Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: kateausten    17/12/2014    4 recensioni
-Storia partecipante al Contest "Pompt e Coppie: Prendi uno e scrivi due" indetto da Evelyne e S.Elric-
Avrebbe riconosciuto quella figura fra mille e tentò di calmarsi, nonostante Oliver Baston avesse evidentemente deciso di farle prendere un infarto, dato che le sorrise illuminandosi.
“Katie,” disse mentre cercava di riprendere fiato. “Meno male che dalla finestra della Biblioteca ti ho visto!”.
Il cuore di Katie continuò una corsa accelerata verso la sua probabile morte.
“Davvero?” chiese stupita.
“Certo!” Baston le dedicò un altro sorriso folgorante. “Sei l’unica a cui questo tempo non fa paura ed è pronta per un piccolo allenamento di Quiddicht”.
“Oh”.
(Katie/Oliver)
Genere: Guerra, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katie Bell, Oliver Wood/Baston
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4, II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
2 Maggio 1997
Ore 00:03


Stava crollando tutto. O forse era già crollato tutto.
Oliver Baston non distingueva più quello che era ancora in piedi e quello che invece era diventata polvere o macerie. Lasciò vagare gli occhi esausti per la Sala Grande. La bellissima, grandissima, pulitissima Sala Grande dove ogni mattina per sette anni aveva fatto colazione, ricevuto i nuovi orari, pranzato, cenato, escogitato tattiche, parlato con persone che adesso non respiravano più perché maledizione c’era la guerra, era arrivata anche li, a Hogwarts e niente e nessuno poteva salvarli in quel momento.

“Avete combattuto valorosamente. Lord Voldemort sa apprezzare il coraggio”.

Oliver stava guardando i corpi del buon professor Lupin e di Fred Weasley. L’aria piena di polvere e detriti gli stava comprimendo i polmoni e, mentre si obbligava a staccare gli occhi da quello che era stato un suo compagno di squadra e amico, cercò di mantenere il pranzo nel suo stomaco.

“Se entro un’ora non ti sarai consegnato a me, la battaglia riprenderà. E questa volta vi prenderò parte io stesso, Harry Potter, e ti troverò e punirò fino all’ultimo uomo, donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un’ora”.

Bene. Aveva ancora un’ora di vita, quindi. Gli venne da ridere, mentre si alzava dai gradini dove si era seduto, solo per prendere un maledettissimo attimo di respiro da tutto quell‘inferno.
Gli venne da ridere perché quella mattina si era alzato nella sua casa a Londra, aveva fatto colazione, si era sbarbato, si era lavato e pettinato ed era uscito. Come faceva tutte le mattine da quando aveva lasciato Hogwarts. Sembrava tutto normale, per quanto potesse essere normale quel periodo.
Poi aveva guardato il cielo nero ed era rabbrividito per lo spiacevole freddo, inusuale per i primi di maggio; era rientrato per pranzo, quando aveva notato un gufo che non conosceva  picchiettare insistentemente alla finestra.
Ancor prima di leggere la lettera, sapeva già cosa stava per succedere. Si smaterializzò immediatamente, provando una leggera stretta al cuore quando riconobbe il familiare profilo di Hogsmade, mettendosi subito a correre verso il castello, incespicando da quanto andava veloce.
E adesso era li, tra macerie e cadaveri, in una sala che sembrava sconosciuta, piena di voci stridule, respiri spezzati e pianti incontenibili.
Avanzò barcollando.
Non l’aveva ancora vista da quando erano usciti dalla Stanza delle Necessità.
Mentre scuoteva inutilmente la polvere dai pantaloni la individuò dall’altra parte della sala, dove una volta stava il tavolo dei Tassorosso. Attraversò a grandi passi la distanza che lo separava da lei e finalmente gli sembrò di ricominciare a respirare meglio, con i polmoni che tornavano a fare il loro lavoro.
Katie Bell sembrava più magra e pallida da quando l’aveva vista l’ultima volta, un caldo pomeriggio di giugno di quasi due anni prima. Era accanto a Sibilla Cooman e cercava di aiutarla a curare Lavanda Brown, ancora più pallida di Katie e immobile in un modo inquietante.
La ragazza alzò lo sguardo e quando lo vide, per quanto fosse assurdo, riprese un minimo di colore sulle guance e si tirò su dal pavimento raggiungendolo in un angolo della Sala .
“Oliver,” mormorò e gli occhi le si riempirono di lacrime, calde e amare, come sarebbero state quelle del ragazzo se si fosse concesso di piangere.
“Ehi, Katie” rispose lui. Poi si avvicinò e l’abbracciò forte, in maniera quasi dolorosa, premendo le dita tra le vertebre della schiena di lei, coperta da una leggera maglietta color lavanda.
La lasciò piangere per tutto il tempo di cui ebbe bisogno, perché Oliver Baston credeva fermamente che certe volte le cure migliori fossero un buon pianto (e lui lo sapeva, soprattutto dopo le delusioni delle partite di Quiddicht, ma nessuno sarebbe mai dovuto venirne a conoscenza) e un forte abbraccio (in questo poteva migliorare, ma,- fece un sorriso triste ricordando una vecchia conversazione-, adesso non aveva più tempo).
Quando Katie si staccò, aveva gli occhi rossi e cerchiati e Oliver notò un taglio fresco sulla guancia destra. Ci passò lentamente le dita.
“Sei ferita” disse, anche se si sentì un po’ sciocco quando lei scrollò le spalle.
“Niente a che vedere con altri. Lavanda ci è quasi rimasta” rispose con voce spenta.
Si guardò intorno e i suoi occhi si riempirono nuovamente di lacrime.
“Mi sembra tutto così assurdo Oliver,” sussurrò con voce tremante. “E poi io.. Io non ti vedevo più e ho pensato che qualche Mangiamorte ti avesse ucciso,” Altre lacrime cominciarono a cadere sul volto di Katie. “E poi ho visto Angelina e Alicia combattere, ma tu no..”.
Oliver la abbracciò nuovamente, perché quel semplice gesto non solo faceva stare meglio lei, ma faceva stare meglio lui.
“Sono sempre stato dalla parte destra della Sala combattendo a fianco di Neville,” disse in un sussurro fra i capelli sporchi e pieni di fuliggine di lei. “Ed ho aiutato a evacuare la scuola dai minorenni ”.
Katie annuì, con il volto nascosto nel suo petto. Non sembrava volersi spostare da li e a Oliver la cosa non dispiaceva affatto. Non volle dirle che aveva visto i resti di quelli che una volta erano esseri viventi, pezzi abbastanza grossi risparmiati dai Mangiamorte, forse per passare ad altri esseri che ancora respiravano.
Vide alcune persone trasportare corpi che non si muovevano più ma che lui aveva conosciuto, nel mezzo della Sala Grande e per non mettersi a urlare, chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e staccò il corpo caldo di Katie dal suo.
Questo, prima di prenderle velocemente il volto tra le mani e baciarla con disperazione, gioendo internamente quando sentì la ragazza rispondere al bacio con altrettanta forza.
Non avevano avuto il coraggio di farlo durante quello strano pomeriggio di qualche anno fa, quando potevano avere tutto il tempo del mondo, ma Oliver decise che non era il momento giusto di starci a rimuginare e cercò di godersi quegli ultimi attimi di vita.
Almeno non sarebbe morto con il rimpianto di non aver poggiato le sue labbra su quelle di Katie e questo, considerando tutto quello che stava succedendo, poteva essere considerata una grande vittoria personale.
Quando si staccò, tenne gli occhi chiusi e poggiò la fronte su quella della ragazza, cercando di stabilizzare il respiro; aveva ancora le mani sulle guance di Katie quindi sentì gli angoli della sua bocca piegarsi in un sorriso.
“Secondo te è sbagliato?” chiese lei sussurrando.
“Sbagliato?”.
“Molte persone sono morte. E probabilmente noi le seguiremo fra poco” disse.
Baston la guardò con un mezzo sorriso.
“Proprio per questo, credo che non ci sia niente di sbagliato” replicò, prima di baciarla nuovamente.
Anche questa volta lei rispose al bacio senza nessuna esitazione, abbracciandolo forte, quasi spingendolo contro il muro di pietra che stava alle sue spalle; Baston le passò le mani fra i capelli e seguì la linea del suo collo fino a fermarsi nel mezzo delle sue clavicole e poi da li, scendere ancora, fino a posare la mano destra sul cuore di Katie.
“Penso che mi stia per venire un infarto” mormorò lei staccandosi da Oliver, leggermente in imbarazzo.
Oliver sorrise.
“Almeno non la daresti vinta ai Mangiamorte” disse e Katie quasi ridacchiò.
“Uccisa da un bacio. Che cosa dolce e patetica,” Katie roteò gli occhi. “Angelina e Alicia mi scaricherebbero dietro una valanga di Bolidi”.
Anche Oliver riuscì a simulare una risatina e poi la abbracciò forte.
“Devo andare Katie” disse.
Lei non si mosse.
“Katie” la chiamò dolcemente Baston.
Quando lei alzò lo sguardo, Oliver ebbe seriamente paura di venire affatturato.
“E dove credi di andare? Ci siamo appena ritrovati e vuoi andare a fare l’eroe da qualche parte..”.
Oliver fece uno sbuffo e intrecciò le mani con le sue, stringendole forte, perché erano calde e rispondevano al suo tocco e questo significava che erano vivi anche se il buio pareva inghiottirli.
“Devo andare ad aiutare con i corpi,” disse in tono dolce “Poi torno, cosa credi?”.
Katie lo guardò dubbiosa.
“Fuori ci sono i Dissennatori,” disse improvvisamente. “Non andare nel parco, per favore”.
Oliver scosse la testa e le lasciò le mani.
“Non mi faranno diventare un miserabile resto” disse con un sorrisetto.
Katie lo guardò perplessa ma poi ricordò e ridacchiò, in maniera stanca.
“Anche perché tu saresti amabile, giusto?”.
“Esatto,” rispose. “Se la cosa può consolarti, non sei malaccio. Sei amabile anche tu”.
Katie roteò gli occhi, nel vecchio e tenero modo di fare che aveva quando lui la spazientiva.
“Saremo amabili resti insieme, allora” concluse e lui sorrise.
Provò uno strano e improvviso brivido di freddo senza il corpo della ragazza appiccicato al suo e mentalmente si diede dell’imbecille, del troll, del tonto perché sapeva di piacere a Katie durante gli anni della scuola e non aveva mai fatto nulla.
Aveva tentato di chiederle di uscire, una volta, ma Gazza li aveva interrotti bruscamente e lui non aveva più trovato il coraggio e adesso, adesso sembrava così semplice invece, così facile stare con lei, così normale accarezzarle le piccole lentiggini che aveva sul collo e diventare dipendente dal sapore della sua bocca.
Oliver chiuse gli occhi e si avviò verso il corridoio, prima che la forza di volontà gli venisse a meno e non riuscisse più ad andarsene da lei.
Raggiunse Neville nel corridoio principale e lo vide chino su un corpo: era Colin Canon e Baston sentì nuovamente il pranzo cercare di uscire dalla sua bocca. Era minorenne, dannazione. Cosa diavolo ci faceva li, in terra?
“Morto,” disse Neville con voce tremante. “Penso sia stata una maledizione senza perdono”.
Il corpo e il viso di Colin erano abbastanza puliti, quasi come se il ragazzo stesse semplicemente dormendo.
Oliver scosse la testa e guardò Neville caricarsi sulle spalle, con evidente fatica, il corpo di Colin.
“Sai cosa? Ce la faccio da solo, Neville” e con delicatezza prese quel piccolo ragazzino incosciente e coraggioso e lo mise sulle sue di spalle, avviandosi in Sala Grande.
Lo mise accanto al professor Lupin ed evitò di guardare gli altri corpi. Incrociò lo sguardo di Katie e sentì una stretta allo stomaco.
L’ora di tregua era quasi finita.

Ore 04:25 p.m.

“Harry Potter è morto! Lo capite adesso, illusi? Non è mai stato altro che un ragazzo che contava sul sacrificio degli altri!”


Baston sbattè gli occhi, incredulo. Non poteva essere. Harry morto. No, semplicemente non poteva..
Sentì Alicia e Katie trattenere uno strillo e automaticamente strinse la mano di Katie.
“Scusami” sussurrò.
Katie gli rivolse uno sguardo impaurito, confuso e stralunato.
“Cosa?” chiese.
“Ti avevo fatto una promessa,” rispose velocemente Baston “Ti avevo detto che avremmo avuto tempo per fare quello che volevi e adesso…”.
Katie fece un sorriso tremulo e gli strinse la mano più forte.
“Ma tu l’hai mantenuta, Oliver. Quello che più volevo fare, lo abbiamo fatto. Ci siamo baciati”.
Oliver non replicò, guardandola poi trattenere il fiato mentre Neville aveva evidentemente deciso di uccidersi prima del tempo scagliandosi contro Voldemort, che lo disarmò senza nessuna difficoltà.
“Mi unirò a te quando l’inferno gelerà,” urlò Neville e Oliver sentì improvvisamente qualcosa di infuocato strizzargli le viscere. “Esercito di Silente!”.
Era il momento; tutto l’orgoglio Grifondoro che era in lui emerse (insieme a una buona dose di incoscienza, paura ed esaltazione) e strinse nuovamente la mano di Katie, la quale gli restituì uno sguardo febbricitante ma splendente.
“In bocca al lupo, Katie”.


Ore 06:45 a.m.

Era un po’ strano, tutto sommato.
Sembrava quasi che fosse capitato ad un’altra persona, non certo a lui, di aver combattuto contro decine e decine di Mangiamorte, aver contribuito a salvare il mondo magico e essere li, adesso, seduto per terra sull’erba ancora bagnata di rugiada, vicino all’ingresso semidistrutto della scuola.
Oliver Baston si grattò il mento con aria distratta mentre il sole appena sorto lo illuminava dolcemente. Non pensava che lo avrebbe visto, il sole. Pensava che quella notte così buia si sarebbe protratta in eterno e lui sarebbe affogato in quel nero cupo e amaro che aveva avvolto tutti loro e aveva il suono di maledizioni senza perdono e di amici che adesso non respiravano più.
Fece rotolare la sua bacchetta di abete e crine di unicorno, tredici pollici e mezzo, da una mano all’altra osservandola pensieroso.
Avevano vinto.
Voldemort era morto, i Mangiamorte sarebbero stati imprigionati e Hogwarts sarebbe riemersa dalle ceneri; undicenni pieni di entusiasmo e aspettative-, come era stato lui, come erano stati tutti-, avrebbero preso il treno a King’s Cross quel 1 settembre e avrebbero avuto anni meravigliosi. Anni pieni di magia, di risate, incantesimi, tuffi nel Lago e tranquillità. Nessun Basilisco che pietrificava la gente, nessun Dissennatore pronto a banchettare con la tua anima. Nessun cadavere da tirarsi su in spalla, anche se era quello di un sedicenne che raggiungeva a fatica i cinquanta chili ma che era così peso, da morto.
Oliver era convinto che avrebbe sentito il peso e la pressione dei cadaveri che aveva trasportato sulle spalle per tutta la vita.
“Sei qui”.
Baston non si girò, ma sorrise lievemente mentre Katie si metteva a sedere accanto a lui, senza prestare attenzione alle chiazze scure che l’erba bagnata stava immediatamente cominciando a lasciare sui suoi pantaloni.
Stettero qualche secondo in silenzio, poi Katie sospirò.
“Sembra che ce l’abbiamo fatta”.
“Così pare” rispose Oliver, girandosi verso di lei.
Katie scosse la testa appoggiando il mento sulle ginocchia.
“E’ tutto così surreale. Mi sembra che sia successo a qualcun altro”.
“Già,” rispose lui. “Ho la stessa identica sensazione”.
Katie lo guardò di sottecchi, mentre lui faceva ancora rotolare la bacchetta da una mano all’altra, con aria pensierosa.
“Oliver, cosa c’è?” chiese ma rendendosi immediatamente conto dell’idiozia della domanda cercò di correggersi. “Cioè, voglio dire, so cosa c’è ma..”.
“Avery a un certo punto mi ha disarmato”.
Katie sgranò gli occhi.
“Cosa?” chiese con un filo di voce.
“Pensavo di morire, Katie. Ero veramente convinto che non ti avrei più rivisto” spiegò, con un leggero sorriso.
“Ma…” sussurrò Katie.
Oliver la guardò, mettendosi finalmente la bacchetta in tasca.
“Un’acromantula,” continuò. “Penso che a un certo punto non abbiano più fatto distinzione tra noi e i Mangiamorte, così una di loro è saltata addosso ad Avery e io ho avuto tempo di riprendere la bacchetta. Una botta di fortuna che non ti dico”.
“Altro che botta di fortuna,” replicò con voce tremante la ragazza. “E’ stato ancora meglio di un sorso di Felix”.
Baston sorrise e stettero un altro po’ in silenzio, beandosi di quella tranquillità che poche ore prima sembrava non dovesse più esistere. Quando il sole cominciò a rischiarare anche gli angoli di quel piccolo pezzo di giardino Oliver si alzò, porgendole la mano.
“Allora,” cominciò Katie mentre, una volta in piedi si levava fili d’erba dalle gambe. “Pare che adesso ne abbiamo”.
“Di cosa?” chiese Oliver momentaneamente disorientato.
“Di tempo, Oliver” rispose lei, roteando gli occhi, come se fosse una cosa ovvia.
Oliver Baston ridacchiò, sentendo la tensione delle ultime ore sciogliersi lentamente, proprio come la rugiada sulle foglie d’erba.
“Sembrerebbe di si” rispose mentre le metteva un braccio intorno alle spalle e si avviavano verso il castello.
Katie sospirò brevemente, mentre cercava di rallentare i battiti del suo cuore.
Fino a poche ore prima, sembrava che quel muscolo volesse esplodere dalla paura e dal terrore, mentre adesso era bello, era meraviglioso che battesse così forte per una cosa così sciocca come il braccio di Oliver Baston sulle spalle.
Certe cose, fortunatamente, non cambiano mai.
“Cosa fai domani?” chiese Oliver improvvisamente.
“Oh. Uhm.. Niente di che” rispose Katie, cercando di non sorridere troppo.
Mentre il cielo si faceva azzurro e sereno, Oliver si girò e le diede un piccolo bacio sul naso.
“In questo caso, c’è una Burrobirra che sono quattro anni che aspetta di essere bevuta..”.
 
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: kateausten