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Autore: Smaugslayer    13/12/2014    4 recensioni
[seguito di Quidditch con delitto, http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2540840&i=1]
I (doppi)giochi sono aperti, e questa volta condurranno Sherlock Holmes e John Watson dal 221B di Baker Street al numero 12 di Grimmauld Place, Londra.
Se a Hogwarts i due eroi erano al centro delle vicende, ora saranno trasportati dalla storia del Ragazzo Sopravvissuto fino al cuore della Seconda Guerra Magica. E per tenere fede alle proprie convinzioni dovranno tradirle...
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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John era indeciso se spostare o meno la sua poltrona.
 
Aveva già trasportato tutti i suoi averi nella casa nuova, e ora restava da prendere quell’ultima decisione. Lui e Mary avevano comprato una villetta in periferia, in un quartiere residenziale pulito e piuttosto tranquillo; l’avevano arredata di tutto punto, ed erano pronti a trasferirvisi appena tornati dalla luna di miele, che avrebbero trascorso tra le scogliere della Cornovaglia (John si vergognava di non potersi permettere di più, ma Mary non sembrava dispiaciuta di non poter andare in vacanza a Goa, o sul Mar Rosso).
 
Mary e sua madre si erano immerse completamente nei preparativi per il matrimonio, correndo da un capo all’altro della città alla ricerca di abiti e bomboniere. Avevano deciso di tenere il ricevimento nella magione di campagna dei Morstan, un’incantevole villa circondata da uno splendido giardino all’inglese che avrebbe sicuramente “fatto rodere d’invidia tutti gli invitati”.
 
Da giorni, ormai, continuava a scrutare la poltrona per decidere cosa farne. Insomma, quella era la sua poltrona, Sherlock non la usava mai, quindi non ne avrebbe di certo sentito la mancanza se lui l’avesse portata via. Al contempo, però, sembrava che quello fosse proprio il suo posto: accanto al camino di Baker Street, di fronte alla moderna poltrona nera di Sherlock. John non si sarebbe sentito in pace con se stesso se l’avesse sradicata dal suo habitat naturale.
 
Ma lui adorava quella poltrona; adorava sprofondarvisi e sonnecchiare, oppure leggere il giornale o un libro… attività che però, in effetti, lui compiva sempre mentre di fronte a lui Sherlock languiva meditabondo, immerso nei suoi pensieri, e che forse non avrebbe apprezzato così tanto in circostanze diverse. Era una decisione davvero sofferta.
 
Il terzo giorno Sherlock lo sorprese a fissare la poltrona e gli chiese cos’avesse intenzione di farci.
 
“Non lo so ancora” ammise lui. “La signora Hudson dice che posso prenderla, ma non ne sono sicuro.”
 
“A me non cambia” disse Sherlock con noncuranza.
 
“Grazie, sei di grande aiuto.”
 
Sherlock si strinse nelle spalle. “Fai come vuoi, tanto a me non serve.”
 
Già, Sherlock si rivelava sempre molto utile.
 
Alla fine, decise di non rimuoverla: gli sarebbe parso di compiere un reato. Quella poltrona era legata, nella sua mente, alla presenza di Sherlock: in qualche contorta maniera, rappresentava i silenziosi momenti di reciproca compagnia, e John non poteva sopportare l’idea di recidere quel legame.
 
Lui e Mary si sposarono alla fine dell’estate. Il sabato che avevano scelto si rivelò cupo e piovoso, ma ormai nessuno faceva più caso al freddo o alla nebbia, con i Dissennatori che scorrazzavano liberamente per tutto il Regno Unito. Era possibile percepirli anche quando non erano nelle vicinanze per la sensazione di panico e di gelo acuto che si infiltrava nelle ossa e non andava più via.
 
Il matrimonio fu, per dirla in breve, un’agonia.
 
John e Mary (e Sherlock) ce l’avevano messa tutta per organizzare una cerimonia vivace e tranquilla, ma i loro sforzi furono vani. Sherlock aveva pregato di invitare Molly Hooper e Greg Lestrade: ufficialmente, perché gli tenessero compagnia; in realtà, perché gli serviva un supporto morale per superare la giornata. Purtroppo per loro, in pubblico lui poteva mostrarsi solo come Simon Church, che era molto più gioviale dell’originale e sarebbe stato quasi apprezzabile… se non fosse stato un Mangiamorte. I due sapevano che in realtà era tutta una copertura, ma Sherlock era un attore terribilmente bravo, e si calava talmente bene nel ruolo che a volte c’era il rischio di dimenticarsi chi fosse veramente e iniziare a detestarlo. Dunque, Simon era un Mangiamorte, i genitori di Mary erano Mangiamorte, e John e Mary dovevano fingere di essere schierati dalla loro parte, se non desideravano terminare prematuramente la propria esistenza (non lo desideravano): così, al matrimonio non ci furono altri invitati che seguaci del Signore Oscuro, e in pratica le conversazioni a tavola furono totalmente incentrati sulla sua grandezza.
 
L’unico momento piacevole fu quello del discorso del testimone tenuto da Sherlock, anche se Molly Hooper temette fino all’ultimo che non sarebbe riuscito a pronunciarlo per intero. Vedere John sposarsi doveva essere una tortura, e il povero Sherlock non poté neppure andarsene presto dalla festa per trovare sollievo, perché sarebbe parso sospetto e la gente avrebbe iniziato a farsi delle domande.
 
Quando tutti gli invitati iniziarono definitivamente a parlare di politica, John e Mary si scusarono e si ritirarono; Sherlock li seguì a breve, dicendo di essere stanco dopo essere rimasto sveglio tutta la notte. Vedendolo salire, Molly e Greg si scambiarono un’occhiata e gli andarono dietro. Lo trovarono disteso sul letto, ancora in completo scuro e panciotto bianco; quando entrarono, lui non fece alcuno sforzo per alzarsi.
 
Quanto avvenne dopo non era stato assolutamente premeditato, ma, col senno di poi, fu una delle decisioni migliori che Molly e Greg potessero prendere.
 
“Sherlock” esordì lei, inspirando a fondo e lanciando un’occhiata a Greg per chiedergli sostegno, dato che non sapeva come continuare.
 
“Sherlock, non è la fine del mondo” disse quello con molto tatto.
 
“No” rispose lui quietamente, senza guardare verso di loro.
 
“Ma quelle persone… quelle che sono giù, loro sì che la provocheranno, la fine del mondo.”
 
“Be’, forse metafori…”
 
“Ci deve essere qualcosa che possiamo fare” lo interruppe Greg alzando gli occhi al cielo.
 
“Sì, qualcosa per fermare tutto questo!” lo sostenne lei.
 
Solo a questo punto Sherlock si tirò su dal letto; dopodiché chiuse la porta con la bacchetta e insonorizzò la stanza con un incantesimo. “C’è, in realtà, qualcosa che potete fare” disse. “Potete unirvi all’Ordine della Fenice.”
 
Da quel momento iniziò la loro doppia vita. Di giorno Molly e Greg svolgevano impieghi ordinari, ma di notte proteggevano i Babbani, cercavano di far uscire i Mezzosangue dal paese, e accumulavano prove contro i sospetti Mangiamorte. Benché il Quartier Generale si trovasse in campagna, i membri dell’Ordine avevano un punto di ritrovo a Londra dove discutere i piani d’azione o nascondere temporaneamente i fuggitivi. Tra loro parlavano in codice, usando tecniche sempre diverse per inviare messaggi criptati.
 
Far parte dell’opposizione significava rischiare la vita ogni giorno, perché il minimo sospetto portava alla morte. Per il momento il Ministero della Magia era ancora avverso a Voldemort, ma la situazione era precaria e tutti si chiedevano quanto avrebbe retto. Finché il Signore Oscuro non fosse stato ucciso, non avrebbe fatto altro che peggiorare. Tutti vivevano nel terrore.
 
Prima che John tornasse a vivere a Baker Street, Molly faceva spesso visita a Sherlock, che aveva iniziato a lavorare a casa per conto suo e doveva sentirsi terribilmente solo. Aveva persino rimosso la poltrona rossa, per il dolore di vederla sempre vuota.
 
Nonostante tutti i buoni propositi, infatti, John si era allontanato da Sherlock. Dopo il matrimonio, iniziò a vederlo sempre più raramente; inoltre, ormai non lo nominava più giornalmente, e anzi a volte sembrava essersi completamente dimenticato della sua esistenza.
 
Una qualsiasi altra donna avrebbe creduto che i sentimenti del marito verso il migliore amico si fossero raffreddati, ma non Mary Elizabeth Watson.
 
John aveva rincominciato ad avere incubi, cosa che non succedeva da più di un anno. Si svegliava nel bel mezzo della notte sudato e con il respiro affannoso, e trascorreva ore e ore rigido e con gli occhi sbarrati senza più riuscire ad addormentarsi.
 
Mary sapeva che John la amava. Sapeva anche, però, che per lui Sherlock Holmes era come una droga: ne aveva bisogno, come aveva bisogno dell’adrenalina che gli scorreva in corpo quando combinavano qualcosa di pericoloso insieme. John desiderava disperatamente unirsi all’Ordine della Fenice e scendere in campo in quella guerra, anche a costo della vita, ma per colpa della posizione di Simon e delle parentele di Mary era costretto a stare tranquillo e fuori dai guai, e questo lo innervosiva e lo frustrava. Inoltre, continuare a vedere Sherlock era doloroso per diverse altre ragioni: Mary non aveva dimenticato che cosa era successo durante l’ultimo anno a Hogwarts… John la amava, sì, ma solo perché non riusciva ad accettare i propri sentimenti per l’amico; Mary era convinta che finalmente il marito se ne fosse accorto, e stesse cercando di ignorare la realtà ignorando anche Sherlock.
 
A ottobre il padre di Mary ebbe un attacco di cuore che lo mandò all’altro mondo nel giro di pochi secondi, perché non c’era nessuno che potesse soccorrerlo. Lei non gli era particolarmente affezionata, ma la sua morte la scosse tanto che iniziò a comportarsi in modo diverso.
 
La ragazza cominciò ad andare a trovare Sherlock sempre più spesso, sedendosi sul divano in silenzio mentre lui era occupato con i suoi esperimenti, perché non riusciva a stare a casa da sola quando John era al lavoro. Assurdamente, la morte del padre le aveva lasciato un buco più grande di quanto avrebbe creduto possibile; e benché non lo vedesse mai quando era vivo, iniziò a percepire il vuoto quando se ne fu andato.
 
Dopo Natale, però, divenne sempre più irrequieta e suscettibile, ed iniziò ad evitare tutti, compreso il marito. Trascorreva le sue giornate rannicchiata su una sedia, avvolta in strati e strati di lana, e si rifiutava di parlare con chiunque. Andava spesso a fare visita a sua madre, trascurando invece Sherlock. Tutti attribuirono questo comportamento agli ormoni della gravidanza e la lasciarono in pace.
 
Una sera, John la trovò in lacrime sul divano. Non singhiozzava, non urlava, non si disperava; se ne stava semplicemente seduta con lo sguardo perso nel vuoto e le lacrime che scorrevano lungo le guance.
 
“Mi dispiace, John. Mi dispiace così tanto” gemette non appena notò la sua presenza.
 
Lui lasciò cadere a terra la giacca e si precipitò verso di lei, prendendole le mani fra le sue e guardandola con orrore. “Che cosa è successo? Stai bene? Sherlock sta bene? Mary, dimmi che…”
 
“Lui sta bene, e anche io” annuì lei, tirando su col naso e asciugandosi il viso con le maniche del maglione. “Mi dispiace tanto.”
 
“Mary, che è successo, dimmelo…”
 
“Il bambino. Ho perso il bambino.”
 
John si alzò, in shock. Non riusciva a muoversi, a parlare, nemmeno a processare quanto lei gli aveva detto. La camera per la piccola era già pronta, decorata e arredata, c’erano già la culla, il fasciatoio, i sonagli e i peluches…
 
“D-da quanto?” balbettò.
 
“Oggi. John…”
 
John le crollò accanto e la circondò con le braccia, lasciando che si abbandonasse contro il suo petto e gli bagnasse il maglione di calde lacrime. Ancora in stato catatonico le accarezzò ritmicamente la schiena, mentre visioni della vita futura che non avrebbe mai avuto gli scorrevano davanti agli occhi: non ci sarebbero state le ninnenanne, le partite di pallone, i giochi da tavolo, gli incontri con le maestre, la lettera per Hogwarts, la scelta della bacchetta, il primo gufo… niente di niente. La creatura che stava crescendo nel corpo di Mary era andata per sempre. Scomparsa. Morta.
 
“Possiamo provarci di nuovo” disse piano. “Non era la nostra unica chance.”
 
“Preferirei aspettare un po’” disse lei, scivolando distesa e appoggiando la testa contro il suo grembo. “Va bene?”
 
“Certo. Certo che va bene.”
 
“Resteremo sposati?”
 
“Sì! Perché, non vuoi?”
 
Lei si sciolse finalmente in un singhiozzo, e John si passò una mano sul volto con stanchezza. “Se pensi che ti abbia sposata solo perché eri incinta, be’ sappi che non è così. Io ti amo, va bene? E se tu vuoi lasciarmi perché stavi con me solo perché avremmo avuto un figlio allora mi sta bene, ma io…”
 
“Certo che voglio stare con te” replicò lei, ricacciando indietro nuove lacrime.
 
“Come è successo?” domandò lui, preoccupato. “La gravidanza era a uno stadio avanzato, di solito queste cose succedono nei primi mesi… ti sei fatta male? Hai fatto un incidente?”
 
Lei si irrigidì e strinse le braccia contro il petto. “No” rispose seccamente. “Te l’ho detto, io sto bene. Non so cosa sia successo. Andresti a prepararmi una tazza di tè, per favore?”
 
“Certo.”
 
Poche settimane dopo la madre di Mary si ammalò, e lei preferì trasferirsi temporaneamente a casa sua per accudirla; così, John decise di tornare a Baker Street.
 
Sherlock aveva rimesso al suo posto la vecchia poltrona rossa senza un singolo commento e lo accolse come se fosse uscito cinque minuti prima a comprare il latte.
 
Gli dispiaceva per la piccola Watson. John e Mary erano entusiasti di avere un figlio, nonostante i conflitti iniziali, e anche lui aveva segretamente accarezzato l’idea di avere una bimbetta tra i piedi: le avrebbe insegnato a comportarsi in modo intelligente, sperando che l’influenza dei genitori non la rimbecillisse troppo; avrebbe fatto di lei la strega più dotata della sua età, l’avrebbe resa un’esperta mondiale di Pozioni… forse la sua immaginazione si era spinta un po’ troppo in là con quei propositi quasi utopistici, ma non gli sembrava che ci fosse nulla di sbagliato nel fantasticare sulla vita futura. Solo che quel futuro non sarebbe mai giunto, perché la piccola Sherlock Watson (nella sua testa lei si chiamava così, altro che Anne Grace; aveva anche spiegato a John e Mary che in alternativa avrebbe accettato il nome “Reyna”) non esisteva più. Avrebbe dovuto mettere da parte quelle fantasie per quando John e Mary fossero stati pronti a riprovarci di nuovo, e nel frattempo sarebbero rispuntati i vecchi sogni, quegli orribili, dolorosi sogni che non riusciva a controllare, per quanto cercasse di ostacolarli. Quei sogni che lo riportavano a Hogwarts, al tempo dello scontro con Moriarty, nella Stramberga Strillante…
 
Le condizioni della madre di Mary non miglioravano, e la permanenza di John a Baker Street si prolungò più del previso. Sembrava quasi di essere tornati ai vecchi tempi.
 
Poi Albus Percival Wulfric Brian Silente fu ucciso.
 
E i Mangiamorte decisero di organizzare un colpo di stato.
 
Appoggiato allo stipite della porta, John attendeva che Sherlock terminasse di prepararsi. Erano già entrambi vestiti dei loro più eleganti completi da sera, e Sherlock doveva solo infilare la Giratempo sotto la camicia per essere pronto.
 
John era nervoso. Il ricevimento che i Greengrass avevano organizzato sarebbe stato di grandiose proporzioni, e avrebbe riunito l’élite della comunità magica Purosangue.
 
John non riusciva a non pensare alla Guerra Civile Americana. Il giorno dell’inizio dei conflitti, prima del bombardamento di Fort Sumter, dove i Confederati avevano sbaragliato le truppe dell’Unione, qualcuno a Charleston doveva aver tenuto una festa. Dovevano essersi sentiti potenti, i generali della Confederazione, addirittura invincibili; ma alla fine, nonostante tutte le battaglie vinte, avevano perso la guerra.
 
Albus Silente era stato ucciso meno di una settimana prima durante un’irruzione di Mangiamorte a Hogwarts, e la sua morte aveva segnato una svolta definitiva.
 
“In battaglia” disse Sherlock in tono drammatico uscendo dalla stanza.
 
Forse John aveva sbagliato a paragonare la situazione attuale a Fort Sumter: la guerra non era solo iniziata, sembrava già vinta, ora che l’unico uomo in grado di fermarla era morto. Certo, c’era ancora Harry Potter… ma era solo un ragazzino: era solo questione di tempo prima che fosse trovato e distrutto una volta per tutte.
 
“Era ora. La Passaporta parte fra meno di cinque minuti.”
 
Il volto di Sherlock mutò in quello di Simon Church, e John distolse come sempre lo sguardo.
 
“Mary deve ancora arrivare” commentò Sherlock con impazienza.
 
“Arriverà, sta’ tranquillo.”
 
“Come sta sua madre?”
 
“Oh, a quanto pare sta migliorando. Mary dice che tra qualche settimana potremo tornare a casa.”
 
“Bene. Buon per lei. Allora: i Mangiamorte vogliono usare la Maledizione Imperius sui membri del Ministero per prenderne il controllo. Non sappiamo quando abbiano intenzione di attuare questo piano, ma l’Ordine della Fenice arriverà dopo un’ora dall’inizio della festa. Nel frattempo, dovremmo intrattenerci con gli altri invitati e tenerci pronti. Ricorda: tu non approvi i metodi violenti dei Mangiamorte ma sei d’accordo con i loro ideali, la morte di Silente ti ha scioccato perché speravi che si potesse ancora agire pacificamente, non sei assolutamente interessato a unirti alla lotta, quindi non lasciarti abbindolare dai loro tentativi di reclutarti solo perché pensi che potrebbe essere utile. Hai intenzione di mettere su famiglia e condurre un’esistenza normale e non vuoi farti coinvolgere negli scontri.”
 
“Lo so, me lo ricordo” ribatté John piccato. “Non serve che me lo ripeti di continuo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Smaug’s cave
Domani diventerò maggiorenne nel mondo magico, e non potevo sopportare di concludere un anno con QUESTO capitolo al posto che con uno qualsiasi dei prossimi. Così ho deciso di pubblicare qualcosa che avrei dovuto pubblicare molto tempo fa… ve lo ricordate il dialogo alternativo di John e Mary sull’alzabandiera? Be’, io e la stessa amica con cui avevo prodotto quello ne abbiamo scritto un altro, intitolato: “Cosa successe con quel mandarancio”. Come ho detto qualche capitolo fa, Sherlock aveva appioppato a John una pozione che lo aveva fatto innamorare di un mandarancio… ed ecco cosa è successo.
Come per la volta scorsa, se avete un animo sensibile NON LEGGETE perché potrebbe urtarvi.
«J: “Sherlock, credo di amarlo. Io lo amo.”
S: “Eh-ehm…”
J: “Gelosone.”
S: “Chi, io?”
J: “Sì, tu sei geloso perché lui è più bello di te!”
S: “Bene, John, innamorati del mandarancio.”
J: “Sì! È più attraente.”
S: “Dichiaragli il tuo amore, allora. Chissà, magari ricambia.”
J: “È quello che farò! Guarda che muscoli scolpiti! Che lignaggio! Che buccia così arancione!” La buccia del mandarancio sembra brillare di luce propria, felice di essere ammirata. “…Sherlock, credo di piacergli! Oh, mandarancio, ti prego, rispondimi! Tu mi ami, vero o falso?” Il mandarancio lo fissa con espressione vacua. “…Chi tace acconsente. Vedi, Sherlock? Mi ama.”
S: “Sai una cosa, John? Dovresti proprio stare con lui.”
J: “Dici davvero?”
S: “Sì, guarda, sembra che stia arrossendo. Bacialo.”
J: “Cosa?! Sherlock, io non posso, io…”
S: “Cos’è, non ti piace abbastanza?”
J: “No, la nostra relazione va ben oltre! Il nostro amore trascende il tempo e lo spazio!”
S: “Sembri un fan di Star Trek posseduto.”
J: “Taci! Platone mi capirebbe.”
S: “Platone?”
J: “L’inventore delle relazioni platoniche, no?”
S: “Quel genere di relazione che a quanto pare sono destinato ad avere con te.”
J: “Mandarancio mio, perché non mi parli? Sei forse a disagio? Hai ragione, qui in giro ci sono troppe persone. Sherlock, get out. Io e mandarancio non possiamo esprimerci. Shall I compare thee to a summer’s day, ‘cause you are hot.”
Sherlock inizia a prendere a testate il muro. “È un’arancia, John.”
J: “E tu dovresti essere mio amico.”
S: “Tu dovresti essere il mio amante.”
J: “Gli amici si supportano a vicenda!”
S: “Uh-oh. Sento la friendzone che si avvicina.”
J: “Boom, sei stato mandarancio-zoned.”
S: “Quella parola è inesistente!”
J: “Sì, come il tuo cuore.”
S: “Io ce l’ho un cuore.”
J: “Non me l’hai mai mostrato.”
S: “Non posso materialmente mostrarti il mio cuore. Ti mostrerei più volentieri le mie mutande.”
J: “Non dire queste cose davanti ai nostri arancini.”
S: “Oh, ora avete anche dei figli?”
J: “Ti presento Orange juice, Guglielmo d’Orange e i gemelli Orange Orange.”
S: “Sarò padrino?”
J: “No, tu no.”
S: “Mandarancio disapprova. Lui mi capisce.”
J: “No, mandarancio è mio!”
S: “E se io lo mangiassi?”
J: “Non osare. Ti odio.”
S: “Io ti amo.”
J: “Se mi ami tanto, perché non mi hai mangiato?”
S: “Non si mangiano le persone.”
J: “Sì ma io amo il mandarancio e lo voglio mangiare, come lo spieghi?”
S: “Elementare, sei a dieta. Anche l’attività fisica fa dimagrire, soprattutto una certa particolare attività.”
J: “Non sono portato per gli sport, a parte il Quidditch.”
S: “Tranquillo, tu saresti il passivo.”
J: “Il che?”
S: “La cosa positiva di tutto questo è che sono matematicamente certo che tu e quel coso non potreste mai combinare alcunché.”
J: “Vuoi vedere? Ora lo bacio!”
S: “Sì, sono curioso.”
John tenta di baciare il mandarino, che però gli cade dalle mani. Sherlock lo raccoglie e lo sbuccia.
J: “Assassino! …e di professione superspia, molto eccitante. Ma io amo lui. Mandarancio, mandarancio, perché sei tu mandarancio? Rinnega il tuo nome!”
S: “Queste cose gliele dovevi dire prima, adesso è morto.”
J: “Sarà per sempre il mio angelo custode.”
S: “Secondo me è andato all’inferno. Girone dei lussuriosi.”
  
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