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Autore: ValeDowney    13/12/2014    4 recensioni
"Storybrooke sembra una cittadina come tutte le altre, se non fosse per il fatto che non è sulle carte, nessuno sa della sua esistenza e i cittadini sembrano nascondere qualcosa. Rose, una bambina dolce ma curiosa e sempre in cerca di guai, scoprirà, insieme al suo amico Henry, che qualcosa di magico si aggira per quella città"
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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The Rose of true Love

 
 
 
Capitolo IV: Una nuova amica - Prima Parte


 
Con Henry sparito ormai da due giorni, il Sindaco non si dava pace. Ogni ora continuava a chiamare la polizia per avere notizie, ma la risposta era sempre la stessa, ovvero che non lo avevano trovato.
Regina si trovava nel suo ufficio quando Graham entrò. “Mi hai fatto chiamare?” domandò lo Sceriffo.
“Sei in ritardo. Avresti dovuto venire cinque minuti fa!” replicò Regina alzandosi dalla sedia da dietro la scrivania.
“Ho avuto un piccolo contrattempo con la nostra ospite” disse Graham e le mostrò la mano destra sopra alla quale spiccavano segni di graffi e morsi. Regina li guardò, poi disse: “Sei grande e grosso ma ti fai prendere a morsi da un piccolo sacco di pulci.”
“Non è colpa mia se non vuole stare ferma!” replicò Graham.
“L’importante è che non scappi. Voglio che quella marmocchia si disperi nel cercarla, così lascerà stare Henry” disse Regina.
“Non penso di poter imprigionare quella volpe ancora per tanto tempo. Prima o poi Gold lo verrà a scoprire” disse Graham.
“A Gold non gli è mai importato nulla di nessuno, eccetto per quella sgualdrina e marmocchia di sua figlia! Figuriamoci se gli importa di un sacco di pulci con la pelliccia!” replicò Regina.
“Ma mettiamo che lo venga veramente a scoprire con uno dei suoi tanti metodi, come mi devo comportare?” chiese Graham.
“Come si comporterebbe un qualunque cacciatore che va a caccia di volpi” rispose Regina sorridendo maliziosamente, e Graham la guardò non dicendo nulla.
Era un sabato qualunque e i bambini non andavano a scuola. Rose, perciò, si trovava nel negozio del padre, dove doveva scontare la sua punizione. Gold l’aveva messa a pulire il negozio con un vecchio straccio e una scopa alquanto malandata.
La bambina starnutì per l’ennesima volta quando la polvere per terra le entrò nel naso: “Ma che cosa ho fatto per meritarmi questo?” disse.
“Non far finta di nulla. Sai benissimo cosa hai fatto” disse Gold, ritornando dal retro del negozio mentre teneva in mano un oggetto che poi mise sul bancone. Rose smise per un attimo di spazzare e si avvicinò al bancone, guardando quell’oggetto per poi dire: “Sembra un cofanetto.”
“Cosa che non è. Ritorna al tuo lavoro: il pavimento non si pulisce da solo” disse Gold, mentre scriveva qualcosa su di un foglio.
“Facciamo un patto?” domandò Rose. Gold alzò lo sguardo e guardandola disse: “Lo sai che fare patti con me potrebbe essere molto pericoloso.”
“L’ultima volta ci ho guadagnato un sacchetto di dolci” disse Rose.
“E poi ti è venuto un gran mal di pancia. Lo sai, piccola, che poi voglio anche qualcosa in cambio” disse Gold riabbassando lo sguardo e scrivendo sul foglio.
“Se io indovino che cosa è questo oggetto tu mi sconterai la punizione: da una settimana facciamo tre giorni” disse Rose. Gold rialzò nuovamente lo sguardo e disse: “Quella punizione ti aspetta di diritto e diventerà di un mese se non ti rivedrò subito al lavoro.”
“E dai, papà, so benissimo che a te piacciono molto i patti e che ci hai sempre guadagnato, se no come te la spieghi tutta questa roba?” disse Rose.
“Credi veramente che tutti gli oggetti del negozio li abbia guadagnati con dei patti stipulati?” chiese Gold.
“Ovvio che sì, anche perché la maggior parte di questi oggetti sono molto rari e non si trovano da anni, se non per dire secoli” rispose Rose.
“Piccola, questo è un negozio dei pegni: la gente mi porta i loro oggetti più cari che hanno in casa da tanto tempo per guadagnarci dei soldi” spiegò Gold.
“Però non ho mai visto nessuno entrare con degli oggetti da portarti” disse Rose. Quella bambina era molto tenace e la testardaggine l’aveva presa dalla madre. Quindi disse: “Va bene. Accetto.”
“No, aspetta. Alziamo la posta in gioco. Non solo devo indovinare che oggetto è ma anche cosa c’è dentro e, in cambio, mi toglierai del tutto la punizione” disse Rose.
“Questo è molto sleale. Fai sembrare che il genitore sia tu e non io” disse Gold.
“Un patto è un patto e tu ci hai sempre guadagnato. E poi, se non lo farai qualcuno penserà che hai perso il tuo charmy… charty… be', quello che è” disse Rose.
“Si chiama charme. Ma se vinco io non solo pulirai casa e negozio, ma verrai tutti i giorni qua per aiutarmi” disse Gold.
“Anche la casa?! Ma sono tre piani, e poi dopo scuola devo fare i compiti” disse stupita Rose.
“Li farai qua sotto la mia supervisione e dopo averli fatti continuerai con i lavoretti che ti affiderò” spiegò Gold.
“Ma… ma…” disse stupita Rose.
“Un patto è un patto. Allora accetti?” domandò Gold mostrando la mano. Rose la guardò e gliela strinse.
“E ora ritorna al lavoro” disse Gold e riprese a scrivere.
Rose sbuffò e riprese a spazzare. Guardò suo padre che aveva lo sguardo abbassato sul foglio. Quindi guardò la scopa che teneva in mano e sorrise. La appoggiò contro uno scaffale, mise le mani davanti a sé e mosse le dita. Ovviamente non successe niente. Ci riprovò ancora, stavolta di più ma ancora nulla.
“Che cosa stai facendo?!” chiese Gold. Rose sobbalzò e voltandosi verso suo padre gli rispose: “Volevo vedere se si muoveva”. Gold la guardò stranamente.
“Come succede nel film “Fantasia” e Topolino, con il cappello da apprendista, fa vivere la scopa in modo che faccia i lavori al posto suo” spiegò Rose.
“Ritorna a lavorare: il negozio non si pulirà da solo e inoltre hai anche le vetrine da pulire” disse Gold.
“Anche quelle?! Ma intanto la gente riesce lo stesso a guardare dentro” disse Rose.
“Rose…” l’ammonì Gold.
“Va bene, va bene, pulirò anche quelle” disse Rose e, riprendendo la scopa, continuò a pulire per terra. Poi il suo sguardo si posò su una vecchia palla in cuoio. Le venne un’idea e sperò che suo padre acconsentisse.
“Papà, non è che potrei uscire a giocare?” domandò Rose, guardandolo.
“Sai che la tua punizione prevede che puoi uscire solamente per andare a scuola” disse Gold, guardandola a sua volta.
“Mi piacerebbe staccare almeno un po’ da questo lavoro. Prometto che poi riprendo subito” disse Rose.
“Va bene, ma rimani qua davanti dove ti posso tenere d’occhio” disse Gold.
“Grazie, papà! E non è che posso prendere quella palla?” Gold guardò la palla di cuoio accanto a sé. Riguardò la figlia e le domandò: “Sei sicura che vuoi proprio questa palla? È speciale.”
“Mi piace e, se per te è speciale, allora la tratterò tale” rispose Rose. “Tieni, ma vedi di rimanere sempre qua davanti al negozio come ti ho detto” disse Gold dandole la palla. La bambina la prese e corse fuori dal negozio. Gold andò davanti a una delle finestre e la guardò mentre dava dei calci a quella palla facendola andare contro il muro del negozio. Si ricordò di come un bambino, secoli prima, avesse giocato con quella stessa palla che ora apparteneva alla sua bambina. Dopo essersi accertato che Rose rimanesse appena fuori dal negozio, ritornò al proprio lavoro.
Rose continuava a calciare la palla contro il muro del negozio quando sentì dei singhiozzi. Si fermò, mentre la palla rotolava accanto a lei. I singhiozzi si sentirono nuovamente. Quindi Rose si abbassò e, dopo aver preso in mano la palla, decise di seguirli ed essi la condussero in una via laterale del negozio dove, seduta a terra e con la testa appoggiata contro le ginocchia, c'era una bambina che stava piangendo.
Rose la stette a guardare chiedendosi perché stesse piangendo. Sicuramente non glielo avrebbe detto. Quindi decise di rompere il ghiaccio: “Ehi, ciao! Chi sei?” chiese, ma la bambina continuava a piangere.
Rose ci riprovò: “Io mi chiamo Rose, e tu?”
Stavolta la bambina rispose, continuando però a piangere: “Paige.”
“Hai un bel nome. Perché stai piangendo? Qualcuno ti ha fatto del male?” chiese Rose. Paige alzò la testa dalle ginocchia e annuì, asciugandosi le lacrime.
“Vuoi parlarne? Il mio papà dice che parlare con qualcuno dei propri problemi fa sentire bene, anche se una volta mi ha mentito: mi aveva detto che la gamba non gli faceva male, invece poco dopo l’avevo visto seduto sulla poltrona mentre si massaggiava la gamba e si lamentava del dolore. Lui non vuole mai parlare di questo suo dolore, invece credo che dovrebbe perché potrebbe stare anche meglio… va be'” fece una pausa. “Questo non c'entra con te, ma era un esempio per farti capire che se vuoi puoi parlarne con me” spiegò Rose.
La bambina la guardò e Rose poté finalmente vederla in faccia: su per giù poteva avere la sua età; aveva capelli lunghi di un biondo scuro e occhi marroni. I suoi vestiti erano un po’ sporchi, ma per il resto era una normale bambina.
“Senti, ti andrebbe di giocare con me a palla? Però dobbiamo stare qua, perché il mio papà non vuole che mi allontani dal negozio” propose Rose, ma Paige scosse negativamente la testa.
“Va bene, forse non ti piace la palla. Allora che cosa ne dici se giochiamo a nascondino?” propose Rose, ma Paige scosse nuovamente la testa.
“Perché non proponi tu un gioco? Basta solo che rimaniamo qua vicine” disse Rose.
“Nessuno aveva mai chiesto a me di proporre un gioco” disse Paige.
“Uao, ma allora sai parlare! Pensavo fossi muta. Allora, che gioco preferisci?” domandò Rose, ma Paige abbassò lo sguardo e non rispose.
“Senti, se non ti piace giocare potresti semplicemente venire con me all’interno del negozio così da farmi compagnia e accertarti che mio padre non mi sorvegli troppo” disse Rose, ma Paige continuò a non dire una parola, quindi Rose propose altro: “Che ne dici di una buona e calda tazza di tè? Lo so non è una bevanda tipica di qua, ma il mio papà la fa spesso, anche perché a lui piace tanto. E poi dice sempre che una buona tazza di tè ti tira sempre su di morale. Se vuoi te ne porto una. Che cosa ne dici?” Paige annuì.
“Perfetto. Aspettami qua che torno subito. Non ti muovere, mi raccomando” disse Rose e corse dentro il negozio. Gold non fece neanche in tempo ad alzare la testa che vide sfrecciare davanti a sé qualcuno.
Rose andò velocemente nel retro del negozio e, da una credenza, prese una teiera e una tazzina. Poi accese il fuoco su un piccolo fornello lì accanto.
“Rose, non eri fuori a …” disse Gold andando nel retro, ma si bloccò non appena vide cosa stava facendo la figlia. Dimenticandosi per un attimo del dolore alla gamba, andò a passo veloce verso di lei e, dopo aver spento il fuoco, la prese per le spalle voltandola verso di lui. “Che cosa ti è saltato in mente?! Lo sai benissimo che il fuoco è pericoloso!” la rimproverò.
“Volevo solo preparare una tazza di tè” disse Rose con ancora la teiera e la tazzina in mano.
“Avresti potuto farti male! Piccola, non bisogna scherzare con il fuoco. Promettimelo che non lo farai più” disse Gold.
“Te lo prometto, ma ora posso preparare il tè?” chiese Rose.
“È fuori discussione! Potevi semplicemente chiedermelo e te l’avrei preparato io” rispose Gold.
“Papà” disse Rose.
“Sì, cosa c’è?” domandò Gold.
“Potresti prepararmi una tazza di tè, per favore?” chiese Rose e Gold alzò gli occhi al soffitto.
Poco dopo, Gold aveva quasi terminato di preparare il tè. “Quanto ci vuole?” domandò Rose mentre lo guardava.
“Me lo hai chiesto neanche due minuti fa. Ancora poco e ho finito” rispose Gold.
Rose andò a una finestra che dava sul davanti del negozio. Gold la seguì con lo sguardo e, dopo aver spento il fuoco sotto la teiera, versò il tè in una tazzina. Raggiunse poi la figlia, che in fretta e furia aprì la porta, lo prese per mano e lo trascinò fuori dal negozio.
“Rose, perché hai tutta questa fretta? Il tuo tè non va da nessuna parte” chiese Gold.
“Il tè non è per me, ma per…” iniziò col dire Rose, ma si bloccò non appena vide che la Paige non c’era più.
“No, le avevo detto di rimanere qua. Ecco, lo sapevo: ci hai messo troppo tempo a preparare il tè” disse Rose.
“A chi avevi detto di rimanere qua?” domandò Gold.
“A una bambina che stava seduta qua. Si chiama Paige e le ho chiesto se voleva giocare con me, ma non ha voluto. Così le ho proposto di prendere una tazza di tè e lei ha acconsentito. Ma non doveva andarsene” spiegò Rose, guardandolo.
“Rose, ti ho detto mille volte di non parlare con gli sconosciuti, perché…”iniziò col dire Gold e Rose continuò: “… perché non li conosci e potrebbero portarti via e io non ti rivedrei più.”
“Esattamente. E se la sai a memoria perché non hai rispettato questa regola?” chiese Gold.
“Perché Paige mi sembrava molto simpatica e… sola” rispose Rose.
“Sola?!” ripete Gold.
“Quando l’ho trovata stava piangendo. È per questo che volevo parlare con lei e tirarla su di morale, ma a quanto pare non vuole nessuno accanto a sé” disse Rose.
“Sei molto gentile nel preoccuparti degli altri, ma se continuerai così gli abitanti cominceranno a chiedersi se sei veramente mia figlia” disse Gold e le diede la tazza di tè.
“Ma io sono tua figlia” disse Rose.
“Non è quello che intendevo” disse Gold.
In quel momento, arrivò la macchina dello sceriffo. I due lo guardarono scendere dalla vettura. “Salve, sceriffo” lo salutò Rose. Graham si voltò e li guardò mentre camminava verso di loro, lasciando la portiera della macchina aperta. “Buongiorno, Rose, e buongiorno anche a lei, Signor Gold” disse.
“Che cosa la porta da queste parti? Lei è più un tipo da foreste o municipi” domandò Gold.
“Sono lo sceriffo ed è compito mio far rispettare la legge anche qui in città. Comunque, stavo andando da Granny's a fare colazione prima di riprendere il lavoro” rispose Graham. Gold notò qualcosa muoversi nel retro della macchina. Graham si accorse che Gold stava cominciando a sospettare qualcosa e decise di riprendere velocemente il discorso. Rivolto a Rose, chiese: “Anche tu sei molto mattiniera. Come mai?”
“Stamattina, il mio papà mi ha fatto alzare presto perché ha detto che fa parte della punizione” rispose Rose.
“Anche pulire il negozio fa parte della punizione, quindi ritorna dentro e riprendi il lavoro” disse Gold, continuando a guardare il retro della macchina dello sceriffo.
“Ma mi avevi promesso che sarei potuta rimanere qua fuori a giocare” disse Rose, guardandolo.
“Il tuo tempo di riposo è scaduto. Torna dentro e dammi quella tazza di tè” disse Gold. Rose sbuffò. Guardò Graham e gli disse: “Allora ci vediamo in giro e buon lavoro.”
“Buon lavoro anche a te, Rose” disse Graham. La bambina, dopo aver ridato la tazza di tè al padre, ritornò dentro al negozio.
“Ho una giornata piuttosto pesante, quindi prima vado a fare colazione e prima ricomincio a lavorare” disse Graham.
Stava per attraversare la strada quando Gold gli disse: “Le consiglio di non sfidarmi, sceriffo.”
Graham si fermò e lo squadrò. “Non so a cosa alluda, Signor Gold” disse.
“Se sta nascondendo qualcosa per me o di mio, le consiglio di tirarlo subito fuori prima che le possa succedere qualcosa di spiacevole” rispose Gold.
“Non mi incolpi per qualcosa che non ho fatto. Il mio lavoro è quello di far rispettare la legge e fare in modo che tutto fili liscio, e ciò sottintende anche il benessere di tutti i cittadini. Anche coloro che accusano gli altri di essere ladri” spiegò Graham.
“Io non ho mai usato la parola ladro, ma sono sicuro che lei nasconda qualcosa e che magari lavori per qualcuno” disse Gold.
“Io non lavoro per nessuno! Come ho detto, lavoro per il benessere dei cittadini e nient’altro. E ora, se non le dispiace, vado a fare colazione” replicò Graham e, attraversando la strada, entrò da Granny’s.
Gold lo guardò, poi andò verso la macchina e, approfittando della sbadataggine dello sceriffo, aprì la portiera per avvicinarsi alla gabbia sul sedile posteriore. Gold sorrise nel vederla e disse: “Sapevo che quello sceriffo nascondeva qualcosa di mio. Tieni, questo è per te” e mise davanti alla gabbia la tazza di tè.
Excalibur drizzò le orecchie non appena sentì la voce di Gold e, con il musino, spuntò dalle sbarre per bere il tè. “Proprio come ai vecchi tempi” disse Gold.

 
Storybrooke

 
Tremotino mise la spada Excalibur su di un trespolo di ferro, proprio sopra al camino. “Questo è ora uno dei miei oggetti più preziosi e devo tutto a te, mia fedele e nuova amica” disse Tremotino e abbassò lo sguardo verso il cucciolo di volpe che lo guardò a sua volta, scodinzolando.
Il Signore Oscuro camminò per la stanza, dicendo: “E visto che ora hai la fortuna di vivere con me e il privilegio di essere entrata nelle mie grazie, dobbiamo cambiare un po’ di cose” Fermandosi, si voltò e con un solo gesto della mano fece comparire, accanto all’arcolaio, una cesta dorata con tanto di morbido cuscino. Excalibur drizzò contenta le orecchie e, dopo essere corsa verso la cesta, si accucciò al suo interno.
Tremotino sorrise e, mentre il cucciolo di volpe se ne stava comodo nella sua nuova cesta, andò verso il tavolone, facendo comparire una teiera e una tazzina. Si avvicinò a esse e, mentre prendeva la teiera, versando il tè nella tazzina, alzò lo sguardo sentendo che qualcuno aveva oltrepassato la barriera magica che lui stesso aveva creato per proteggere il castello. Rimise la teiera accanto alla tazzina quando le porte si aprirono da sole ed entrò lo stesso cavaliere che aveva fatto il patto con lui.
“Vedo che sei ritornato” disse Tremotino guardandolo. Anche Excalibur alzò lo sguardo.
“Dove si trova?” chiese il cavaliere.
“Proprio lì” rispose Tremotino, indicando il cucciolo di volpe. Il cavaliere guardò l’animale che lo guardò a sua volta. Poi riguardò Tremotino dicendogli: “Non è il momento di scherzare.”
“Ma io non sto scherzando. Volevi Excalibur, no? Be', è proprio lì” disse Tremotino.
“Stavo parlando della spada e non di quella stupida volpe!” replicò il cavaliere.
“Attento con gli insulti, perché quel cucciolo di volpe ora è mio e quindi sei obbligato a trattarlo bene” disse Tremotino.
“Il nostro accordo prevedeva che lei recuperasse la spada del re” disse il cavaliere.
“È vero, ma prevedeva anche la tua lealtà per sempre nei miei confronti e io mantengo sempre i miei accordi. Dopotutto, un accordo è sempre un accordo” disse Tremotino sorridendo, e una nuvola viola avvolse il cavaliere, la cui armatura si fece nera.
“Che cosa ha fatto alla mia armatura?” domandò il cavaliere mentre si guardava.
“Oh, non ci fare troppo caso. L’ho solo modificata un po’. Dopotutto ora tu servi me e non più il tuo Re. Da oggi sarai il Cavaliere nero e farai tutto quello che ti dirò, o potrai dire addio alla tua vita” spiegò Tremotino.
“E che cosa le fa credere che rispetterò il nostro accordo? Quella spada appartiene al Re” chiese il cavaliere.
“Ora non più” disse Tremotino e la spada Excalibur, dopo essere stata avvolta anch’essa da una nube viola, si alzò dal trespolo dove era stata messa e volò nella mano del Signore Oscuro il quale la puntò al collo del cavaliere.
“Mi ha ingannato” replicò il cavaliere.
“Io ottengo sempre ciò che voglio e a quanto pare non hai letto tutte le clausole del nostro contratto. È vero ho acconsentito a ritrovare la spada Excalibur, ma ora questa spada è infusa di magia nera dal momento che ho sconfitto la sua protettrice” spiegò Tremotino.
Il cavaliere guardò la punta della spada contro il collo, da dove stava scendendo un po’ di sangue per la pressione della pelle contro il metallo. “Cosa vuole che faccia?” domandò a Tremotino, alzando lo sguardo su di lui.
“Puoi iniziare col stare qua fuori a controllare che nessuno si avvicini alle mura” rispose Tremotino abbassando la spada.
“Ha la magia: saprà già se ci sarà qualcuno” disse il cavaliere.
“È vero, ma questo è il tuo lavoro da adesso e per sempre. E se farai il bravo vedrò di non ucciderti prima della fine dell’inverno” disse Tremotino.
Il cavaliere lo guardò malamente ma poi, dopo aver fatto un piccolo inchino, disse: “Come desidera, Signore Oscuro” e voltandosi uscì dalla sala.
Tremotino sorrise maliziosamente. Poi mise la spada sul tavolo, dove prese la tazzina e se la portò alle labbra. La allontanò subito dopo. “Odio il tè freddo” disse. Camminò quindi verso la cesta e, abbassandosi, mise la tazzina davanti alla volpe dicendole: “Tieni. Bevilo”. Il cucciolo di volpe annusò il contenuto e poi cominciò a berlo. A quanto pareva gli piaceva. Tremotino sorrise e accarezzò Excalibur sulla testa, poi disse: “Ci divertiremo molto insieme. Se quel cavaliere proverà a farti del male, lo ridurrò ad un mucchio di ferraglia”





Note dell'autrice: Ed eccomi qua con un nuovo capitolo (ovviamente la prima parte di esso). Henry ancora non si fa vedere ma fidatevi che tornerà presto ( perchè se torna lui, forse arriverà qualcun altro). Quindi Rose si annoia senza il suo migliore amico e deve passare la punizione di suo padre (e stavolta è stato molto severo). Però ad alleviare questa sofferenza, arriverà una bambina e Rose riuscirà a farsela amica ? Conoscendo che è anche figlia di Belle, secondo me sì e secondo voi ?

Ringrazio ancora tutti coloro che recensiscono e stanno seguendo la fanfict. Ringrazio ancora la mia beta reader Lucia che con la sua santa pazienza mi corregge i miei strafalcioni

E con questo ci vediamo alla prossima parte del capitolo. Buona serata miei cari Oncers

  
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