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Autore: La_Sakura    18/12/2014    9 recensioni
“Cosa sarebbe successo se…?” Quante volte, nella vita ci poniamo questa domanda. Tsubasa non l’ha mai fatto, ha sempre compiuto scelte consapevoli, è sempre stato convinto al 100% delle sue azioni. Fino al suo ritorno in Giappone per il World Youth. Uno sguardo, e tutto viene rimesso in discussione. Da lei.
“Le scelte che compiamo e le loro conseguenze tracciano la storia, disegnano la realtà così come la conosciamo. Costruiscono il mondo che ci circonda. Ma cosa sarebbe successo se una scelta fosse stata diversa?” Liberamente ispirata dalla fanfiction di Melanto “The Bug”, scritta col consenso dell’autrice.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12
 
Avevano passato il resto della giornata in ospedale, dove avevano fatto le lastre a Tsubasa. Il risultato era un paio di costole incrinate, il setto nasale rotto e il World Youth a rischio. Spiegarlo a Natsuko era stato semplice; Katagiri era stato un po’ meno comprensivo e già con Mikami si parlava di denunce. Ma Tsubasa si era rifiutato, non voleva denunciare Kanda, avrebbe messo in mezzo Sanae e la sua famiglia, e questa era l’ultima cosa che voleva.
La sera, dopo cena, i genitori di Sanae si presentarono a casa Ozora con un presente per il ragazzo, dichiarandosi dispiaciuti per l’accaduto: Natsuko aveva fatto gli onori di casa e li aveva fatti accomodare. Si erano voluti sincerare di persona delle condizioni del giovane perché Sanae, una volta rientrata dall’ospedale, si era chiusa in camera, così aveva raccontato la madre, e non ne era scesa nemmeno per la cena.
«Dev’essere sconvolta, povera cara… - il tono di Natsuko era sinceramente preoccupato - Anche il gesto di Tsubasa deve averla colta alla sprovvista.»
«Dovrebbe essere più sconvolta per ciò che ha fatto il suo ragazzo. - il padre di Sanae era davvero arrabbiato - Io non ho parole. Posso capire la rabbia ma… sembrava una furia.»
«Non l’abbiamo mai visto così…» sospirò la moglie, abbassando lo sguardo.
«Tsubasa si riprenderà, state tranquilli.»
«Ma potrà giocare…?»
«Non lo sappiamo. Ma confido in lui. Mio figlio è una forza della natura, quando si tratta di calcio.»
«E quando si tratta di Sanae.»
I tre si voltarono verso l’ingresso del salotto, dove Sakura li osservava, appoggiata allo stipite. Aveva gli occhi rossi e gonfi dal pianto.
«Come sta?» chiese Natsuko, facendole cenno di avvicinarsi a lei.
«Si è addormentato…»
«Noi vi salutiamo, togliamo il disturbo. Ozora-san, ancora, ci dispiace…»
La donna sorrise gentile e li accompagnò alla porta: quando se ne furono andati, vi si appoggiò e sospirò.
«Tsubasa, figlio mio… che hai combinato…»
 
Non aveva chiuso occhio tutta la notte, impegnata com’era a vegliare il sonno di Tsubasa. Così, quando si accorse che c’era qualcuno nella stanza, e che quel qualcuno stava russando, per poco non le venne un colpo.
«Tsu-chan… - lo chiamò, scuotendolo appena - Tsu-chan!»
«Mmmh, ancora cinque minuti…» e si voltò a pancia in giù. Sakura alzò un sopracciglio: dov’erano finiti i cerotti sul volto? E non gli facevano male le costole a stare a pancia in giù? Si sollevò appena sui gomiti per controllare sul comodino e vide che le medicazioni erano sparite.
«Ah, maledizione! Un nuovo fottutissimo universo
A quelle parole, Tsubasa spalancò gli occhi e si sollevò sui gomiti.
«Che hai detto?»
«Non vedi che stai bene? Non hai più nemmeno un graffio! E c’è qualcosa, o meglio, qualcuno che dovresti vedere…»
In quel momento, il piccolo Daichi Ozora si svegliò, si strofinò gli occhi e non appena mise a fuoco i due fratelli maggiori, sorrise apertamente e si fiondò sul loro letto per abbracciarli stretti.
«Siamo in vena di coccole stamattina, eh Daichi?» Tsubasa gli carezzò la testa con amore, felice di ritrovarlo lì: gli era mancato davvero tanto.
«Oggi c’è la conferenza e mi avete promesso di portarmi con voi!»
«Ah, sì? - rispose il giovane, ingenuamente, salvo poi rettificare una volta ricevuta una gomitata nello sterno dalla sorella - Ah, sì!»
«Coraggio, vai a fare colazione, noi ti raggiungiamo!» lo esortò Sakura, cercando di rimanere sola con Tsubasa per poter fare un punto della situazione. Lui si sedette sul letto e, alzando la maglietta, constatò che era realmente come se non fosse successo nulla.
«La trama si infittisce…» mormorò lei, sedendosi per terra.
«Vorrei andare da Sanae… - confessò lui, senza vergognarsi - Vorrei vedere come sta, come si son messe le cose con Kanda, cos’è cambiato… ho perso il conto del numero di universi, maledizione!»
Si alzò e con rabbia si diresse verso il bagno: Sakura osservò la porta chiusa per qualche istante, prima di scendere le scale per raggiungere madre e fratellino.
 
Tsubasa era nervoso, si vedeva dal modo in cui camminava. Sakura e Daichi lo seguivano a qualche passo di distanza, il piccolo Ozora aveva dato la mano alla sorella maggiore e si guardava intorno con aria serena. La giovane, dal canto suo, era dispiaciuta per il fratello maggiore, ma sapeva di poter fare ben poco. Era già un miracolo che fossero riusciti ad instaurare un’intesa così forte nonostante la situazione strampalata, in più lui si era ritrovato a fare dei conti con dei sentimenti nuovi verso una persona che conosceva appena.
Arrivati davanti all’albergo presso cui si sarebbe svolta la conferenza, Tsubasa si fermò di colpo: Sakura e Daichi non se ne accorsero, e la giovane sbatté contro di lui.
«Ahi, ma che…»
«Ciao…» sentì.
Si spostò verso destra per osservare meglio: Sanae era davanti a loro, proprio di fronte all’ingresso. Indossava un tailleur elegante che le lasciava scoperte le ginocchia, e una camicetta con lo scollo a V da cui si intravedeva la curva del seno. Tsubasa la fissava a bocca aperta, così Sakura parlò per lui, sogghignando del suo imbarazzo.
«Sanae! Caspita, stai benissimo! Che ci fai qui?»
«Mio padre, stamattina, mi ha ricordato della conferenza e mi ha lasciato a casa dal lavoro… non me la sarei persa per nulla al mondo.» le rispose, senza distogliere gli occhi da quelli del calciatore.
«Ottimo! Allora noi andiamo dentro a prenderci i posti migliori, ti aspettiamo lì!» e, facendo un occhiolino complice al fratello, si trascinò dietro un recalcitrante Daichi e sparì nella hall dell’albergo.
«Vedo che… stai bene. E che Daichi è tornato.» gli sorrise Sanae. Tsubasa si avvicinò e si fermò a un passo da lei.
«Siamo passati a un nuovo universo, a quanto pare. Tu stai bene?»
«Sì, anche se…» abbassò lo sguardo a terra.
«Kanda?»
«Mi spiace per quello che ti ha fatto, vorrei poter giustificare il tutto con un “non era il mio Koshi”, ma… so benissimo di che pasta è fatto, e… pensavo, sì insomma… che potesse essere quello giusto per me, ma…»
Tsubasa la interruppe posandole le mani sulle spalle, inducendola così ad alzare lo sguardo verso di lui.
«Non è colpa tua, e a tutto c’è rimedio, come vedi. Io sto bene.»
Le sorrise cercando di infonderle calore e sicurezza, al che la giovane annuì e gli sorrise a sua volta.
«Andiamo a vedere che ci riserva questo universo
Entrarono nella raffinata hall e notarono subito che c’era qualcosa che non andava: tutti gli sguardi si puntarono su di loro, quasi come se fossero stupiti di vederli insieme.
«Che c’è stavolta.» sbuffò il capitano del San Paolo, contrariato.
«Ne so quanto te… però… forse essendo molto vicini al nostro universo base, il fatto di vederci arrivare insieme li ha un po’ stupiti.»
«Ah, eccoti. - Ishizaki si avvicinò al ragazzo e lo prese sottobraccio, trascinandolo via - Lo sai che se ti becca il suo ragazzo…» gli sussurrò poi, quando furono abbastanza lontani da Sanae.
«Ci siamo incontrati qui di fronte.» rispose lui, secco, e anche infastidito da questo continuo nominare quello che era definitivamente diventato il suo rivale in amore.
«Lo so ma… lo sai com’è lui, no? Pensavo che Taro ti avesse prevenuto.»
«Sì, certo. A proposito, non lo vedo, dov’è?»
«Si sarà attardato. - gli rispose il difensore e, con uno sguardo ammiccante, gli diede un paio di gomitate sul braccio - Capisci che intendo, no?»
«No.» rispose quello, abbastanza confuso. Sua sorella era lì, quindi impossibile che… a meno che…
«Ieri è arrivata la sua “amica” - e sottolineò il concetto mimando le virgolette con le dita - Azumi dalla Francia, e credo che avessero molto di cui parlare…»
Sentendo quelle parole, Tsubasa ebbe l’impulso di andare a prevenire sua sorella, ma non fece in tempo perché proprio in quel momento l’Artista del Campo fece il suo ingresso accompagnato da una biondina. Si voltò subito verso Sakura e la vide fissare la coppia con stupore, salvo poi dedicarsi di nuovo al fratellino che scalpitava sulla sedia.
Fece per dirigersi verso di lei ma Katagiri lo intercettò e chiamò a raccolta tutti i ragazzi della Nazionale per dare il via alla conferenza stampa.
 
«Ma perché vuoi farmi andare in caffetteria anche oggi che ho il giorno libero, Ishizaki!» sbottò Sanae, alzando gli occhi al cielo.
«Perché adoro i dolcetti che sfornate te e tuo padre! - rispose lui, avvicinandosi a lei con aria sorniona - Per non parlare dei tuoi milk shake, o dei frullati di frutta, o…»
«Ok, ok, ho capito, maledetto d’un Ishizaki. Sei goloso da far schifo. - lo schernì lei, ben contenta però di ricevere tanta approvazione - Non sperare però che ti offra nemmeno una briciola, tirchio che non sei altro!»
«Ma come! Io sono un giocatore della Nazionale giovanile giapponese! Dovresti essere onorata di avermi nella tua caffetteria!»
«Sei un approfittatore, Ryo…» lo ammonì bonariamente Taro, posandogli una mano sulla spalla.
«Beh, intanto siete tutti ben felici di venire a mangiare le leccornie dei Nakazawa.» si difese lui, incrociando le braccia e mettendo il broncio.
Tsubasa approfittò del momento per avvicinarsi alla sorella, che si stava ancora occupando di un Daichi ben felice di potersi sbafare la sua adorata ciambella al cioccolato.
«Tutto bene?»
Lei annuì, mantenendo lo sguardo basso.
«Sono solo un po’ stanca per la notte in bianco e… un po’ scossa ancora per questi continuo cambi di Universo… - alzò lo sguardo e Tsubasa notò che aveva gli occhi lucidi - Rivorrei la mia stabilità… giuro che non mi lamenterò più della monotonia della mia Nankatsu!»
Tsubasa scoppiò a ridere, sinceramente divertito dal commento della ragazza, che non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Sanae! - Sakura la chiamò a gran voce - Ci sono le ciambelle al cioccolato, vero? Altrimenti io e Daichi non veniamo!» le disse, sorridendole felice. La ragazza ricambiò il sorriso e si avvicinò, prendendo in braccio il piccolo Ozora.
«Per te ci sono e ci saranno sempre, piccola peste.»
Tsubasa adorò il modo in cui Sanae coccolò Daichi, facendogli anche un po’ di solletico per farlo ridere: in realtà, adorava Sanae, sotto ogni aspetto, e più passava il tempo, più capiva di essere destinato a lei. Non si sarebbe fatto fermare da Kanda, non gliene importava niente di lui: voleva solo stare con lei, abbracciarla, baciarla, amarla. Tutto il resto non contava. Si avvicinò e le carezzò una guancia, sorridendo a Daichi che allungò le braccia per farsi prendere da lui.
«Ozora! - una voce tuonò - Stai lontano dalla mia ragazza!»
Tutti si voltarono verso l’altro lato della strada in cui Kanda, gambe divaricate e pugno alzato, fissava con astio l’appena nominato capitano della Nazionale giovanile.
Tsubasa fece scendere Daichi e lo spostò leggermente dietro di sé a mo’ di protezione, facendo lo stesso con Sakura e Sanae, mentre il boxeur attraversava la carreggiata di corsa: quando furono l’uno di fronte all’altro, il boxeur fece per parlare ma Sanae lo fermò, alzando la mano verso di lui e intimandogli il silenzio. Il gelo calò sul gruppetto.
«Sono stufa, Koshi. Sono davvero stufa di questo tuo atteggiamento rissoso e cafone. Mi hai stancata con i tuoi ripetuti attacchi, non fai altro che prendertela con Tsubasa ogni volta che mi si avvicina! - un punto interrogativo comparve sul volto del suo ragazzo ma lei non ci fece caso, solo Tsubasa ridacchiò sotto i baffi perché aveva capito che lo sfogo di Sanae era dovuto all’alternarsi degli universi in cui Kanda non aveva fatto altro che aggredirlo - Non ce la faccio più, basta. È finita.»
La sensazione che pervase tutti fu come di una gabbia di vetro che si rompe e lascia uscire il contenuto: tutti erano attoniti, mai avrebbero pensato che Sanae compisse una scelta del genere, per giunta comunicandola davanti ad altra gente.
Kanda si riscosse e balbettò.
«Tu… mi… stai… lasciando?»
«Proprio così. È finita. Non posso stare con una persona che mi tratta come un oggetto, e tu nell’ultimo periodo non hai fatto altro che esibirmi come uno dei tuoi stupidi trofei. Sono stanca, non ne posso più, basta, vattene via.»
Si voltò per dargli le spalle: nessuno fiatò, tantomeno Tsubasa, che però continuò a scrutare il volto del suo rivale per sincerarsi delle sue intenzioni. Non gli piaceva e non gli sarebbe mai piaciuto.
«Tu. Non. Puoi. Lasciarmi - scandì, e avvicinandosi di un passo, le afferrò il braccio - È chiaro? Non ne hai nessun diritto!»
«Ahia! Mi fai male!»
Tsubasa non ci vide più: si avventò su Kanda e gli sferrò un destro in pieno volto, quindi prese Sanae per mano e iniziò a correre. Quando il boxeur si riprese, imprecò contro il calciatore e iniziò a rincorrerli: Sakura volle seguirli ma Taro, prontamente, la fermò, e le indicò un Daichi preoccupato e sul punto di piangere. L’istinto prevalse e, chinandosi verso di lui, gli carezzò la testa.
 
Aveva il cuore che batteva a mille mentre, nascosto dietro quella colonna, pregava con tutto sé stesso che Kanda non li scoprisse. Aveva chiaramente perso la testa, e loro erano in pericolo. Sanae era aggrappata a lui, gli occhi pieni di lacrime e paura, si mordeva il labbro inferiore per cercare di calmarsi. Lui le accarezzò la testa e cercò di rassicurarla col sorriso.
Con la coda dell’occhio vide Kanda uscire dall’edificio, poi sentì il rumore della sua moto che si allontanava e finalmente si rilassò, esalando un respiro.
«Credi che tornerà?» sussurrò lei, riacquistando un po’ di lucidità.
«Non lo so… ma penso sia meglio rimanere nascosti, almeno per stanotte. - notò un angolo seminascosto da dei cartoni e ci si diresse - Meglio che niente.» le sorrise, indicandoglielo.
«Vuoi che io dorma… lì??» esclamò lei inorridita.
«Hai un’idea migliore?»
Sanae ripensò allo sguardo infuocato di Kanda, al suo rincorrerli senza fermarsi, al cercarli per tutta Nankatsu a bordo della sua moto; scosse la testa in senso di diniego. Lui scostò i cartoni, controllò che fosse tutto relativamente in ordine e la fece accomodare.
Si sedettero l’uno accanto all’altra, e il silenzio scese su di loro: Tsubasa accese la torcia a dinamo che aveva rimediato e la mise al centro di quella capanna improvvisata.
«Hai freddo?» le chiese, notando che si era abbracciata le ginocchia.
«No… - mormorò - Pensavo a tutta questa situazione… come ci siamo finiti?»
«Non lo so… non ne ho idea, Sanae…»
«Che poi mi chiedo… perché tu ed io? Che cosa abbiamo in comune? Insomma…»
«Beh, tu avevi una bella cotta per me, alle elementari.»
Lei avvampò, non si aspettava una frase così diretta.
«Beh, che c’entra. Se è per questo tu non disdegnavi le mie attenzioni. - Tsubasa scoppiò a ridere - Non è divertente, sai?»
«Avrei dovuto capirlo subito che avresti giocato un ruolo importante nella mia vita. Quando ti sei presentata con quel bandierone cucito a mano…»
Lei avvampò, se lo ricordava? Beh, effettivamente sarebbe stato difficile dimenticarsi del caos che generava sugli spalti.
«Eri… diverso dagli altri. Avevi una luce negli occhi quando giocavi a calcio che brillava come una stella. Eri… felice, rendevi felici gli altri, non so… mi avevi colpito.»
Lui sentì le gote riscaldarsi, nessuno gli aveva mai parlato in questi termini: sapeva che il calcio era tutta la sua vita ma non credeva di essere riuscito a trasmettere le sue emozioni anche all’esterno, ai tifosi… ora che ci pensava, che si soffermava a ricordare i suoi primi mesi in Brasile, doveva ammettere che a volte lo sguardo gli cadeva sugli spalti e si immaginava di vederla fare il tifo per lui. Però, col tempo, il ricordo si era affievolito, causa anche dei suoi sporadici viaggi in Giappone, e quella lieve malinconia verso gli amici appena sconosciuti era stata scalzata dalla gioia di aver raggiunto traguardi importanti in ambito calcistico.
«Se non avessi insistito per partire… se fossi rimasto in Giappone… sarebbe stato tutto diverso…» osservò lui, abbassando lo sguardo, e per la prima volta Sanae capì che quel suo gesto di tanti anni fa non era stato un capriccio di un bambino, bensì la volontà di inseguire un sogno, pagato però a caro prezzo. Si era allontanato dalla famiglia e dagli amici, non aveva visto nascere e crescere suo fratello, non aveva vissuto tappe importanti dell’adolescenza concentrato com’era su quell’obiettivo che si era prefissato, inculcatogli anche da Roberto. Istintivamente gli posò una mano sulla spalla e gli sorrise.
«Ci vuole fegato per fare quello che hai fatto tu, Tsubasa. Non è da tutti. Ed è ammirevole l’impegno che ci hai messo e che ci metti tuttora per raggiungere il tuo obiettivo. Almeno tu ne hai uno da perseguire.»
«Tutti nella vita ne abbiamo uno.»
Un sorriso amaro nacque sulle labbra della giovane.
«Non tutti… - rimase in silenzio qualche istante, abbassando lo sguardo - Io non so ancora cosa voglio fare “da grande”. - e mimò il gesto delle virgolette - Ho passato gli ultimi tre anni a pensare solo a Kanda, e alla scuola, e adesso… - continuò, appoggiando il mento alle ginocchia - Adesso non so proprio che fare.»
«Cos’è che ti piace fare? Che ti riesce bene?»
Sanae si soffermò a rifletterci.
«A me piace tanto stare in cucina, in caffetteria. A volte, quando papà prepara delle ricette nuove, sto lì ad aiutarlo, e insieme sperimentiamo. Mi sento…»
«Viva?»
«Esatto! - esclamò lei, sollevando lo sguardo verso di lui e sorridendo felice - Non è tanto impastare, o mischiare gli ingredienti, è più il dare il tocco finale alle cose, questa o quella decorazione, la pasta di zucchero piuttosto che la crema al burro…»
«È la tua strada, ti brillano gli occhi quando ne parli.» le sorrise di rimando.
«Dici?»
«Dico…»
Si fissarono. Occhi negli occhi. Nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo dall’altro. Illuminati dalla fioce luce della lampadina, i loro cuori iniziarono a battere all’unisono: quale emozione, quale sentimento li stava smuovendo in quel momento?
Tsubasa alzò una mano e la poggiò sulla guancia di lei, che socchiuse gli occhi solo per un attimo, beandosi di quel contatto. Li riaprì subito e lo fissò ancora, quasi come a incoraggiarlo. Lui si avvicinò lentamente, forse temendo un rifiuto, ma quando le sue labbra si posarono su quelle di lei, fu come un’esplosione di colori, tutto sembrava perfetto, come se fosse così che doveva andare.
Si avvicinò ulteriormente a lei e il suo corpo entrò in contatto con quello esile della ragazza: la attirò a sé e quando sentì la mano di lei sui pettorali fu come se una scarica elettrica lo percorresse. Approfondì il bacio e lei non si oppose, anzi, lo ricambiò, rendendolo più intimo.
Nella mente di Sanae vorticavano mille pensieri, non riusciva a spiegarsi l’attrazione per quel ragazzo, il suo sentirsi così inerme di fronte a lui e comunque attratta. La sua cotta pre-adolescenziale aveva covato sotto le ceneri per anni e adesso aveva divampato come un fuoco che brucia un covone di fieno.
Lo voleva, lo desiderava, in quei giorni passati a stretto contatto con lui si era accorta di quanto fosse gentile, premuroso e con la testa sulle spalle. Non era un pallone gonfiato, non si era montato la testa con la fama e la notorietà acquisita in Brasile. Era sempre lo stesso ragazzino che, correndo per Nankatsu palla al piede, aveva fatto breccia nel suo cuore.
E lo desiderava come mai aveva desiderato qualcuno nella sua vita. Nemmeno Koshi era riuscito a farle provare quel brivido necessario ad approfondire il loro rapporto. Tsubasa sì. In men che non si dica aveva acceso la sua passione. E lo voleva.
Si aggrappò a lui e lo baciò con più insistenza, con veemenza quasi, affondando le mani in quei capelli scuri ingellati in quel modo che tanto lo caratterizzava: lui la sollevò appena e la fece sedere sopra le proprie gambe.
Ardito, Tsubasa fece scivolare le mani sotto alla camicetta, indugiando appena come se temesse una reazione negativa che però non arrivò: continuò allora a baciarla accarezzandole la schiena, e stringendola a sé, quasi avesse paura che le scappasse.
Sanae si fermò un attimo per riprendere fiato e lo abbracciò forte, carezzandogli la testa: il cuore le batteva all’impazzata, era Amore? Non lo sapeva, ma di una cosa era certa: se non era riuscita a lasciarsi andare con Kanda era perché non lo amava. O, per lo meno, non come amava Tsubasa.
«Sanae…» mormorò lui, baciandole una spalla.
Lei si sollevò appena per tornare a fissarlo negli occhi, sorridente e felice.
«Non lo so. - disse lei, come rispondendo a una tacita domanda di lui - Non lo so cosa sia successo, non lo so da dove arrivi tutto questo… - fece aderire la propria fronte a quella di Tsubasa e chiuse gli occhi - Ma so che non sono mai stata più felice in vita mia.»
Di slancio, la baciò nuovamente. Ma stavolta era un bacio dolce, delicato, pieno d’amore.
La fece sdraiare sotto di sé e continuò a baciarla dolcemente: lei insinuò le mani sotto la sua maglietta e la sfilò, appallottolandola e gettandola alla rinfusa. Quando entrambi furono nudi, Tsubasa tentennò, temendo di correre troppo, di esagerare, in fondo non si conoscevano, avevano solo 19 anni, cosa stavano facendo? Ma gli bastò guardarla negli occhi per capire, capire che sì, era lei, era quella giusta. E che c’era un motivo se, prima di allora, non si era mai innamorato di nessun’altra.
 
Sono emozionata e agitata allo stesso tempo. Perché con questo capitolo raggiungo il climax della narrazione e vederli così mi commuove *_*
Spero di generare in voi le stesse emozioni che sono nate in me nel rileggerlo per ripubblicarlo.
Vi ringrazio ancora, e ancora, e ancora per seguirmi, lo so, sono pessima e non riesco a rispondere alle vostre recensioni ma sappiate che vi porto nel cuore
Un bacio
Sakura 
   
 
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