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Autore: Son Kla    09/11/2008    1 recensioni
Siamo nel periodo del cell game. come se il passato non fosse già abbastanza cambiato dalla storia che conosceva trunks, qualcun'altro arriverà a sconvolgere l'epoca che il ragazzo cerca di salvare. Il rating lo tengo alto perchè potrebbero esserci scene un po più forti più avanti.
Genere: Romantico, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Trunks
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Impensabile ma vero, il primo giorno in quello strano posto Mirai e Trunks lo passarono nel più totale silenzio

Rieccomi con un nuovo capitolo… spero di non andare troppo lenta con la narrazione… effettivamente siamo a venti capitoli e ancora sono passati sì e no due giorni o tre… Magari, fatemi sapere se secondo voi l’andatura narrativa è troppo lenta. È che io tendo ad essere troppo descrittiva!

Nel frattempo, ringrazio Sabri che mi segue sempre (speriamo che Mirai se la cavi nella stanza speciale, dai!) e una new entry, Cri92! Grazie per avermi lasciato un commento, e sono contenta che la storia ti abbia incuriosito! Solo non capisco… sei riuscita a leggerti tutti e diciannove i capitoli? Che pazienza, lasciatelo dire!

Bene, adesso passo al nuovo capitolo. La narrazione è volutamente alternata… pensavo ci stesse bene in un momento del genere. Il capitolo è corto, in quanto questo passaggio della storia, a mio avviso, meritava una parte a sé stante.

Alla prossima! Un bacio, Kla.

 

Cap.20 – Il Figlio di Vegeta

Impensabile ma vero, il primo giorno in quello strano posto Mirai e Trunks lo passarono nel più totale silenzio. E per silenzio, non va intesa qualche parola sporadica e sterile, ma la definizione di silenzio nel suo significato più originale.

Mentre Trunks ancora finiva di chiudersi la porta alle spalle, lei si era avventurata in quello spazio impervio e sconosciuto come se stesse entrando in casa propria. Quando arrivò alla stanza da letto, e vide i due grandi letti a baldacchino, senza la minima esitazione si sdraiò pancia in giù su quello che prima riuscì a raggiungere, sprofondando il viso nel guanciale, come se non stesse aspettando altro.

Trunks non la seguì, un po’ inconsciamente, un po’ dovendo reprimere l’istinto. Vinse la scelta di abbandonarla a se stessa, anche perché l’unico motivo che lo spingeva a non lasciarla sola era la paura che si addentrasse nel bianco sconfinato che regnava fuori da quelle poche stanze arredate, e che si perdesse. Ma realizzò subito che se Mirai avesse anche solo provato a mettere un piede sugli scalini che davano verso il bianco nulla, sarebbe stata bloccata dalla super gravità, nonché dalla carenza di ossigeno e dalle condizioni impervie e limitative per un comune essere umano. Pensando questo, si rese conto di non essere pienamente sicuro che lei fosse un essere umano. Era questo dubbio il motivo che lo tratteneva dal curarsi di lei. Comunque, giustificò presto il suo istinto agitato, riflettendo sul fatto che se non fosse stata una terrestre indifesa se la sarebbe cavata benissimo.

Qualsiasi fosse la verità, perciò, non si trovava in pericolo, e non aveva bisogno di lui.

Così prese la direzione opposta a quella di lei, e andò in cucina a controllare le condizioni della dispensa.

Il resto della giornata non si incrociarono mai: Mirai non si mosse nemmeno una volta dal letto, e c’è da credere che a un certo punto si sia addormentata, sfinita dallo stress e probabilmente dal pianto che avrà soffocato nel guanciale tutto il tempo.

Trunks, dopo aver controllato che nelle varie stanze fosse tutto ok, si era messo ad allenarsi, e sprofondato nei suoi pensieri continuò a combattere il niente per tutta la notte, in quel bianco infinito e accecante.

 

 

- Sei un Cyborg? – mi chiese Trunks, cogliendomi di sorpresa alle spalle. Lo sapevo che non dovevo uscire dalla camera, ma la fame si era fatta insopportabile. E poi avevo sete. Forse avevo pianto troppo.

Tenni l’espressione forzatamente seria, quando mi voltai cercando il suo sguardo. Né pianto, che era stato dominante quasi tutta la notte, né tristezza, né sorrisi pietosi. Mi sentivo colpevole, macchiata di un’onta che non conoscevo, e la sensazione di averlo ingannato era terribile e fortissima.

Non poteva durare per sempre, quella gioia, lo sapevo. Ma nemmeno così poco.

Ripensai alla sua gentilezza, alla sua disponibilità.

Alla sua promessa.

 

- Io non ti chiederò mai niente-

 

Eravamo nella grande sala della casa di Genio, e lui mi aveva portato via dalla curiosità di tutti gli altri, che tanto mi feriva e mi stordiva.

 

- Sei un Cyborg? –

 

Eravamo in una cucina di una stanza strana e sconosciuta, e lui mi mostrava tutta la sua curiosità, che tanto mi feriva e mi stordiva.

 

I suoi occhi non erano più il riflesso di un oceano tropicale caldo e cullante. Il celeste, guardato in quel momento, mi ricordò solo il ghiaccio, il mare freddo del nord.

Anche se l’avessi saputo, non glielo avrei detto.

 

 

 

- E se lo fossi, tu… dovresti uccidermi? – mi chiese, in risposta, con voce stanca, ma neutra. Si sentiva che non parlava da molto, e il suo tono era spezzato da tracce inequivocabili di un brutto sonno e un pianto prolungato.

La sua risposta mi pietrificò, e per lunghi minuti mi trovai a tacere.

La sua risposta mi mise in discussione.

Da quando eravamo entrati lì dentro, da quando mi ero chiuso la porta alle spalle ed avevo avuto un minuto intero di silenzio per riflettere, quella era la prima domanda che mi era balenata per la testa. Dopodiché, non ero più riuscito a smettere di pensarci.

Qualsiasi fossero gli indizi, i pochi momenti vissuti insieme, qualsiasi cosa io conoscessi di lei, sebbene poco, era stato tutto cancellato da quella domanda. Se tornavo col pensiero al suo sorriso riconoscente, lo vedevo come menzogna e inganno. Riuscivo a sentire nella testa i suoi pensieri, dietro a quel sorriso. Qualcosa del tipo “sembra che ci stia cascando”, o altre variazioni sul tema.

 

- E se lo fossi, tu… dovresti uccidermi? –

 

Ora questa domanda aveva preso il posto della mia. Ed era questa domanda a mettere in discussione tutti i miei pensieri.

Era questa domanda la nuova prospettiva dalla quale vedevo tutto il resto.

 

- No –

 

Avrei voluto sentirmi rispondere. Non mi importava di avere spiegazioni, non le volevo. Anche fosse stata una bugia, io avevo bisogno che lei, guardandomi negli occhi, mi dicesse No.

Lei aveva salvato mio padre. Io le avrei creduto.

Ma questo, lei, probabilmente non lo sapeva. Lei, a ragione, sicuramente aveva la certezza che non le avrei creduto.

 

Eppure…

 

- Sì –

 

… se mi avesse risposto un , io cosa avrei mai potuto fare? Avrei dovuto ucciderla, eliminarla, o quantomeno combatterla. Avrei dovuto uscire in fretta, dicendolo al signor Goku, a mio padre, a tutti gli altri.

La delusione di mia madre incisa distintamente nel suo sguardo. Il disprezzo negli occhi di chi l’aveva accolta e ospitata con tanta cortesia.

Questo, lei, lo sapeva sicuramente. Lei, a ragione, sicuramente aveva la certezza che questa fosse l’unica risposta alla quale avrei creduto.

 

Invece, lei non mi aveva risposto. Non aveva detto il No che l’avrebbe salvata, non mi aveva detto il Sì che l’avrebbe condannata.

Era passata oltre la risposta, andando direttamente allo stadio successivo.

 

La mia domanda, quella terribile ossessione che mia aveva posseduto, era solo una nuvola di fumo. Non aveva senso, come un vicolo senza sfondo.

 

 - E se lo fossi, tu… dovresti uccidermi? –

 

Così lei aveva portato i miei occhi sul muro alto che chiudeva quel vicolo.

 

 

Trunks chinò il capo, arreso. Strinse i pugni, in un chiaro segno di ira con sé stesso.

- Devi perdonarmi – sospirò con voce debole – Sono molto più solo di te – aggiunse prima di fare un passo in avanti. Pareva esserci una precisa intenzione che aveva mosso quel gesto. Ma il ragazzo si fermò.

- Dimmi quello che devo fare. Io lo farò – dichiarò lei trattenendo le emozioni. Come se le sue parole non avessero la minima importanza; come se non avesse altro modo di porsi con lui, se non mettersi a sua completa disposizione.

Era il prezzo per la gentilezza e la fiducia che aveva ricevuto.

- Dimmi di no – rispose Trunks senza alzare gli occhi – Dimmi che non sei un cyborg. Io ti crederò-

- Non lo so – parve insistere lei, deludendolo. Lui si era spogliato di ogni difesa, le aveva servito la propria fiducia su un piatto d’argento. Voleva crederle, anche contro ad ogni razionalità.

Voleva crederle.

Con quella risposta, lei sembrava non volerglielo permettere. Forse, Mirai lo capì.

- Non so cosa sia un cyborg – sospirò, poi riprese un pensiero ad alta voce – Ma se comunque io avessi a che fare con quel mostro, se sono un essere umano invece che un cyborg è un po’ meno grave? - 

 

Questa domanda, improvvisa e semplice, arrivò alle orecchie del giovane saiyan.

In tutta la sua durezza lo colpì come non era mai stato colpito.

Lui.

Che era erede di una stirpe aliena, guerriera, e sanguinaria di invasori.

Lui.

Che aveva combattuto per tutta la vita i nemici dell’umanità fin quasi alla morte.

 

Questa domanda, improvvisa e semplice, era arrivata a lui.

 

Il figlio di Vegeta.

  
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