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Autore: La Nuit du Chasseur    19/12/2014    3 recensioni
"... Dici che potremmo concederci il lusso di sentirci, e di tanto in tanto di vederci anche? Senza promesse, senza dare un nome a questa cosa, solamente non perdersi di vista, non dimenticarci l’uno dell’altra. Dici che possiamo?”.
“Dico che possiamo, bambina” le disse sulla bocca.
Genere: Erotico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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What if I wanted to break

 
What if I wanted to break…”, Jared fermò le dita e sospirò rumorosamente, chiudendo gli occhi. Non aveva mai avuto un’ottima memoria, ma quei giorni era davvero sotto terra.
Li aprì di nuovo e tentò ancora, ma l’unica cosa che riuscì a visualizzare fu Miriam che abbandonava la sua stanza. Ancora, e ancora. Erano ormai settimane che andava avanti così, e il nervosismo, unito all’acuirsi dell’insonnia, lo stavano stremando.
Decise di fare una pausa, ripose la chitarra sul suo sostegno e si alzò, andando verso la vetrata: l’aria a Los Angeles era strana, quel giorno. C’era un sole che spaccava le pietre, e il caldo era il solito caldo agostino, tuttavia Jared guardando il cielo notò delle nuvole minacciose. O semplicemente, si disse, era lui a volerle considerare tali.
Prese il cellulare e avviò una chiamata. Dopo qualche squillo la voce che si aspettava di sentire gli scaldò il cuore: “Ehi, da che guaio devo salvarti stavolta?”
“Ciao, sei impegnata?”
“Non proprio, stavo passeggiando un pochino”
“Ti andrebbe di…” accennò, non riuscendo a finire. Poi si impose di continuare: “… di parlare un po’, ecco”
“C’è qualcosa che non va?”
“Vedila così, se anche solo una cosa decidesse di girare per il verso giusto, sarei un uomo fortunato”
“Drammatico” scherzò lei, prima di ridere leggermente. “Dai, ti raggiungo al Lab”
“No, no vengo io” si affrettò a dire Jared. “Fra quindici minuti sono da te” disse al volo, prima di chiudere la chiamata.
“Ma, Jared…” cercò di intervenire lei, ma dall’altro capo del telefono sentì provenire solo un rumore sordo. Aveva appeso.
Sbuffò piano, toccandosi il pancione e poi assorta disse: “Se prendi da tuo zio, ti strozzo. Piuttosto tuo padre, guarda…” e piano si incamminò verso casa.


Tomo entrò al MarsLab, infuriato e in preda ad una crisi isterica. Cosa diavolo gli era saltato in mente? Niente sarebbe potuto tornare come ai vecchi tempi, niente e lui si era solamente illuso. Scalciò violentemente l’aria, colpendo per sbaglio il tavolino, che si ribaltò andando in frantumi: “Cazzo!” imprecò subito dopo, rimanendo a fissare i piccoli frammenti di vetro sparsi ovunque.
Sentì la rabbia scemare e al suo posto subentrare solo la delusione, una grande, immensa, enorme delusione. In quel momento, mentre si apprestava a chinarsi per rimediare al danno fatto, sentì il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni: Vicki lo stava chiamando. Con riluttanza decise di rispondere, ma il suo tono non faceva presagire niente di buono.
“Ehi, che c’è?”
“C… ciao, per caso chiamo in un momento sbagliato?”
“No, no, dimmi pure”
“Niente, volevo sapere se questa sera hai da fare. Potevamo andare a mangiare qualcosa insieme, che ne dici?” propose lei, allegra. In realtà si sentiva ancora sconvolta dall’incontro di poco prima, era stata dura, ma stava pagando quella sua tenacia a caro prezzo, ed ora l’unica cosa che avrebbe voluto fare era farsi proteggere da Tomo, come lei aveva cercato di fare con lui. La sua voce era disinvolta, ma il suo cuore era in tumulto, e dovette faticare moltissimo per far si che la sua voce non si incrinasse.
“Vicki, io…” iniziò lui. A che gioco stava giocando? “Non posso, scusami”
“D’accordo, non è un problema. Domani?” tentò di nuovo Vicki, dominando la delusione.
“Non credo, no, neanche domani” rispose sicuro lui.
“Va bene” rispose lei, iniziando ad essere scettica. “Mi chiami tu?” chiese poi, guardinga.
“Si, ecco, ti chiamo io” rispose Tomo, con tutta l’aria di una persona che voleva assolutamente chiudere quella conversazione. Non appena si ritrovò solo, abbassò lo sguardo e sorrise amaramente: l’illusione era durata meno di un paio di mesi. Fantastico.
“Non abbiamo pagato la donna delle pulizie questo mese?” chiese Shannon, entrando dalla porta finestra e notando Tomo chinato per terra a fare qualcosa che somigliava pericolosamente al… pulire.
“No, no. E’ solo successo un piccolo incidente” rispose Tomo, senza neanche voltarsi.
Shannon fece un paio di passi e sbirciò oltre le spalle dell’amico, prima di vedere il tavolino ribaltato e il vetro andato in frantumi. “Tomo?! Piccolo incidente?”
“Si, esattamente, non vedi?” rispose Tomo, alzando di poco la voce.
“Quel tavolino non si muoverebbe neanche con un uragano! Ti ricordi quando…”
“Shannon, l’ho preso a calci, ok? Contento?” disse spazientito, alzandosi di scatto e guardandolo con le braccia aperte.
“Amico, tutto bene?”
“No, non va tutto bene” fu la sua ultima risposta, prima di imprecare e andarsene dal salotto. Shannon rimase fermo, immobile a chiedersi come mai Tomo fosse passato dalla serenità ritrovata alla rabbia in meno di tre giorni. Poi sospirò e pensò che fosse bene sistemare quel caos, prima che Jared lo trovasse lì, perché in quel caso sarebbero davvero sorti dei guai.
Era lì, chinato che sistemava i danni altrui, quando entrò Shayla, di corsa.
“Ah, ciao, sei qui?”
“A quanto pare si, ciao”
“Ma… cosa fai, Shan?”
“Sistemo… niente, un piccolo incidente” mentì, sfoderando la stessa scusa che aveva tirato fuori Tomo con lui meno di dieci minuti prima.
“Vuoi una mano?”
“No, tranquilla”
“Bene, Jared?”
“Non saprei. Vedi se è in sala”
“Non c’è, già controllato”
“Ah… e allora chiamalo”
“Cellulare spento, già provato”
“Mmm… tentato la connessione mentale?” scherzò Shannon.
“No, anche perché connettermi con la mente di tuo fratello è l’ultima delle mie volontà”
“Si, credo di capire. Ti serviva qualcosa?”
“In verità si. Ci sono dei problemi con il tour autunnale ed io non so più dove sbattere la testa. Tuo fratello mi ha lasciato in balia degli eventi”
“Capisco. Dammi qua” le disse alzandosi in piedi e porgendole la mano affinchè lei gli consegnasse il plico che stringeva fra le dita.
“Shan, ma tu…”
“Io?” chiese scettico, guardandola meglio. La vide arrossire e distogliere lo sguardo e sorrise impercettibilmente: sapeva che Shayla aveva un debole per lui, l’aveva sempre saputo e per quanto lo lusingasse, sinceramente ora che stava per diventare padre, gli interessava molto poco. Tra l’altro aveva problemi su tutti i fronti, quindi ecco, l’ipotesi di mettersi a flirtare, seppur per gioco, non era minimamente contemplata. Eppure accadde. 
“Non offenderti, ma tu… non ti occupi mai di queste cose. E’ burocrazia, firme da mettere, policy da leggere, scadenze da osservare. Di solito è Jared la mente”
“Tu lo vedi in giro?” chiese lui, diplomaticamente.
“No, effettivamente no” ammise la ragazza, abbassando il tono della voce. Improvvisamente si sentiva in imbarazzo e debole, di fronte a lui.
“Dunque, dai qua” disse nuovamente Shannon.
“Shan, davvero, tranquillo, me la caverò da sola”
“Shayla, il fatto che io non mi sia mai occupato di queste cose, non mi rende meno capace di iniziare”
“Non dico questo, solo che…”. Shayla non sapeva come cavarsi d’impaccio e continuava a strizzare il plico fra le mani, desiderando che sparisse. O che, in alternativa, lei venisse risucchiata dal pavimento.
“Senti, Jared è in un periodo abbastanza complicato, e Tomo… beh, Tomo lasciamo perdere. Credo di essere l’unico ad aver mantenuto saldi i nervi, il che la dice lunga sulla situazione attuale. Fidati di me” le disse cauto, avvicinandosi a lei.
"Potrei cavarmela da sola però, magari è la mia occasione per dimostrare a Jared quanto valgo"
"Da quando in qua Jared non sa quanto vali?"
"No, non è questo, ma si sa che Jared si fida solo di se stesso. E' una verità universale"
"Shayla, tu sei brava e anche piuttosto carina oggi. Cambiamenti?"
Shayla si toccò i capelli accorciati giusto quella mattina e si sentì sconvolta dal fatto che Shannon l'avesse notato. "Si, effettivamente"
"Stai molto bene, davvero" le rispose piano, continuando a fissarla. 
In un momento di distrazione, durante il quale Shayla si era persa a contemplare i movimenti delle sue bellissime labbra, che alla fine si erano tese in un dolcissimo sorriso, Shannon riuscì a strapparle di mano il plico.

“Ehi!”
“Mai distrarsi, lo dico sempre” le disse ridendo, prima di avviarsi verso la cucina per farsi un caffè. Avrebbe dovuto leggere pagine e pagine di roba noiosissima, meglio farlo in compagnia di un fedele amico.
Shayla rimase a guardarlo andare via, maledicendo se stessa per quella distrazione, che aveva un solo nome: Shannon Leto. Poi lo seguì e sedendosi al suo fianco gli disse: "Va bene, lascia almeno che ti spieghi qualcosa"
"D'accordo, sono a tua completa disposizione, lo giuro" le rispose ridendo e guardandola forse un pò troppo. 



Jared corse letteralmente verso la sua meta, arrivò al portone bianco e citofonò senza un minimo di eleganza.
“Un momento!” sentì Emma dirgli attraverso la porta, e dopo qualche minuto la vide davanti a lui, sorridente e più bella di come la ricordasse.
“Eccoti, finalmente!” disse Jared.
“Ciao anche a te, è un vero piacere vederti. Si, grazie, sto benissimo” disse Emma, prendendolo gentilmente in giro.
Jared la guardò pensieroso e poi si lasciò andare sul divano, chiudendo gli occhi e sentendo la voglia di dormire. Dormire e basta.
Emma tornò qualche minuto dopo in salotto, accoccolandosi accanto a Jared e porgendogli una tazza del tuo tea preferito: vaniglia e cannella. “Allora, vuoi dirmi perché sei piombato qui nel bel mezzo del pomeriggio?”
“Volevo vederti”
“Si, certo, e poi?”
“Poi cosa!? Devo per forza avere un motivo per vederti?”
“Jared…” lo riprese Emma, sorseggiando il tea senza smettere di fissarlo.
“E va bene… hai visto Miriam questo periodo?”
“Ecco…” esordì Emma. “Vedi che avevo ragione? No, comunque, non l’ho vista”.
“Dove può essere?”
“A casa sua, per esempio?”
“Dici?”
“Beh, sei andato a vedere se fosse lì?”
“No”
“E allora come fai a sapere che non ci sia!”
“Perché sarebbe stupido” disse allargando le braccia come se fosse ovvio. Ma vedendo che Emma gli riservava un’occhiata dubbiosa, sbuffò e spiegò la questione, come se parlasse ad una bambina di cinque anni: “Se non vuole più vedermi, non è logico che sia a casa sua, dove, tecnicamente, io potrei andare in qualsiasi momento”
Emma lo guardò allibita e poi scoppiò a ridere: in quel momento pensò che aver a che fare con Jared Leto per anni le aveva garantito un’ottima scuola e che con suo figlio sarebbe già stata ampiamente preparata. “Jared, tesoro, non siamo un film di Agatha Christie. Qui non c’è nessun enigma da risolvere: Miriam sarà a casa sua, andrà in ufficio, forse uscirà con qualche amico, normale amministrazione” disse gentilmente, pensando che non fosse lei la più giovane su quel divano. Poi aggiunse, cauta: “E poi… sei tu che hai detto di non volerla più vedere”
“E tu che ne sai?”
“Me l’ha sussurrato uno gnomo che ti spia tutti i giorni!” sussurrò avvicinandosi alla sua faccia e assumendo un’espressione curiosa.
“Si, si, certo, prendi pure in giro. Voglio vedere come sarai messa fra un paio di settimane” le rispose, scacciando quel suo viso rilassato con una mano.
Emma si concesse una risata e poi tornò seria: “Perché vuoi sapere dov’è?”
“Non voglio sapere dov’è” puntualizzò Jared, evidentemente piccato.
“Ah no?”
“No” rispose lui. “Vorrei solo sapere se… se sta bene, insomma”
“E perché dovrebbe stare male?”
“Emma, cazzo!” imprecò alzandosi in piedi e iniziando a passeggiare per il salotto. “Ci siamo lasciati, come vuoi che stia? Bene?”
“Magari si, che ne sai!” continuò lei. Emma era molto abile a far emergere le reali emozioni della gente, e con Jared aveva un’esperienza che forse solo Constance Leto poteva vantare.
“Ah, grazie mille”
“Dai, sto scherzando, siediti” gli disse dolcemente, accarezzando il divano accanto a lei per esortare Jared ad ascoltarla. Dopo qualche attimo si rese conto che l’uomo era così inquieto che non l’avrebbe assecondata, così prese un respiro e iniziò a parlargli, parlargli davvero: “Jared, ho tentato di chiamarla, ma non mi ha mai risposto. Credo che voglia semplicemente stare sola”
“Sola?”
“Si, insomma, vedersela da sola. Avete rotto anche per la sua indipendenza…”
“Abbiamo rotto solo per la sua indipendenza, Emma”
“Si, va bene, su questo potremmo discuterne. Comunque starle addosso non credo sia un buon modo per farla tornare da te” disse sinceramente. “Perché tu vuoi che torni da te, vero?”
Jared sospirò e cercò di essere onesto: “Non lo so” disse. Poi la guardò negli occhi, e sperò che lei capisse, sperò di non dover ridurre il suo ego ad una catastrofe totale.
Emma, tuttavia, non era disposta a cedere, ad aiutarlo, perché credeva che Jared dovesse tirare fuori tutto, se davvero voleva risolvere le cose. Così lo guardò, accomodandosi sul divano e continuando a bere il suo tea. Sostenne il suo sguardo per diversi minuti, senza abbassare o distogliere gli occhi, tanto era abituata anche a quello.
“E va bene, sei un’arpia” si sentì dire dopo qualche minuto. Ridacchiò e si apprestò ad ascoltarlo. “Io la amo, d’accordo?”
“D’accordo”
“Però non posso continuare a stare dietro alle sue insicurezze, Emma, perché di questo si tratta”
“Sei sicuro?”
“Si, sono sicuro. Perché lei vive un giorno in paradiso e dieci all’inferno ed è snervante, è davvero snervante” rivelò. “Per esempio: io volevo andare a convivere con lei, perché mi sembrava il passo giusto. Io non ho mai amato così una donna…”
“Veramente, Jared...” lo interruppe Emma, sollevando un dito che aveva l'aria di una puntualizzazione. Ma non riuscì a finire, perchè fu a sua volta interrotta.
“Lasciamo perdere i sofismi”
“Era per amore di verità e cronaca!” si difese lei “Dio solo sa quanto abbiamo penato quel periodo”
“Si, va bene, comunque, dicevo” riprese Jared. “Cazzo, mi hai fatto perdere il filo”
“Interessante, lo segnerò sul calendario questo evento. Perché di evento si tratta” rispose Emma. Poi fissò il soffitto e schiarendosi la voce, continuò: “Jared Leto ha dimenticato cosa dire!” e accompagnò il tutto con un ampio gesto del braccio, prima di scoppiare a ridere.
“Emma, qui la situazione è grave, tragica, disperata, terribile!”
“Te l’ho già detto che sei drammatico?”
“Fanculo, Emma”
“Dai, dai, sto scherzando, Jared torna qui” urlò, vedendolo avviarsi a grandi passi verso la porta d’ingresso. “Dai, affrontiamo per bene la questione, su” gli concesse, smettendo di ridere e vedendolo affacciarsi di nuovo dall’arco che separava il salotto dall’atrio.
“Seria?”
“Serissima, promesso” disse mettendo una mano sul petto. “Dunque, tu la ami”
“Si”
“E vorresti che tornasse da te”
“Questo non l’ho detto”
“Lasciamo perdere i sofismi”
Touchè
“Bene. Tu la rivuoi. Perché non provi a parlarle?”
“Perché non saprei che dirle” rispose sincero. “Ed evita le battute”
“Jared, ma che vuoi dirle!? La ami, ti ama, è solo una questione di divergenze. Siete due cretini!”
“Grazie, sempre gentile”
“No, sono seria: alza il culo e valle a parlare, dille quello che senti, dille che la ami, dille che la vuoi con te per sempre, dille che deve smetterla di avere paura. E dille anche quello che non ti sta bene”
“Non è facile”
“Pensi davvero che amare sia facile?”
“Tu e Shannon…”
“Io e Shannon siamo rimasti, Jared. Siamo rimasti anche quando le cose facevano schifo, e ti assicuro che hanno fatto parecchio schifo in certi momenti” disse, non così pronta a rivelare particolari piuttosto intimi. “Per far funzionare le cose bisogna rischiare, bisogna avere il coraggio di non andare via. Chiediti solo una cosa: perché l’hai lasciata?”
“Perché ero stanco”
“Stanco di lei?”
“No, stanco di come lei affrontasse le cose, di come mettesse sempre in discussione tutto, di come lei non credesse che potesse avere un futuro con me”
“Quella donna, ventisette anni e tanta insicurezza, ha abbandonato la sua vita per te. Ha mollato Parigi ed è venuta qui, avendo fra le mani solo la certezza di un amore, che poi non è mai certo, e un lavoro in cui ha dovuto iniziare di nuovo. Credi che non creda in voi?”
“Non l’ho mai vista in questa ottica”
“Lo so”
“Che dovrei fare?”
“Andare da lei, sederti, e dirle quello che stai dicendo a me” disse. “Ma dirglielo davvero, Jared. Non serve nascondere i problemi e dire solo le cose romantiche”
“Non c’è pericolo che mi mandi via?”
“Oh si che c’è. In quel caso te ne vai e torni domani, e domani ancora, e domani di nuovo”
“Scusa?”
“Costanza, Jared. Costanza e perseveranza” annunciò Emma, alzando un dito per rendere la sua frase più simile ad una massima.
Jared sospirò e poi la guardò: “Sarai un’ottima mamma, Emma”
“Oh ma dai…” si schernì da sola, facendo svolazzare una mano in aria.
“Dico sul serio. Sei fantastica, Shannon è un uomo fortunato”
Emma rimase senza parole, non perché non sapesse cosa Jared pensasse di lei, ma perché in quel periodo aveva bisogno di sentirsi dire una cosa del genere, ed era come se Jared le avesse letto il pensiero.
“Ti ho lasciata senza parole, eh?!” la prese in giro Jared, dandole un leggero colpo sul ginocchio.
“Assolutamente no. E’ che mi sono scocciata di infierire su di te”
“Si, certo” disse ridendo. “Ehi, tu, mostriciattolo, hai una mamma splendida” disse poi direttamente alla sua pancia. “Posso?”
Emma annuì e lasciò che Jared toccasse il suo pancione: l’unico a non averlo mai fatto. In quel momento seppe di avere un marito d’oro, e un fratello esageratamente meraviglioso.
“D’accordo, allora io esco e vado da lei”
“Forza!” urlò lei, alzando le braccia al cielo e facendo un’espressione buffa. Jared scoppiò a ridere e la salutò andando verso l’ingresso. “Jared, chiamami!” sentì mentre chiudeva la porta.
“Sei sposata, Emma, avresti dovuto pensarci tanti anni fa… e dire che ne hai avuto l’occasione!”
“Cretino!”.

Jared uscì di casa ancora ridendo e sentì un improvviso senso di pace e serenità: Emma aveva ragione, doveva parlarle.
Chiamò un taxi velocemente e si fece portare a casa di Miriam. Per tutto il tragitto cercò di programmare un discorso, di chiarirsi le idee e schematizzare quello che voleva che lei sapesse. Ma più il taxi mangiava quella strada che lo separava da quella che era certo essere la donna della sua vita, per la prima volta in molti, moltissimi anni, Jared Leto era davvero senza parole.
Guardò distrattamente fuori dal finestrino e ripensò alla prima volta che aveva portato Miriam per quelle strade, al suo sguardo rapito, alla sua bocca spalancata nel vedere la città degli angeli. E lì capì che nessun discorso era programmabile: doveva semplicemente lasciare che fossero le parole ad uscire. Cercò di rilassarsi e sospirò, sperando che la sua meta fosse vicina. Ma soprattutto che la sua destinazione fosse in grado di accoglierlo.
“Eccoci arrivati, signore. Sono 8 dollari”
“Ecco a lei, tenga pure il resto” disse Jared, passando all’uomo una banconota e aprendo contemporaneamente lo sportello. Sorrise e scese dal taxi, avviandosi verso il vialetto che portava al cancello del comprensorio dove Miriam aveva il suo appartamento. Lo trovò aperto, entrò e si apprestò a salire i gradini della scalinata esterna che portava al ballatoio degli appartamenti rivolti ad Est.
Ma non appena mise il piede sul primo gradino, vide la porta di casa di Miriam aprirsi con uno scatto. In un primo momento pensò che fosse proprio lei ad uscire e ringraziò il tempismo che non lo aveva fatto arrivare troppo tardi , ma poi sentì delle risate e sbirciando vide un uomo, alto e ben vestito uscire dall’appartamento, rimanendo davanti la porta, forse per qualche convenevole.
Jared si ritrasse, appiattendosi contro il muro per non essere visto, ma consentirsi il lusso di avere un’ottima visuale: si sentì un guardone, un ladro, qualcosa di molto lontano da quel che aveva sempre creduto di essere. La gente si nascondeva per guardare lui, non il contrario, per la miseria.
“Allora ci vediamo domani?” sentì dire all'uomo.
“Si, a domani” 
“Sono felice che tu mi abbia chiamato, alla fine”
“E’ stato un bel pomeriggio, grazie… Christopher” squittì Miriam, poggiandosi allo stipite.
“Anche per me, Miriam” rispose l’uomo, prendendo delicatamente la mano di lei e poggiandovi piano le labbra.
Jared seguì la scena e vide Miriam sorridere, nascondendo la bocca con la mano libera, poi vide l’uomo accennare ad un sorriso di cortesia e salutarla ancora, in maniera molto sofisticata.
Bene, ora chi cazzo era quel tipo? Si chiede, sentendo la rabbia montargli dentro. Quando l’uomo si avvicinò alle scale per scenderle, Jared si voltò e prese velocemente Berry, per nascondervisi praticamente dietro, sperando che lui non lo riconoscesse.
Christopher Carter scese le scale, lo guardò a malapena e uscì dal cancello in ferro battuto, portando con sé una spocchiosa e fastidiosa aurea di vittoria.

Miriam chiuse la porta e vi poggiò sopra la fronte: quella giornata era davvero stata pesante, ed ora, a pomeriggio inoltrato, sentiva tutta la fatica emotiva accumulata caderle addosso senza troppi complimenti.
Dopo essere tornata dal mare, aveva deciso di mettere in pratica il suo progetto e aveva chiamato Christopher Carter, suo collega e uomo apparentemente perfetto.
Era figlio della borghesia dell’East Coast, i suoi genitori vivevano a New York, dove lui era nato e cresciuto, prima di trasferirsi ad Harvard, dove aveva conseguito due lauree, in Scienze Politiche e subito dopo in Giurisprudenza. In seguito aveva trovato lavoro a Los Angeles, dove ormai viveva da diversi anni, ricoprendo con entusiasmo e professionalità un ruolo prestigioso nella compagnia, dove anche Miriam lavorava.
Lo aveva conosciuto subito, i primi giorni di lavoro, ed era stato l’unico che in quel covo di serpi aveva cercato di aiutarla, di darle una mano, pur rimanendo sempre sulle sue. Non c’era mai stato un clima di cameratismo o amicizia, ma almeno Miriam sapeva che poteva contare su Christopher e quando lui le aveva chiesto di uscire, qualche giorno prima, sfruttando il fatto che lei gli avesse confidato la fine della sua relazione, pur non nominando chi fosse il suo ex, lei era rimasta piacevolmente stupita. Perché non credeva che potesse avere un ascendente di quel tipo su un uomo come Christopher e perché quella situazione la gettava in un limbo: accettare o no? Accettare perché lo voleva o solamente per non sentirsi sola. Non accettare perché in fin dei conti erano meno di venti giorni che Jared l’aveva lasciata, e lei, no lei non era mai stata tipo da chiodo scaccia chiodo.
Ma quella mattina, quando al mare aveva deciso di porre in essere il suo cambiamento radicale, aveva pensato che non ci sarebbe stato niente di male nell’accettare quell’invito: Jared l’aveva lasciata, lui non ne voleva più sapere di lei, e in tutto quel tempo non aveva neanche cercato di parlarle, di tornare sui suoi passi, di porre in essere una riconciliazione. Era scomparso, e gli unici che avevano cercato di parlare erano stati Shannon prima, e Tomo dopo. Ma loro non erano abbastanza: Jared era evidentemente convinto della sua decisione, quindi lei avrebbe dovuto andare avanti, possibilmente senza sentirsi inutilmente in colpa.
Lo aveva chiamato e aveva accettato quell’invito, e dopo un primo momento di smarrimento, che l’aveva colta davanti l’armadio mentre cercava l’abbigliamento giusto, aveva scoperto che Christopher era un uomo interessante, divertente e anche molto gentile. L’aveva riaccompagnata a casa dopo un pomeriggio di chiacchiere in una sala da tea che sembrava essere uscita dagli Anni Venti e le aveva promesso di passare a prenderla il giorno successivo, per portarla a pranzo fuori.
Miriam si guardò allo specchio, in quel momento, e sorrise debolmente: non doveva mollare in quel momento, no. Doveva restare fedele alle sue idee, al suo progetto, doveva cancellare tutto e scegliere il meglio per il suo futuro.
Si sciacquò la faccia e decise di andare a letto, nonostante non fossero neanche le sette di sera.


In quello stesso momento, poco lontano, Shannon rientrava a casa, dopo un quattro ore passate a leggere quel plico che aveva sottratto a Shayla, facendo appello al suo fascino. Chiuse la porta e sentì un profumino niente male provenire dalla cucina. “Ehi, mammina, cucini?” chiese dolcemente ad Emma, avvicinandola davanti ai fornelli. Le passò un braccio intorno alla vita, arrivando a toccarle la pancia e le lasciò un bacio subito sotto l’orecchio, aspirandone il profumo inebriante.
“Ciao, dove sei stato?”
“Ero al Lab” rispose semplicemente, prima di prendere dell’acqua dal frigo e sedersi in maniera poco elegante sul piano della cucina. Si guadagnò un’occhiataccia di Emma, alla quale rispose con uno sguardo eloquente e disaramente.
“Avete lavorato?”
“No, Jared è sparito e Tomo sembrava impazzito: quando sono arrivato aveva appena preso a calci il tavolino del salotto” spiegò, sospirando.
“Che cosa?”
“Non so cosa abbia, non mi ha detto niente, in verità” rispose, bevendo altra acqua, pensieroso. “Devo richiamare Jared. L'ho cercato decine di volte e niente, cellulare sempre spento”
“Shan…” disse Emma piano, avvicinando una mano a toccargli il ginocchio. “Jared è stato qui oggi” rivelò. In realtà non sapeva perché si sentisse così colpevole: non era la prima volta che Jared ed Emma parlavano, anche da soli, Shannon lo sapeva, tutti lo sapevano, non c’era niente di male, né di losco. Ma quel giorno Emma aveva il sentore che quella rivelazione non sarebbe piaciuta moltissimo a Shannon.
“Qui?” chiese, scettico.
“Si, mi ha chiamato dopo pranzo e mi ha detto che doveva parlarmi. E’ arrivato e se n’è andato dopo un’ora e mezza, massimo due”
“Quando è andato via?”
Emma guardò l’orologio, facendo un bilancio approssimativo: “Meno di mezz’ora fa”
“E di cosa doveva parlarti?”
“Di Miriam” sussurrò Emma, guardandolo.
“Bene” disse solamente Shannon, scendendo dal piano della cucina e uscendo dalla cucina.
Emma sospirò e lo seguì, trovandolo in camera da letto. “Ehi…” gli disse piano, facendo un paio di passi. Shannon non rispose, rimase a fissare la cabina armadio, scalciando le scarpe in un angolo. Si tolse la maglia e rimase in silenzio.
“Shannon…” tentò di nuovo Emma.
“Cosa c’è?”
“Dimmelo tu”
“Emma, questi giochetti di psicologia non mi piacciono ed oggi mi danno ai nervi, davvero”
“Abbiamo solo parlato, aveva bisogno di una spalla” si giustificò lei.
“Sai che non sono geloso di mio fratello” sibilò Shannon.
“E allora? Qual è il problema?” gli chiese, cercando di tenere la calma.
“Il problema è che lo cerco da ore e non so dov’è. Poi scopro che era a casa mia, a conversare amabilmente con mia moglie” le disse astioso, girandosi a guardarla.
“Non abbiamo conversato amabilmente”
“Sai cosa ho fatto io nelle ultime quattro ore, Emma?” le chiese, avvicinandosi a lei. Sembrava minaccioso, ma Emma sapeva benissimo che non lo era mai, men che meno con lei. Rimase ferma ad attendere che lui le arrivasse vicino, fu investita dal suo odore, che amava, e cercò di dominare l’istinto di baciarlo e gettarlo sul letto. Maledetti ormoni.
“No, dimmelo”
“Ho analizzato di bilanci di cui non mi frega un cazzo. Ho usato il debole che Shayla ha per me, solo per costringerla a fidarsi di me e lasciarmi guardare quello che è sempre stato onere ed onore di Jared: le scartoffie”
“Cosa hai fatto?” chiese Emma, che era rimasta ferma su una parte determinata di quella parte.
“Ho tentato di dare ordine a quel marasma che dovrebbe essere il nostro futuro tour, che versa in condizioni pietose sotto tutti i punti di vista” parafrasò Shannon, per inquadrarle meglio la situazione.
“Hai fatto… usato il debole che Shayla ha per te?” chiese incredula Emma.
“Emma…”
“Emma un cazzo!” esplose lei, la cui unica voglia ora era si di sbatterlo, ma non con intenzioni erotiche. “Fottiti” aggiunse, prima di lasciare la stanza.
Shannon sospirò e tirò un pugno al muro, costringendosi poi a massaggiarsi le nocche delle dita che avevano colpito duramente. Perché andava tutto male in quei giorni?
Trascorse qualche minuto in bagno, a raccogliere le idee, poi ne uscì e andò a cercarla, anche se sapeva benissimo dove Emma si fosse rifugiata. Scese le scale, e si avviò sicuro verso il giardino, e la vide accoccolata sull’amaca, con le cuffie nelle orecchie e lo sguardo perso.
Le si avvicinò piano e le tolse una cuffia, così che lei potesse sentire la sua presenza. “Mi fai posto?” le chiese con un sorriso.
Emma non rispose, né accennò a cambiare espressione, si scansò solamente, lasciando che Shannon le si stendesse accanto e la avvolse con un braccio. Rimasero in silenzio per qualche istante, poi Shannon piano le disse: “Scusa”
“Io e Jared abbiamo solo parlato”
“Lo so” disse. “Ed io e Shayla… insomma, sai che non è successo niente”
“Tu hai…” rispose, fermandosi per ricordare le parole. “Si, ecco: usato il debole che Shayla ha per te”. Non era per niente convinta a voler lasciar correre, seppur lo avesse fatto stendere lì e avesse lasciato che lui la abbracciasse, quel punto andava chiarito.
“Ma lo sai che le piaccio”
“No, non lo sapevo. E comunque non è un buon motivo per sfruttare a tuo vantaggio questa cosa”
“Solidarietà femminile?”
“No, per niente, odio la solidarietà femminile”
“E allora cos’è?”
“Voglia che mio marito non si metta a flirtare in giro” disse spigolosa, prima di rifilargli uno sguardo eloquente.
“Emma non ho flirtato con nessuno”
“Invece si e te la sei anche presa perché ho parlato con Jared, cosa che faccio da dieci anni”
“Io non riesco più a capirlo mio fratello e invece tu ci scambi ore ed ore di conversazioni intime. Logico”
“Sei geloso?”
“No, lo sai”
“No, sei geloso del fatto che Jared abbia scelto me e non te per confidarsi”
“Ma cosa stai dicendo?”
“La verità, Shannon. Ammettilo”
“Senti, la finiamo?
“Come vuoi”
“Va beh, io esco” disse scocciato, prima di alzarsi lasciandola sola sull’amaca.
“Dove vai?”
“Devo parlare con Tomo”
“Non vorrai mica...!?” chiese Emma sconvolta. 
"Devo, Emma" le disse. "Questa cosa mi sta facendo impazzire"
"Non puoi, lo sai. Lo distruggerebbe" gli disse, ma il suo tono non era propriamente quello di una persona che voleva aiutarlo. Il litigio di poco prima era ancora nell'aria ed Emma era ancora abbastanza nervosa. 

Shannon non le rispose, la guardò seriamente e poi si avviò verso l’ingresso.
“Shannon, Shannon…” urlò lei per fermarlo, ma quando sentì la porta sbattere si lasciò andare sull’amaca. Due settimane alla nascita del piccolo e tutti quei problemi all’orizzonte. Sospirò e si rimise la cuffia nell’orecchio.


“Tomo, ci sei?”. Shannon aveva provato al Lab, ma non aveva trovato  nessuno, se non Shayla, ancora intenta a lavorare su quello che lui le aveva suggerito. Lo guardava con un’aria strana e Shannon si sentì improvvisamente in colpa: forse Emma aveva avuto ragione. Scacciò quel pensiero e corse verso casa dell’amico, dove ora bussava da circa cinque minuti.
“Chi è?”
“Sono io, cretino”
“Non voglio vedere nessuno”
“Tomo, cazzo, apri. Devo parlarti” urlò Shannon, spazientendosi.
L’uomo arrivò alla porta con una faccia sconvolta e i capelli arruffati. Shannon, però, non fece in tempo a formulare nessun pensiero, perché Tomo alzò una mano verso di lui e sentenziò: “Non è come pensi, fidati che è tutto il contrario. Vieni”. Si scansò per lasciare passare e poi chiuse la porta.
“Ti offro qualcosa?”
“Tomo, non sono tua madre, dai” gli rispose canzonandolo e sedendosi sul divano, appoggiando poi i piedi sul tavolino. “Vedo che questo è ancora intero”
“Spiritoso, molto spiritoso” rispose Tomo, sedendosi sulla sua poltrona. “Dove hanno nascosto lo Shannon Leto che conosco?”
“Ah non lo so” disse più serio e sincero di quel che volesse sembrare. “Vuoi dirmi che succede?”. Shannon la prese alla larga, per spianarsi il terreno.
Tomo sospirò e si confidò con Shannon: “Ho visto Vicki in un locale con il suo… amante? Ex? Non so neanche come chiamarlo”
“Quando?”
“Oggi, poco dopo pranzo”. Tomo si sfregò il viso. “Stavo venendo al Lab ed ero ad un semaforo, l’ho vista attraverso una vetrata e ho mollato la macchina sul ciglio della strada. Volevo farle una sorpresa, volevo salutarla, darle un bacio forse. Quando sono arrivato all’entrata del locale, ho visto che non era sola: era con lui”
Shannon annuì debolmente, pensando a cosa dire. Certo, la situazione era abbastanza strana ed ora capiva la rabbia di Tomo, però: “Forse le cose non sono come sembrano”
“E come sono?”
“Non lo so, però sei arrivato ad una conclusione senza avere tutti i dati del problema”
“I dati sono: ristorantino in centro, Vicki e il tizio seduti a chiacchierare. Mi sembra eloquente la situazione”
“Tomo, Vicki è stata sempre molto leale con te, non avrebbe senso farti questo ora, non sarebbe da lei”
“Io non lo so più cosa è da lei e cosa no”
“Le hai parlato?”
“Si, mi ha chiamato. Poco dopo la dipartita del tavolino in vetro”
“Capisco” disse Shannon. “Devo ancora decidere come fartela pagare: togliere quei vetri è stato terribile”
“Luciderò Christine”
“No, grazie, questo periodo direi proprio di no” sorrise Shannon. Era bello come riuscissero ancora a ridere e scherzare, a volte. “Che ti ha detto, comunque?”
“Voleva vedermi stasera”
“E…!?” chiese Shannon, esortandolo con una mano ad andare avanti. “Non farti cacciare le parole di bocca, dai! Quello sono io di solito!”
“E le ho detto che avevo da fare, e che l’avrei richiamata io”
“Sei un coglione”
“Scusa!?”
Shannon lasciò andare la testa sulla spalliera del divano e sospirò rumorosamente: l’amore era una grande rottura, concluse mentalmente. “Abbiamo già chiarito che tacere i problemi è sbagliato, vero?”
“Si, ma…”
“Ma niente!” si spazientì Shannon, allargando le braccia. “Non so cosa abbiate tu e quell’altro cretino di mio fratello, davvero”
“Ma tu hai Emma, cosa vuoi saperne!”
“Eh…” sospirò Shannon, ripensando a come si erano lasciati poco prima. Allungò lo sguardo all’esterno e si perse un attimo.
“Shan… problemi?”
“No, non credo almeno”
“Spara”
“Non riesco più a parlare con Jared. Lui semplicemente sta zitto, si è chiuso in se stesso e basta. Non parla di niente, in realtà ed io l’ho lasciato stare, perché credevo che avesse bisogno di tempo, ma poi…”
“Non farti cacciare le parole di bocca dai!” disse Tomo, facendo una buffa imitazione di Shannon e mimando con la mano una bocca che parla.
Shannon sorrise e disse: “Poi sono tornato a casa prima e ho scoperto che Jared ha passato il pomeriggio a casa a parlare con Emma”
“E quindi? Sei geloso?”
“Ma no, che vai a pensare! È che credevo che lui non volesse parlare, non che non volesse parlare… con me
“Shannon, smettila. Sai che Jared ti adora, solo forse aveva bisogno di un consiglio femminile”
“Si, ma… non lo so, alla fine ho litigato con Emma per questa storia”
“Solo per questo?” chiese Tomo cercando di scavare, perché sapeva di dover scavare.
Shannon sbuffò, con la sensazione di essere stata scoperto con la mano nel barattolo della marmellata. “No, non solo per questo”
“Che hai combinato?”
“Perché devo essere io il colpevole?”
“Devo proprio risponderti?”
“No, sta zitto, preferisco” disse Shannon, bloccando ogni tentativo di chiacchierare di Tomo con una mano in aria. “Diciamo che le ho detto di essere stato leggermente troppo galante con… Shayla” ammise, imbarazzato.
“Tu… cosa!?”
“Non ho fatto niente, Tomo” si difese. “Eravamo al Lab e lei cercava urgentemente Jared per discutere di cose noiosissime. Era nel panico: sai com’è fatto Jared, un minimo errore sarebbe stato un cataclisma ed io volevo solo aiutarla”
“E fin qui ok”
“Eh… solo che lei non si fidava, ha iniziato a dire che io non mi occupo mai di queste cose e che non sapeva quanto fosse il caso di discuterne con me, ed io mi stavo spazientendo, così…” si fermò, strofinandosi il viso e poi riprese: “Ho flirtato con lei per convincerla”
Tomo scoppiò in una risata vigorosa, e si guadagnò un’occhiataccia da parte di Shannon. “Scusa, scusa, ora smetto” disse tenendosi la pancia. “Questa è la crisi di mezza età”
“Cretino, smettila”
“Ma perché l’hai detto ad Emma? Non era niente di eclatante”
“Non lo so perché gliel’ho detto, stavamo discutendo e mi è uscito”
“E lei?”
“Mi ha mandato a farmi fottere”
“Elegante”
“Come sempre” rise amaramente Shannon.
“Shan, non è niente di irreparabile, dai”
“No, però non litigavamo da mesi”
“Bentornato nel mondo reale, amico” lo prese in giro bonariamente Tomo, dandogli una pacca sulla spalla. “Ma che volevi dirmi prima?”
“Io?”
“Si, hai detto devo parlarti”
“Ah… no, ma niente di che. Volevo solo… solo… solo concordare una scusa da rifilare a Jared per il tavolino” mentì spudoratamente, sperando che l’amico ci fosse caduto.
“E’ stata Shyla” rise Tomo, portandosi appresso Shannon per svariati minuti. Quando Shannon uscì di casa aveva ancora quel peso sullo stomaco: stava mentendo al suo amico.


Jared passeggiò fino al MarsLab. Con le mani in tasca e la testa bassa, sperò che nessuno lo fermasse per fotografie, perché in tal caso il malcapitato si sarebbe dovuto accontentare di un muso lungo. Ci mise un’eternità ad arrivarci, e quando finalmente varcò il cancelletto della villetta, si chiuse dentro, deciso a non uscirne per non sapeva quanto tempo.
Miriam aveva un altro. Era presumibile, in realtà non li aveva visti avere atteggiamenti intimi, ma aveva sentito quelle due o tre frasi, e gli erano bastate a convincersi che lei era andata avanti, in un modo o nell’altro. Forse avrebbe dovuto parlarle prima, pensò amaramente, mentre si avviava verso la cucina per mettere qualcosa sotto ai denti.
In quel momento, indeciso fra il mangiare tofu e il mandare al diavolo anche le sue convinzioni alimentari e addentare del pollo che non sapeva come fosse finito nel frigo, sentì il campanello. Andò piano a vedere chi fosse, con l’idea di non rispondere, ma quando vide Vicki fuori il suo cancello, uno strano presentimento lo colse e decise di agire come avrebbe fatto chiunque. Chiunque tranne Jared Leto, si intende.
Attese che lei attraversasse il vialetto e le vide dipinta sul volto un’espressione indecifrabile. “Vicki, ciao”
“Ciao Jared, disturbo?” chiese prima di entrare.
“No, entra pure” disse cordialmente Jared, lasciandole il passo. “Cercavi Tomo?”
“Si” rispose sorridendo.
“Aspetta…” Jared andò verso la sala, poi verso il giardino, poi ancora al piano superiore nelle stanze e poi lo chiamò a gran voce. Tornando da Vicki, con espressione desolata, fu costretto a dirle che non sapeva dove si trovasse. “Mi dispiace”
“No, tranquillo”
“Hai provato a chiamarlo?”
“No, volevo fargli una sorpresa, ecco”
“Vicki, le sorprese sono brutte, bruttissime consigliere, fidati”
“Parli per esperienza personale?” lo prese in giro lei, non sapendo quanto si fosse avvicinata alla realtà.
“Beh, anche, ma è una cosa che sanno tutti” le disse mascherando la fitta allo stomaco che aveva avuto. La guardò meglio e vide che aveva un’espressione strana, che non era sicura e serena, ma piuttosto guardinga. “Vuoi un tea?” le disse di getto. Non sapeva neanche come gli era uscita una cosa simile.
“Non vorrei toglierti tempo prezioso”
“No, tranquilla. Sono solo, a quanto pare, e non ho molta voglia di lavorare. Dai vieni in cucina” disse ancora, avviandosi.
Jared preparò un tea, e poi le passò la tazza colma attraverso l’isola della cucina. Vicki si era seduta su uno sgabello e mescolava lo zucchero fissando il liquido scuro.  
“E così volevi fargli una sorpresa, eh” la canzonò Jared guardandola appena.
“Già, riuscitissima per altro” rispose amaramente lei.
“Problemi?”
“No, no” mentì. Poi si arrese: “Credo di si, invece”
“Dai, parla” le disse piano, sedendosi davanti a lei.
Vicki alzò lo sguardo sconvolta: dove avevano messo il Jared che conosceva lei? Quel Jared non si sarebbe mai sognato di fare l’amico che raccoglie confidenze, forse con suo fratello, ma con nessun’altro. ed ora era lì che guardava, in silenzio, aspettando che lei parlasse. In silenzio. “Jared… ti senti bene?”
“Uhm…”
“No, dico, in anni di amicizia non mi hai mai offerto la tua spalla su cui piangere”
“Se ti azzardi a macchiarmi la maglietta di mascara ti rovino” disse astioso. Poi assunse un’espressione candida e aggiunse: “Per il resto, parla, sono pronto ad ascoltarti”
Vicki rise di gusto e decise di sfruttare l’occasione: “Fra me e Tomo andava tutto bene, insomma procedeva lentamente, ma procedeva. Un paio di settimane fa mi aveva baciato e anche se nessuno aveva più fatto riferimento a quell’episodio, avevamo continuato a vederci, ad uscire”
“Però…”
“Beh ecco, prima l’ho chiamato per dirgli se volevamo vederci questa sera e mi ha detto di essere impegnato. Ho proposto domani e ho ricevuto la stessa risposta”
“Può capitare”
“Si, è vero, ma…” si fermò cercando di esprimere in parole quello che sentiva nel cuore, cosa che a volte poteva risultare molto complicata. “L’ho sentito strano, non era il solito Tomo, aveva qualcosa che non ha voluto dirmi”
“Le giornate storte capitano a tutti, Vicki”
“Si, è vero” convenne Vicki, abbassando lo sguardo. Bevve un sorso di tea e poi aggiunse: “Solo che, non so, ho paura che sia stufo”
“Stufo? Tomo stufo di te?” esclamò Jared ridendo. “Ma smettila, Tomo è innamorato di te”
“E tu cosa ne sai?”
“Io lo so, Vicki. Io lo so e basta” le disse dolcemente.
Vicki stava bene in quel momento, era serena e le piaceva parlare con Jared. Le stava dando la giusta prospettiva alle cose, così pensò di volersi confidare: “Oggi ho rivisto… si, insomma, lui”
“Uhm” disse solamente Jared, facendole segno di continuare.
“E ecco… mi sono resa conto di aver sempre amato Tomo e di aver fatto una grande cazzata”
“Ma ora sei tornata indietro. Perché hai voluto vederlo?”
“Devo proteggere Tomo. Lui, beh, lui mi ha promesso di farmela pagare ed io ho paura che spifferi tutto alla stampa. La carriera di Tomo verrebbe sconvolta, io non voglio”
“Tomo ne è al corrente?”
“No, per carità. Non sa niente, né di questa cosa, né che l’ho visto. Potresti…” non aggiunse altro, era tutto abbastanza eloquente.
“Potrei, tranquilla” le disse sorridendo. Poi allungò il braccio e le prese una mano fra le sue: “Qualsiasi cosa quel bastardo farà a te o a Tomo, dovrà vedersela con i miei Avvocati”
“Grazie, Jared, davvero”
“Bene, la seduta è finita” le disse con un’espressione altezzosa in volto, accavallando elegantemente le gambe sullo sgabello e distogliendo lo sguardo.
Vicki scoppiò a ridere, si alzò e aggirò l’isola, arrivando alle sue spalle. Lo abbracciò, poggiando il viso sulla sua spalla e gli sussurrò: “Sei un tenerone, io l’ho sempre saputo”
“Vicki!” la scacciò lui con una mano, facendola ridere ancora di più. Poi girò piano il viso verso di lei e le fece l’occhiolino: “Bentornata” le sussurrò.


Shannon rientrò in casa: “Emma!” gridò sull’uscio, senza ricevere risposta. Andò velocemente verso il salone, la cucina, il giardino, ma niente. Poi piano scostò la porta della loro camera da letto e la trovò stesa, placidamente addormentata.
Si avvicinò al letto piano, non facendo rumore e si sedette sul bordo, allungando un braccio ad accarezzarle il viso: era così bella. Sorrise pensando alla fortuna che aveva avuto e in quel momento lei aprì gli occhi. “Sei tornato”
“Si” si limitò a dire lui, continuando a carezzarle la guancia. Emma posò la sua mano su quella di Shannon e sorrise piano, scansandosi per fargli posto e chiedendogli in silenzio di stendersi al suo fianco.
Shannon la strinse a sé, cullandola dolcemente e poi disse solamente: “Ti amo”
“Anche io” rispose Emma.
Bastò quello, e un calcio del bimbo a farli ridere e tornare nel loro stato di grazia. "Siete voi la mia casa, Emma" le disse piano, guardandola negli occhi, prima di baciarla con passione. 

 
       
 
L'angolo di Sissi 

Eccoci di nuovo insieme! Scusate la lunga latitanza... 
Avevo un esame abbastanza importante e non ho trovato tempo per dedicarmi alla mia storia. 
Comunque sia, ora sono in vacanza, quindi ho valutato di potervi aggiornare di ben TRE capitoli, 
prima di Capodanno. Inizieremo il nuovo anno in maniera positiva? Chissà... 

Comunque, siamo alle prese con i nervosismi un pò ovunque. 
Questo capitolo è ambientato nella stessa giornata del precedente: il famoso sabato! 
Diciamo che ne è la continuazione e per questo delinea ulteriormente le situazioni. 
Che ne pensate? 

Ne approfitto per suggerirvi una storia appena nata:
La Migliore Amica di Shannon Leto,
scritta a quattro mani, due cervelli (fate uno e mezzo via...), venti dita e tante risate. 
E' divertente e ben scritta, e sopratutto non appartiene alla serie "mai na gioia", 
in cui mi autoinserisco di diritto! 

Detto ciò, vi saluto, e vi avviso che il prossimo aggiornamento sarà lunedì! 

Baci Marsosi! 

Sissi 
  
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