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Autore: Gobbigliaverde    14/12/2014    2 recensioni
- Possibile che ho passato tre anni della mia vita a cercare di credere alla magia, e ora tutti mi dicono l'inverso? -
C'è chi perde la persona che ama, chi perde la strada, chi la famiglia, e chi la memoria. In questo mondo c'è di tutto. Ma siamo qui tutti assieme, su questo pianeta, per aiutarci a vicenda a ritrovare quel pezzettino di noi che abbiamo perso. In questa vita l'unica regola è rompere le regole... e queste regole sono dettate dalla magia.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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FOREVER AND EVER

 

 

Io sono Emma Swan. Sono Emma Swan e sono figlia di Biancaneve e il Principe Azzurro, provengo dalla Foresta Incantata e non riesco a capire bene se sono o non sono sposata con Bealfire, il figlio di Tremotino, mago oscuro per eccellenza. Dovrebbe essere questo quello che devo dire in tutti i commissariati di polizia dove sto andando? Così poi magari mi rinchiudono in un manicomio. Questo è il decimo, o forse dodicesimo ufficio che visito, ho anche chiamato di nuovo quella dannata baby-sitter incapace, che è terrorizzata dai miei figli. Devo trovare Neal. Anche se ci volesse tutto il tempo del mondo. La risposta però è sempre uguale. Nessuno lo ha mai visto o conosciuto, tantomeno i poliziotti.
    — Forse non ha mai commesso reati questo… Neal Cassidy. Se ha la fedina penale pulita è possibile che non risulti da nessuna parte — mi dicono all’ennesimo commissariato.
    Certo, come no. E gli elefanti volano magari. Sono un branco di incapaci che non sanno neppure da dove cominciare. Esco dall’ufficio sbattendo la porta.
    Mi squilla il telefono… Dentro di me spero che sia Neal, ma in fondo so che non è così. Tiro fuori velocemente il cellulare dalla tasca della giacca di pelle rossa, il numero che appare sullo schermo è sconosciuto. Rispondo.
    — Sì? Chi parla? — domando.
    — Buon pomeriggio signorina, la chiamo dall’ospedale St. Caroline, il dottor Jones chiede di lei, e a quanto pare in fretta, ma non si preoccupi, niente di grave — dice la voce dall’altra parte della cornetta, prima di chiudere la chiamata.
    Il sangue mi si gela nelle vene. Ospedale? Fretta? Neal sta male e nessuno mi ha avvertita prima? Salgo in macchina, e in circa dieci minuti sono già sulla porta dell’ufficio di Killian.
    Aspetto. Ancora. E ancora. Sembra che i minuti siano infiniti in quest’atrio, oppure che sia passato davvero tanto tempo. Guardo l’orologio. È passata un’ora e mezza da quando sono qua, e nessuno mi vuole dare notizie di Neal. Vedo un’infermiera passare frettolosa per il corridoio, e la seguo.
    — Mi scusi, mi sa dire dove posso trovare il dr. Jones? — domando con l’ansia che trapela nella mia voce.
    L’infermiera mi guarda come se si fosse appena risvegliata da un’incubo. — Dovrebbe trovarlo in terapia intensiva — si affretta a dire, proseguendo lungo il corridoio.
    Oh mio Dio… Neal lì? Che cosa gli è capitato?! Cerco di rimanere calma, ma le dita mi si stringono a pugno così forte che mi pianto le unghie nei palmi delle mani. — Mi può dire il nome del paziente che Killian… cioè, il dottor Jones sta seguendo?
    Mi guarda perplessa, come se non avesse afferrato la domanda. — Signorina, lui è il paziente.
    La vedo entrare dentro una stanza, prima di poter fare altre domande. Solo pochi secondi dopo capisco quanto pesanti siano le sue parole. Senza pensarci due volte prendo la porta per la terapia intensiva.
    Irrompo a passi svelti e pesanti nella stanza tra gli sguardi stupiti di tutti, gli unici rumori che sento sono il ‘bip’ ritmico delle macchine e il battito del mio cuore spaventato.
    Nella camera ci sono alcune infermiere e Regina in un angolo, che si è alzata in piedi con alcuni improperi rivolti a me sulle labbra, ma una delle ragazze la sta portando fuori, per fortuna. Sembra quasi costretta a mantenere la calma. Su un lettino, sotto un lenzuolo bianco, Uncino. Sembra che l’abbiano sedato. Sono sbigottita.
    Guardo una delle due donne in bianco che sono rimaste nella stanza. — Cosa sta succedendo? — domandò all’infermiera, pallida in viso quanto tutti nella stanza.
    — Immagino che lei sia Emma Swan. — Mi guarda con un sorriso carico di disprezzo, e poi continua. — Lei lo sa che sta rovinando la famiglia di un uomo sposato, che ha anche un figlio?
    Rimango allibita da quell’affermazione, ma non faccio commenti spiacevoli. — Intendo cosa è capitato a lui. La mia vita privata la conosco fin troppo bene.
    Mi guarda dall’alto in basso con gli occhi carichi di giudizi negativi, come se fossi l’ultima persona a dover stare accanto a lui. — Ieri pomeriggio era di turno qui, e ad un certo punto ha iniziato a dare di matto e a chiedere dove si trovava, chiamava una certa Gemma… Lo abbiamo sedato perché ha iniziato a diventare aggressivo.
    Lo osservo… Se è come credo, allora è una buona cosa. Faccio un cenno con mano e le infermiere, sbuffando escono dalla stanza. Mi siedo sulla seggiola accanto al lettino e osservo il suo viso addormentato. I capelli spettinati, le labbra screpolate che sembrano piegate in un sorriso sprezzante anche in quello stato. Sembra proprio come una volta. Chiudo gli occhi e appoggio la testa sul lettino. Respiro a fondo il suo profumo e crollo in un sonno profondo, sognando Casa.
    Sento un calore che mi accarezza il viso. Apro gli occhi e riconosco la sua mano, il suo sorriso, probabilmente sto ancora sognando. — Swan… avrei una domanda — dice incerto.
    Mi ricompongo e mi metto a sedere. Era troppo tempo che non mi sentivo chiamare così. Sorrido.
    Si guarda attorno, come per capire dove si trovasse. — Per quale oscuro motivo indosso vestiti di questo colore orrendo? Dov’è la mia casacca nera e…
    Sorrido ancora. Questa volta mi rendo conto di star sghignazzando. Mi porto una mano sulla bocca, arrossendo.
    — Emma… — sussurra lui.
    — Uncino, che c’è? — gli domando.
    Guarda le sue mani, spiazzato. Le mani. Non la mano. Ora ho la certezza che lui conosca tutto della Foresta Incantata, ma nulla di qua. — Buffo no? Un giorno vai a dormire con una mano sola, il giorno dopo sono raddoppiate… Forse Babbo Natale esiste! — afferma ridendo.
    Non credo che riuscirò mai a capire come fa a trasformare questioni serie in cose stupide in meno di trenta secondi.
    — Vuoi che ti racconti prima la parte in cui mi sveglio in un posto di cui non ricordo nulla o quella dove per l’ennesima volta ho dimenticato tutto del mio passato? — sorrido ironica, penso proprio che il mio racconto potrebbe essere la spiegazione della “misteriosa” comparsa della sua mano. La cosa strana è che lui sembra già sapere tutto, o forse di più.
    — Facciamo che ti racconto io una storia. Poi mi dici cosa mi è successo. Prima dimmi l’ultima cosa che ricordi. — Tira su la schiena dal materasso e si porta una mano al petto facendo una smorfia… Probabilmente è indolenzito dai farmaci…
    Mi vergogno un po’, perché non pensavo che un giorno gli avrei detto quanto è stato importante… — Il bacio da Granny's — dico in un soffio.
    Non sembra imbarazzato quanto me. Anzi. Mi guarda perplesso. — Bene, devo raccontarti più o meno quattro anni della tua vita — sbuffa. Ora le sue guance si sono fatte un po’ più rosse. — Allora, in sintesi, dopo quel bacio… beh siamo andati un po’ oltre al bacio quella notte… Non a caso è nata Gemma.
    Lo sto fissando scioccata. Non si dice una cosa del genere in mezza frase.
    Lui inarca le sopracciglia con un mezzo sorriso di sfida. — Non mi sembrava che ti fosse tanto dispiaciuto, Swan. Scherzi a parte, siamo tornati tutti nella Foresta Incantata, ci eravamo ripresi il regno e ci siamo sposati, pensa, da pirata nemico della corona a principe c’è un bel salto di qualità. L’ultima cosa che ricordo è la festa del terzo compleanno di Gemma, e che Regina tanto per cambiare ha minacciato di distruggere la nostra felicità.
    Credo di aver perso la facoltà di parlare. Mi ha detto tutto, tralasciando tutti i dettagli. Non mi ricordo nulla. Né del mio matrimonio, né della mia seconda figlia. Non ho idea di come sia il castello, né di come siano le feste in onore dei reali. Nulla. Buio.
    Uncino mi guarda senza dire nulla, forse si aspetta che io aggiunga qualcosa, e dopo il mio silenzio sembra voler parlare ancora, ma non continua.
    Prendo in mano la situazione anche se ha un’espressione strana, quasi delusa. — Ora tocca a me. Mi sono svegliata in ospedale, mi hanno detto che sono stata tre anni in coma, tu sei il dottore, sono sposata con Neal, ho due figli, Henry e Gemma, solo che…
    Killian mi interrompe a metà. — Gemma? Gemma è con te? Se…
    — Lo so, qualcuno ha lanciato un sortilegio, ora ne ho la certezza. Se volevano farmi del male ci sono riusciti, solo che non mi hanno diviso da lei, ma ora non ho idea di dove sia sparito Neal, non ho idea di come tu abbia fatto a ricordare, tanto meno di chi abbia lanciato il sortilegio. E cosa ben peggiore, sei sposato con Regina, che non ha intenzione di farmi vedere mio figlio.
    Killian strabuzza gli occhi. — Aspetta, che? Io e Regina? Neanche morto! E poi non avevi detto che Henry vive con te? — dice sempre più confuso.
    Sospiro. Lui non sa proprio nulla. — Non Henry mio figlio, un altro Henry. Non l’ho mai visto a Storibrooke.
    Mi studia corrugando la fronte. — Strano… devo saperne di più… Ma prima, portami via da Regina. Io a casa di quella non ci dormo.
    Alzo gli occhi al cielo. — Non puoi andartene, se Regina c’entra qualcosa desterai dei sospetti giganteschi.
    Killian fissa il vuoto pensieroso, con la stessa espressione assente di prima.
    Sbuffo. — Puoi dirmi che c’è? È dall’inizio del discorso che hai quella faccia.
    Si volta verso di me e mi guarda dritto negli occhi. Sembra davvero triste… — Beh, sai… Il giorno che tu ricordi come ‘il bacio da Granny's’, e probabilmente nulla di più, io lo ricordo come il giorno in cui… —  fa una pausa, e i suoi occhi diventano lucidi. — … Il giorno in cui ho giurato a me stesso che ti avrei amata sempre, e che ti avrei protetta anche a costo della mia vita. E tu sai bene che il mio ego non mi ha mai permesso di amare a tal punto una persona. Non posso smettere di pensarci, capito? Non posso smettere di pensare al fatto che tu non ricordi nulla.

  
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