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Autore: Clockwise    16/12/2014    3 recensioni
Oscar Wilde, aforismi per l'animo complicato di Sherlock.
Fra violini, fantasmi, cravatte, neonate, manoscritti del '600, opere teatrali, i Queen, gigli e teschi.

Noi dobbiamo sopportare il peso di questo tempo triste.
Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire.
(Shakespeare, King Lear)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fra le righe'
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Il giglio
(silenzi)
 
 
 
Le domande non sono mai indiscrete; a volte lo sono le risposte.
Oscar Wilde
 
 
 
L’erba scricchiola sotto le loro scarpe; l’unico rumore oltre quello dei loro respiri. Sherlock si arresta e fa un gesto vago con la mano, la testa bassa. John annuisce e continua a camminare.
Sherlock sente di avere bisogno di un attimo per raccogliere i pensieri e le emozioni, riportarli all’ordine sugli scaffali del suo Mind Palace, sotto il suo controllo; al momento, cavalcano impazziti, scalpitando sul suo cuore.
 
~~~
 
«Ecco, laggiù, Amanda, abbiamo un bellissimo esemplare di sociopatico iperattivo brontolone…»
Sherlock solleva la testa di scatto, corrucciato, salvo poi distendersi immediatamente. Si alza sorridente.
«Per il bene della scienza, è giusto conoscere ogni forma di creatura vivente.»
Si avvicina alla bambina e abbassa il viso alla sua altezza. Lei lo accoglie con un gridolino entusiasta, schiaffando le manine paffute sulle sue guance.
«Hai imparato a dire “assassinio” oggi?»
Mary, divertita, fa una faccia scandalizzata e copre gli occhi alla bambina, che ride.
«Sherlock! La sua prima parola non sarà “assassinio”.»
«“Sociopatico iperattivo”, allora.»
«Veramente pensavo a “incompetenti agenti di polizia”, ma se insisti…»
Sherlock sogghigna e si raddrizza, pronto a ricevere la bambina che ha spalancato le braccia verso di lui. Mary gliela porge, con gran sollievo della sua schiena.
«John?»
«Di sopra» risponde Sherlock, sistemandosi Amanda fra le braccia e passeggiando per la stanza. «Sta cercando non so quale libro che aveva lasciato qui… No, Amanda, non i capelli, non sai quanto ci vuole a sistemarli…» protesta debolmente, mentre Amanda sembra intenzionata a portarsi a casa un ricciolo di Sherlock, emettendo versetti soddisfatti. Mary ride. Lo sguardo le cade sul tavolo.
«Gigli?» chiede, incuriosita. Sherlock allontana gentilmente le mani di Amanda dalla sua chioma e porta lo sguardo sul tavolo.
«Esperimento.»
«Senza dubbio.»
Sherlock prende un fiore e lo solleva davanti a sé, con immensa gioia di Amanda, che allunga subito le mani.
«Voglio vedere se sia possibile veicolare qualche tipo di veleno nel polline dei gigli e… No, non è per te» dice, allontanandolo quando arriva troppo vicino alla bocca della bambina. Lei mette su il broncio, avvicinandosi alla soglia del pianto, e Mary vede Sherlock andare in panico.
«Va bene, va bene, tienilo. Donne» borbotta, lasciando che la bambina lo prenda. Lei sorride contenta e colpisce ripetutamente la testa del padrino con il fiore, premurandosi di mettere al corrente la madre della sua gioia. Sherlock si irrigidisce ma mantiene stoicamente la calma, mentre Mary scoppia a ridere.
«Sherlock, ho sentito parlare… Oh, tesoro, ciao. Amanda, cosa…»
John, appena sceso con un libro polveroso in mano, si blocca sulla soglia del suo vecchio appartamento, guardando Sherlock e sua figlia con un sorriso in volto. Non sa perché gli faccia così bene, vederli insieme, lei che ride e lui che non emette un suono, tutto sommato divertito, John lo conosce…
Mary volta gli occhi su di lui e coglie il suo sguardo e non le piace troppo ciò che legge. Ed è con un’allegria un po’ faticosa che si rivolge a Sherlock.
«Sicuro di riuscire a tenerla a bada per tutto il pomeriggio?» domanda. Sherlock annuisce, ignorando la gragnola di gigli che gli piove in testa.
«Le insegnerò a dissezionare rane» afferma, tranquillo.
«Sherlock…» inizia John, non sicuro che stia scherzando. Il detective gli lancia un’occhiata seccata.
«Voi due andate pure a divertirvi, io e Amanda staremo una favola» dice. Mentre Mary posa la borsa con il necessario per la bambina sul divano, John ne estrae un orsacchiotto e si avvicina ai due.
«Lascia perdere il tuo povero padrino, che ne dici? E niente rane» dice, sfilando gentilmente il fiore dalla mano della figlia e sostituendolo con l’orsetto, che la bambina stringe a sé, piegandosi sul petto di Sherlock come a volervisi nascondere. Lui, istintivamente, le poggia la mano libera sulla schiena con fare protettivo. John sorride e lascia un bacio sulla tempia della figlia. (Sherlock trattiene il fiato.)
«Ci vediamo più tardi, allora. Fai la brava. E anche tu» ammonisce, rivolto a Sherlock.
«Brontolone.»
«Sherlock, seriamente, niente esperimenti…»
«John! Andiamo, è un adulto…» interloquisce Mary. John si volta verso di lei.
«Io non ne sarei così sicuro…»
«Molte grazie, John, ricordati che è tua figlia che mi stai affidando…»
«Sherlock…»
«John, andiamo.»
«Saluta, Amanda.»
La bambina sorride e agita la mano, la testa ancora china sul petto di Sherlock.
 
~~~
 
Tre colpi alla porta. Sherlock non dà segno di turbamento e continua a preparare il tè: sa benissimo chi sia.
La porta si apre delicatamente.
«È permesso?»
«Sempre» risponde Sherlock, in tono leggero, senza neanche alzare la testa. Mary posa la borsa e si affaccia alla cucina.
«John?» domanda, esitante.
«In ambulatorio, ha avuto un’emergenza» risponde lui, posando teiera, tazzine e zuccheriera in un vassoio. Lo solleva e lo trasporta in soggiorno, sistemandolo sul tavolino davanti al divano. Si siedono entrambi, Sherlock con qualche esitazione: è uscito dall’ospedale solo pochi giorni fa, alcuni movimenti gli procurano dolore. Mary ringrazia e soffia sulla sua bevanda; Sherlock non accenna a muoversi. Tranne il televisore acceso a volume basso, silenzio.
«Doctor Who?» domanda Mary, sollevando un sopracciglio. Sherlock le rivolge un’occhiata di pigro fastidio.
«Lo sto guardando per John, devo raccontargli cosa succede.»
Mary solleva anche l’altro sopracciglio, ma non commenta. Sherlock le lancia una rapida occhiata.
«Come è andata l’ecografia?»
Mary annuisce, niente affatto stupita.
«Bene, bene. È soltanto la prima.»
Tante parole rimangono non dette, perché Mary suppone non sia quello il momento adatto. Tiene per sé, quindi, la sua tristezza nel guardare le prime immagini di suo figlio da sola, con un medico sconosciuto, senza la dolce mano di John stretta nella sua.
«John ha dormito qui, queste notti, non è così?» chiede, piano, sorseggiando il tè. Sherlock annuisce brevemente.
«La stanza al piano di sopra non era stata granché toccata. Il letto è ancora lì.»
Omette di dire che, le ultime notti, in cui entrambi sono stati a casa, Sherlock ha suonato per la gran parte del tempo e John è rimasto ad ascoltarlo per ore, finendo per addormentarsi in poltrona o sul divano; la mattina si alzava sempre per primo e nessuno dei due faceva parola sulla notte trascorsa. Sherlock è quasi sicuro che, mentre era ricoverato, quando non ha passato la notte con lui, John abbia dormito nella sua stanza, a Baker Street – giura di aver sentito un odore diverso sulle lenzuola.
Mary annuisce.
«Mi perdonerà mai?» domanda, e Sherlock prova un moto di tenerezza verso di lei (questa cosa dei sentimenti non promette affatto bene).
La domanda non cerca risposta. È ancora troppo fresca in entrambi quella notte di poche settimane prima, quando John aveva scoperto la verità su sua moglie.
Mary sbatte le palpebre per scacciare le lacrime e torna composta dopo un respiro profondo.
«Solo… Sherlock, so benissimo che per te John non è soltanto un amico qualsiasi.»
Sherlock trattiene impercettibilmente il respiro e attende. È tentato di negare, rifugiarsi nel comodo bozzolo di imperturbabilità che ormai ha fatto suo – ma è diventato irrespirabile lì dentro ormai.
Alza il mento, invitando tacito Mary ad andare avanti. Lei lo guarda seria.
«John… Non mi ha mai detto niente, ma quando l’ho conosciuto, tre mesi dopo il tuo finto suicidio… Era distrutto. Molto più distrutto di un uomo che abbia perso il suo migliore amico. Sherlock, non eri solo il suo migliore amico, io credo che lui…»
Sherlock alza gli occhi su di lei. Forse non si rende conto di quello che ha appena detto, questo può voler dire paradiso e inferno, condanna e salvezza.
«Non dirlo.»
è appena un sussurro roco, gli occhi si sono chiusi per un attimo infinitesimale, ma si sono riaperti pieni di paura (una voragine di dolore potrebbe aprirsi da un momento all’altro), ma a Mary è sufficiente. Abbassa gli occhi e stringe le dita sulla tazza. Prende un respiro e ricomincia.
«Non ti chiedo di fare quello che credi meglio per me, o per John: pensa a te stesso. Per una volta, Sherlock, sii egoista: io lo sono stata, ora hai tu la tua occasione.»
Sherlock la guarda, stupito. Il cuore gli batte come un forsennato – quel traditore. Gli occhi di Mary scintillano di emozioni (rimpianto, orgoglio, delusione, tristezza, senso di colpa, amore) che Sherlock non riesce a catalogare per bene.
«Io… Potrei sparire, cambiare nome e città. L’ho già fatto, e lo rifarei, perché amo John e mi fido di te, ma non posso togliergli suo figlio: lo distruggerebbe.»
La mente di Sherlock corre per tener dietro a quelle parole, registrarne la piena portata e comprenderne appieno il significato, osservare Mary e cercare di capire cosa le passi nella mente e nel cuore attraverso il volto, ma è difficile, è inaspettatamente difficile, e il cuore si agita sempre di più.
«Non puoi andartene» dice d’un tratto, come riscuotendosi. Ha capito.
Mary alza gli occhi su di lui.
«Non puoi far nascere il bambino, lasciarlo a John e andartene, te lo impedisco. John sarebbe devastato se tu te ne andassi.»
Mary abbassa gli occhi, colpita e affondata.
«Con il mio passato… Potrebbe essere la soluzione migliore per tutti…» mormora, e solo adesso la sua voce trema.
«Per quanto mi riguarda, farò il possibile perché tu, John e il bambino siate al sicuro. Lui ti ama, Mary, e tornerà da te.»
Brillano, gli occhi di Sherlock, brillano di tante, tantissime emozioni – Mary si chiede come sia possibile che lo abbiano chiamato macchina, sociopatico, non umano: mai visti occhi più umani di quelli, occhi che sfavillano come gemme grezze dotate di anima.
Abbassa le ciglia ed espira, rendendosi conto solo ora di aver trattenuto il fiato. è profondamente toccata, commossa quasi (scompensi ormonali, quasi sicuramente).
Sherlock è un eroe, uno stramaledettissimo angelo, e non c’è verso che qualcuno possa convincerla del contrario. Le sta regalando una seconda opportunità, e lei non riuscirà mai a ripagarlo abbastanza. è una donna che detesta avere debiti, ma per Sherlock non le importa, lui lo merita.
«Grazie, Sherlock.»
Un sorriso vola sulle labbra del detective.
«Dovere.»
Ci sono tante cose che Sherlock vorrebbe dire, tante cose che potrebbe fare – e gli spetterebbe; sarebbe da egoisti, tuttavia, e Sherlock si accorge con sgomento di non esserlo più, di anteporre qualcun altro a sé stesso – maledetti sentimenti, la falla nel sistema, ecco dove lo portano (è tutta colpa di John).
«Ma voglio una promessa» continua, e Mary alza i grandi occhi sfavillanti su di lui. Sherlock si perde per un istante a guardarli, e sa che la sua scelta è stata giusta: Mary è la donna per John, e lui farà il possibile perché anche John lo capisca – e cucirà la bocca al suo cuore e non importa (è abituato al silenzio, non protesterà più di tanto).
«Il bambino avrà il mio nome. Oppure potrò sceglierglielo io.»
Mary getta indietro la testa e ride.
«Neanche per idea!»
Sherlock nasconde un sorriso dietro la tazza di tè.
 
~~~
 
John si allontana dalla lapide e Sherlock capisce che tocca a lui. Non va dall’amico, sa che ha bisogno di stare da solo – lasciare che il Capitano Watson rimetta in riga il reggimento e cancelli le lacrime dal suo volto – e si avvicina. Posa il suo mazzo di gigli bianchi, poi infila le mani nelle tasche. Troppe le cose da dire, inutilmente ormai. Non gli resta che agire, e fare del suo meglio.
Posa per un istante le dita sul marmo freddo, poi torna da John, che l’aspetta.












Il giglio è simbolo di purezza, innocenza, nobiltà e fierezza d'animo.

Grazie di cuore a chi legge/recensice/segue/preferisce. Mangiate cioccolata e siate felici.
A presto!
-Clock
 
  
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