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Autore: __Mary__06    19/12/2014    1 recensioni
E finalmente trovava il coraggio di riprendere le sue colpe tra le mani, quelle mani che avevano premuto il grilletto troppe volte. I tacchi della donna creavano un suono simile ad un orologio, un orologio che aspettava la fine della sua carriera da assassino. I capelli biondi ondeggiavano lasciando un'aroma di erbe selvatiche. La verità era venuta a galla: era finita.
«Raccontami...»
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-Tratto dal capitolo due-
«E pensando al mio futuro, riposi la letterina nella scatola lasciandola cadere dolcemente sopra tante altre. Dovevano essere state almeno cinquanta, una per ogni volta che sentivo la mancanza di mia madre più degli altri momenti. »

-Tratto dal capitolo quattro-
«Volevo che crescessi forte e senza cuore perché chi ha un cuore, prima o poi, se lo ritrova a pezzi.»
Genere: Malinconico, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chianti, Gin, Korn, Vermouth, Vodka | Coppie: Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Raised by wolwes            Cresciuti dai lupi
stronger then fear          più forti della paura
If I open my eyes            Se apro i miei occhi
you are dissappear              tu sei scomparso
 (U2 - Raised by Wolves)             

Il vento penetrato dalla finestra mi scostava verso sinistra i capelli lunghi dalle spalle. Le mie spalle potevano sorreggerli facilmente: erano diventate larghe e forti. Avevo quindici anni.
Negli ultimi cinque anni ero cresciuto sia fisicamente che mentalmente. Dopo la morte di papà, cambiai moltissimo nel modo di pensare. Mio padre era una persona buona ed era stato assassinato, mia madre era una donna dolcissima ed era stata assassinata. Io, un vero e proprio agnellino, avrei fatto la loro stessa fine. La verità era che i buoni non sopravvivevano mai, i cattivi vincevano ed erano sempre i migliori. Era così per me, ormai.
 
Nobu, diventata il mio tutore, era stata come un’ombra maligna alle mie spalle. Viscida, ma non così tanto. Giorno per giorno era diventata per me una figura da imitare nonostante la odiassi. Mi piaceva il fatto che si sapesse far rispettare sempre, nessuno la contraddiceva. Quella persona cominciava a coinvolgermi…
 
Hisoka frequentava l’ultimo anno di scuola materna. Non ero molto partecipe della sua vita, ma sapevo per certo che, compiuti i nove anni, sarebbe partita per Okayama. In quella città avrebbe imparato “qualcosa di utile”, così dicevano. Conoscendo Nobu e i suoi amici, non sarà niente di utile al bene. Avrebbero sacrificato quel faccino d’angelo a scopi non buoni, quella testolina castana. Dicono che suo padre, quarantenne piuttosto taciturno, la porterà “verso la sua strada”.
 
Comunque sia, quella mattina di settembre faceva caldo e uscii di casa con le maniche della giacca della divisa rimboccate fino ai gomiti. La città era sveglia: genitori, bambini, lavoratori, adolescenti. Io, però, non ero di buon umore, come ogni giorno da cinque anni. Anche il rumore dei miei passi sull’asfalto m’infastidiva terribilmente. Era presto e ne approfittai per farmi un tiro. Svoltai l’angolo per giungere in una strada più isolata con lo zaino che urtava ogni singola cosa. Estrassi dalla tasca dei pantaloni un accendino e il pacco di sigarette che tenevo sempre con me, ne accesi una e la fumai. Da qualche anno avevo il vizio di fumare molto spesso e non me ne vergognavo: mi aiutava a calmarmi e, il fumo che usciva dalla mia bocca, mi sembrava parte dei miei problemi che volava via con esso. Sapevo che non era il massimo per la mia salute, ma non importava.
 
Alla seconda sigaretta, mi sorprese una persona che avrei preferito non incontrare.
“Da quando sei diventato una ciminiera?” chiese ironico.
“Vai via…” mi limitai io profondamente irritato.
“Altrimenti? Scrivi una letterina alla mamma?” rise. Divenni furioso…In seconda media aveva trovato alcune mie lettere. “Ah ah, che idiota…tua madre è morta…non può risponderti, o non ci credi ancora? Rassegnati al fatto che quella donna abbia fatto la fine che meritava dopo aver partorito un moscerino…Ah ah.”
Kei continuava a prendersi gioco di me e di mia madre. Altro che sigarette: Kei…era troppo!
“Ciccione di merda, non ti permettere mai più!” e lo spinsi sul malridotto asfalto della viuzza con violenza. Mi misi a cavalcioni su di lui e iniziai a prenderlo a pugni: sul volto, sulle spalle, sul petto finché ne ebbi forza. Alla fine mi alzai; Kei era a terra ansimante con il sangue che colava dal naso e i lividi che principiavano a farsi vedere. Perdeva molto sangue, ma tentai di infischiarmene. Kei si agitò quando si rese conto della situazione. Prese a piangere come non avevo mai visto fare da lui. Solo allora smisi di fingere.
 
Riuscii a farlo sedere per terra asciugandogli il sangue con tutti i fazzolettini che avevo fino ad utilizzare la mia stessa giacca. Avevo esagerato con lui. Dopo un quarto d’ora, riuscii a far smettere di sanguinare le sue ferite. Kei mi fissava mentre tamponavo ciò che gli avevo procurato io. Mi rialzai e gli tesi la mano affinché potesse farlo anche lui. Si mise in piedi e, con lo sguardo abbassato, tentò di parlarmi. Io, non so perché, non riuscivo ad accettare di averlo aiutato e non gli feci finire neanche la prima parola.
“An…” sentii solo questo dalla bocca di Kei prima di diventare invisibile ai suoi occhi.
 
Dopo la scuola, tornai a “casa” pensieroso. Avevo avuto una prima mattinata movimentata e non ero sicuro nemmeno che quella dove ero arrivato fosse la casa giusta. Appena sul portone, Nobu con Hisoka per mano, mi vennero incontro.
“Andiamo Koichi-kun, dobbiamo assistere ad un concerto.” mi disse Nobu con aria indifferente. Ero sorpreso: Nobu che ci portava ad un concento, roba da matti!
Abbandonai lo zaino nel corridoio e la seguii verso la macchina. Dopo dieci minuti arrivammo al teatro dove si sarebbe svolto il concerto di una grandiosa cantante.
 
Nobu prese i posti per tutti e tre e attendemmo l’inizio del concerto. Si trattava di una cantante di ventitre anni sposata, Moe Okino.
“Sapete, Moe è al sesto mese di gravidanza: aspetta una bambina. La sua voce è qualcosa di magnifico ed è molto famosa in tutto il Giappone. Dicono che potrebbe cantare qualsiasi cosa, dalla lirica al rap…” ci raccontò Nobu. Quella donna non mi convinceva: troppo serena e dolce con noi.
Un uomo sulla cinquantina presentò la cantante che non esitò a esibirsi. Moe era una donna molto bella. Ricordo che portava i suoi capelli castani raccolti in uno chignon, indossava un abito rosso fiammeggiante lungo fino ai talloni che le evidenziava il pancione.
“Quando sarò grande avrò una figlia bellissima! Si chiamerà Chou.” sussurrò al mio orecchio Hisoka. Povera piccola, avrebbe avuto i sogni infranti..
 
Moe cantò divinamente e ogni tanto posava una mano sul pancione come per controllare se sua bambina la stesse ascoltando o meno. Io rimasi insensibile a quella scena così dolce.
Tuttavia, la prima canzone mi piacque. Si chiamava “Far” e aveva un andamento tranquillo, quasi come una coccola. Sì, come quelle di mia madre tanti anni prima.
Pensandoci, ricordai che erano circa due anni che non scrivevo più alla mamma.
 
 
Mi sentivo troppo grande per quelle cretinate, ma a momenti ne sentivo ancora il bisogno. 


 




 
Al prossimo capitolo...
 
  
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