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Autore: syontai    13/12/2014    6 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 60
Specchi ostili

Qualcuno bussò alla porta. Leon non mosse un dito né diede il permesso di entrare. Era seduto per terra, con la schiena appoggiata al letto e lo sguardo fisso sul soffitto. Ci stava provando davvero a dimenticarla, ma più credeva di farcela più ricadeva nel baratro dei ricordi. Ricordi deformati ormai dalle nuove scoperte fatte. Il battere incessante sul legno della porta lo fece innervosire non poco: cosa volevano adesso da lui? Non capivano che avesse bisogno di stare da solo? Senza il suo permesso un piede coraggioso s’introdusse nella sua stanza e Leon lo incenerì con lo sguardo.
“Permesso?”. Alzò lo sguardo e riconobbe la faccia spaventata di Lara, che reggeva in mano un vassoio con qualcosa da mangiare: delle fette di pane col miele, un calice con del vino, perfino dei biscotti appena sfornati e una tazza di tè.
“Non ho fame” rispose lui sgarbatamente, tornando a guardare il soffitto. La ragazza fece per avvicinarglisi, ma Leon scattò in piedi rapidamente facendola sobbalzare. “Vattene. Voglio stare da solo” ringhiò con gli occhi pieni di rabbia e rancore.
Lara divenne paonazza, ma non si smosse, anzi, continuò a ripetersi che quello era il suo momento, che avrebbe dovuto essere coraggiosa. La sua occasione per riavvicinarsi a Leon era arrivata e non poteva perderla. “Sapevo che ti avrebbe fatto soffrire. Quella Violetta non merita…”. Non fece in tempo a finire la frase che il vassoio le volò dalle mani, colpito ferocemente da Leon con il pugno, cadendo a terra e rimbombando. Tutto il contenuto era riversato a terra, in mezzo a schegge e frammenti di ceramica. Ma Lara non ebbe il tempo di osservare tutto quel disastro, perché non riusciva a smettere di fissare le iridi verdi, dilatate dalla rabbia che si diffondeva in ondate, investendola e atterrendola. “Non nominarla mai più di fronte a me. Non voglio sentire quel dannato nome!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola in un disperato atto di sfogo.
Lara annuì sconvolta e corse via, senza preoccuparsi nemmeno di raccogliere il vassoio: non aveva mai provato così tanta paura di fronte al principe. Ancora adesso, al sicuro dalla sua furia sentiva la pelle d’oca. Quello non era un uomo, era un mostro. Le cose non stavano andando affatto come previsto; pensava che dopo la fuga e il tradimento della serva Leon l’avrebbe riconsiderata. Ma quello non era Leon, non era neppure minimamente paragonabile al principe che aveva conosciuto prima dell’arrivo di Violetta. Poteva solo sperare che con il tempo si sarebbe calmato prima di tentare un altro approccio.
Leon richiuse la porta con forza e questa volta girò la chiave nella toppa, sicuro che in quel modo nessuno l’avrebbe disturbato. Violetta. Violetta. Quel nome faceva nascere dentro di lui emozioni contrastanti: un amore reso ancora più intenso dalla nostalgia e dall’assenza, ma soprattutto un feroce odio che non poteva, e non voleva, controllare. Aveva un bisogno immenso di sfogarsi e ripensò alla spada che aveva gettato non appena aveva messo piede al castello. Era stato così sciocco da allontanare la sua natura, così stupido da credere di poter vivere senza di essa. Ma no, la lama lucente della spada era l’unico modo per convogliare la sua ferocia in qualcosa di utile. E voleva scendere in battaglia, voleva sentire il sapore della terra sul palato. Perché la guerra era oblio, ed era ciò a cui aspirava più di ogni altra cosa.
Lentamente riprese ad allenarsi con sempre più assiduità. Colpiva i manichini mozzandone la testa, e non era contento finché il rivestimento non era ormai lacero e inutilizzabile. Con il polso si deterse la fronte sudata, quindi riprese ad assalire l’avversario successivo. Non conosceva stanchezza, era come un animale messo in gabbia che lottava fino all’esaurimento totale delle forze.  
“Vedo che stai reagendo nel giusto modo”. Una voce alle sue spalle lo sorprese appena, ma subito dopo riprese a menare fendenti, uno più preciso e letale dell’altro. “Non pensavo che avreste mai messo piede in questo posto” ribatté tra un colpo e l’altro senza battere ciglio. Una leggera ironia però traspariva dalla sua voce e Jade la colse subito. La regina non riuscì a reprimere un sorriso di fronte a tutta quell’aggressività.
“Volevo sapere di cosa ti stessi occupando…ma soprattutto volevo conoscere le tue intenzioni sul futuro. E’ sbagliato che una madre si preoccupi per il proprio figlio?”. Leon sorrise sprezzante e non rispose, tornando a concentrarsi sul manichino. Sul tessuto logoro della testa del suo avversario inanimato ebbe come l’impressione di vedere qualcosa, o meglio qualcuno. Un bagliore luminoso castano. Per un attimo la lama esitò in aria, prima di affondare sul terreno. “Il mio futuro? Tornare a combattere”. E vendicarmi di tutti coloro che si sono presi gioco di me, aggiunse tra sé e sé. “Quello che so fare meglio”.
Jade si avvicinò con aria rasserenata e gli posò una mano sulla spalla. A quel tocco per poco Leon non sussultò, talmente tanto era concentrato sul nemico da abbattere. “So che ancora fa male quella ferita e mi odio per essere stata io in parte a procurartela, accogliendo quella ragazza che eppure mi sembrava innocente e sperduta. Purtroppo non ci si può fidare delle apparenze”. Leon deglutì e rimase a specchiarsi negli occhi scuri della madre, pozzi senza fondo in cui non riusciva a leggere una briciola di affetto nei suoi confronti. Eppure le era vicino, lo supportava, era l’unica persona che non lo aveva mai abbandonato. Prima suo padre, poi Violetta. Tutte le persone che amava erano destinate a lasciare un solco profondo di dolore nella sua anima. Senza dire nulla strinse con forza il braccio della madre, appigliandosi a lei come sua ultima speranza. Jade non si sottrasse a quella morsa, ne parve solo stupita e rincuorata allo stesso tempo.
“Permettimi di trovare quei ladri ed ucciderli con le mie stesse mani. Ti riporterò la spada”. La voce di Leon subì una leggera incrinatura. Se si fosse trovato di fronte Violetta come avrebbe reagito? Sarebbe riuscito ad essere spietato anche con lei? Quando Jade gli ripeteva che l’amore era una debolezza aveva ragione, solo ora se ne rendeva conto.
“Non ancora, Leon…non sei abbastanza lucido, sei accecato dall’odio e allo stesso tempo dal desiderio di rivederla. Ma quando sarà il momento, allora si, potrai recuperare la spada, orgoglio del nostro Regno”. Lo sguardo implorante del figlio non la mosse minimamente, anzi la innervosì non poco. In fondo vedeva che Leon non era tornato quello di prima, continuava a tenere accesa dentro di lui una debole fiamma, riflesso di una tenue speranza che ancora albergava nel suo cuore. E per quanto avesse cercato di schiacciarla, soffocarla, reprimerla, era ancora lì, a ricordarle l’infinità di leggerezze commesse da quando Violetta era giunta al castello. Non era però troppo tardi per rimediare, perché sapeva che prima o poi Leon avrebbe ceduto alla cruda realtà dei fatti.
 
Ancora quel sogno. Terribile, crudele proprio come lo ricordava. La spada che trafiggeva il petto del principe, la mano nascosta nell’ombra. Ma questa volta emerse dalle tenebre un viso sottile, sofferente. Il suo viso. La mano che stringeva l’elsa tremava incessantemente. Leon la guardava con odio e disprezzo prima di lasciar cadere la sua arma e accasciarsi a terra. Mi dispiace. Quelle parole si ripetevano come un’eco, perse nella landa desolata dove si trovavano.
Violetta si svegliò di colpo e tastandosi il viso scoprì di aver pianto durante il sonno. Quel sogno era la prova che sempre di più si avvicinava l’epilogo di quella storia, lo scontro che tanto era stato deciso da quel maledetto autore. Però molti tasselli ancora mancavano all’appello, c’erano ancora molte cose che non le erano chiare circa l’esistenza del Paese delle Meraviglie. Alice era la chiave finale per risolvere quel mistero, ma come trovarla? L’idea di Thomas di dirigersi verso l’Isola Riflessa non era affatto sbagliata, sebbene non fosse priva di pericoli. Dopo due giorni di viaggio avevano finalmente raggiunto le rive del fiume Emuif e si erano limitati a seguire il suo percorso fino a che la sera del giorno prima non avevano visto il profilo scuro e misterioso dell’isola tra le acque torbide. Si erano fermati per la notte di comune accordo così da raggiungere la loro meta il giorno dopo.
“Va tutto bene?”. Maxi era piegato con le ginocchia verso di lei e la osservava cupo, mentre gli altri ancora stavano dormendo. Violetta si limitò ad annuire, voltandosi dall’altra parte per non farsi vedere così sconvolta.
“Mentirmi non ti farà stare meglio” disse il ragazzo a bassa voce, rialzandosi in piedi e andando a ispezionare un po’ in giro. Violetta rimase rannicchiata, immobile come una statua. Maxi aveva ragione. Non aveva senso continuare a mentire, come non aveva senso tutto quel viaggio. Aspettò in silenzio che Thomas e Lena si svegliassero, poi fece lo stesso fingendo di aver dormito fino a quel momento.
“Per raggiungere quell’isola ci dovrebbe essere un traghettatore…non dovremmo metterci molto, l’isola si percorre tutta in nemmeno mezzo giornata” disse il Bianconiglio passando ad ognuno una mela raccolta quella mattina stessa.
Thomas aveva ragione: avvolto dalla nebbia c’era un piccolo molo che la sera prima gli era sfuggito. Alcune barche malandate galleggiavano pigramente, sbatacchiando tra loro. Su una di esse, la più grande, c’era un uomo anziano, dai capelli bianchi e sporchi che gli coprivano quasi completamente la fronte. Indossava una vecchia tenuta da pescatore malridotta. Non appena li vide il suo sguardo si illuminò: a quanto pareva non aveva molti clienti.
“Dovete raggiungere l’altra riva?” chiese, scattando in piedi e cercando di far apparire la sua imbarcazione più sicura di quanto non fosse in realtà. Thomas si fece avanti, con qualche moneta, anche se gliene erano rimase ben poche. “Dobbiamo andare all’Isola Riflessa”.
L’uomo tacque e si fece per un momento pensieroso. “Strano. Nessuno vuole mettere piede in quel postaccio. Girano brutte voci in proposito”. Lena subito lanciò un’occhiata supplicante a Violetta, quasi volesse implorarla di rinunciare a quel folle proposito e a continuare il loro viaggio.
“Che voci?” domandò Maxi, incerto.
“Si parla di spiriti…alcuni non sono mai tornati indietro per raccontarlo, altri dicono di aver visto avverarsi i loro peggiori incubi” rispose con voce solenne l’uomo, facendoli rabbrividire.
“Insomma, puoi portarci, si o no?” sbottò Maxi spazientito.
“Certo, finché non devo metterci piede io, va tutto bene” sghignazzò il vecchio, per poi cominciare a fare tutti i preparativi, canticchiando tra sé e sé.
 
Il viaggio non fu per niente lungo, ci misero per lo più un paio d’ore. “Verrò a riprendervi questa sera allora. Sempre che torniate vivi” ghignò il vecchio, prima di rimettersi a remare con vigore e con un’evidente fretta di lasciare quel posto. In effetti l’Isola, immersa in quel silenzio innaturale, avrebbe messo i brividi anche alla persona più coraggiosa del mondo.
“Bene, adesso non possiamo nemmeno tornare indietro” deglutì Lena. Un rumore sinistro proveniente dal profondo dell’isola li fece impallidire.
Con parecchio timore si decisero a inoltrarsi verso l’interno. Alla sabbia della piccola spiaggia venne presto sostituita la ghiaia. Gli alberi alti e spogli sembravano quasi giudicarli e osservarli con sufficienza. Il tutto veniva reso ancora più inquietante dagli infiniti specchi che si trovavano lungo la via, alcuni piccoli e circolari erano addirittura appesi ai rami e agli arbusti.
“Secondo la leggenda fu proprio uno di questi specchi a riportare Alice nel Paese delle Meraviglie” spiegò cautamente Thomas, rivolgendosi a Maxi, che estrasse la spada di Cuori. Il Bianconiglio infatti, dopo la terribile esperienza alle rovine, aveva deciso di non brandirla più per non rischiare così di essere vittima della furia dell’arma. Maxi invece sembrava invece abituato all’interferenza di quegli oggetti magici, forse grazie a tutta la pratica fatta con l’elmo.
Violetta. La ragazza si arrestò nel sentir pronunciare il suo nome. Gli alberi sembravano chiamarla, il vento stesso. Tutto intorno il suo nome si ripeteva in maniera regolare e mentre i suoi compagni continuavano a camminare lei rimase indietro, inoltrandosi nella foresta che si richiuse su di lei come a volerla inghiottire.
Violetta. Violetta. Come se un incantesimo avesse spezzato quel rapimento perpetrato dalla natura, si ritrovò in ginocchio in una radura, circondata da specchi e alberi, spietati alleati in quel luogo dove magia e natura si fondevano. “Violetta”. Ancora una chiamata, ma questa volta reale. Non una voce qualsiasi, la sua voce. Alzò lo sguardo e ciò che vide le fece dimenticare qualsiasi paura. Di fronte a lei Leon la guardava con aria interrogativa, con il capo lievemente piegato e le labbra piegate in un sorriso beffardo.
“Leon! Mi hai trovato!”. Violetta incespicò un po’ prima di rimettersi in piedi e corrergli incontro. Rimase ferma solo a qualche centimetro da lui, per assicurarsi che non fosse tutto frutto della sua mente, ma quel verde vivido pieno di stupore, quell’espressione accigliata, i capelli un po’ arruffati come li aveva impressi nella mente l’ultima volta che aveva potuto sfiorarli. Tutto sapeva di Leon. Un Leon concreto, reale. Le lacrime che iniziarono a scorrerle sul viso lavavano via giorni di dolore e incertezze. Lo strinse in un abbraccio che aveva sognato per tante notti agitate. Con le braccia allacciate al collo, poteva sentire il suo profumo, poteva sfiorare davvero i suoi capelli, lasciandoli scorrere tra le dita. Leon però era rigido, con le braccia lungo i fianchi e un’espressione enigmatica. Se ne accorse non appena sciolse l’abbraccio, ma l’euforia di averlo ritrovato era tanta, troppa. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò lentamente, assaporando quel momento, sentendolo scorrere nelle vene come un fluido magico in grado di alleggerire non solo il corpo, ma anche l’anima, tormentata da paure ed angosce che finalmente sembravano essersi dissolte. Leon rimase freddo, insensibile a quel bacio. Poi all’improvviso i suoi occhi si accesero di rabbia e la sua espressione si indurì. La scostò via con rabbia, guardandola con disprezzo.
“Leon?”. Le sembrava così diverso dal ragazzo di cui si era innamorato, quasi una bestia. Vargas non rispose, sguainò solamente la spada. Violetta si riscosse da quel sogno durato fin troppo poco e pian piano la radura circostante tornò a circondarla. I rami si contorcevano in un ghigno malefico, come se stessero ridendo di lei, del suo essersi illusa così tanto.
 
Maxi correva, fuggendo dallo spettro che lo inseguiva spietato. Non era possibile, come poteva aver raggiunto quell’isola maledetta? Aveva perso di vista Lena e Thomas, che si erano ritrovati atterriti quanto lui di fronte alla comparsa di tre figure avvolte dalla nebbia: un uomo con grandi orecchie da coniglio, che Thomas con un filo di voce aveva chiamato padre, un altro che indossava una divisa militare, alla cui vista Lena era scoppiata piangere improvvisamente, e poi lei. Lei che aveva popolato i suoi incubi era tornata. Per quale motivo? Voleva ricordargli quanto fosse stato un pessimo figlio? Voleva forse raccontargli ogni dettaglio dello straziante dolore che l’aveva condotta alla morte?
“Maxi”. La spettro si parò davanti e Maxi capì che era inutile fuggire: l’avrebbe sempre trovato. Ero uno spettro che si era sempre portato dentro e che adesso aveva trovato il modo di uscire allo scoperto.
“Cosa vuoi?” chiese con le lacrime agli occhi, abbassando repentinamente lo sguardo.
“Come hai potuto lasciarmi? Come hai potuto dimenticarti di me e del mio desiderio di essere vendicata?”. Il fantasma emetteva continuamente rantoli. Accadde in un attimo: la figura si sciolse in una pozza cristallina di un argento che sembrava avere vita propria, quindi si solidificò nuovamente, mostrando questa volta una ragazza dai capelli castani dorati e un’aura di odio tutto intorno a lei.
“Sei un codardo? Come credi che potrei amarti?”. Violetta gli rivolgeva quelle parole di accusa. Maxi si rese conto allora che quella era solo un’illusione, un malvagio sortilegio che rappresentava la paura di essere odiati dalle persone amate. “Capito? SEI SOLO UN PATETICO CODARDO!”. Quell’urlo gli fece accapponare la pelle: non aveva mai visto Violetta tanto furiosa con lui, tanto frustrata. La ragazza raccolse un frammento comparso per terra dal nulla, una scheggia di vetro trasparente, e la puntò minacciosamente contro di lui.
“Sai che c’è, Maxi? Che non ti amo e non ti amerò mai, non mi innamorerei di uno squallido essere come te” osservò freddamente la ragazza, osservando compiaciuta l’arma che teneva in mano. Maxi non sapeva cosa fare: anche se quella creatura non poteva essere Violetta, non riusciva a non sentirsi debole e impotente di fronte a lei. I suoi occhi risplendevano gelidi come diamanti purissimi, la sua pelle candida sembrava aver assorbito la luce del sole, brillando diafana.
“T-tu non vuoi uccidermi” balbettò Maxi, arretrando fino a finire contro il tronco di un albero. Violetta scoppiò a ridere, quindi tornò seria in un istante: le emozioni si alternavano al suo interno come fiammate improvvise.
Al fianco della ragazza ricomparve lo spettro della madre, che osservava la scena con distacco. Si rivolse poi a Violetta, ignorando completamente che il figlio fosse in pericolo di vita: “Riportalo da me”. Come obbedendo ad un ordine Violetta sollevò il frammento appuntito verso l’alto a rallentatore.
“Non potete…” mormorò Maxi, afferrando nervosamente l’elsa della spada. Sarebbe riuscito ad estrarla in tempo e a colpire chi aveva davanti? Non ne era sicuro, la paura era troppa, il senso di fallimento enorme, che si apriva ai suoi piedi come una voragine. Davvero aveva deluso sua madre? E Violetta…era così indegno del suo amore? Scosse la testa e si specchiò negli occhi della madre, occhi spiritici e folli. Con un urlo di incoraggiamento estrasse la spada in un attimo e trafisse Violetta. Il suo corpo però non perse sangue, numerose crepe invece si inseguirono sulla sua pelle, raggiungendo il viso dall’espressione inorridita. Frammenti di vetro esplosero come una mina, rischiando di accecarlo o di conficcarsi nella sua carne. Come aveva pensato si trattava solo di un’illusione, creata da qualche specchio stregato di quell’isola. E lo stesso valeva per sua madre. Bastò uno sguardo sicuro per far sparire lo spirito della madre che si dissolse in una polvere argentata. Maxi si ritrovò solo lungo il viale che attraversava la foresta, respirando a fatica dopo tutto quello che aveva dovuto attraversare. Ce l’aveva fatta, aveva sconfitto la sua paura. Poi come un lampo si ricordò degli altri: doveva avvisarli prima che fosse troppo tardi e che per qualcuno di loro l’isola diventasse la sua tomba.
 
Mille frammenti argentati lo investirono di colpo. Thomas portò istintivamente il braccio in avanti per proteggersi da quella scarica. Del padre non era rimasto che una pioggia di cristalli. Delle sue accuse false e risentite solo l’eco lontano.
Hai pensato solo a te stesso, avresti potuto salvarmi. Avresti dovuto sacrificarti. Ma Thomas non ci aveva messo molto a capire che si trattasse di una malefica illusione: suo padre non gli avrebbe mai parlato in quel modo, non era nel suo carattere; andava contro tutto ciò che gli aveva insegnato sul comportarsi in modo onesto e altruista. Quella notte, mentre la carrozza si allontanava dalla casa in fiamme, aveva pensato che non si sarebbe mai potuto perdonare per il suo gesto egoista, però era anche sicuro che suo padre, se avesse saputo che cosa sarebbe successo, avrebbe fatto di tutto per salvarlo. Gli avrebbe consegnato quell’orologio dorato, che aveva trafugato nella notte, perché portasse avanti il nome della famiglia. Contemplò quello spettacolo in ossequioso silenzio: tutto intorno a lui si dipingeva di argento. Ma rapidamente si rese conto che per allontanarsi dal passato aveva perso di vista i suoi compagni. Come avrebbe potuto ritrovarli? Il sole splendeva alto sopra di lui, segno che erano a metà giornata. Al tramonto il traghettatore sarebbe venuto a riprenderli e a giudicare del tipo non avrebbe badato a quanti si sarebbero presentati pur di lasciare in fretta quel posto. Corse più che poteva, schivando gli ostacoli che la natura gli metteva davanti. Era strano sentirsi così coraggiosi e sapere che non era dovuto all’influenza di un oggetto magico. Perché era stato in grado di affrontare i suoi fantasmi senza l’aiuto o le parole di incoraggiamento di nessuno. Aveva letto la falsità negli occhi di chi aveva voluto farsi passare per suo padre. Un urlo proveniente dalla direzione opposta da lui presa lo fece fermare. Poteva riconoscere la voce di Lena. Senza perdere tempo si voltò dall’altra parte, facendo partire una vera e propria corsa contro il tempo. Doveva riuscirci, doveva salvarla.
Gli arbusti sembravano volerlo rallentare ma Thomas riuscì a uscire da quell’intricata prigione, ritrovandosi nuovamente lungo la sottile fascia di sabbia che circondava l’isola. Le onde si infrangevano regolarmente contro la costa e con i piedi immersi fino alle caviglie nell’acqua scura, Lena si guardava alle spalle, tentando invano di arretrare. Di fronte a lei un uomo dall’aspetto evanescente. Thomas lo aveva riconosciuto subito: prima di scappare, inseguito dal fantasma del padre, era comparso anche quell’uomo, vestito come un soldato e alla sua vista la ragazza era scoppiata a piangere. I solchi delle lacrime ancora erano visibili sulle sue guance, ma non c’era traccia di tristezza sul suo volto, solo di un muto e inspiegabile terrore. Non appena vide Thomas, Lena fece per cercare di raggiungerlo ma lo spirito si mise in mezzo minaccioso.
“E’ così che ripaghi la mia morte? Fuggendo e rischiando la vita insieme a questa gente? Ho dato la vita per fare in modo che tu rimanessi al sicuro, Lena”. La voce grave e tonante dello spirito risuonò per la spiaggia, rotta unicamente dall’implacabile infrangersi delle onde. Lena arretrò di un altro passo, facendo in modo che ora l’acqua le cingesse la vita.
“Padre, io…non ero felice” disse con appena un filo di voce, tacendo subito di colpo.
“Felice? Pensi che io sia stato felice di partire per la guerra? Sei una sciocca ragazzina che sa pensare solo a se stessa!”. Lena tacque di fronte a quella verità che tante volte aveva tentato di mascherare. Si prese il viso tra le mani, singhiozzando. Suo padre aveva ragione. Lei stava rischiando la vita quando lui avrebbe voluto vederla al sicuro. Teneva a lei più che alla sua stessa vita. Non meritava nulla, aveva disprezzato quella che riteneva una prigionia, senza sapere che per la gente là fuori, sul fronte, la sua condizione poteva essere considerata una salvezza. Aveva dimenticato l’amore di un padre. Intorno a lei emersero dall’acqua enormi spuntoni di vetro, che la intrappolarono come in una gabbia, mentre l’acqua saliva rapidamente di livello.
“Meriti di morire in questo posto, guardando negli occhi il padre che ti ha amato” disse il fantasma.
“Lena, non ascoltarlo!”. Thomas fece per raggiungerla, ma era come se una forza lo stesse trattenendo. Era impotente di fronte alla fine dell’amica. Urlò di rabbia, cadendo a terra per la frustrazione e affondando le mani nella sabbia. Doveva salvarla, Lena era una delle poche persone che avevano creduto in lui, glielo doveva. “Non è veramente tuo padre, non cercherebbe mai di farti morire, lui voleva sempre e solo proteggerti! Così come voglio farlo io ora” gridò, combattendo contro il vento, contro la debolezza, contro tutto.
L’acqua aveva raggiunto il mento di Lena, ma neppure il freddo gelido che lentamente quasi la assiderava le impedì di ascoltare quelle parole e di trarne la forza necessaria. Thomas era un vero amico, qualcuno di cui potersi fidare, qualcuno che in quel momento le stava assicurando protezione. Quella stessa protezione che le mura del castello di Cuori le avevano promesso. Ma l’estrema fiducia nei confronti del Bianconiglio le diceva che forse quella promessa era anche meglio.
“Vedi, papà? Sono in buone mani, non sono sola!” ebbe la forza di ribattere sputando l’acqua dolciastra che ormai le raggiungeva la bocca, invadendola. La figura del padre tremolò appena e Lena capì che Thomas aveva ragione: suo padre non avrebbe mai permesso che questo accadesse. Non la avrebbe mai lasciata a morire in un posto del genere. Non l’avrebbe mai lasciata a basta. Le lacrime si mischiarono all’acqua scura, come se la sua intenzione fosse quella di purificarla. La gabbia si ritrasse e con essa il livello dell’acqua. Ma la figura del padre non era scomparsa, era ancora lì, minacciosa. Bastò uno sguardo colmo di dolore e determinazione a smorzare i contorni del suo profilo, fino a renderlo una massa grigiastra e indistinta che si disperse, trascinata dal vento e dalle acque.
Thomas recuperò la capacità di muoversi e tempestivamente scattò in piedi, correndo verso Lena, e la raggiunse tra la schiuma bianca e argentata, senza curarsi del freddo che tormentava il suo corpo.
“Ce l’hai fatta!” esclamò, senza riuscire ad evitare di sorridere, sebbene la situazione non lo suggerisse affatto.
Lena si asciugò l’ultima lacrima, cominciando a tremare sia per il gelo che per le forti emozioni a cui era andata incontro. Senza pensarci due volte si lanciò tra le braccia del Bianconiglio, ritrovando un po’ di serenità. Rimasero così, in silenzio, nella speranza che Maxi e Violetta fossero stati fortunati quanto loro.
 
“Leon, che ti succede?”. La disperazione in quelle parole era tangibile, così come quella nei suoi occhi. Che cosa era successo al suo Leon? Perché la respingeva in quel modo, trattandola addirittura come un nemico?
Vargas non distolse lo sguardo neppure per un secondo da lei e si sentì come una preda di fronte al suo cacciatore. Ma Leon non le avrebbe mai potuto fare del male, di quello ne era convinta.
“Hai infranto la nostra promessa” sibilò il ragazzo a denti stretti.
“Ho dovuto farlo…”. “SILENZIO!”. Leon era davvero alterato, non l’aveva mai visto così furioso in tutta la sua vita. “Non me ne faccio nulla delle tue ridicole scuse” esclamò risentito per poi sputare a terra disgustato. Fece passare un dito sulla lama della spada, come per accertarsi che fosse abbastanza affilata e sorrise bieco.
“Quando avevi intenzione di dirmelo?”. Il suo sorriso spavaldo si affievolì, lasciando il posto a una rabbia controllata e fredda. “Quando avevi intenzione di dirmi che tutto ciò che mi avevi promesso erano una sporca menzogna? Quando mi avresti detto che non appartieni a questo mondo e che per questo lo lascerai?”. Violetta sgranò gli occhi sconvolta: come lo aveva scoperto? Non aveva idea di chi potesse essere stato a parlare, tutti coloro che lo sapevano erano lì con lei. Eppure Leon adesso ne era a conoscenza. Il peso di avergli mentito ingiustamente si affievolì ma un ben più pesante macigno prese il suo posto: la consapevolezza che Leon la odiasse, che la considerasse una traditrice.
“Avevi promesso che non mi avresti mai abbandonato. Erano solo parole per te?”.
“No, che non lo sono. Leon, io ti amo, lo sai bene”. Violetta aveva ritrovato un po’ di determinazione, sebbene dentro si sentisse morire.
 “Amore è fiducia, Violetta. E io nei tuoi confronti non provo altro che odio, perché è tutto ciò che mi è rimasto”. Violetta si lasciò cadere sulle ginocchia, annientata dalle parole di Vargas. Perché sapeva di meritare quel disprezzo: aveva alimentato un’illusione, un amore che non poteva avere un lieto fine. E proprio come di fronte ad una decapitazione sentì incombere su di lei la vendetta di Leon. Non aveva forze per scappare, per cercare di difendersi, per implorarlo. Nulla sarebbe servito a restituire ciò che aveva ormai perso per sempre. La lama si sollevò in aria descrivendo un cerchio perfetto, pronta ad abbattersi su di lei. Chiuse gli occhi, concedendosi quel breve attimo per assaporare il buio che presto l’avrebbe inghiottita del tutto. Ma il colpo non arrivò. Quando riaprì gli occhi vide Maxi che si opponeva con la spada di Cuori al principe. Leon lo squadrava con sincera sorpresa, mentre Maxi non riusciva a credere al significato della presenza del principe in quell’isola. I due separarono le spade arretrando con un balzo, per poi cominciare a studiarsi.
“Violetta, qualsiasi cosa ti abbia detto o fatto è solo un riflesso generato da uno degli specchi di quest’isola”.
“Stupidaggini” ribatté Leon con sicurezza. “Altrimenti potrei fare questo?”. Si lanciò come una furia sul suo avversario sopraffacendolo con fendenti sempre più precisi e letali. A nulla valse l’enorme potere della spada che scorreva nel braccio di Maxi che disperatamente tentava di tenergli testa.
“Lascialo stare, Leon!”. Violetta si alzò in piedi e corse verso Leon, ma lui le diede una gomitata respingendola indietro e facendola cadere.
“Non ti immischiare, stupida ragazzina”. Quello non poteva essere Leon. Semplicemente non poteva. Non l’avrebbe mai trattata in quel modo. Si sfiorò appena il labbro sanguinante provocato dal brusco colpo, e rimase inerte ad osservare quello scontro.
Leon stava avendo la meglio. In poco tempo finì quasi per disarmarlo e con un colpo bene assestato con l’elsa lo colpì allo sterno. Maxi annaspò arretrando ma andò a sbattere contro il tronco di uno quegli alberi spogli che circondavano la radura. “Leon…”. La voce supplichevole di Violetta che chiamava il suo nemico e una sola domanda nella testa: perché? Perché cercava di fermare Leon, facendo appello a una parte buona che lui sapeva non esistere? Gli sembrò tutto chiaro: Violetta lo amava. Lo amava di un amore che a lui non avrebbe mai riservato. Ecco perché l’aveva respinto, era innamorata di quel mostro. Quell’amara consapevolezza lo rodeva dentro perfino in punto di morte. Non riusciva a tollerare il disgustoso sorrisetto che Leon gli rivolgeva.
“T-ti prego, non farlo”. Violetta sfiorava la spalla del principe, che tuttavia rimase impassibile a quella richiesta accorata.
“Ti riesce così difficile capire che per voi due è finita? Nulla mia farà cambiare idea”. Violetta non seppe che fare. Maxi era spacciato e subito dopo sarebbe toccato a lei. Leon si stava prendendo tutto il tempo del mondo, godendosi il terrore nei loro occhi.
“Non è chi credi!” provò a dire Maxi. Violetta fu disposta a credergli. Proprio prima che Leon sferrasse il colpo, velocemente si diresse verso lo specchio affianco all’albero dove era stato intrappolato Maxi e raccogliendo un sasso lo ruppe. Quindi raccolse uno dei frammenti più grossi e acuminati. Non sapeva se ne sarebbe stata in grado, il cuore le martellava nel petto, ma era sicura che quello non potesse essere Leon. Lo sapeva e basta. Si slanciò verso di lui e prima che se ne rendesse conto gli piantò il frammento nel petto. Vargas emise appena un verso di stupore e si sgretolò come fosse fatto di sabbia argentata.
Nonostante avesse sconfitto quell’illusione qualcosa continuava a turbarla. Era come se quell’incontro fosse per lei un avvertimento. Si convinse che era solo una sua impressione senza alcun motivo di essere, quindi si rivolse a Maxi, ma il suo sguardo era fuggente, non riusciva a guardarla negli occhi. 
“Maxi, dovremmo parlare di quello che hai visto…io…”. Non era facile spiegargli come fosse potuto accadere che si innamorasse di Leon, nemmeno lei era in grado di dirlo a parole.
“Andiamo, non c’è nulla da spiegare”. Maxi la riportò alla realtà con tono crudo e amareggiato e non poté far altro che seguirlo per evitare di perdersi nuovamente in quell’isola che non vedeva l’ora di lasciare.
 







NOTA AUTORE: Capitolo parecchio avventuroso questo, e anche pieno di colpi di scena :3 Prima abbiamo Leon che tratta male Lara e la caccia via *seguono delle ole di gioia*, anche se- Jade ce l'ha fatta, è riuscita a circuire il povero Leon, che adesso è pronto a ritornare a combattere :( Povero Leon, le sue scene sono sempre tristissime ç.ç E infine ci troviamo in questa misteriosa isola tutt'altro che pacifica...chissà che Thomas non abbia preso un granchio quando pensava di trovare qualche indizio in quel posto xD Fatto sta che ognuno di loro si ritrova ad affrontare un'illusione: dei riflessi creati dagli specchi dell'isola che rappresentano la persona che più amano, però deformata, ossia piena di odio nei loro confronti. Ognuno di loro affronta perciò una paura che si era sempre portato dentro: Lena pensa di aver mandato all'aria i sacrifici del padre con quella fuga, Thomas invece rivive l'egoismo di quella scelta fatta tanto tempo fa. Maxi affronta la madre e una Violetta alquanto inquietante (O.O), mentre Violetta si ritrova con Leon...e qui partono i peggio pianti ç.ç Vabbè, in realtà si tratta solo di un riflesso, ma noi sappiamo che purtroppo la realtà non è troppo diversa, proprio come lo avverte Violetta dopo lo scontro...insomma, in questo capitolo abbiamo avuto modo di conoscere un po' meglio i nostri protagonisti, alle prese con paure che a noi non erano state mostrate, ma che in quell'isola sono diventate realtà :3 Grazie a tutti voi che seguite/recensite/leggete questa storia un po' strana e diversa da quelle che si leggono generalmente nel fandom xD Vi auguro buona lettura di cuore :3 Alla prossima! :3
syontai :3
  
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