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Autore: frames    19/12/2014    1 recensioni
Fuori potevo vedere le strade illuminate di Londra nelle quali correvano frenetiche decine di automobili e taxi. Il mondo andava avanti mentre noi consumavamo il nostro solito dramma personale e mi chiesi perché io non potessi continuare a muovermi con il resto dell’umanità invece di restare intrappolata insieme a lui.
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«R u Mine?»
 

Il suono fastidioso della sveglia che aveva cominciato a vibrare sul comodino sinistro del letto mi smosse dallo stato di dormiveglia nel quale ero stata tutta la notte a causa dei tanti pensieri che mi affollavano la testa.
Senza muovermi di un millimetro lasciai che fosse Zayn a fermare l’allarme proveniente dal suo cellulare, lo sentii stiracchiarsi lentamente al mio fianco e dopo qualche minuto alzarsi dal letto per dirigersi verso il bagno della camera.
In pochi minuti lo scrosciare dell’acqua divenne l’unico rumore percettibile in tutta la casa, non riuscii a fare a meno di immaginare il suo corpo nudo e scolpito che veniva bagnato dal getto della doccia, lo stesso corpo che avevo amato la notte prima.
Mi voltai verso il lato del letto che fino a poco prima aveva occupato Zayn e sfiorai con le dita le lenzuola bianche sgualcite, riuscivo a percepire chiaramente il suo profumo di cui era impregnato il cuscino.
Nonostante lui fosse ancora nella stanza accanto un ondata di nostalgia mi investì così forte da portarmi alle lacrime.
Avevo bisogno di toccarlo, di abbracciarlo, di baciarlo, di sentire il suo respiro sulla mia pelle e la sua presenza accanto a me.
Sapevo esattamente cosa stava per succedere, era ciò che accadeva ogni volta. Non era la prima volta che mi lasciava e non sarebbe stata l’ultima.
Richiusi automaticamente gli occhi e finsi di continuare a dormire non appena Zayn rientrò nella stanza e cominciò a raccogliere i suoi vestiti sparsi sul pavimento.
Non sapevo dove era diretto quella mattina, per quanto ne sapessi sarebbe potuto partire per un altro continente o semplicemente andare a lavoro.
Io non avevo osato chiedergli e lui non si era disturbato ad informarmi.
Si rivestì in fretta e prima di andare via indugiò per un attimo sulla soglia, probabilmente per guardarmi trionfante.
Ci era riuscito di nuovo, era rientrato per l’ennesima volta nella mia vita con la stessa facilità con cui se ne andava il giorno dopo.
Avrei potuto indovinare il modo soddisfatto in cui stava sorridendo, quel sorriso dannato e così tremendamente sexy che mi faceva cadere ai suoi piedi ogni volta. Mi conosceva quasi bene quanto io conoscevo lui, e sapeva che non avrebbe trovato nessuna resistenza da parte mia.
Seppi che era davvero andato via solo quando sentì il familiare rumore della porta sbattere, quel suono che era diventato una costante nei miei incubi.
Mi rannicchiai tra le lenzuola, stringendo le ginocchia al petto come per impedire al dolore di esplodere dalla mia cassa toracica.
Zayn Malik mi aveva rovinato la vita.
Ricordavo precisamente il momento in cui tutto era cominciato: all’ultimo anno di scuola, nel letto singolo e scomodo di Kate Davies , la sera in cui quest’ultima aveva dato un festino di cui io e Zayn ci eravamo presto stancati e avevamo deciso di passare il tempo in altro modo.
Non sapevo esattamente come fossimo arrivati a quel punto, forse spinti da qualche legge del cosmo o dall’alcool che quella sera scorreva a fiumi.
Conoscevo quel ragazzo da quando eravamo bambini e ci divertivamo a gironzolare per le stradine di Bradford facendo scherzi ai turisti.
Eravamo cresciuti: il mio volto lentigginoso e innocente si era affinato ed era sempre coperto da uno strato di trucco, i suoi vestiti non profumavano più dell’ammorbidente che usava sempre sua madre ma delle fragranze forti e fastidiose dell’ennesima ragazza che si era portato a casa da una serata in discoteca.
Eppure nonostante tutto, nonostante le nostre vite spesso sembravano aver preso due strade diverse in qualche modo alla fine tornavamo sempre insieme.
«Isabelle non lasciarmi, please, non sono niente senza di te» mi ripeteva implorandomi in ginocchio ogni volta che provavo ad allontanarmi in modo definitivo da lui e dalle sue stupide promesse che non riusciva mai a mantenere.
Non eravamo mai stati una vera coppia, c’erano periodi in cui passavamo più tempo insieme, altri in cui non ci vedevamo per settimane.
Ma ogni volta che lui mi chiamava dicendo che sarebbe passato da me io non facevo nessuna domanda, lo aspettavo pronta a dargli tutta me stessa.
La mia vita si era veramente ridotta a quel circolo vizioso?
Come tutte le ragazze un tempo avevo avuto sogni e aspettative sull’amore eterno e sul principe azzurro di cui poi avevo rimosso ogni traccia, accontentandomi di quel rapporto ad intermittenza che poco alla volta mi stava annullando.
Avevo 24 anni, il mio lavoro come sales assistant e i corsi all’accademia di moda di Londra da seguire: le mie giornate non erano mai vuote eppure ogni sera quando tornavo nel mio appartamento mi ritrovavo ad essere sola e a desiderare la compagnia dell’unica persona che non poteva essere mia.
Sfiorai delicatamente con la punta delle dita una foto della mia famiglia posizionata sul comò di legno bianco di fronte al mio letto, era stata scattata l’estate precedente nella brughiera vicino la casa dove ero cresciuta nel West Yorkshire.
Un sorriso amaro comparve sulle mie labbra pensando a quanto mia madre adorasse Zayn e al fatto che mi chiedesse sempre di lui in ogni telefonata.
Non poteva saperlo, non avrebbe mai immaginato che proprio quel ragazzino dagli occhi vispi che aveva visto crescere era l’artefice del cuore ridotto in brandelli della sua unica figlia.
Quella mattina era peggio del solito, la sensazione di malinconia del giorno dopo mi stava tormentando ma entro due ore dovevo essere all’Accademia e possibilmente con un aspetto decente, perciò dopo aver preso la biancheria pulita e un abitino leggero corsi in bagno dove mi rifugiai sotto il getto caldo della doccia.
Mentre strofinavo con il sapone la pelle cercai in qualche modo di lavare via dal mio corpo e dalla mia anima ogni residuo della sera prima, mi ripromisi mentalmente che non avrei mai più permesso a Zayn di rientrare dalla porta di casa mia.
Dopo essermi asciugata e vestita mi ritrovai in piedi di fronte all’enorme specchio del bagno ancora leggermente velato dalla condensa del vapore della doccia, osservai attentamente la mia espressione stanca e le occhiaie scure che mi appesantivano lo sguardo.
Curare la mia immagine era fondamentale in quel periodo della mia vita, frequentare il corso Fashion Design Management al London College of Fashion comportava un certo codice estetico, ogni giorno sotto gli occhi mi sfilavano ragazze belle e impeccabili nei loro vestiti costosi e di tendenza i quali io non potevo permettermi.
Eppure non mi era mai venuto in mente di lamentarmi, era già un sogno essere stata ammessa a quella prestigiosa università e riuscire a pagare la retta contando unicamente sulle mie forze.
Quel giorno avrei dovuto presentare i miei disegni alla rettrice del corso, i migliori sarebbero stati scelti per essere trasformati in una vera collezione.
La concorrenza era alta eppure avevo lavorato alla mia prima linea per mesi interi, cercando ispirazione ovunque per nuove forme e colori che potessero colpire la giuria. Quel giorno era arrivato.
Presi dall’armadio una giacca color cipria che indossai sul tubino bordeaux e la borsa dove tenevo l’album da disegno e corsi giù per le scale del mio appartamento.
La cucina era illuminata dal sole primaverile che entrava dalle vetrate, non avevo tempo per fare colazione ma la mia attenzione fu attirata da un post-it azzurro attaccato al frigorifero.
«Sei mia?» c’era scritto nella calligrafia disordinata che avevo riconosciuto subito, era una domanda che Zayn mi aveva già fatto altre volte nel buio di una stanza con la voce che stranamente gli tremava.
Non riuscivo a spiegarmi perché avesse bisogno di quella conferma ogni volta, lui che di vincoli e legami non ne aveva mai voluto sapere.
Alzai gli occhi al cielo nel tentativo di rigettare indietro le lacrime e tutte le ipotesi che cominciavano a passarmi per la testa.
Forse…forse stava cambiando, forse gli importava qualcosa di me e potevamo essere una coppia normale.
Stracciai con stizza il bigliettino e tutte le mie illusioni che puntualmente sarebbero state deluse, non potevo permettermi il lusso di sperare in qualcosa di inesistente. Non quella volta, non quel giorno.
Chiusi la porta di casa alle mie spalle e mi sforzai di lasciare stipati in quell’appartamento di 100 mq tutti i miei pensieri rivolti ad una sola persona e provai a concentrarmi su di me.
Il tempo quel giorno sembrava non passare mai, decine di ragazze come me aspettavano tese da ore fuori l’aula magna di sentire chiamare il proprio nome.
Alcune chiacchieravano e ridevano nervose tra di loro, altre cercavano sostegno al telefono con un amico o uscendo nell’atrio per una sigaretta che invece di calmarle le rendeva ancora più agitate.
Io me ne stavo seduta in disparte stringendo con le mani la cartella dei miei disegni con lo sguardo perso nel vuoto, distaccata da quello che stava avvenendo intorno a me.
La mia mente tornava sempre lì e io non avevo la forza necessaria per impedirglielo.
Non ero pienamente convinta di ciò che stavo facendo neppure mentre presentavo i miei lavori alla giuria che mi fissava dall’alto della cattedra.
Dimenticai completamente il discorso che mi ero preparata in modo accurato e cominciai a blaterare su quanto fosse importante per me quell’occasione e allo stesso tempo sul fatto che già sapessi che non mi avrebbero mai scelta.
La rettrice si sistemò sul naso la vistosa montatura degli occhiali rosso fuoco e dopo aver scrutato l’ultimo dei miei disegni mi disse che potevo andare e che avrei trovato il nome della vincitrice affisso in bacheca non appena avessero finito di valutare le altre candidate.
Il tono di sufficienza con cui lo aveva detto sembrava voler suggerire di non disturbarmi ad aspettare i risultati dato che non mi avrebbero coinvolta in alcun modo.
Così seguì il consiglio implicito e una volta uscita mi diressi con decisione verso casa con un altro peso sul cuore: avevo fallito, ancora una volta.


Più tardi quella sera ero rannicchiata sul divano bianco del salotto e avevo appena finito di parlare al telefono quando sentì bussare alla porta.
Mi mossi dalla mia posizione per andare ad aprire passando davanti alla tv che stava trasmettendo un vecchio film in bianco e nero che non era riuscito ad attirare la mia attenzione.
Quando aprì la porta e mi ritrovai di fronte quel mezzo sorriso beffardo il mio primo istinto fu quello di richiuderla ma lui aveva i riflessi pronti ed era troppo forte per permettermelo.
«Vattene Zayn, non ti voglio più vedere» affermai stizzita mentre ancora mi ostinavo a lottare provando a cacciarlo via da casa mia.
Per un attimo lui sembrò confuso dal mio rifiuto, come se non riuscisse a spiegarsi il mio atteggiamento negativo.
«Ti ho chiamata oggi, dove cazzo eri finita?» mi chiese prendendomi un polso per allontanarmi dalla porta e richiuderla alle sue spalle.
«Non ti riguarda. E poi quando ti ho invitato ad entrare? Vattene!» gli urlai contro spingendolo con tutta la forza che avessi nelle braccia ma non riuscendo a smuoverlo che di qualche centimetro.
Zayn scoppiò a ridere guardandomi divertito dall’alto del suo metro e novanta, in quella risata innocente rivedevo il ragazzo gioioso e spensierato che conoscevo.
 Lui si accorse del mio momento di debolezza e ne approfittò per attirarmi in un lungo bacio alla quale io non riuscì a restare indifferente: le sue labbra che cercavano le mie, i nostri corpi incollati, le sue mani che cominciarono a scendere lungo la mia schiena. Tutto ciò mi dava le vertigini.
Senza preavviso Zayn si staccò da me e si mise a sedere sul divano prendendo possesso del telecomando e cominciando a fare zapping fino a fermarsi su una partita di calcio che sembrava interessargli particolarmente.
«Devi andartene» dissi seccamente con gli occhi bassi alla ricerca della mia dignità che ancora una volta era andata a farsi fottere.
«Perché? Perché non ti siedi e mi racconti cosa hai fatto oggi?» ribatté lui tranquillo sfiorando con la mano lo spazio libero sul divano accanto a sé.
Mi lasciai sfuggire una risata isterica, cosa si era messo in testa?
«Perché già so che non te ne frega un cazzo di me e di quello che faccio…a te interessa solo sapere che ci sarò per rallegrarti la serata quando qualche altra tua amichetta è occupata! » risposi puntandolo con il mio sguardo, i suoi occhi verdi quella volta non ebbero alcun effetto su di me e sulla verità che da troppo tempo avevo bisogno di rinfacciargli.
«Lo sai che non è così..» disse come se fosse la cosa più ovvia del mondo sporgendosi dal divano per afferrare la mia mano che prontamente ritrassi.
In realtà io non sapevo un bel niente, c’erano settimane intere in cui spariva senza degnarmi di una spiegazione e io non avevo idea di cosa facesse in quel tempo. Era buffo, perché quando era con me sentivo di conoscerlo come le mie tasche mentre quando si allontanava mi sembrava uno sconosciuto.
«Allora spiegami com’è.. perché io sono stanca di essere sempre la seconda scelta» affermai con la voce rotta, una fitta di dolore lancinante mi colpì il petto mentre pronunciavo quelle parole.
«Non c’è nessun altra, smettila di dirlo!» affermò Zayn esasperato portandosi le mani alla testa e infilando le dita tra le spesse ciocche di capelli neri. Era un discorso che avevamo affrontato decine di volte senza mai arrivare ad una soluzione. Ero arrivata al punto di pensare che forse eravamo destinati ad avere quel tipo di rapporto disfunzionale.
Vederlo così tormentato e in lotta con sé stesso faceva più male a me che a lui.
«Non ti credo» annunciai sottovoce scuotendo la testa.
«Devi credermi! Non mi interessano le altre.. lo sai, ho fatto una marea di stronzate in questi anni ma se c’è una sola persona di cui mi è sempre fregato qualcosa sei tu!» disse solenne alzando di nuovo lo sguardo per guardarmi negli occhi. Una parte di me avrebbe voluto tuffarsi tra le sue braccia e non lasciarlo più andare mentre l’altra lo avrebbe volentieri preso a pugni.
«A volte vorrei che non ci fossimo mai conosciuti..» confessai dopo qualche minuto mentre sentivo le lacrime cominciare a rigarmi il volto.
Eravamo sempre allo stesso punto: io che piango, lui che mi implora di non lasciarlo.
«Isabelle non dire così..» pronunciò quelle parole come se ne dipendesse la sua stessa vita prima di avvicinarsi a me e cominciare a baciarmi il collo.
Scoppiai a ridere nervosa asciugandomi le lacrime, probabilmente se qualcuno ci avesse visti in quel momento sarebbe rimasto perplesso da quel quadretto ambiguo.
Ma infondo noi eravamo questi, non c’era niente di ordinario e standard in noi.
«Vuoi sapere cosa ho fatto oggi? Oggi ho avuto probabilmente l’occasione più importante della mia carriera, pensavo di averla sprecata e invece mi hanno appena chiamata per dirmi che tra tre mesi venderanno la mia prima collezione» annunciai tranquilla, riuscì appena a vedere la sua espressione stupita prima di voltarmi per dirigermi verso la cucina. Zayn mi seguì a breve distanza.
Presi dalla dispensa una bottiglia di spumante che ricordavo di avere e due bicchieri in cristallo dove versai un po’ di bollicine.
«Brindiamo! Brindiamo al mio successo e al fatto che tu ovviamente non ne sapessi niente, perché non ti è mai fregato un cazzo di me» conclusi alzando al cielo il mio bicchiere e facendolo scontrare con il suo che teneva a mezz’aria poco convinto.
Il mio affronto aveva colpito nel segno, Zayn non osava guardarmi negli occhi e il suo solito sorriso ironico era sparito del tutto.
«Mi dispiace..voglio festeggiare con te tutti i tuoi successi» farfugliò poco dopo con lo sguardo basso sul bordo del bancone in legno.
«Non fare promesse che non sei in grado di mantenere» gli consigliai bevendo in un solo sorso tutto il contenuto del mio bicchiere per poi versarmene dell’altro e ripetere lo stesso gesto.
Per una volta avrei voluto veramente condividere la mia felicità con lui, fare progetti, immaginarci il futuro insieme. Invece tutto ciò che mi spettava era quella ridicola farsa.
Il silenzio calò nella stanza. Afferrai il mio bicchiere e il suo ancora pieno e li svuotai nel lavello sotto la finestra prima di cominciare a lavarli, fuori potevo vedere le strade illuminate di Londra nelle quali correvano frenetiche decine di automobili e taxi.   
Il mondo andava avanti mentre noi consumavamo il nostro solito dramma personale e mi chiesi perché io non potessi continuare a muovermi con il resto dell’umanità invece di restare intrappolata insieme a lui. 
«Sai qual è la cosa che mi fa più male?» esordì Zayn avvicinandosi di poco a me «Il fatto che tu non credi più a niente di quello che dico … ed è tutta colpa mia» ammise probabilmente rivolto più a se stesso che a me.
«Forse perché ho già sentito almeno una volta tutto quello che hai da dirmi, sei un disco rotto Zayn» dissi mentre mi asciugavo le mani con uno strofinaccio che pescai alla mia destra.
Si era avvicinato così tanto che riuscivo a sentire il suo respiro sfiorare la mia spalla, di slancio strinse entrambe le mie mani tra le sue in un abbraccio scomodo.
«Ti amo … questo non te l’ho mai detto!» mi sussurrò all’orecchio e a causa di quella rivelazione il mio cuore perse qualche battito.
Non poteva essere, mi convinsi, lui non provava sentimenti.
«Non ti credo..» ripetei ancora mentre cercavo di liberarmi dalla sua stretta ma tutto ciò che riuscì a ottenere fu di voltarmi e ritrovarmi faccia a faccia con lui. «Perché non puoi farlo? Cosa devo fare per fartelo capire?» chiese prendendomi il volto tra le sue mani, le nostre fronti si sfioravano a pochi centimetri.
Per la prima volta riuscì a leggere nei suoi occhi ciò che stava provando, era una libro aperto e sembrava logorato.
«Sei mio?» quella domanda che tante volte lui aveva posto a me sfuggì dalle mie labbra dolcemente.
Mi pentì immediatamente di aver pronunciato quelle parole quando mi accorsi che lui aveva prontamente rialzato la sua corazza difensiva che per poco ero riuscita ad abbattere.
Zayn si allontanò repentino da me e si diresse all’entrata, ripescando dal divano il suo giubbotto di pelle che aveva lasciato lì distrattamente.
«Credo sia meglio che io vada via..» annunciò senza avere il coraggio di guardarmi.
«Lo vedi! Sei un codardo, hai paura! Ma ti giuro che se mi lasci questa volta..» urlai tra le lacrime ma non riuscì a finire la frase perché lui mi interruppe con un lungo bacio.
Riuscivo a sentire il sapore salato delle mie lacrime tra le nostre labbra mentre lui mi trasportava al piano di sopra nella mia camera da letto.
Conosceva la stanza talmente bene che non ebbe bisogno di accendere la luce per indovinare dove fosse il letto e lasciarmi cadere sul materasso morbido.  
«È tutto completamente sbagliato tra me e te» ammisi tra i sospiri mentre lui si apprestava imponente sopra di me a baciare ogni centimetro della mia pelle scoperta.
Era una vita che cercavo di scappare via ma forse non avevo mai voluto davvero lasciarlo. Forse ero semplicemente una masochista, amavo il modo in cui mi faceva del male.
«Io non riesco a starti lontano, senza di te mi sento perso.
Ho bisogno di sentirti dire che sono una merda, che mi odi ma poi di rendermi conto che non te ne andresti mai davvero via da me, perché qualsiasi cosa succeda in qualche modo io e te torniamo sempre. Sempre. Non importa quante volte ci pugnaliamo alle spalle, avremo sempre bisogno l’uno dell’altra» disse fermandosi per guardarmi negli occhi e nonostante tutto quelle parole bastarono per convincermi.
Quando mi risvegliai il mattino seguente mi voltai intorpidita sul fianco e vederlo lì disteso accanto a me mi fece sentire le farfalle nello stomaco dalla felicità. Era rimasto con me, non era andato via.
«Sei mia?» mi chiese prontamente quando si accorse che ero sveglia.
«Sono tua, completamente tua» dichiarai prima di sentirlo avvolgermi la vita con le braccia e abbracciarmi nel modo più dolce mentre le nostre gambe si intrecciavano sotto le coperte.
Ci sono persone che amano platealmente e altre che non sanno come dimostrartelo. Quella mattina ho capito che solo perché qualcuno non ti ama come tu vorresti non significa che non ti ami con tutto se stesso.

 





–––
contorta. ecco come mi sembra questa storia subito dopo averla riletta.
non lo so, l'avevo scritta tantissimo tempo fa e oggi ho sentito il bisogno di pubblicarla.
forse non piacerà a nessuno ma non importa, è una one-shot senza pretese. 
alla prossima, xx ♡

 
  
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