La porta tremava sotto ogni pugno. Poteva quasi sentire il rantolo del legno che si tendeva sotto lo schianto delle manone chiuse, poteva quasi sentirlo scricchiolare mentre tornava a posto, quando le mani si caricavano all'indietro per poter colpire ancora.
Un
tonfo, un altro e un altro ancora, e poi ancora e ancora.
“Vieni
fuori, bastardo di un moccioso!” gridò la voce
ubriaca,
biascicando le parole.
Casey
si rannicchiò con più vigore, nascosto in un
angolo della sua
camera in penombra, con gli occhi spaventati fissi sulla porta.
Poteva
quasi vederla muoversi, quando suo padre la colpiva con foga.
Tonfo.
Tonfo. Tonfo. Tonfo.
“Mi
hai sentito? Vieni fuori, sacco di letame!” tuonò
di nuovo l'uomo,
colpendo ancora più forte.
Casey
tremolò, impercettibilmente. Non poteva nemmeno immaginare
il dolore
che gli avrebbero causato quei pugni se avessero colpito lui, invece
della porta. Gli era bastato lo schiaffo che suo padre gli aveva dato
quando era tornato avvolto dall'odore di alcol, come se ci fosse
annegato dentro, e lui gli aveva chiesto se fosse ubriaco.
La
guancia gli bruciava come se il fuoco la stesse divorando. La
toccò
con la mano fredda, aveva perso ogni altro calore per la paura, e il
contatto gli diede refrigerio e una scarica di dolore.
Era riuscito a nascondersi in camera in un lampo, grazie anche ai riflessi rallentati di suo padre, e a chiudercisi dentro, un secondo prima che quello provasse a buttarla giù. Prima la maniglia aveva traballato convulsamente con un fragore orribile, mentre il batticuore lo divorava, poi si era scagliato con tutta la sua forza, come una carica di rinoceronti.
Tonfo.
Tonfo. Tonfo.
“Quando
verrai fuori me la pagherai, dannato! Ti odio, ti ho sempre odiato,
piccolo bastardo!”
Il
cuore di Casey si strinse, preda di sofferenza e orrore.
Quello
non era suo padre, non lo era affatto. Era il mostro della malattia
di sua madre che se lo era mangiato vivo, poco a poco come aveva
logorato lei in mesi di debilitazione crescente e vitalità
che si
spegneva, finché non l'aveva portata via.
Lo
sapeva che era così, ma le sue parole lo ferirono
ugualmente. Sentì
gli occhi pizzicare e prese un brusco respiro per ricacciare indietro
le lacrime.
Ormai era abituato al fatto che suo padre bevesse, lo aveva fatto ogni giorno mentre sua madre era malata, per non affrontare la realtà. Lo aveva visto ubriaco così tante volte da perdere il conto. Ma era la prima volta che alzava le mani su di lui.
Tonfo.
Tonfo.
“Vigliacco,
apri la porta! Sei solo un fallito” lo aggredì
ancora l'uomo, con
voce sempre più incerta.
Era
anche la prima volta che lo insultava in quel modo. Con quell'odio,
con quell'accanimento.
Una
lacrima cadde con un lieve picchiettio sulla gamba, sul tessuto
serico del pantalone nero. Solo in quel momento si rese conto che
stava piangendo.
Passò
il dorso della mano sul viso e deterse le lacrime con stizza.
Non
poteva permettersi di sporcare il completo a noleggio che aveva messo
per il funerale di sua madre.
E
non poteva permettersi di piangere, anche se probabilmente gli
avrebbe fatto bene, anche se probabilmente avrebbe lavato via il
dolore di aver appena seppellito sua madre o almeno il guscio che era
rimasto di lei dopo che il cancro l'aveva impietosamente consumata.
Tonfo.
“Sei
un dannato buono a nulla, Casey Jones” borbottò
suo padre, con
voce malferma, le sillabe storpiate.
Un
suono strascicato riempì il silenzio teso della stanza e
Casey capì
che erano i pugni del padre che slittavano sul legno, mentre si
accasciava al suolo vinto dall'alcol.
Era
finita, almeno per quella volta. Ma con terrore si chiese se non
fosse solo l'inizio, invece, di una discesa verso l'inferno, se suo
padre non ci avrebbe provato ancora.
E
quella porta non lo avrebbe protetto per sempre. Un giorno, forse,
avrebbe dovuto difendersi da solo.
Ma
le parole di sua madre, le ultime prima di chiudere gli occhi lucidi
e febbricitanti per sempre, riecheggiarono nella sua mente.
“Prenditi
cura di tuo padre, Casey. Capiscilo, vagli incontro, non litigare con
lui anche se sarà il primo a cercare battaglia. Promettimi
che ti
prenderai cura di lui.”
Casey tirò su col naso e annuì al nulla, nella semioscurità che lo avvolgeva.
“Lo prometto, mamma” disse stringendo le ginocchia al petto, nascondendoci il viso contro, perché niente e nessuno potesse davvero vedere le lacrime che non poté più evitare di versare.
Note:
Buona sera!
Questa è la quarta OS, in realtà, e non la terza. Perché la metto? La terza si ispira a questo clima di festa e l'ho ripresa perché tra tutte è quella che meno mi convince. Spero di riuscire a migliorarla, penso di aver fatto una scemenza.
Comunque, appena pubblico l'altra, questa ritornerà quarta, quindi tutta questa premessa è in effetti inutile.
Salve!
Questa OS è su Casey, più o meno nello stesso periodo in cui, da un'altra parte, le turtles erano state rapite dal laboratorio e finivano nel mutageno.
Casey stava seppellendo sua madre, consumata dal cancro e suo padre iniziava la sua discesa verso l'inferno, con alcol e botte al figlio.
Ah, se solo Casey non avesse promesso a sua madre in punto di morte di proteggere suo padre e non combatterlo. Povero cucciolo, lo adoro in questa serie a fumetti, è meno spavaldo che nella serie 2003, un po' più maturo e triste.
E niente, spero che vi piaccia. È molto angst, a ben pensarci.
Vi ringrazio per leggere le OS, per il riscontro che sto trovando in voi! Sono felicissima!
Caldi abbracci a tutti!