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Autore: Durhilwen    19/12/2014    3 recensioni
Qui non troverete nessun principe elfico, nessun mondo da salvare, e assolutamente nessuna damigella in pericolo.
Perché questa è la storia di come dalla Morte sboccia la vita, dagli errori il perdono, e dall’odio... l’amore.
E’ la storia di un Orco come mai l’avete visto prima d’ora.
-
E’ collegata in ordine cronologico a “la scelta giusta”; vi consiglio di leggere prima la Flashfic appena citata, se avete intenzione di continuare.
Genere: Avventura, Fantasy, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Galadriel, Nuovo personaggio, Orchi
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia carissima "mamma" Dìs, detta anche Leila, Benni, amica.

Capitolo quarto: "Lo straniero che divenne quasi mio amico".

 

La mia testa era piena di nozioni sulla Grecia e riguardo i suoi abitanti: non ne potevo più.
Da quasi un mese, ogni giorno Namìvya veniva da me con passo leggero, portandomi vestiti strani, cibo e acqua, insegnandomi tutto ciò che sapeva sulla sua amata Grecia e sugli usi e i costumi delle persone che la popolavano.
 
Avevo imparato i nomi dei loro dei, la geografia della zona, le città più influenti, le preghiere, le diverse classi sociali, e molto di tutto ciò mi sembrava ingiusto.
“Scusa, ma perché tu vieni considerata meno importante delle altre donne?
Qual è la differenza tra te e loro?
E soprattutto, perché l’uomo è dominatore e non marito della sua stessa moglie?
C’è qualcosa che non funziona, nel vostro modo di pensare.”
Le ponevo questo tipo di domande spesso, ma lei non rispondeva, sviando e cambiando in fretta argomento.
Finché arrivò il giorno in cui, per la prima volta, conobbi quel lato del suo carattere che aveva tentato di nascondermi tempo addietro.
 
Era una mattinata di mezz’estate, la nostra lezione del giorno verteva sulla politica: ma lei era continuamente distratta, perdeva il filo del discorso e dimenticava spesso ciò che doveva dirmi.
Ad un certo punto si bloccò, mi fissò con eloquenza e disse: “Ancora non mi fido di te, sia chiaro. Ma sono certa che se gli dei hanno voluto questo, deve esserci un motivo ben preciso.
Ho intenzione di parlarti di me, voglio rispondere alle tue domande.”
Tutti gli strani nomi che fluttuavano nella mia testa sparirono all’istante, drizzai le orecchie e sedendomi, le feci cenno di proseguire.
Si torceva le dita nervosamente, come se volesse liberarsi di una terribile verità, ma non avesse il coraggio di proferire parola: i suoi occhi saettavano ovunque, sbuffava e si mordeva il labbro inferiore.
Poi continuò: “Promettimi che non te andrai da me, dopo aver sentito la mia storia.”
Ecco la debolezza che aspettavo, il dolce imbarazzo di una ragazza di quindici anni.
Le sorrisi senza dir nulla e lei sembrò convincersi, iniziando a raccontare.
 
Namìvya era “nata per errore” secondo la sua gente: suo padre era un soldato greco di indole violenta, sua madre invece una prostituta egiziana giunta laggiù su una nave di schiavi.
Non conosceva il suo nome, sapeva solo che l’aveva abbandonata subito dopo il parto, offrendole nient’altro che una vita d’inferno.
La balia che aveva deciso di crescerla era una “commerciante”: scambiava tutto ciò che poteva con oro, favori, segreti di stato.
E Namìvya non era altro che  una schiava, nelle sue mani.
Presto sarebbe rientrata nella categoria “merce vendibile”.
 
“E sai che c’è? Che sono d’accordo con te!” era livida di rabbia: “Nulla  di tutto ciò è giusto, noi donne dovremmo essere considerate alla pari di voi uomini!
A Sparta, ho sentito dire, le ragazze possono allenarsi in tutte le discipline: perché noi no?
E soprattutto, perché non posso dire liberamente ciò che penso? Nessuno vuole darmi retta! Il mondo sembra così preso da questa “democrazia” che non si accorge di quanto in realtà non ci sia giustizia!”
Era fuori di sé; gesticolava, andava avanti e indietro senza sosta, batteva i piedi con rabbia crescente.
Poi si bloccò, con la testa tra le mani: “Ti prego” sussurrò “non prendermi per pazza…”
Feci mente locale, cercando di elaborare qualcosa di intelligente da dirle: mi alzai piano e mi avvicinai a lei con circospezione e un mezzo sorriso; le sfiorai la spalla con delicatezza: “Nulla di tutto ciò che diremo o faremo dovrà uscire da qui, me l’hai detto tu.
Perché dovrei allontanarti? Dopotutto sei come me, sei… un po’ diversa.”
Mi squadrò con curiosità: “Tu ancora non hai raccontato nulla della tua vita, o meglio, nulla di preciso e comprensibile.
Parla, dunque, poiché desidero ascoltare la storia dello straniero che divenne quasi mio amico” ridacchiò.
Rimasi sorpreso da queste parole, e lei si accorse della mia strana espressione: arrossì lievemente e si sedette, distogliendo lo sguardo e spianando le pieghe della veste: “Beh, si, insomma, sbrigati che non ho tutto il giorno…”
 
Iniziai il mio racconto: narrai della mia vita a Mordor, del sogno, del viaggio che feci quella notte accompagnato dalla Dama Bianca.
Namìvya era estasiata, ed in qualche modo credeva in ciò che andavo blaterando senza sosta.
Mi riempiva di domande sulla Terra di Mezzo, sui suoi abitanti e su qualsiasi altro dettaglio, compresi quelli insignificanti.
“Potrò mai visitarla? Vorrai portarmici?” chiese infine.
Le presi la mano, titubante, sussurrando le due parole che riuscirono a farla sorridere: “Ma certo!”
Ricordo che le brillarono gli occhi di libertà.
 
Continuai a narrare ancora per molto, ma il tasto dolente prima o poi sarebbe giunto comunque: “Come mai quel giorno eri così sorpreso del tuo aspetto?”
Colpito e affondato.
Cosa avrei potuto dirle?
Che ero un mostro, in realtà?
Che l’odore della sua pelle così liscia mi faceva tremare il palato?
Cos’altro?
Una vocina insidiosa si faceva largo nella mia testa: la verità, nient’altro che la verità, come lei ha fatto con te.
 
Dopotutto, in che altro modo me ne sarei liberato? Mentendo per sempre? No…
 
Usavamo dei fogli chiamati “papiri” e dei carboncini per le nostre lezioni, così ne presi uno e disegnai, poiché non sarei stato in grado di descrivere un bel niente: l’orrore del mio vecchio corpo si riversò su quella sottile sfoglia ingiallita.
Terminato lo schizzo, la guardai: “Promettimi che non te ne andrai da me, dopo aver visto questo…”
Namìvya sorrise incerta, poi annuì.
Feci un respiro profondo e girai il foglio: quel millisecondo di stallo sembrò non finire mai.
Lei si bloccò, poi prese il disegno con calma; mi guardò serenamente, e spalancò le braccia: “Direi che sei davvero cambiato da allora, non trovi anche tu?!”
Piegò il papiro e lo ripose tra le sue vesti, alzando le spalle: “Non mi importa cosa ti è successo, o cosa sei stato prima di divenire uomo.
Adesso ti credo, come tu hai fatto con me.
Se davvero entrambi vogliamo uguaglianza, dobbiamo iniziare dalle basi.
Questa lezione è stata probabilmente la più importante di tutte; domani ti porto in giro, che ne dici?”
 
Ero completamente sconvolto, mi fischiavano le orecchie e improvvisamente mi si era seccata la lingua.
“Ma certo!” farfugliai indistintamente.
Lei sorrise e si diresse verso la palizzata ricoperta dall’edera.
Anche io presto l’avrei oltrepassata, ma cosa mi avrebbe mostrato? Dalle parole di Namìvya sembrava ci fosse qualcosa di meraviglioso al di fuori del giardino nascosto…
 
Dovrei ascoltare più spesso le strane voci che mi danno consigli assurdi, pensai infine, ma ancora non sapevo quanto mi stessi sbagliando.


 




Angolo dell'autrice.
 
Non uccidetemi, abbiate pietà!
Lo so, lo so... vi state chiedendo se prima o poi arriverà un po' di azione, o se dovrà andare avanti così...
non disperate, nel prossimo capitolo saranno altrove(?), ma non vi dico altro.
Dopotutto prima dell'inizio ufficiale della storia ci deve essere qualche frase lasciata a metà per destare la curiosità del lettore... non è vero?
Siete liberi, ancora una volta, di lanciare tutti gli ortaggi che volete! *spalanca le braccia con aria solenne*
Ringrazio le persone che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono/leggono in silenzio la mia storia: mi rendete felici! *abbraccia tutti*
 
Un bacino,
Durhilwen
 
 
Ps.
Non so se riuscirò a pubblicare prima del 25, non credo: in tal caso, auguro ad ognuno di voi e alle vostre famiglie un sereno Natale, un felice inizio 2015... e una quantità industriale di panettoni, pandori, torroni, cioccolatini e chi più ne ha, più ne metta!
   
 
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