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Autore: kamony    16/12/2014    16 recensioni
Harlock e Meeme, un uomo ed un’aliena legati da un rapporto così esclusivo e particolare,
che non ha eguali in tutto l’Universo.
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Lime, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Diá Pasôn
- διά πασν-

«Due amanti silenziosi somigliano a due arpe con lo stesso diapason
pronte a confondere le voci in una divina armonia
»
A. Karr

 

L’immobilità silenziosa della nave, venne improvvisamente interrotta dalla dolce melodia prodotta dall’arpa. L’aliena sembrava accarezzarla con le lunghe dita, pizzicando appena le corde con i polpastrelli.
Harlock chiuse l’occhio e mollemente si stese sul letto per concedersi una breve tregua.
Quello strumento dal suono così armonioso, ma anche delicato e fragile, somigliava ad uno specchio della natura umana e aveva il potere di domarlo. Produceva in lui una sorta d’incanto, in cui tutto si slegava e cominciava fluttuare leggero. Lo rendeva libero dal peso dei pensieri, come se la sua anima fosse cullata da quelle note tenui. Meeme, attraverso quell’armonia, riusciva ad accarezzargli l’anima liberandolo da ogni scura ombra che lo opprimeva.  
Era in quei momenti che finalmente non pensava più a niente. La musica entrava in lui e lo estraniava. Quel suono era come nettare che morbido cadeva, producendo una sorta di sensualità appena accennata, delicata, a cui non si poteva resistere, e lui vi soccombeva arreso, lasciandosi sopraffare.
La pace arrivava e lo accoglieva serena, abbracciandolo.

Non aveva mai capito che cosa provasse Meeme. Così delicata, ma così prodigiosa quando suonava. Pareva che tutta la dolcezza di cui era dotata, fluisse dalle sue dita alle corde e si tramutasse in note. Quella musica incrinava il silenzio rigido e malinconico che avvolgeva lo scuro scenario di quella cabina. Simile ad un fruscio d’ali d’angelo, aveva il potere di purificare il suo spirito inquieto, ferito da troppi dolori, chiuso come una rocca, ostaggio dei ricordi. In quei momenti sottili, come fili di seta, le loro anime entravano in comunione e si sfioravano appena, per poi prendersi per mano e danzare insieme sulle ali di quelle note rotonde; senza un inizio e senza una fine. Il resto sembrava non riguardali più, perché semplicemente cessava di esistere.

Il loro rapporto era fatto di lunghi silenzi. Di sguardi accennati e poche parole, aveva radici profonde come quelle di una quercia antica. Solide, forti, incrollabili.
Era un’armonia tra anime raminghe ma affini, legate da una scelta, un voto, un destino scritto di loro pugno e suggellato con l’amaro calice della solitudine.

C’era qualcosa di sacro, ma anche di estremamente rasserenante che vibrava insieme a quelle note così gentilmente pizzicate, che riempivano soavi quella cabina così grande, ma anche così piccola e solitaria, che rappresentava tutto il suo mondo, il suo più intimo rifugio. Lei vi aveva accesso perché ci faceva regnare la luce tenue e colorata della musica, grazie a quel antico strumento che era quasi come una metafora delle corde che vibrano ne l’anima. Il suono dell’arpa nutriva un amore distante, privo della fame dei sensi, in cui due corpi di una stessa razza si perdono e si fondono, per morire e poi rinascere insieme.
Tra loro si sublimava l’unione della mente, la fusione dello spirito. La melodia sostituiva le carezze, e i loro silenzi fatti di sguardi, sostituivano le promesse e le parole degli amanti comuni.

Nessuno poteva capire che cosa li unisse, che cosa intercorresse tra loro. A volte anche Harlock stesso ne era turbato, perché era una cosa così intima e profonda che riusciva solo a sentirla, ma non a spiegarla.
Meeme non parlava mai di sé, di ciò che provava.
Quali fossero i suoi sentimenti, il suo modo di amare, di sentire, era un mistero. Lei suonava, era quella la voce delle sue emozioni.
Amava bere vino centellinandolo in silenzio, lo osservava e gli parlava solo quando aveva qualcosa d’importante da dirgli. Sembrava eterea e fragile ma era solo diversa, la sua potenza risiedeva altrove, soprattutto nella sua pacata saggezza.
In sé racchiudeva una forza immensa che riusciva a donargli empaticamente.
La sua natura aliena era molto riservata. Sebbene fosse una compagnia piacevole, spesso spariva e nessuno sapeva dove andasse, per poi tornare all’improvviso. Silenziosa e leggiadra, accarezzava l’aria, con il suo incedere inconsistente, quasi come se volasse tra i bui e silenziosi corridoi di quella grande nave. Arrivava sempre al momento giusto, dicendo la cosa più logica, come se fosse stata un pensiero, che evocato si materializzava al suo cospetto.
Era una creatura così particolare, mai invadente, mai inopportuna, eppure solerte ed amabile, a volte addirittura risoluta, con il dono di capirlo fino in fondo, forse anche quando neppure egli stesso ne era capace.
Con l’inossidabile forza della sua gentile e determinata pazienza, gli apriva l’anima e lo portava fuori da se stesso. Lo prendeva per mano e lo aiutava ad uscire dalle sue prigioni interiori.

Harlock con lei si sentiva completo, ma soprattutto capito. Come se Meeme fosse una parte di lui, la sua voce interiore, che gli fosse uscita dal corpo e avesse preso vita per dargli forza e sostegno. L’aliena rappresentava ciò che aveva represso da tempo: una scintilla di pura speranza che alimenta la fiducia nel futuro.
L’amava?
Non se l’era mai chiesto, non gli interessava. Sapeva solamente che lei c’era e ci sarebbe sempre stata e questo gli bastava. Si rendeva conto che senza Meeme il senso di molte cose sarebbe andato perduto. Era certo che il loro trovarsi non era stato frutto del caso.
Spesso la guardava e la trovava bellissima, ma non come poteva esserlo una donna. Meeme sembrava un essenza ultraterrena, una figlia del Cosmo, nata da l’esplosione di una stella. Sapeva che non era così, ma era affascinato dalla sua natura complessa, dalla sua intelligenza celeste, che la rendeva una creatura simile a quei miti di cui cantavano poeti ancestrali, di cui ormai s’era persa memoria. Era per lui come acqua nel deserto, saggia follia, intricato mistero, manna per la sua anima. Stando accanto a lei aveva scoperto che esisteva qualcosa di veramente profondo, misterioso ed armonico che poteva indissolubilmente legare due anime, in modo casto e sublime, quasi trascendentale.
Non aveva mai provato desiderio fisico per lei, tra loro la carnalità era distante perché troppo terrena per poter sfiorare quella musica, quella piccola scintilla di paradiso che li legava, alimentando la loro unione. Non desiderava possederla, sarebbe stato come violarla, piuttosto aveva un bisogno quasi primordiale di averla accanto a sé, sebbene non glielo avesse mai detto e mai lo avrebbe fatto.
Erano due creature di razze diverse, così dissimili nel corpo, ma così uguali nello spirito, questo era ciò che li rendeva straordinariamente complementari ed indissolubili. Più di qualsiasi altro tipo di legame umano, o alieno che fosse. La loro diversità era la loro unicità, la loro forza.

*


Quella musica così delicata e perpetua continuava ad inondare la cabina, quando  d’improvviso, Harlock cadde in una sorta di stato d’incoscienza, simile al sonno. Era immobile, disteso e con l’occhio chiuso, ma ancora, vigile sebbene un certo torpore lo avesse quasi vinto.
Sembrava come prigioniero di un oblio ignoto.
Cullato dalle note di quell’arpa cominciò a vagare nell’abbandono onirico.
Qualcosa di sconosciuto s’impossessò di lui.
Percepì un profumo tenue, che gli ricordò l’umidità delle felci di bosco, unito ad una lieve e tiepida brezza, che sembrò come carezzargli il viso.
Avvertì vicino a sé una presenza.
Era qualcuno di familiare a cui non riusciva a dare un sembiante. Eppure era lì, accanto a lui, tanto che gli parve di cogliere nel silenzio immobile, una tremula incertezza, come una sorta di timido pudore.
Istintivamente allungò una mano ma incontrò il nulla, fendendo inutilmente l’aria.
Dormiva, eppure era sveglio, prigioniero di una dimensione a lui sconosciuta.
Turbato si chiese se la sua potesse essere una sorta di semi incoscienza.
Non c’era nessuno, eppure quella presenza era reale, viva e vicina, ne era certo.
La musica, ormai era lontana come un ricordo sbiadito, ma continuava soave ad aleggiare distante. La percepiva appena, tutto era confuso e nebbioso. Ad un tratto gli parve di udire quasi come una voce, simile al canto di quelle creature, che i comandanti di antiche navi, perse negli abissi, in altre vite distanti mille anni, chiamavano sirene.
Quella brezza profumata, all’improvviso sembrò come tramutarsi in una mano invisibile. Sentì il suo impalpabile tocco passargli sul viso, per poi scendergli morbido lungo la curva del collo.
Un brivido lo scosse e d’improvviso l’avvertì sul petto. Gli sfiorava appena la pelle nuda, la percepì reale e vera, sebbene lui fosse vestito e fosse pienamente consapevole che fosse solo un’illusione, o un sogno.
Era una cosa strana, incomprensibile ma estremamente piacevole. La sua mente cercò invano una risposta logica, ma non la trovò. Rimase in allerta, quasi rigido, era pur sempre un uomo razionale e non accettava di buon grado di subire l’ignoto, anche se gli regalava quelle gradevoli sensazioni.
Quella brezza viva continuava a sfiorargli il corpo, solleticandolo sensuale sulla pelle, come il tocco invisibile e morbido di una mano femminile. La sentiva su di sé come se fosse stato completamente nudo, esposto a lei, e alle sue languide, illusorie carezze.
Sentì un calore salire e pervadergli il corpo, riconobbe certe sensazioni, ne fu turbato.
Stava cominciando a cedere.
Quel contatto vellutato e leggero gli ricordò emozioni quasi dimenticate, il suo cuore accelerò di un battito, mentre un caldo tremito gli contrasse appena l’inguine.
Non poteva toccarla, né vederla, tuttavia la sentiva! Ciò che gli faceva provare era vero e sensuale, eppure era certo che fosse una presenza onirica del tutto irreale.
Era molto turbato, ma ormai piacevolmente coinvolto.
Alla fine il desiderio lungamente domato, rinchiuso nella prigione del dovere, irruppe impetuoso come un’onda, che furiosa, s’infrange vinta sugli scogli, e gli ricordò prepotente chi fosse: un uomo vivo, fatto di carne e sangue.
Quanto tempo era passato da quando aveva avuto una donna?
Harlock non lo ricordava più.
Aveva scelto quella vita quasi da asceta, donando anima e corpo ad un ideale. La sua unica amante era stata la libertà, la sua casa era l’Arcadia, la sua unica famiglia era il suo equipaggio.
E Meeme?
Lei era la sua musa, la compagna perfetta del suo Io interiore. Colei che gli permetteva di sublimare la sua parte migliore, che altrimenti si sarebbe seccata come una pianta senza acqua.
Quella magia continuava a tormentarlo aumentando il desiderio che cresceva impetuoso.
Un fremito lo scosse, strappandogli un debole gemito.
Inatteso il piacere finalmente si liberò, divincolandosi dalle catene che lo ingabbiavano e lo travolse con prepotenza. Fu simile a caldi marosi, che sospinti da venti di tempesta, vanno e vengono, increspandosi spumosi. Il turbine dei sensi, da cui riemerse con forza la sua carnale umanità, lo travolse. Infine affogò vinto in quel rovente, meraviglioso oblio, che finì per ucciderlo con impetuosa dolcezza.

Poi il nulla.
Un sonno buio e incosciente lo rapì.

*


Non seppe quanto tempo fosse passato. Aveva dormito? Aveva sognato? Ciò che aveva provato era vero, o era solo un’illusione della sua mente. Forse era stato frutto di una pulsione umana, che aveva acceso ed incendiato il suo corpo, come può accadere quando si riposa tra le braccia dell’inconscio, che solo allora ha il coraggio di rivelare i suoi più reconditi desideri e talvolta desta la brama della carne.

D’improvviso la musica tornò a colorare la cabina ed Harlock udì il proprio respiro.
Era sveglio.
Non c’era traccia alcuna di quell’estasi provata.
Aprì l’occhio guardingo, piacevolmente spossato, ancora stordito, frastornato ed incredulo. Le sensazioni che aveva sperimentato erano state vere, vive, umane e prepotenti, non poteva dimenticarle così, in un soffio, ma era tutto troppo confuso.
Voleva capire. Si girò verso la grande vetrata che si affacciava su l’infinito stellato, ed intravide un’ombra di luce in cui si stagliava, appena accennata, la nuda silhouette di un corpo femmineo, che sembrava rispendere, brillando di energia propria.
Scattò a sedere attonito.
Fu un lampo e l’immagine svanì.
Si girò come a cercare conferme. L’arpa cantava serena, e Meeme era dove ricordava che fosse. Ancora intenta a pizzicare il suo strumento, aveva solo la testa più china, come se non volesse incontrare il suo sguardo.
Meeme…” soffiò appena, pieno di stupore, guardandola come se la vedesse per la prima volta.
L’aliena non si mosse e silenziosa continuò ad eseguire quella nenia gentile.
Harlock profondamente turbato si alzò e la raggiuse.
“Meeme eri tu?” gli chiese quasi pudico, ancora incredulo e confuso.
La musica cessò e il silenzio si fece di piombo.
Lei rimase china, come se malinconica riflettesse, poi finalmente gli parlò.
“Mi dispiace Harlock… non avrei dovuto…” gli disse quasi sottovoce con quei grandi occhi velati di tristezza.
“Che cosa intendi?” le chiese con inusuale dolcezza, non l’aveva mia vista così inquieta.
“Non potrò mai amarti come potrebbe farlo una donna, non posso… le nostre nature non si conciliano… non potrò mai donarti ciò che una compagna ti potrebbe dare”.
Harlock sospirò e chiuse l’occhio. “Lo so Meeme, l’ho sempre saputo e non mi importa. Nessuno nell’Universo può darmi quello che tu mi offri. E credimi è molto di più di ciò che mi sia consentito desiderare” le disse pacato, poggiandole delicatamente una mano su una spalla come per rassicurarla.
Quindi si girò ed andò a sedersi di fronte a lei, poi si versò del vino e prima di portare il calice alle labbra disse: “Suona ancora per me, ti prego” .
L’aliena gli regalò un timido sorriso e face un lieve cenno di assenso con la testa.
Un’aura di luce la fece risplendere.
Infine tornò a carezzare l’arpa e la musica prese di nuovo a librarsi nell’aria, producendo una nuova, meravigliosa armonia.


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Questa idea mi baluginava saltellando tra le sinapsi da qualche tempo, anzi da molto tempo. È stata a lungo in gestazione prima di vedere la luce, perché non è stato facile per me riportare su foglio (elettronico) le idee e le sensazioni che volevo descrive. Seppure avessi chiaro nella mia testa ciò che volessi dire, una volta iniziato a buttare giù il testo, è stato difficile spiegarmi e scrivere in modo chiaro e soddisfacente i concetti. Parlare di questa coppia, lo trovo assai arduo, soprattutto per me che ne ho una visione molto, ma molto particolare, oserei dire quasi trascendentale. Per questo non so se mi azzarderò di nuovo a descriverli nuovamente in veste di coppia, con implicazioni amorose non puramente platoniche. Non so se sono stata al’altezza di rendere giustizia a questo rapporto che nella mia testa, intercorre tra Harlock e Meeme e, che in questa mia personale versione, è anche trattato in modo non solo amicale. È stata una bella sfida, ma come qualcuno ha saggiamente detto, scrivere fanfic è un gioco, in cui il bello è spingersi sempre un po’ più avanti! ;) Speriamo di aver fatto il passo più lungo della gamba xD In caso siate clementi, siamo quasi a Natale e (quasi)tutti sono più buoni :P

Questa fic è dedicata alla mia amica Sara (cowgirlsara). Una gran fan di questa coppia. Da quanto ne parliamo? Almeno da questa estate giusto? È stato confrontandomi con te che mi è venuta voglia di dire la mia e spero che ti piaccia e ti soddisfi, ad ogni modo non è il regalo di Natale; quello sarà più corposo :D prendila come un antipastino, che spero di cuore non ti vada indigesto xD (Sennò puoi sempre picchiarmi :D)

Grazie a chiunque si sia fermato a leggere

 

Disclaimer: Tutti i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.

  
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