Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Lily Liddell    13/12/2014    4 recensioni
Post-Mockingjay | Hayffie | Effie's POV {+Evelark}
~
Sequel di Rain.
{Potranno comunque essere lette separatamente.}
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Sono passati due mesi da quando Haymitch, Katniss e Peeta sono tornati al Distretto 12. Effie non se la passa bene, Plutarch le dà una mano ma il suo appartamento è stato distrutto durante i bombardamenti; è ancora psicologicamente sconvolta dall’esperienza in prigione e spera che il tempo guarisca le ferite.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Capitolo 1:
Io non so più chi o che cosa sono. Al 13 ero una capitolina, alla Capitale sono una ribelle… Fortunatamente, fra le quattro mura di questo appartamento, sono solo Effie.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Capitolo 18:
Dal momento che Peeta e Katniss hanno deciso di sposarsi pochi giorni prima del compleanno della ragazza, a lui tocca il compito di preparare non una, ma due torte.
––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––
Capitolo 38:
L’odore pungente del detersivo s’infiltra nelle mie narici e non riesco a combattere la nausea.
I fumi profumati che evaporano dai vestiti appena lavati non sono nocivi ma mi vanno direttamente alla testa, causandomi continui capogiri.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Atmosphere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


5x02 Pan
 
È il primo ottobre e non smette di piovere da due settimane al Distretto 12.
Poco importa, comunque, perché in questo momento non è lì che mi trovo. Sono a Capitol City, di nuovo. Ma questa volta non sono da sola, perché Haymitch è venuto con me.
Per mesi ne abbiamo discusso, e alla fine abbiamo accettato la proposta di Plutarch. Siamo qui per andare a prendere Pan e per portarlo a casa.
I “quasi sei anni” si erano rivelati essere appena cinque anni e mezzo. Ma festeggerà il compleanno fra due mesi e a detta di Plutarch, era molto felice quando ha saputo che non lo avrebbe passato nell’istituto.
Come avevo pensato, aveva pochi mesi alla fine della guerra; ha perso la famiglia ed è cresciuto qui, assieme ad altri bambini.
Sono tremendamente nervosa. Il viaggio in treno è stato stressante e lungo. Non voglio restare qui più del dovuto.
Continuo a chiedermi se sia la cosa giusta da fare. Non sono sicura che Haymitch lo voglia davvero, ma da quando abbiamo preso la decisione, ogni volta che gli ho fatto presente i miei dubbi, ha continuato a ripetermi che se veramente non lo volesse, non avrebbe mai acconsentito in primo luogo.
Su questo gli credo, ma la situazione mi sta comunque uccidendo.
Siamo in un piccolo ufficio all’interno dell’istituto che ospita Pan, così come moltissimi altri bambini rimasti orfani durante la guerra e anche dopo.
La gamba destra di Haymitch continua a tremare nervosamente, le mie dita stanno sanguinando per quanto le ho masticate, le mie unghie ormai sono inesistenti. Avrei dovuto portare dei guanti.
« Smettila. » Una mano di Haymitch impedisce alla mia di arrivare di nuovo alle labbra, poi l’allontana. « Stai sanguinando. »
Io mi sistemo meglio sulla sedia, senza replicare. Comincio a cercare qualcosa nella borsa, finché non tiro fuori un fazzolettino e lo arrotolo attorno all’indice della mia mano destra – sperando che la situazione migliori prima che arrivi il bambino.
Abbiamo già compilato tutti i moduli da compilare, firmato tutti i documenti da firmare e parlato con chi di dovere.
È quasi mezz’ora che siamo qui da soli, in attesa.
Dopo altri dieci minuti, finalmente, c’è un rumore alle nostre spalle. Entrambi trasaliamo, voltandoci a guardare.
Le porte si aprono ed entrano cinque persone. Plutarch e Fulvia, la proprietaria dell’istituto con l
’assistente sociale con cui abbiamo parlato, e Pan.
Vederlo in piedi in mezzo ai quattro adulti, sembra quasi più piccolo di quanto non sia veramente.
Ha folti capelli scuri, che per l’occasione sono stati pettinati all’indietro con del gel. Gli occhi – grandi e castani – vagano nella stanza, poggiandosi prima su Haymitch, poi su di me. Non sembra troppo nervoso, sicuramente meno di me.
Plutarch ci sorride, e allarga le braccia in segno di saluto. Mentre il gruppo avanza verso di noi, mi rendo conto che Pan  sembra far fatica a camminare. Mi chiedo se sia colpa dei vestiti che indossa – un completo che sembra fin troppo pregiato per il luogo in cui si trova.
Dal momento che non so come fare per farmi passare la paura, utilizzo l’unico modo che conosco: fingere. Fingo di non averne, perché sono una brava attrice e perché è un metodo collaudato più e più volte con gli anni. Se sono fortunata, la paura svanirà da sola.
Costringo il mio corpo a collaborare, mi alzo in piedi e vado verso di loro. Si fermano e mi posso accovacciare di fronte al bambino, con un sorriso sincero sulle labbra.
È un po’ intimorito, ma ricambia il sorriso e poi i suoi occhi si allargano per un istante – come se si fosse reso conto di essersi dimenticato qualcosa di importante – e allunga la sua manina verso di me, sollevando poi la testa verso Plutarch, che gli fa un cenno di approvazione.
Gli stringo la mano, continuando a sorridere e poi faccio le presentazioni.
Ci risediamo per fare due chiacchiere e per conoscerci meglio. Haymitch è silenzioso, e io comincio a sentire di nuovo una morsa allo stomaco. Non sono sicura di riuscire a nasconderlo. Non sono solo nervosa, sono terrorizzata.
Ho paura che vada tutto male, ho paura di non essere all’altezza della situazione, ho paura che Haymitch si tirerà indietro.
È tutto facile finché siamo qui. Ma come sarà quando saremo da soli? Fra poco torneremo sul treno, poi arriveremo a casa. E da quel momento come sarà?
Mi gira la testa, forse è meglio non pensarci troppo.
Quando stiamo per congedarci, Plutarch ci chiede se può scattarci una foto.
« No. » È la risposta immediata di Haymitch; io non credo di volerlo fare.
Prova a convincerci, e alla fine è Fulvia che lo fa desistere. Dicendo che il treno ormai starà per partire e che dobbiamo avviarci in stazione.
Sono convinta che ci saranno decine di telecamere nascoste e paparazzi qui fuori che ci scatteranno foto a sufficienza da utilizzare per i suoi manifesti.

Siamo sul treno da poco più di due ore. Per fortuna Pan ha lasciato alla Capitale l’imbarazzo iniziale e sta cominciando a fare domande su domande. Vuole sapere com’è il Distretto, com’è la casa e come sarà la sua stanza.
È incredibilmente elettrizzato dall’idea di avere una cameretta tutta per lui, senza doverla dividere con gli altri bambini.
« Ci sono gli alberi? » Mi chiede, mentre ci avviamo al tavolo del nostro scompartimento.
Sia io che Haymitch ci scambiamo uno sguardo confuso; il bambino ci guarda con il nostro stesso sguardo riflesso negli occhi.
« Mi piace arrampicarmi. » Ci spiega semplicemente, poi comincia a grattarsi la schiena – i vestiti che indossa gli danno sicuramente fastidio. « È divertente. »
L’idea che si arrampichi in giro di sicuro non mi entusiasma, però annuisco abbozzando un sorriso. « Ma certo. » Rispondo, e gli passo il menù poggiato sul tavolo. Già prima, sotto suggerimento di Plutarch, ci ha dato prova delle sue abilità di lettura.
Lasciamo che sia lui a decidere e finiamo per ordinare praticamente tutto quello che c’è sul menù.
Poco dopo, da un’apertura sul tavolo arrivano le nostre ordinazioni.
Mentre cominciamo a mangiare, Pan continua a grattarsi e a contorcersi – talmente tanto che sia io che Haymitch rimaniamo con le posate a mezz’aria, cercando di capire che cosa stia tentando di fare.
« Pizzica… » Dice lui, strattonando il maglione.
Haymitch mette giù il cucchiaio ancora pieno di purea e afferrando il collo del maglione, prova a sfilarglielo via, con il risultato di sollevarlo quasi come una marionetta dalla sedia. « È incollato? » Commenta confuso, cercando con maggiore foga di liberarlo.
« Te l’ho detto! » Protesta Pan, continuando a divincolarsi. « È per non farmelo togliere, ma pizzica! »
Intervengo anche io, alzandomi e mettendomi alle spalle del bambino, cercando di capire che cosa stia succedendo.
Il maglione è fissato alla maglia sottostante con delle striscioline di velcro adesivo. Anche mia madre utilizzava lo stesso metodo con me, per tenere i vestiti sempre al loro posto. Un po’ primitivo, ma funzionava perfettamente. Lo detestavo: prudeva da morire.
Con un po’ di calma riesco ad aiutarlo, e il maglione finisce dimenticato su una sedia.
Finalmente libero, Pan si gratta un po’ il collo e si sistema le maniche. « Grazie. »
Torniamo a mangiare e il tempo passa tranquillamente; finché qualcosa non cattura la mia attenzione.
Pan si sta dedicando ad una coscia di pollo; quando non riesce a usare bene il coltello, Haymitch – invece di tagliare al posto suo la carne – gli suggerisce di fare direttamente con le mani.
Lui lo fa e in un attimo non è più Pan. È uno dei tributi che ho estratto dalla boccia e che ho fatto salire su un treno identico a questo; i volti si susseguono – arriva anche Peeta, ferito, nell’arena, che divora con le mani dello stufato, nascosto in una grotta.
Provo a scacciare dalla mia mente quelle immagini, ma lo stomaco si stringe di nuovo e la nausea torna.
Cerco lo sguardo di Haymitch, ma non mi è di nessun aiuto, perché anche in quei momenti, lui era sempre con me.
« Effie? » Dal suo tono di voce mi rendo conto che ha capito che c’è qualcosa che non va, ma tento di fare finta di nulla. « Stai bene? »
Annuisco, poco convinta. Mi sforzo a portare un boccone alla bocca, ma anche solo l’odore mi fa rivoltare lo stomaco.
Mi devo alzare, e Haymitch cerca di fare lo stesso, ma lo fermo. « Sto bene. Ho solo bisogno di un po’ d’aria. Resta con lui. »
La mia intenzione era quella di provare a stendermi un momento, per provare ad alleviare l’ansia – ma sono costretta a deviare verso il bagno, e faccio appena in tempo prima di essere sorpresa da un conato di vomito e mi ritrovo a dare di stomaco.
Se solo servisse a farmi sentire meglio… sto solo peggio.
Aspetto un po’, poi provo a sciacquarmi il viso con dell’acqua fredda. Quando sollevo gli occhi sullo specchio appeso alla parete quasi mi spavento. La mia pelle ha un colorito verdognolo, la fronte è imperlata di sudore e acqua, le labbra sono praticamente bianche.
Esco dal bagno e un cerchio alla testa mi impedisce di andare avanti – prima di svenire, decido di andarmi a stendere.
È solo nervosismo. Mi dico, mentre mi stendo supina sul letto e prendo a fissare il soffitto. È normale.
Mi sento un po’ in colpa ad aver lasciato solo Haymitch, ma nello stato in cui sono adesso non sarei di nessun aiuto.
Chiudo gli occhi per un attimo, per cercare di riprendere le forze.

Quando riapro gli occhi, la prima cosa che vedo è Haymitch. Mi sta stringendo il braccio in una presa salda, probabilmente è stato lui a svegliarmi.
Non mi sento più riposata, è stato un sonno tormentato da incubi e ricordi.
« Stavi cominciando ad agitarti. » Non faccio fatica a credergli, mentre mi passa una tazza fumante.
Mi sistemo seduta e la accetto, un’occhiata veloce e mi rendo conto che è tè. Bene, perché il mio stomaco non reggerebbe nulla di diverso in questo momento.
« Dove siamo? » Chiedo, cominciando a sorseggiare la bevanda lentamente. È calda, ma non bollente.
Haymitch si siede accanto a me, dal suo lato del letto, e si toglie le scarpe. « Siamo quasi al Distretto 8. Dovremmo essere a casa entro domani mattina. »
Apprendendo la notizia e mettendola da parte, continuo a bere finché la tazza non è vuota. Poi, dopo averla poggiata sul comodino, cerco di alzarmi. Tasto la mia stabilità e quando mi rendo conto di riuscire a stare in piedi, faccio il giro del letto per spogliarmi, infilarmi velocemente la camicia da notte e una vestaglia. « Dov’è Pan? »
« Nel suo scompartimento. Si sta preparando per andare a letto, ha detto che faceva da solo… »
Ha solo sei anni, non dovrebbe “fare da solo” – ma immagino che crescendo nel modo in cui è cresciuto, abbia dovuto imparare a cavarsela in diverse occasioni. « L’ho spaventato? »
Haymitch scuote la testa, infilandosi sotto le coperte, visibilmente provato. « No, gli ho detto che avevi mangiato troppo. »
Annuisco, ma poi lascio comunque la stanza. Voglio parlargli per assicurarmi che stia bene. Come primo approccio non è stato proprio il migliore…
Busso prima di entrare e lo trovo intento a mettersi a letto. La sua valigia è aperta sul pavimento, ma è in ordine.
I suoi capelli non sono più tirati all’indietro con il gel, ma lisci e un po’ spettinati. « Hai fatto anche una doccia? » Chiedo stupita e lui annuisce tranquillo. « Da solo? »
« Sono come quelle che avevamo lì. Sono facili da usare, basta premere un pulsante… » Non si troverà così bene a casa; a volte anche io litigo ancora con quella maledettissima doccia. Le tubature vecchie e la caldaia antica. Due volte su tre l’acqua ci mette ore a riscaldarsi.
Mi tornano in mente i miei nipoti, per convincerli a fare il bagno la sera dovevo supplicarli – Finn invece una volta entrato nella vasca, non voleva più uscirne.
« Posso? » Gli chiedo, indicando il letto e lui annuisce silenziosamente. Mi siedo accanto a lui, rimboccandogli un po’ le coperte come facevo sempre per Lavinia. « Mi dispiace per prima, » dico, accarezzandogli con mano un po’ incerta i capelli – ho quasi paura a toccarlo, come se non fosse reale. « Non mi sono sentita molto bene. »
Pan scuote la testa, con un sorriso. « Non fa niente. Ho mangiato anche il tuo gelato. »
La notizia non può che far sorridere anche me; rimaniamo a chiacchierare per qualche altro minuto. Mi racconta cosa ha fatto durante il pomeriggio – e cioè continuare ad informarsi sul Distretto e sulle persone che ci vivono. Haymitch gli ha parlato di Peeta e di Katniss. Devo ammettere che se l’è cavata molto meglio di me, un po’ mi vergogno.
Devo ricordare di ringraziarlo, se non fosse stato per lui sarebbe stato un disastro.
Sto per alzarmi quando Pan mi ferma; sul viso ha un’espressione un po’ incerta.
« Che c’è? » Gli chiedo, con fare preoccupato.
Lui ci mette un po’ a formulare una frase, e quando parla la sua voce è più bassa. « Devo chiamarti mamma? »
La sua domanda mi coglie del tutto impreparata. E di nuovo la nausea mi stringe lo stomaco. Non posso andare avanti così… non posso nemmeno rispondere con un “non lo so” – è un bambino, vuole risposte. Quindi faccio un respiro profondo, tentando di sembrare meno nervosa di quanto sia. « Sì, se vuoi. Ma se ti piace di più puoi chiamarmi Effie. Non devi sentirti obbligato. »
Lui sembra pensarci un attimo, annuendo con un’espressione molto seria – che sul suo viso da bambino non può che fare tanta tenerezza – credo stia valutando bene le due opzioni. Poi pare decidersi e mi guarda senza cambiare espressione e quando parla, lo fa con un tono altrettanto serio. « Mi piace mamma. »

 
A/N: Salve! Nella mia mente il capitolo finiva con un’altra scena. Una scena in più, però poi ho pensato che sarebbe stato più carino concluderlo in questo modo. Avevo comunque raggiunto e superato le 2000 parole, quindi ho fatto così.
La scena con cui volevo chiudere magari la utilizzerò per aprire il prossimo.
Spero che l’incontro con Pan vi sia piaciuto. Sarò onesta, io non vedo un bambino di sei anni da moltissimo tempo, i nipoti e Finn erano un pochino più marginali, e Pan mi sta mettendo in crisi.
Ho un cugino di due anni che però vedo pochissimo ed è troppo piccolo perché io possa prendere spunto per i bambini di questa storia… quindi mi sono affidata ai ricordi di quando io avevo sei anni (?) spero sia stata credibile.
Vi piace il nuovo banner? Credo si chiami così, insomma il coso – l’immagine – in cima. L’ho inserito anche nel capitolo precedente per provarlo, ma questo è il primo nuovo in cui lo metto. Se vi dà fastidio lo tolgo… xD
Come al solito parlo troppo; se vi va lasciatemi un commento con i pensieri su questo capitolo, li leggo sempre volentieri e cerco di rispondere il prima possibile :) – e vado in ansia quando non ricevo recensioni, perché ho sempre il terrore che abbia scritto qualcosa di brutto a livello di trama, che magari a nessuno è piaciuto. Lo so, sono paranoica – x)
Comunque! Grazie mille a tutti per aver letto, e a presto!
 

x Lily
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Lily Liddell