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Autore: Giorgia_Farah    16/12/2014    1 recensioni
Alexia vive nel suo mondo fatato, insieme alla famiglia, un ragazzo che ama, degli amici stupendi. Ma il futuro le riserverà eventi al di là di ogni sua aspettativa: con l'arrivo di un fratellastro, un padre che non ha mai conosciuto, la sua vita cambierà. Un misto di avventure, pericoli, passioni, sogni infranti, battaglie e scontri, l'eterna storia di questa giovane vampira sarà un portale che vi porterà in un mondo mai conosciuto.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12

Erano le 18.00 di sera. Ma ancora il sole non era tramontato nella valle. Stavo seduta nel letto, con addosso una coperta di lana per coprire addosso a me quello che non c’era da qualche minuti. Alucard sfilò tra i vestiti quello più adatto per me, il vestito che un attimo fa mi ero levata in sua assenza era sopra lo schienale della sedia accanto al camino.

Era una situazione imbarazzante sapere che ero in sua compagnia mentre io ero svestita con solo una coperta addosso per coprire la nudità.

Alla fine ne sfilò uno abito color violetto, leggermente scollato davanti, maniche trasparenti e larghe, la vita alta, evidenziata da una cintura di stoffa color oro.  Le scarpe erano dello stesso colore della cintura. Il vestito era bello, ma allo stesso tempo mi creava spavento sapere che sarei uscita di notte con quello addosso; soprattutto agli occhi di Louis e mia madre.

Non mi ci volle molto per capire che apparteneva a sua madre, l’unico vestito femminile che esistesse in quel castello millenario. Lo appoggiò con delicatezza sul letto, insieme alle scarpette.

“Credo che questo ti stia bene’’, commentò, con un po’ d’impazienza. Si sentiva che ancora l’aria sapeva di rabbia ed odio. Non gli avevo parlato da quando era tornato dentro la stanza, e non avevo alcuna intenzione di parlargli fino a quanto non si sarebbe reso conto del gesto del suo errore.

Senza controbattere, uscì dalla stanza, mi liberai finalmente di quella coperta e scesi dal letto per vestirmi. Senza il vecchio vestito addosso, sentivo l’aria fredda delle pareti castellane. Come se tutto il gelo della stanza di Iesha e Audax mi avrebbe privato del freddo e lo avesse scaturito in quel momento. Soltanto il vestito di seta comoda ebbe il privilegio di riscaldarmi come se stessi accanto al fuoco.

Alucard ritornò nel momento in cui infilai le scarpette, col fare repentino levò il vestito dallo schienale alto della sedia e lo piegò su una coperta di stoffa ricamata. Si voltò dunque verso di me studiandomi dalla testa ai piedi, alzò un sopracciglio. “Bellissima’’, disse con un sorrisetto compiaciuto.

“Grazie’’, dissi, senza ricambiare il sorriso.

“Forse è meglio che scendiamo….’’

“Sono arrivati?!’’, chiesi allarmata.

Soffocò una risata. “Mi hai bloccato. Stavo dicendo: forse è meglio che scendiamo, nostro padre ha preparato la cena per te ’’

Sbarrai gli occhi. “Da quando in qua nostro padre cucina cibo umano?’’

Fece spallucce. “Per quel che ne so da quando gli ha insegnato mia madre’’

Si avvicinò a me, e mi avvicinò all’armadio per specchiarmi, mentre iniziò a pettinarmi i lunghi capelli intrecciati; mi accorsi di sorpresa che nella mano destra stringeva un pettine di legno. Più di tre volte fui scossa da un brivido lungo la schiena quando sentivo le sue dita passare tra le ciocche lisce dei capelli.

Senza alzare lo sguardo da terra, lasciai che mi sfiorasse i capelli fra le sue dita lunghe e bianchissime, che mi intrecciasse le ciocche, e che mi creò una lunga treccia a spiga di pesce. Insieme a qualche capelli aveva intrecciato dei nastri viola e lunghi esattamente come i miei capelli che decorava l’acconciatura. Non riuscivo a vedere il risultato dietro la mia schiena ma supponevo che era riuscito perfettamente. Quando mai un vampiro era in grado di sbagliare? Alzai lo sguardo da lui solo quando lo sentii aprire la porta.

“Grazie”, mormorai infine uscendo dalla stanza.

Lui mi sorrise silenzioso, e mi accompagno fuori dal corridoio, con passo svelto e felino, mi teneva stretta nelle spalle. In quel silenzio tombale aspettavo le sue scusa, ma quel giorno non arrivò mai.

Arrivammo alla sala da pranzo tre minuti dopo, la tavola era imbandita di dolci, spuntini, frutta, tè o acqua, la maggior parte delle bevande era composta da sangue. Davanti al mio piatto ne trovai un bicchiere pieno. Papà intanto ci aspettava a capotavola, sorseggiando la sua bevanda.

Quando si voltò verso la nostra direzione, ci acclamò con un sorriso.

“Ah! Ben venuti, spero che avrete una fame da lupi!”, disse spalancando appena le braccia. 

Mi staccai in fretta dal mio fratellastro e mi trovai accanto alla sua sedia, pronta per abbracciarlo.

“Ben svegliato papà’’, gli baciai una guancia. “Hai dormito bene?’’, chiesi quando mi sedetti accanto a lui. Alucard era seduto alla sua sinistra, il bicchiere di sangue stretto in mano.

“Divinamente, grazie’’, rispose accarezzandomi la mano.

Diede uno sguardo fulmineo al figlio e poi al mio vestito. “Il viola ti dona ’’, osservò.

Sorrisi, lusingata. “Non trovi anche tu? E poi questo abito è molto comodo, mi ci trovo bene’’, dissi, trattenendo un rossore imprevisto.

Sorrise d’approvazione, si abbandonò poi sullo schienale della sedia e ne osservò la tavola imbandita.

“Be’….spero che il cibo ti piaccia. Buon appetito’’

Ne osservai il petto di pollo con insalata condita sul piatto di cristallo. “Grazie, sembra essere tutto così appetitoso’’, e infatti, come mi accorsi dopo, era la prima volta che il sangue sul cibo umano non mi sarebbe mai servito a Redmoon. Quale strana magia si nascondeva in quelle mura? Mangiai per la prima volta come da umana. Divorai un piatto di insalata e carne, qualche frutto succoso e dopo mezz’ora ero già sazia. Non avevo mai avuto così tanta fame in vita mia. Nei piccoli minuti in cui rimanevo zitta, Alucard e mio padre si misero a parlare una lingua che non riuscii a tradurre: parole antiche, millenarie, intraducibili. Quella lingua non esisteva nel vocabolario, nemmeno se avessi fatto una lunga ricerca in biblioteca. Più di tre volte desiderai chiedere di cosa stessero parlando, però rimandavo sempre a qualche minuto dopo. Tra le parole, il suono della loro voce che sembravano formulare delle domande e delle incertezze, colsi rare volte il mio nome e quello di mia madre, solo due volte colsi il nome della madre di Alucard. “forse stanno parlando del loro passato, forse Alucard gli sta raccontando di cosa abbiamo parlato io e lui qualche ora fa’’, pensai tra me e me, mentre ingoiavo un pezzo di carne. Poi pregai che non aggiungesse del nostro litigio che ancora mi faceva ritornare rossa dalla rabbia. Osservavo i loro movimenti facciali, da essi capii la loro preoccupazione dal tono della voce e dall’espressione, la loro serietà e poi si volsero un solo momento per guardarmi. Non badai molto alla loro conversazione quel giorno, anche se non feci a meno di notare che mentre mi guardavano c’era nei loro occhi un senso di ansia, angoscia e curiosità. Poi ritornarono a parlarsi.

Non tormentai ad Alucard riguardo alla loro conversazione, un’ora dopo, quando ci trovammo in biblioteca. Anzi, gli stetti il più lontano possibile; avrebbe capito. All’inizio sembrò anche lui acconsentire alle mie emozioni, anche se presto mi accorsi di sentirmi osservata mentre leggevo con attenzione apparente un romanzo antichissimo. Per tutto il resto della giornata seguii a ruota mio padre, cercando di liberarmi di lui in qualche modo; nonostante tutto me lo sentivo comunque addosso, anche nei momenti in cui era assente, era come se fra noi ci fosse un filo trasparente, difficile da tagliare anche se si avesse usato una motosega, che ci teneva strettamente uniti. Mi resi conto che, oltre ad essere utile, cominciava ad essermi d’impiccio.

Redmoon iniziava ad essermi un logo che mi appesantiva ad ogni passo che facevo; voleva opprimermi, sentirmi schiacciare dalle sue mura antiche e possenti, da quei quadri e statue che sembravano osservarmi e da quei corridoi e stanze di profumo di ricordi antichi, vite trapassate e spezzate, spiriti trasparenti di quelle mura. Redmoon, avrebbe dovuto essere una seconda casa per me, invece–oltre che meraviglioso e spettacolare- era un castello desolato, dove era presente l’angoscia e la tristezza.

In quel piccolo mondo che percorrevo insieme a mio padre i secondi passavano lenti, a Redmoon la vita procede per secondi interminabili; il castello voleva che il suo proprietario non si perdesse niente della vita, che la gustasse come meglio dovrebbe. Ma, infondo, non era per me.

Forse aveva ragione Alucard, forse non ero fatta per essere immortale perché, solo in quel momento me ne rendevo conto, l’eternità prima o poi mi avrebbe stancata, e allora avrei desiderato una vita normale. Per me la mia vita era giusto viverla esattamente come quella degli umani, prima che sia troppo tardi e ti renda conto che guardando indietro ti sei persa alcuni momenti felici e che non avrai più l’occasione di riviverli. Mettendo al confronto la vita di Alucard e la mia, colsi una punta di gelosia e di imbarazzo, anche se dentro mi sentii fortunata.

Ma poi ritornai a guardarlo, e coglievo la sua sofferenza e la sofferenza che in futuro avrebbe dovuto patire se me ne sarei andata per sempre, e l’altro lato del mio cuore mi faceva ritornare la mancanza del desiderio di un avita immortale, con molte aspettative davanti, un futuro migliore, privo di pericoli, pieno di avventure….

E ritornai confusa. Oh, come era difficile ragionare da adulti. Data la mia mezza natura vampiresca mi sentivo piccola di fronte a qualcuno più intelligente di me; se ci fosse stato Alucard al mio posto come avrebbe reagito? Che avrebbe deciso?

Finalmente il sole calò da dietro le montagne e si fece sera. Mamma e Consuelo tornarono come avevano promesso, e con loro portarono anche Louis; non volli valutare le loro espressioni non appena mi videro con addosso un vestito medioevale, mi limitai solo a correre dietro alla mia sorellina che fu la prima a venirmi in contro. E poi vennero altre braccia.

“Sei stata bene?’’, mi chiese Louis non appena ci fummo incontrati. In una piccola parte ero ancora arrabbiata con lui, ma nell’altra ero felicissima di rivederlo.

“Bene’’, risposi. Naturalmente, non sapevo nemmeno io se stavo bene o male, ero in uno stato confusionale: capivo ogni singola mossa che facevo e ogni parola che dicevo, ma era la presenza del mio fratellastro a rendermi confusa. Poi capii il perché: il filo trasparente ora mi stringeva sempre di più fino a desiderare di rivolgergli lo sguardo, e poi c’era l’anello prezioso al mio anulare sinistro che d’improvviso si fece così pesante da abbassare la mano.

“Tu come stai? Tutto bene?’’, chiesi poi. Mi teneva ancora stretta dal primo abbraccio.

“Come vuoi che stia? Ho passato la notte insonne per quanto ero in pensiero per te ’’

“Non avresti dovuto, io ho dormito come un ghiro’’

Sbuffò. “Questo non mi consola’’

“Già, hai ragione. Pessima battuta’’, mormorai infine.

Dietro di noi, la mia famiglia si stava parlando. Noi eravamo a cinque metri da loro, al centro del cortile, abbastanza lontani da non volgere lo sguardo a chi stavo pensando.

“Lo sai che non mi è piaciuto quello che hai fatto?’’, chiesi dopo, improvvisamente fredda.

Sospirò rassegnato. Lo conoscevo bene, sperava che avessi dimenticato quell’incidente. “Odio quel parassita’’, sputò fra i denti.

“Quel parassita ha un nome: Alucard. È c’è di più: è il mio fratellastro. E vuoi sapere la novità? D’ora in poi insieme a lui verrà a farci visita anche Drakon, quindi se mi ami sul serio dai loro una possibilità’’, in un certo senso avevo il diritto di difendere Alucard, almeno un pochino. Per quanto a mio padre….gli serviva due guardie del corpo; forse di più.

Louis rimase basito dal mio avvertimento perché rimase per un lungo periodo di secondi in silenzio, tanto che iniziai ad intuire di averlo mandato su tutte le furie. Alla fine riuscii a dire:

“Non so se dovrei provare qualcosa di positivo o negativo riguardo alle tue scelte’’

Mi resi conto che avevo sciolto l’abbraccio. “Non parlarmi di scelte, in parte sento che sto facendo la cosa giusta per tutti’’

“O forse per te ’’

“Non voglio litigare un’altra volta’’, supplicai. Non ero in vena di parlare tanto. Già c’era lo sguardo di Alucard che mi metteva disagio, iniziai a desiderare di andarmene al più presto da lì.

Sospirò. “Nemmeno io, ma sappi che non riuscirò a resistere ancora per molto. Prima o poi, uno di questi giorni esploderò’’

“Louis, all’improvviso tutto è cambiato così radicalmente, da farmi intuire che presto anch’io esploderò, sta diventando tutto così difficile’’

“E insensato’’

“Che vuoi dire?’’

Mi guardava fisso negl’occhi, era serio. “Perché stare così vicino a delle persone che ti stanno rapidamente cambiando? Sinceramente, non ti riconosco più, sembri…trasformata’’. Mi stupii di me stessa; ero così cocciutamente distratta da ignorarlo? Non  mi sarei immaginata che in tutti quei mesi - trascorsi a dividermi in due per lui e per Alucard- lo avessi scansato. Eppure ci avevo messo tutta la forza per non far mancare niente ad ognuno. Che mi fossi sbagliata? Forse non avevo trovato un giusto equilibrio, o forse era veramente Redmoon che mi faceva andare totalmente fuori di testa.

Mi riaffiorarono alla mente alcuni ricordi: quel lontano giorno in cui mia sorella mi parlò del vento, dell’avvertimento, quelle notti passate in compagnia di Alucard, le sue decisioni di un futuro prossimo, e le mie, quel pomeriggio in cui presi fra le mani il suo diario segreto, quel simbolo, la collana, il suo profumo. Era lui che mi stava cambiando, la sua presenza mi trasformava in un'altra Alexia. E sembrava fosse destino. Nei giorni passati speravo che non avrei più assistito a complicazioni del genere per un lungo periodo di tempo, invece erano sempre lì – nascosti, invisibili-  che piano piano iniziavano a farsi scorgere. Ecco un altro cambiamento della mia vita: il mio.

In quel momento mi accorsi che mia madre mi stava chiamando per salutare Drakon e Alucard, solo che non potei sentirli perché ero stata troppo soprappensiero, allora Louis fu costretto a darmi uno strattone che io sentii e mi mossi. Salutai mio padre ed Alucard, quest’ultimo però non riuscii a rivolgergli lo sguardo.

Appena salita in macchina, tra le gambe avevo il lenzuolo con dentro piegato l’abito da sposa di mamma, mi sentii a mio agio e la pesantezza di Redmoon che mi opprimeva svanii del tutto.

Quella notte, fu la prima in tutto un anno che non concedetti a Louis di un bacio; quella notte mi chiusi nella stanza dopo mangiato, inchiavai la finestra e mi distesi nel letto. Inconsciamente mi misi a guardare le mani. Erano sempre le mani di Alexia Kennedy, ma allo stesso tempo sembrava che non mi appartenessero più. 

   
 
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