All’appello manco solo io.
E se fosse già riuscita a renderlo suo schiavo? Samara si nutre di tradimento…
-Merda…- mormoro mentre sento il mio corpo perdere peso.
Cerco di liberarmi ma Zephyro è troppo forte e mi rigira come vuole. Mi tiene attaccata al suo corpo, un suo braccio sotto il mio mento e una mano mi tiene i polsi dietro la schiena. Faccio per parlare ma Elebene mi copre con la mano libera la bocca per impedirmi di usare la Lingua di Sirena.
Un tanfo di carne bruciata mi arriva alle narici, il mio corpo sta per andare a fuoco e loro continuano a trattenermi. Se non mi lasciano moriranno inceneriti.
No, no!... ti prego…
Mi costringo a pensare a una maniera per liberarli, ma non è semplice. Non lo è stato neppure per Stefano.
Ma certo!
Non ho abbastanza energia per tutti e due, ma per uno dovrebbe essere a sufficienza.
Lascio che le poche scintille nella mia testa mi sconvolgano dall’interno. Mi sento cogliere da un freddo intenso che si concentra nel basso ventre e che poi va diramandosi in tutto il corpo.
Quando apro gli occhi un fiume dorato si fa strada sotto la pelle di Elebene. Lei, spaventata, lascia la presa sul pugnale e si allontana graffiandosi la pelle fin dove riesce ad arrivare, ma non può liberarsi dal mio incantesimo.
Si curva su se stessa e cade a terra in ginocchio, si tiene le mani sul cuore come se volesse impedirgli di scappare. Il suo sguardo torna a essere vigile… e umano.
Guarda me e Zephyro, vorrei avere abbastanza potere per aiutarla ancora, ma non posso.
-Scappa.- le urlo.
È spaventata e non sono sicura che farà quello che le ho detto.
Sento la presa di Zephyro allentarsi e lo vedo lanciarsi su Elebene.
-Corri!-
Ma lei è troppo stordita e i suoi movimenti sono scoordinati.
Zephyro le è sopra in pochi secondi, la blocca e la colpisce alla nuca. Lei si accascia a terra, un sibilo le esce dalla gola. Un urlo raspa nel mio petto.
Sul terreno comincia a spandersi una macchia rossa,
Delle vibrazioni provengono dal suo corpo, ma sono deboli e ho paura che se non faccio qualcosa lei morirà.
Sono distesa a terra, talmente stremata da non riuscire a muovermi. Il pugnale ancora piantato nel mio fianco.
Zephyro irrompe in una fragorosa risata, molto diversa dalla sua solita dolce e quasi infantile. Si avvicina a me e mi prende per il collo e mi trascina, poi mi alza da terra e mi sbatte contro un tronco. L’urto fa scricchiolare il legno e un paio d’aghi di pino cadono sulle nostre teste.
Un dolore lancinante mi stringe il cranio e la spina dorsale. Mi tiene premuta contro l’albero con la mano che stringe la trachea, se fossi stata una Vivente mi avrebbe già uccisa fracassandomi la testa.
Negli occhi non ha altro che odio.
Mi lascia e cado sulla sua spalla e riesco a rimanere in piedi solo grazie a questo supporto.
Afferra il pugnale e lo infila ancora di più nella carne rigirandolo, un sapore ferroso mi ricopre la lingua. La mente mi sta giocando un brutto scherzo. È impossibile che io sanguini.
Contro ogni previsione, sfila il pugnale dal mio corpo e mi lascia cadere a terra. Vicino al mio viso cade l’arma.
Zephyro si allontana osservandomi ogni tanto con un guizzo degli occhi. Fa un passo in dietro, poi un altro ancora. La presa sulla spada si stringe, la pelle che ricopre l’elsa produce un rumore stridulo e le nocche diventano bianche. Contrae la mascella in un’espressione indecifrabile.
Ora che il pugnale non assorbe più la mia energia sto riacquistando lentamente le forze, insieme ai miei poteri.
Lancio un’occhiata a Elebene, i capelli biondo castani hanno assunto un colore rossiccio per il sangue.
Zephyro indica con la punta della spada il pugnale. Mi alzo senza più la stanchezza opprimente che l’arma incantata mi ha fatto provare.
Impugnare l’arma che stava per uccidermi. Mi sembra logico.
Afferro l’elsa, lui mi corre incontro, evoco la nebbia e gliela lancio contro con tutta l’energia a mia disposizione, l’urto è violento e lui piroetta in aria finendo contro un albero.
La spada gli vola di mano e lui si trova inginocchiato e confuso, prima che possa tornare lucido mi getto su di lui e perdiamo entrambi l’equilibrio.
Rotoliamo e alla fine riesce a mettersi sopra di me stringendomi la gola, della bava gli esce dalla bocca, il viso contrito in un’espressione bestiale, gli occhi fiammeggianti d’ira che cresce perché non reagisco.
Mi chiedo come Samara possa trovare divertente tutto questo, cosa stia provando in questo momento e cosa stia facendo a Lovro.
Zephyro continua a stringere. Inizia a piangere.
Sento qualcosa giungere da lui. È un opaco sentimento, un fumo intangibile, che affonda le sue radici in un passato triste.
Nella mia mente prende forma una porticina col suo nome inciso sopra. So che se la apro vedrò una parte di lui, qualcosa che vuole tenere nascosta e che solo ora che non è cosciente emerge. È una difficile scelta quella che faccio, ma è anche l’unica via di fuga che mi si presenta davanti… e non posso lasciare che mi scappi via dalle mani senza aver prima provato a percorrerla.
 
La porta è di legno, vecchia, segnata da profonde crepe dalle quali sussurrano fischi d’aria che portano l’odore di un altro tempo appartenuto a un’altra vita. È incorniciata da una serie di quadrati d’argento in rilievo; scorro le dita sulla maniglia, ha la forma della testa di un orso, dello stesso materiale dei quadrati, con le fauci aperte, due zaffiri incastonati al posto degli occhi. Brilla oscura e mi attrae a sé.
Quando la stringo nella mano, delle lame di ghiaccio sembrano sezionarmela mettendo a nudo i muscoli e i tendini, affondano ancora fino a quando non incontrano le ossa, solo così si arrestano. Giro il pomello, sudo copiosamente, ed entro. Senza guardare cosa mi aspetta ora che sono all’interno della memoria di Zephyro, chiudo immediatamente la porta e poso la fronte sul suo legno freddo respirando con la bocca aperta per far entrare più aria possibile.
È come una punta di ferro che graffia il vetro di una finestra.
Mi basta voltarmi per vedere cosa sta accadendo.
Mi trovo in una casa non dissimile da quella dove abitavo io, ma l’odore e le sensazioni che percepisco sono diverse. Il calore che provo sulla mia pelle è scomodo, malsano, l’atmosfera è resa ancora più orribile dal pianto di un bambino.
La camera è immersa nel buio e l’unica fonte di debole luce è rappresentata da una candela accesa quasi incastrata a forza nell’oscurità, sembra quasi un pallido e minuscolo sole senza il quale però non riuscirei a scorgere nulla. Su un letto mangiato dalle termiti ci sono due corpi coperti da un lenzuolo, non stanno semplicemente dormendo, stanno facendo il loro ultimo sonno.
Ci sono anche un bambino e un uomo che riconosco subito. È Adolfo.
-No! Lasciami!- il bambino cerca di divincolarsi ma l’uomo è troppo forte e anche se ha le lacrime agli occhi non può avere il cuore dolce. Avverto l’urgenza che prova; lo deve portare via il prima possibile, lo deve portare al sicuro, prima che accada qualcosa di irreparabile al piccolo e a lui.
Mi avvicino al letto. Fuori dal lenzuolo un braccio di uno dei due corpi esanimi penzola, è coperto da bolle piene si essudato purulento circondate da cute lesionata e necrotica dalla quale si libera un puzzo di marcio talmente acre da sturbarmi lo stomaco. Per essere solo una visione, un’illusione creata dai miei poteri, è molto vivida.
Comprendo il motivo della sua fretta, si tratta di una malattia altamente infettiva che sta mietendo inarrestabile vittime di ogni età e classe sociale.
Il piccolo Zephyro viene trascinato via in preda alla disperazione. Poco dopo intorno a me si alzano delle fiamme che ben presto arrivano al soffitto consumando la casa e i loro corpi. Una freccia infuocata conficcata ai piedi del letto matrimoniale è la causa dell’incendio, il fuoco divora tutto, colori e oggetti vengono ingurgitati da un ululante gorgo di fuoco dando vita a un’altra scena. questa volta conosco bene il luogo dove la visione mi porta.
È il salotto della casa di Lovro. Beatrice e Adolfo stanno discutendo.
-Non possiamo tenerlo.-
Lui la guarda, ma è come se non la riconoscesse.
-Bea, cosa dici?!-
-Dico solo quello che penso.-
-Non possiamo lasciarlo a qualcun altro. Jukhu e Shall erano nostri amici.-
-Lo sai che volevo bene a Shall, ma non possiamo. Riusciamo a malapena ad arrivare alla fine del mese. Con un altro non so se…-
-Ce la faremo, a questo ci penserò io.-
-Questa volta no. Sappiamo entrambi come stanno andando le cose alla locanda.-
-Credimi se ti dico che ce la possiamo fare.-
-Testardo!- urla Beatrice.
-Tu mi ami per questo.-
Lei lo bacia.
-Hai ragione, ma non possiamo.-
-Perché?-
-Non è solo perché non abbiamo i soldi a sufficienza per mantenerlo, ma girano troppe voci su di lui.-
-È solo un po’ diverso dagli altri.-
-Un po’? Tutti hanno paura di quel bambino e non sai cosa dicono le madri! Sappiamo fin troppo bene cosa facevano quei due per vivere e non lo puoi certo definire un lavoro onesto.-
-Si guadagnavano da vivere, punto e basta. Non puoi basare i tuoi pensieri solo su quello che dicono gli altri.-
-Sai almeno cosa dicono di loro?-
-Sì, ed è per questo che dobbiamo tenerlo con noi, gli altri fraintenderebbero, anzi l’hanno già fatto.-
-No, è proprio per questo che dovresti portarlo lontano, in modo da potergli offrire una vita migliore.-
-Non penso.-
-Amore…-
-Bea, non accadrà nulla…-
Le prende il volto fra le mani e la bacia teneramente..
-A tre anni ha ucciso una pecora a mani nude. Jukhu e Shall gli insegnavano i trucchi del mestiere.-
-Meglio, si saprà difendere.-
-Erano degli assassini!-
-Erano cacciatori di taglie.-
-Perché mi devi sempre contraddire.-
-Non ci hanno mai fatto del male, erano nostri amici. Hanno cresciuto un bravo bambino.-
-Non gioca e non parla con nessuno, resta sempre in disparte e in questi giorni ho notato che ci osserva mentre dormiamo.- dice incrociando le braccia -È inquietante.-
-Si deve solo abituare e noi lo aiuteremo. Siamo l’unica famiglia che gli rimane.-
Fuori dalla finestra, Zephyro è completamente diverso da come Beatrice lo descrive, gioca insieme a dei piccoli Lovro ed Elebene.
Ha un sorriso stupendo, gli occhi spiccano luminosi e chiari in contrasto con la sua pelle nera. La bontà e la speranza che leggo sul suo volto sono rimaste immutate in tutti questi anni.
L’aria è carica di elettricità, l’avevo già notata all’inizio della visione e sapevo che ormai era solo questione di tempo. L’aria turbina intrecciando nuove sensazioni a me familiari: confusione, paura.
-Non è possibile.- sussurra qualcuno.
Stretta nella mia mano c’è quella di un’altra persona, è segnata dalle fatiche del lavoro ed è sudata e tremante. La strigo, anche se vorrei fare altro. Vorrei abbracciarlo e dargli la certezza che farò di tutto per sistemare le cose e salvare Lovro, ma non posso, un po’ perché sarebbe come promettere la luna, e poi perché non è il momento né il luogo per queste smancerie. Devo trovare un modo per liberare la sua coscienza anche nel mondo reale.
-Stai tranquillo.-
-Do-Dove siamo.-
-In un tuo ricordo.-
-Com’è…?-
-Sono stata io. Grazie a un contatto fisico anche i Viventi possono condividere con me una parte dei miei doni. Nella realtà mi stai strangolando, siamo fisicamente connessi. È un altro dei miei poteri: l’Espansione.-
Mi guarda stranito, non sa cosa dire e lo capisco. Un movimento attira il suo sguardo e non posso fare a meno di sorridere alla sua crescente confusione
-Ma quello sono io…-
-Devi stare calmo.-
Le immagini cominciano a sciogliersi, le voci si trasformano in stridii lontani, cupi rumori tra i quali non riesco più a distinguere quali sono umani e quali, invece, no.
Ogni suo respiro sembra un tuono a causa dell’eco che permea lo spazio vuoto e infinito dove ci troviamo e quando parlo sembra scoppiare una tempesta.
-Chi erano Jukhu e Shall?-
-I miei padri.-
-I tuoi padri?-
-Jukhu era il mio vero padre, mia madre morì dandomi alla luce. Shall era il fratello di mio padre. Per me sono stati entrambi importanti, mi hanno cresciuto insieme e non volevo negare a nessuno dei due il rispetto che si meritavano.-
-Capisco.- gli sorrido -Hanno fatto un buon lavoro.-
-A volte non ne sono sicuro.-
Il buio che ci circonda si tramuta improvvisamente in una sfera d’acqua turbata da una goccia che ne fa ondeggiare la superficie quando la tocca; poi tutto crolla in una miriade di schegge che cominciano a vorticare tumultuosamente collidendo tra di loro frantumandosi ancora e ancora fino a quando di loro non rimane solo una sottilissima polvere che forma un nuovo paesaggio.
Al posto delle mura, di Adolfo e di Beatrice, ci sono alberi altissimi ed enormi con i rami che si intrecciano creando un interessante gioco di ombre sottili. L’aria è calda e un dolce profumo la riempie, gli uccelli cinguettano allegri e tutto è pieno di vita.
Al di là degli alberi si vede la sponda del fiume. È il posto in cui ho visto per la seconda volta Zephyro e Lovro. Stanno nuotando. Stupidamente mi cerco con lo sguardo tra gli alberi pensando possa trattarsi del giorno della mia liberazione dal giogo della menzogna.
-Io mi ricordo…-
Ha le lacrime agli occhi.
-È un giorno triste?-
-No…-
I ragazzi escono dall’acqua e si dirigono verso di noi, attraversano il nostro corpo per andare a prendere i vestiti.
Appena Zephyro-ricordo prende la maglia, un foglietto di carta gli cade. Mi avvicino a lui per vedere meglio le scritte che porta, la calligrafia è quella di Lovro.
 
“Potrei inventare qualsiasi tipo di frase,
usare bellissime parole,
ma sento che il miglior modo per farti gli auguri
sia quello di essere il più semplice e sincero possibile.
Quindi, caro Zephyro, tanti auguri
e che tutti i tuoi sogni si possano avverare.
Ti voglio bene,
Lovro.”
 
-È il tuo compleanno.-
-Sì.-
-Quando è stato.-
-La scorsa estate. Era da tanto che non ci parlavamo, per la storia di Virginne.-
-Penso sia stata dura.-
-Era cambiato molto, non sembrava più lo stesso.-
-Ma ti ha sempre voluto bene.-
Lui annuisce.
Un intenso gelo mi fa accapponare la pelle che diventa azzurra facendo emergere in superficie le vene viola.
Zephyro non è l’unico ad avermi seguito nella visione, anche qualcun altro che ho imparato a temere perché in grado di sopraffarmi con facilità.
L’acqua del fiume inizia a bollire e a evaporare velocemente lasciando secco il letto pietroso, l’erba si ingiallisce e diventa sabbia come i corpi dei ragazzi che sorridono.
-Questo non me lo ricordo però.-
-Questa non è una tua memoria, qualcuno sta modificandola.-
Un vento bollente si alza sollevando nuvole di sabbia che ci investono; tutto si ingrigisce e perde consistenza diventando fumo, un mare intangibile e nero che ci circonda formando spirali che si trascinano verso i nostri corpi per poi ritirarsi con tetri sibili. La massa informe prende le sembianze di una grossa mano che ci afferra e ci stringe.
Zephyro digrigna i denti.
-Stai calmo…- gli urlo -…non può farti niente, è solo nella tua testa.-
Ma è ovvio che non serve a nulla.
Il dolore che prova gli sembra reale, basta convincere la mente per ingannare il corpo.
Inspiro l’aria e la trattengo nei polmoni per un paio di minuti fino a quando sento di non poterla più contenere e mentre espiro la nebbia azzurrina si stacca dal mio corpo e ci ingloba in una bolla che si espande fino a quando la mano mastodontica non può più stringerci.
-Questo è il mio mondo, la mia visione. Ho tutto il potere necessario per sconfiggerti.-
Un’esplosione dissolve il frammento del cuore dello Spettro Oscuro dentro Zephyro e tutto ritorna come un tempo… quasi.
 
Zephyro cade al mio fianco, è provato, ma ancora lui.
Corro a soccorrere Elebene, le premo una mano sulla fronte e subito mi accorgo che la Guarigione è arrivata giusto in tempo. Il polso è debolissimo anche se sta riacquistando vigore, ma è troppo lento il processo. Mi concentro maggiormente, ma riesco solo a tenerla stabile, non a farla stare meglio.
Zephyro le si avvicina e le stringe le mani fra le sue, piange e chiama il suo nome. La invoca urlando ma lei non risponde al richiamo.
-Ti prego… salvala…-
Non ci riesco.
-Ci sto provando.-
-Per favore.-
La sua vita è un macigno per un filo troppo sottile e consumato per reggerlo e realizzo che se smettessi di usare la Guarigione, lei non sopravvivrebbe ma anche continuando non riuscirei comunque a guarirla.
-Mi dispiace…- mormoro.
Zephyro mi guarda attonito. –No…-
La tira a sé e la lascio, sento che con la Guarigione porto con me anche i suoi ultimi momenti.
-Ti prego… non mi lasciare…-
Ora la famiglia è venuta meno completamente.
-Ti prego…-
Non so cosa dire, e taccio. Tutto mi sembra così scontatoe e inutile.
Si curva sul suo viso e le da un bacio tremante sulle labbra.
È ora che sento qualcosa accendersi. Una scintilla che sfrigola piano cercando di mostrarsi, ma non ci riesce e ogni tanto scompare. Ma c’è, ed è questa la cosa più importante.
Le afferro una mano, forse sbaglio ad alimentare le sue speranze, non sono sicura nemmeno di riuscirci, ma più cerco di alimentare quella scintilla con i miei poteri, più questa cresce fino a diventare una fiammella traballante.
Il suo cuore inizia a muoversi, il suo battito diventa più forte e risuona con audacia e vigore. Vuole la vita, vuole Zephyro, non vuole perdere la sua famiglia, tutto deve rimanere integro. Niente deve crollare.
-Zeph…- sibila Elebene.
-O… amore….-
Zephyro la abbraccia forte.
-Grazie, grazie.- dice fra le lacrime.
Una terribile risata proviene dalla foresta.
No, non ci sei riuscita. Amicizia e famiglia sono ancora in piedi, non sarò io a far crollare la sua anima.
-Se la caverà.-
-Dove vai?-
-Devo salvarlo.- cammino a passo di marcia. Sono furiosa.
-Ti ucciderà.-
-No, non lo farà. Le servo.-
   
 
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