Voglio
morire.
...
Non credevo sarei mai
arrivata al punto di pensare una frase del genere. Non era da me, prima. Prima avrei
scacciato con forza e forse persino con rabbia qualunque
pensiero così negativo, così cupo,
così completamente privo di speranza.
Eh. Speranza. A Naegi piaceva
riempirsi la bocca con quella parola. Ne aveva motivo, non sto dicendo
che la
usasse a sproposito. Tutt’altro.
Lui è stato il faro della
nostra sanità mentale finché ha potuto.
Finché non è stato catturato e usato
come cavia, esattamente come tutti gli altri. E come me, ovviamente.
Mi piacerebbe potermi
considerare diversa, speciale. Quella maledetta pazza psicopatica di
Junko
Enoshima non è della stessa idea.
La mia vita, la mia vera
vita... è finita sei giorni fa. Al momento respiro e ogni
mia funzione
corporea, se si esclude quel piccolo particolare, è
efficiente e non dà segni
di cedimento. Sì, era chiaro che parlavo in via metaforica.
Prima
non
credevo all’opinione secondo la quale esiste qualcosa di
peggiore della morte.
Mi sembrava così insulsa. Ho sempre pensato che la morte
porti all’oblio, al
nulla più totale e divorante che possa non esistere. No ok,
scherzavo. Niente
arrampicate filosofiche, non sono proprio dell’umore.
Ringrazio anzi per essere
abbastanza in grado di formulare pensieri complessi e sensati, oggi.
Forse è la
prima volta che mi capita da quando sono qui.
Esperimenti. Non siamo altro
che esperimenti per lei. Piccoli topini squittenti, sfuggenti e che
danno un
sacco di soddisfazioni quando cominci a incidere la loro pelle per le
tue
turpi perversioni.
Confermo che voglio morire.
Sopravvivere in questo sottospecie di modo mi disgusta e state pur
tranquilli
che, se potessi, non esiterei a prendere uno qualunque degli attrezzi
per
ficcarmelo in gola. È vero, potrei non arrivare a tanto e mi
basterebbe
ingoiare la lingua o, se proprio volessi fare la scenata, prendere a
testate la
gabbia fino a procurarmi un bel trauma cranico rimanendo per terra a
crepare
dissanguata... ma non ne ho il coraggio. Una parte di me non riesce a
lasciarsi
andare del tutto e continua a volere un miracolo, perché
nella situazione in
cui ci troviamo niente di meno di un miracolo può anche solo
credere di essere
sufficiente.
E pure in quel caso, se
questo miracolo arrivasse... cosa ci rimarrebbe? Che razza di vita
potrebbe
condurre un freak show come il nostro?
Mi immagino la scena: esplode
una bomba che, non mi si chieda come, uccide solo Enoshima e i suoi
lacchè lasciandoci
completamente illesi e con una via di fuga aperta. Ci affanniamo per
scappare,
quelli che ne sono in grado persino felici dello sviluppo, e apriamo il
portellone dell’accademia.
Poi... poi cosa? Un circo,
non vedo altre possibilità.
“Venghino siore e siori,
venghino! Nuovi abomini per il vostro sollazzo di pubblico pagante! Aoi
Asahina, la ragazza-sirenetta! Mondo Oowada, la risposta giapponese a
Electro
della Marvel Comics! Yasuhiro Hagakure, la trasposizione in chiave
moderna di
Medusa! Celestia Ludenberg, il Joker dei poveri! Esseri deformi per
tutti i
gusti e le età, senza eccezioni! Non si concedono rimborsi e
il sacchetto per
il vomito ve lo dovete portare da casa”.
Io non sarei sul cartellone,
di certo. Ci sono soggetti -è proprio il caso di dirlo-
più bizzarri e maggiormente
capaci di attirare i bambini. D’altronde chi può
spaventarsi oltre un certo
limite di fronte a una ragazza...
...a una ragazza...
...con gli occhi sulle mani
e le orbite oculari cave?
No no, ehi... fermo...
SBLORGH.
Wow, mi mancava giusto rimettere
al solo pensiero di cosa sono diventata.
SBLORGH.
...non avevo chiesto il bis.
Fantastico. Sono riuscita a
chiudermi in un angolo tutta da sola. Poi mi si viene a chiedere
perché penso
al suicidio.
Cerco di pulirmi la bocca con
la manica del camice. Era l’ultima cosa di cui avevo bisogno.
No, aspetta. Ci ho ripensato.
Continuo a voler farla finita
con questa ridicola sembianza di vita. Ma, prima di piantarmi un
cacciavite nel
cuore o qualunque sia il sistema per cui opterò, desidero
torcere il collo
della nostra aguzzina. O versarle addosso della benzina, darle fuoco e
vederla
bruciare come una sigaretta. O prenderla a bastonate fino a deformarle
la
faccia.
Il come è superfluo.
Deve pagare. Pagare. Pagare.
Pagarepagarepagarepagarepagarepagare.
Ecco, sulla mia capacità di
formulare pensieri coerenti forse sono stata un po’ troppo
ottimista.
Comunque. Ha distrutto la mia
e le esistenze di tutti i nostri compagni per... per cosa? Per il suo
sollazzo
personale? Per noia? Per una distortissima curiosità
scientifica alla Mengele,
del tipo “vediamo cosa succede se tiro questo
muscolo”?
Qualunque sia il motivo, e
neanche mi interessa realmente saperlo, non accetto di morire prima di
essermi
presa la mia patetica, inutile, vuota rivincita. In quanto scherzo
della natura
non posso ambire a niente di più elevato, dopotutto.
In realtà con me ci è ancora
andata relativamente leggera, e so che pare assurdo. Nel mio
particolare caso l’ha
messa molto sul psicologico e pochi possono rivaleggiare in questo
ambito.
Perché non tutti si portavano dietro delle mani devastate da
ustioni di secondo
e terzo grado che ti sei procurata da ragazzina mentre seguivi un caso.
Non
tutti possono vantarsi di aver passato ogni minuto della propria
giornata con
addosso dei guanti perché non volevano ricordare,
perché erano terrorizzati dal
costante rimarco dei propri errori, perché sarebbero stati
immediatamente resi
dei paria sociali solo in base a quelle ferite.
Ora invece sono costretta ad
esporle, e la cosa tragica è che non sono più il
mio maggior motivo di vergogna
e dolore. Adesso non posso guardarle neanche volendo, data la...
peculiare
nuova posizione dei miei occhi. Oh sì, sono perfettamente
funzionanti.
Se fossi più stabile dal
punto di vista emotivo adesso mi sarei già lanciata in una
lunga disamina sul
come la loro attuale ubicazione abbia intaccato la mia
percezione delle
profondità, di come la cosa potrebbe essere sfruttabile a
mio vantaggio se
possibile e bla bla bla. Le cose che vi aspettereste dalla vecchia
Kyouko.
Insulterò la vostra
intelligenza ribadendo che quella Kyouko è morta sotto i
ferri di Enoshima. A
fine intervento avanzava un’anima alla dottoressa e lei non
si è fatta problemi
nel non trovarla di nessuna utilità per i suoi giochetti da
piccolo chirurgo
fuori di testa, buttandola senza tante cerimonie nel cestino della
spazzatura.
Ovvietà, ovvietà. Lo so, per
intercessione di qualche kami misericordioso oggi riesco a
comprenderlo.
Abbiate pietà di un povero relitto e del suo unico giorno
fausto, su. Domani
sarò quasi di sicuro tornata a quello che ormai è
diventato il mio solito tran
tran, cioè dondolarmi con le braccia attorno alle ginocchia
mormorando frasi
sconnesse sulla felicità, la realizzazione personale e tutto
quanto. Sogni
infranti, aspirazioni frustrate e rimpianti come se piovessero.
Urgh. Meglio evitare il
lirismo, non ne sono capace. Non intendo sfruttare questi pochi momenti
di
lucidità perdendomi in voli pindarici. Non ho neanche modo
di scriverli sulla
carta igienica e farli leggere a chi occuperà questo buco
dopo di me.
Il fatto è che non posso fare
comunque niente. Non abbiamo la minima possibilità di
andarcene da questo
sotterraneo trasformato in sala operatoria. Se anche fosse ho delineato
in
maniera penso realistica le prospettive che ci si aprono davanti.
Raziocinio, torna a trovarmi
dopo questa puntata e fuga. Da una parte preferirei rimanessi lontano
mille
chilometri da me, perché se ci sei mi aiuti solo a
comprendere quant’è profonda
la fossa in cui sono precipitata... ma d’altra parte sei
sempre stato il mio
migliore alleato, nella vita e sul lavoro, e nonostante i gorgoglii e i
versi
mi mancheresti. Soffrirei nell’averti accanto, chiaro, ma sarebbe meglio di
vegetare in preda a istinti primordiali senza controllo. Si tratta solo
di una
forma differente di supplizio, alla fine.
Credeteci. Mi sono pisciata
addosso innumerevoli volte, ho urlato e strepitato come
un’animale, mi sono
data a impulsi che la vecchia me avrebbe bollato come indegni di un
essere
umano.
Cosa che ho palesemente
smesso di essere da sei giorni.
No, ti prego. Rimani. Sei l’unica
cosa che mi separa da un lombrico. Non mi interessa se porti con te
consapevolezza, presenza di sé, spirito. Sei ciò
che mi lascia la... tsk, la
speranza di poter ricavare qualcosa di meritevole dalla mia carcassa
d’esistenza.
O, se proprio mi tocca, di poter morire nella piena coscienza di me
stessa.
Magra consolazione, ma meglio di nulla.
Ho deciso: lotterò. Non so
come e non so perché, visto che non nutro nessuna
prospettiva di futuro con il
corpo straziato che mi ritrovo, ma lotterò. Fosse anche solo
per non dare a
Enoshima la soddisfazione della vittoria definitiva e inappellabile che
sarebbe il lasciarsi andare del tutto.
Mi alzo, la gabbia è
nonostante tutto abbastanza alta da permettermi di restare eretta, e quando sono a mezzo metro dalla porta le do un calcio. E un altro. E un altro. La
cosa non
passa inosservata e Ikusaba, la fidata assistente, si avvicina.
Poveretta, mi fa pena. L’altro
ieri ha cercato di farci scappare, immagino schifata dagli esperimenti
della
sorella. Come premio è stata catturata, usata a sua volta
come cavia e infine
sottoposta a un gran bel lavaggio del cervello che l’ha resa
ubbidiente e
asservita al cento per cento. Questo è il premio che attende
chi si oppone a
tutta questa atrocità.
“...”. Non può parlare da
quando la bocca le è stata cucita con del grezzo spago,
forse come sfregio per il
tradimento.
In questa grande sala comune
siamo tutti fenomeni da baraccone.
“Chiama Enoshima”.
“...”. Penso volesse
intendere un semplice “ok”.
Attendo un paio di minuti.
Poi eccola, la persona che
più odio al mondo. Ghigna mentre con una mano si sfiora
lieve la cicatrice sul
collo. È talmente squilibrata da aver probabilmente operato
su se stessa.
“Ma non ci credo! Sei in
piedi e sembri combattiva, Kirigiri! Non vorrai ritentare il fallimento
dell’altra
volta, vero?”.
Prima mi strappo con un gesto
adirato la fascia che mi copre le cavità oculari, al diavolo
la polvere e gli
agenti esterni. Per quanto possa essere fuori da ogni logica, sto
sentendo un
impossibile orgoglio per il mio attuale aspetto. Fatto questo, le punto
le mani
addosso. Voglio vederla mentre le lancio la mia ultima sfida, qualunque
essa
sia.
“Mi sopravvaluterei dicendo
che sicuramente uscirò di qui, non prima di averti preso a
calci fino ad avere
male ai piedi. Non riesco a dirlo. Quel che posso dirti,
però, è che non avrai
mai ciò che mi rende me. Vuoi sottopormi a
un’altra operazione per ammaestrarmi
e ridurmi al silenzio? Hai il potere per farlo e io non sono nelle
condizioni
di impedirtelo. Vuoi provare a spezzarmi ancora di più,
giusto per vedere se
puoi ridurmi in frammenti fini fini? Di nuovo, non posso impedirtelo.
Ma ti
giuro, ti giuro, ti giuro sulle ossa di mio padre e sul lignaggio della
mia
famiglia: Kyouko Kirigiri non morirà come una bestia, se
è questo il destino
che mi attende alla fine del cammino. Morirò con
dignità, conscia di averci
messo tutto quel poco che mi rimane per ostacolarti e impedirti di
ottenere ciò
che vuoi. Questo mostro non cederà alla disperazione,
così come non ha ceduto
alla tentazione di uccidere i suoi amici quando ancora era umano. Sei
libera di
provare a farmi desistere come più preferisci ma ho preso la
mia risoluzione e
continuerò a sputarti addosso, se serve anche dopo aver
smesso di respirare. Le
situazioni come questa ti fanno perdere la testa e non rimprovero chi
non
riesce a reggere, ma sono certa di...”.
“Puah. Hai finito di dire
stronzate? Nel caso ti fosse sfuggito, non sei William Wallace.
Né tantomeno il
Maggiore di Hellsing, con il suo spettacolare discorso sulla bellezza
della
guerra. Puoi credere quanto ti pare quel che ti pare, la
realtà è che sei un
minuscolo guscio ridotto a tremare e a scongiurare pietà...
che non otterrà. Ti
posso stritolare quando più mi aggrada, e se continui
così potrei farlo molto
presto”.
“Allora non sono stata sufficientemente
chiara: tu. Non. Mi. Avrai. Mai. La mia vita ormai non vale nulla e se
andassi
a barattarla in un banco dei pegni mi darebbero giusto cinque, forse
dieci yen.
Dici che sono un guscio e hai ragione, non ho la faccia tosta di
negarlo. Puoi
prenderti tutto: le braccia, le orecchie, gli organi interni. Tutto
tranne...
suona banale, ma è me che non puoi prenderti. Il mio centimetro finale, piccolo e fragile, baluardo della mia stessa essenza più intima e profonda, è mio e mio resterà. Grazie, odio
dover ripetere le
cose”.
Senza attendere una risposta
le do le spalle e torno a sedermi nel mio angolino, camminando sopra le
pozze
di vomito.
“Interessante, Kirigiri.
Interessante. Vedremo nelle prossime ore se il tuo carisma ha un bonus
abbastanza alto da scatenare la voglia di ribellione generale.
Perché sappi
questo: da sola cadrai di testa ancora prima di partire. Non che il oh
sì
prezioso aiuto degli altri miei giocattoli cambi qualcosa, ma da
sola... oh, da
sola. Mukuro! Monokuma! Monomi! Preparate il tavolo,
c’è da lavorare!”.
Bene, si comincia. Mi chiedo
cosa escogiterà stavolta. Magari mi innesterà ali
da zanzara... o forse zoccoli
da centauro...
Bah. Fai del tuo peggio,
Enoshima. Sono pronta.
“Togami” mi rivolgo alla mia
sinistra. Il nostro novello Mammon, sentendosi tirato in causa,
appoggia
quattro delle sei braccia sulle sbarre e lascia correre la sua lingua
biforcuta
nel mio lato.
“Cossa vuoi, Kirigiri? Sstavo
cercando di meditare” sibila. Da quando è...
cambiato non riesce più a
esprimersi senza questo tono da serpente.
Se ne fossi capace mi
lascerei scappare un risolino. Togami che medita.
“Riesci a chiamarmi Naegi,
per favore?”.
“Ssono quattro giorni che non
sspiccica parola. Perché ora dovrebbe essssere
diversso?”.
Sospiro. Lui è stato uno di
quelli colpiti nella maniera peggiore: Enoshima, in un atto di
crudelissima
ironia, l’ha trasformato in una copia di Monokuma con tanto
di occhio
fiammeggiante. Il fatto che non abbia voglia di cianciare non mi
meraviglia per
nulla.
“Sì, hai ragione. Non
importa, grazie lo stesso”.
“Ti ho ssentita prima, ssai...”.
“Ah davvero? Hai qualcosa da
dire in proposito?”.
“No. A parte che... ti ammiro
e ti risspetto”.
“Tu chi sei? Che fine hai
fatto fare all’arrogante, superbo, invincibile Byakuya
Togami?”.
“Come hai ssaggiamente
ssottolineato, le ssituazioni come quessta ti fanno perdere la
tessta”.
“Dover arrivare a tanto per
farti fare un bagno d’umiltà,
però...”.
“Nessssuno è perfetto, nemmeno
io. Figurati ora che ssembro la brutta imitazione di una creatura
dell’oltretomba”.
“Comunque grazie. Fa piacere scoprire
che almeno un altro di noi mi capisce”.
“Non dovressti sstupirti cossì
tanto, rimango pur ssempre...”.
“Sì, lo so”.
Sorride, poi torna alle sue
faccende. Capirete da voi perché siamo stati gettati in un incubo.
Umpf. Comincio a sentire un
po’ di fastidio dovuto alle particelle di pulviscolo, o sa il
diavolo cosa, che
mi entrano dove una volta avevo gli occhi.
Fa nulla. Così ho deciso e
così sarà.
Passa circa una mezz’ora.
D’improvviso la porta della
mia cella si spalanca. Entrano Monokuma e Monomi, due assistenti della
nostra
folle caposala, che mi afferrano di peso e mi trascinano fuori. Vorrei
poter opporre resistenza scalciando e sbraitando, ma sono troppo
indebolita. E
poi ho bisogno di risparmiare le forze per il post-operazione, non
è mai stato
nei miei piani impedire le porcate da macellaio di Enoshima.
Erano garantite, persino
attese.
La vera prova è il dopo. Sarà
lì che dovrò versare ogni goccia del mio spirito
torturato. L’involucro non è
importante, dato che sta per subire l’ennesimo colpo
d’ascia e sarà già un
mezzo miracolo se mi reggerò in piedi da me.
Eccola, quella parola torna. Miracolo.
Un miracolo c’è già stato, se
vogliamo. Il miracolo che mi ha permesso di alzare la testa e
riottenere la
piena autorità sulla mia vita.
Mi piace pensare di essere l’erede
del vero Naegi, non della disgraziata ameba che ha preso a farci
compagnia da
un po’ di tempo. Lui avrebbe stretto i denti, ingoiato tutto
il letame
versatogli in gola e tirato dritto per la sua strada.
Non temere, Naegi. Farò io
per te. Ci hai mostrato la via, è giusto che tocchi a
qualcun altro mentre tu
ti riposi a lato del sentiero.
“Guardate chi è venuto a
trovarci. La signorina Kirigiri ha fatto formale richiesta per un altro
giro di
bisturi, cesoie e cianuro. Fatela accomodare in postazione, ho
un’incontenibile
voglia di tagliuzzare”.
In un lampo estemporaneo
dichiaro: “Mi chiamo Kyouko Kirigiri e sono il tuo peggior
nemico, Junko Enoshima.
E anche conciata così riesco ad avere più
umanità di te. Sia adesso, sia
quando avrai finito”.
“Ok, ho deciso.
Troverò il sistema preciso mentre lavoro, ma quella tua
boccaccia fastidiosa
va... sigillata”.
“Accomodati”.
Supererò
anche questa. E
quella dopo. E quella dopo ancora.
Note dell'autore
Potreste giustamente chiedervi che cos'è 'sta roba. È un AU parecchio strano, rimediato in giro per Tumblrpfz dove, al Gioco degli Omicidi, viene sostituito Junko si Diverte col Piccolo Chirurgo. Trovate la Lab Experiment AU, con tanto di immagini e descrizioni di ogni singolo personaggio, qui.