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Autore: Ink_    10/12/2014    1 recensioni
[Prompt #16, Celebration]
(...) Il vento gli sferzava il muso, la neve scendeva dal cielo in disordinati fiocchi che andavano a posarsi sul terreno ricoperto da una spessa patina bianca; ma la cosa più assurda di quel quadro già terrificante a sufficienza era il ragazzino che stava tranquillamente appollaiato su un bastone ricurvo, come un pappagallo dalla piume bianche e azzurre appoggiato al suo trespolo (...)
{Jack/Bunnymund ♥}
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Bunnymund, Jack Frost
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: “Le 5 leggende” (Rise of the Guardians) è un film d'animazione del 2012 diretto da Peter Ramsey basato sulle opere dell'autore americano William Joyce e prodotto dalla Dream Works Animation, i quali ne detengono tutti i diritti. Questa è un’opera di fantasia non a scopo lucrativo, ma destinata al semplice diletto del lettore, di cui l’autrice (© Ink_ ) detiene i diritti.

Prompt: #16 Celebration de 101_kisses theme


Note: la figura folkloristica di Jack Frost risale agli inizi del Novecento (anche se pare fosse già parte della tradizione norrena), seguendo l’ordine cronologico del film gli avvenimenti in esso rappresentato dovrebbero essere svolgi circa nel duemilaeduecento? Comunque sia e se non sono in errore, l’antipatia tra Jack e Bunnymund nasce nella Pasqua del ’68, supponendo che si tratti del 1968. Al visto che  il folklore non combacia con la pellicola, ho recesso di qualche secolo per aggiustare le cose. Sono una mezza sega in matematica, comunque.
 
 

 
Easter Day, 1768

 
 
 
" The eyes of the others our prisons;
their thoughts our cages"
-Virginia Woolf


 
 
 « Se ne deve andare! » aveva gridato a pieni polmoni.

Ma se ne era pentito amaramente di averlo detto: vide gli occhi di Jack sgranarsi e riempirsi di sorpresa miscelata a paura, vide chiaramente qualcosa rompersi, come un specchio andato in frantumi tra le sue zampe, rivide in quelle iridi cristalline come tutto quanto fosse iniziato e allo stesso tempo, come tutto quanto sarebbe finito.

 
Era la notte a cavallo tra il sabato e la mattina di Pasqua dell’anno 1768, era tutto pronto, doveva solo scortare le piccole uova colorate in superficie.

Bunnymund sparì nella buca per riapparire pochi instanti dopo centinaia di metri più su, per controllare il viaggio dei suoi piccoli orgogli, ma lo spettacolo che gli si parò davanti lo lasciò a bocca aperta: dove dovevano trovarsi verdi pianure, vi era il bianco più puro, il ruscello era diventato un specchio ghiacciato, i fiori che fino a poche ore prima puntellavano la zone era stati schiacciati dalla neve: morti congelati.

 Il vento gli sferzava il muso, la neve scendeva dal cielo in disordinati fiocchi che andavano a posarsi sul terreno ricoperto da una spessa patina bianca; ma la cosa più assurda di quel quadro già terrificante a sufficienza era il ragazzino che stava tranquillamente appollaiato su un bastone ricurvo, come un pappagallo dalla piume bianche e azzurre appoggiato al suo trespolo.

Il coniglio si avvicinò al giovane, il quale, girato di spalle,  non si era accorto del suo arrivo, stava  roteando  delicatamente le dita e piccoli fiocchi di neve avevano presero a scendere dal cielo plumbeo e, incuranti del forte vento, caddero delicatamente sul palmo del ragazzo, ammucchiandosi ordinatamente,  fino a formare un piccolo pupazzo di neve.

« Hey amico! » esclamò il Guardino della Speranza, dando sfoggio al suo orgoglioso accento australiano  il ragazzo trasalì  e con un balzo scese dal bastone, impugnandolo a mezz’aria e puntandoglielo contro come se fosse una lancia:  Bunnymund non seppe dire chi dei due fosse il più meravigliato: se il giovane per ritrovarsi davanti quasi due metri di coniglio armato di boomerang o lui stesso di fronte a quegli occhi.

Ma, no, non potevano essere occhi, erano due ardenti bracieri di fuoco blu, che anche se congelati continuavano a bruciare, catturando il suo sguardo smeraldino, impedendogli di pensare a qualsiasi cosa che non fossero quegli occhi ipnotici.

Un brivido gli scese lungo la sua colonna vertebrale facendolo tremare, diede la colpa a quella maledetta  tempesta di neve, anche se in quel momento non gli parve più tanto importante:nulla sembrava più avere importanza, né i Guardiani né i bambini o le uova che doveva consegnare, solo quei dannati occhi. Perse completamente la cognizione del tempo e della realtà, dimenticandosi anche della bufera che infuriava minacciosa intorno a loro. Loro. Lui e quel ragazzino. Solo loro.

« Sono Jack Frost » disse quando  parve aver recuperato l’uso della parola, abbassando lentamente il bastone.

 Registrò lentamente quelle due parole che gli erano entrate in testa con la stessa dolcezza di una ninna nanna e lì erano rimaste.
Un leggero scalpiccio lo riportò brutalmente alla realtà e, voltandosi in quella direzione, vide con suo grande rammarico che le ovette avevano cominciato a raggiungere la superficie e che ora stavano vagando nella bufera, alcune si scontravano e si urtavano fra loro per la poca visibilità oppure affondavano per il troppo peso nella neve soffice e continuavano a zampettare, creando piccoli intrecci in quel mare di panna, altre cercavano con scarso successo di invertire la rotta e tornare al tepore delle gallerie, ma il flusso continuo di uova glielo impediva: un completo disastro. Bunnymund sentì una furia cieca montargli in corpo e nonostante quello sconfinato bianco, gli parve di vedere rosso  

« Aspetta … » cominciò Jack « … ma tu mi vedi » gridò con un immenso e dolce sorriso, sorriso che contagiò anche gli occhi, facendoli, se possibile, ardere ancora di più.

« Certo che ti vedo razza di idiota! » esclamò aggressivo, quasi immemore dei sentimenti che quel ragazzino gli aveva suscitato pochi minuti prima  « Anche se desidererei non esserne capace! Guarda cos’hai combinato » urlò indicando le uova con un gesto plateale.

La seconda ondata si parole amare gli morirono in gola quando incrociò di nuovo il suo sguardo:  i suoi occhi, con quelle ipnotiche iridi ardenti, si stavano spegnendo, un’ombra scura stava calando su di loro e piccole gocce salate presero a scendergli lungo le guance pallide.

Bunnymund sentì la rabbia sciogliersi in bile acida, non era questo che voleva, non voleva fargli del male, voleva solo consegnare quelle piccole dannate uova!

Ma  il danno era fatto e lui, nonostante quanto la ragione gli suggeriva, lo sapeva, non si sarebbe scusato, non avrebbe cercato di trattenerlo, no, lui era un guerriero fiero ed orgoglioso e un guerriero non piegherebbe mai il capo per invocare perdono.

 « Scusami » soffiò in un sussurrò Jack, mentre l’ultimo briciolo di genuina sorpresa lasciava spazio alla paura.

Quella parola ferì il coniglio più della temibile consapevolezza che la Pasqua era rovinata, una sottile lama gelida che penetrava in profondità, scatenando grida agonizzanti ad ogni millimetro che avanzava, avrebbe preferito che l’avesse colpito, che gli avesse urlato contro, che l’avesse insultato magari, qualsiasi cosa pur di non essere guardato in quel modo.

Impotente lasciò che Jack si librasse in aria e scomparisse dalla sua vista,  poco dopo la neve si dissolse, cancellando l’ultima traccia del suo passaggio, ma non dalla mente del Guardiano, marchiata a fuoco da un paio di occhi gelidi.

 
Erano passati molti inverni, più o meno nevosi e finalmente ci era riuscito: l’aveva dimenticato, aveva relegato quegli occhi in un angolo remoto del suo inconscio fino a quando l’Uomo della Luna non aveva designato Frost come Guardiano.

E allora l’incubo era ricominciato o cominciato, se davvero era mai finito; quei maledetti occhi erano tornati ad invadere la sua mente con brutale prepotenza, quasi stordendolo; si sentì ribollire di un bruciante desiderio falsamente assopito e si chiese se sarebbe riuscito a sopportare tutto questo.

No, la risposta era no, non ce l’aveva fatta, era stato debole, ecco perché era lì, nel bel mezzo del parco, invisibile agli occhi dei bambini che a testa bassa si allontanavano, ma che importava? Lui poteva vederlo, nient’altro aveva importanza.

Lo stava cacciando perché aveva paura, lui, un fiero guerriero aveva paura, paura di tutto quello che gli stava accadendo, dell’ossessione che lo dominava, della brama che gli infiammava le vene ogni qualvolta lo vedeva, dell’opprimente bisogno di lui e allora il suo inflessibile orgoglio aveva trovato la soluzione.

Non era quello che voleva, non voleva che se ne andasse davvero, lui lo voleva e lo voleva tutto per se.
 
 





 
~Ink

 
 
   
 
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