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Autore: HannibalLecter    19/12/2014    0 recensioni
Charlotte Addams, nonostante condivida il cognome con una delle famiglie più lugubri della tv, è un'allegra e sbadata maestra che ama i cartoni animati, i colori pastello e i cereali al miele per bambini.
Trovatasi senza un tetto sopra la testa si imbatte per caso in tre ragazzi alla disperata ricerca di un coinquilino.
Nathaniel, Maximilian e Jacob si ritroveranno così a dover fare i conti con l'incontenibile vitalità della ragazza, che spesso li trascinerà in vere e proprie follie.
Tra missioni impossibili, piante carnivore, gatti obesi, nuovi amori, gite all'Ikea e bagni nell'oceano riusciranno a convivere?
[Mi sono chiaramente ispirata alla serie Tv 'New Girl']
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Oro o rosso? Rosso o oro?
Altro che essere o non essere il vero dilemma era di che colore fare l’albero di Natale.
Le feste si stavano avvicinando e io, da vera folletta mancata di Babbo Natale, stavo già progettando la scaletta della festività più bella che ci sia.
«Ragazzi, voi che fate il 25?», chiesi, curiosa di essere messa al corrente dei loro progetti natalizi.
Nate e Jake, ipnotizzati dallo schermo della tv e dal videogioco idiota per bambini di otto anni a cui stavano giocando, ignorarono bellamente la mia domanda, troppo impegnati a lanciare torte in faccia al povero omino bersaglio virtuale.
Max, nascosto come sempre dietro ad uno dei suoi benedetti libri da intellettuale, mugugnò un distratto: «Festeggio Natale».
Grazie tante, ero proprio convinta che il 25 dicembre si festeggiasse la nascita di San Paolo! Vivere con loro era un vero e proprio toccasana per il mio cervellino che, confrontato con il loro, pareva simile a quello di Albert Einstein.
Sbuffai e decisi di passare alle cattive maniere, piazzando la mia silhouette tutt’altro che invisibile davanti alla televisione in modo da impedire loro di continuare ad ignorare la mia presenza.
Zittii le loro proteste domandando minacciosa: «Che cosa avete intenzione di fare per Natale??».
Nate sbuffò: «Mamma farà il solito pranzo con diecimila invitati, novemila novecentonovantanove dei quali ai miei occhi saranno perfetti sconosciuti, e cercherà di accasarmi con lontane cugine con gambe di legno, occhi di vetro o dentiere».
«Wooo sono ricche almeno?», si informò Jake.
«Schifosamente aristocratiche», rispose sogghignando Nate, «Motivo per cui prima o poi cederò alle loro avances…», concluse il grande saggio.
Quando si dice che al peggio non  c’è mai fine secondo me si riferivano a questi esseri con cui ho la sventura di condividere l’appartamento.
«Bè, allora potrei chiedere a tua mamma di aggiungere un posto a tavola per me».
Ormai non perdevo neanche più tempo ad indignarmi di fronte alle loro uscite alquanto infelici. Potevo rimproverarli finché volevo ma loro avrebbero continuato imperterriti a suonare ai campanelli dei condomini e a scappare lasciando a me gli insulti degli abitanti del palazzo e a travasare il balsamo nel barattolo del bagnoschiuma e lo shampoo in quello della crema corpo. Idioti si nasce e idioti si muore a quanto pare. E io nonostante tutto volevo loro un gran bene e me li tenevo così: difetti e stramberie comprese. Da quando ero diventata così sentimentale?! Ahhh, lo spirito del natale si stava impossessando di me.
«Max, ti prego, dimostrati più maturo di questi due e pronuncia qualcosa di sensato», lo pregai.
Lui abbassò il libro e mi scrutò per qualche secondo, prima di dedicarmi un ghigno malefico a trentadue denti ed esclamare: «Nat, c’è posto per me a casa tua?».
Afferrai la prima cosa che mi capitò sottomano e gliela lanciai dritta in faccia. Lui ovviamente la prese al volo, una frazione di secondo esatta prima che lo colpisse sulla fronte. Maledetto il suo passato da giocatore di baseball.
«Charlie non essere gelosa su, se può interessarti ho anche un prozio alquanto benestante e relativamente giovane!», esclamò tutto pimpante Nate come se questa notizia sensazionale avrebbe dovuto riempire il mio cuore di gioia incontenibile.
«Mmh giusto per curiosità, quando parli di ‘relativamente giovane’ cosa intendi?», mi informai sospettosa.
Lui si spaparanzò bello come il sole a pancia in su gettando Jake giù dal divano e mettendo i piedi in faccia a Max che lo colpì prontamente in testa con il suo tomo.
«Ahi!», protestò lui, «Zio Hugo non ha ancora novant’anni. Un giovanotto insomma!».
Giovanotto di settant’anni fa! Scrollai le spalle esasperata e mi diressi in camera decisa a non abbassarmi al loro livello e a cavarmela da sola.
Mi sfilai la morbida tuta di ciniglia color ciliegia che indossavo come tenuta domestica e la sostituii con una gonnellina scozzese abbinata ad un semplice cardigan verde bosco, che riprendeva la tonalità del tartan. Infilai gli stivali e il cappotto e afferrai la mia fidata borsetta a tracolla, accertandomi che ci fosse qualche banconota al suo interno. Mi diressi decisa verso l’ingresso cercando di non degnare neanche di un’occhiata quei tre bradipi che avevano fondato una colonia nel mio soggiorno.
Mi chiusi la porta alle spalle e chiamai l’ascensore.
Mi diressi alle scale sbuffando dopo aver passato tre minuti buoni a fissare le porte metalliche. Vivere al settimo piano era bello perché riuscivi a vedere il mare dalla terrazza ma diventava un inferno se avevi un vicino che occupava 24/24 l’unico ascensore del palazzo per portare su e giù in continuazione sua nonna in carrozzina.
E cosa potevi dire ad un’anziana disabile il cui unico divertimento consisteva in viaggi in ascensore?
Trotterellai fino all’ingresso e mi diressi sorridendo verso la cassetta della posta ricoperta di scotch corrispondente al nostro loft.
Sorriso che morì in una frazione di secondo sulle mie labbra non appena mi resi conto che cosa fossero quei giornali e dépliant che intasavano la nostra cassetta fino quasi a farla scoppiare. Accidenti a loro e ai loro giornaletti ‘da maschi’ con donnine svestite e segreti per farsi venire la tartaruga. Evidentemente i consigli delle loro riviste da due soldi non funzionavano perché io più che tartarughe ed addominali scolpiti, quando facevo la coda in bagno per la doccia, vedevo pancette e rotolini di ciccia in abbondanza. Sul fondo metallico giaceva una busta tutta stropicciata, che si rivelò essere un richiamo per non aver pagato il conto di luce e gas dell’ultimo trimestre. Doppio accidenti a loro! Avevo fatto un cartello gigante e colorato, con tanto di frecce, post-it e brillantini, con la tabella di divisione dei compiti ma l’unica cosa a cui era servita era a fare da lettiera alla famiglia di criceti di Polly, ultima fiamma di Jake.
Contai fino a cento nella mia mente per cercare di ritrovare un po’ di calma ed evitare di risalire alla velocità della luce le scale e trascinarli per le orecchie a pagare la bolletta arretrata.
È natale, Charlie, è natale, mi ripetei come un mantra nella mente per convincermi che potevo farmi contagiare dall’imminente arrivo delle feste ed essere più buona e permissiva.
Uscii dal portone d’ingresso e respirai a pieni polmoni l’aria frizzante di quella mattinata di dicembre. Adoravo San Francisco proprio per il suo clima sempre mite: niente inverni con freddo polare e tempeste di neve o estati roventi e siccità.
Mi guardai intorno e alla sola vista della renna gonfiabile nel giardino del Signor Martin, nostro dirimpettaio, un sorrise nacque spontaneo sul mio viso.
Due mani sbucarono all’improvviso e mi avvolsero intorno al collo la mia morbida sciarpa di lana rossa.
«Perché sorridi?»
Mi voltai e il mio sorriso si allargò ancora di più nel vedere il naso arrossato e i capelli spettinati di Max.
Indicai la strada e risposi stringendomi nelle spalle: «Adoro l’atmosfera di dicembre».
Ed era vero: le lucine colorate che costellavano le case, il profumo dei biscotti allo zenzero decorati con la glassa colorata, l’attesa dei bambini per l’arrivo di Babbo Natale e dei tanto attesi doni, l’ansia di non riuscire a comprare tutti i regali e preparare tutto per il cenone della vigilia, le classiche canzoni natalizie che ti mettevano di buonumore, il tempo trascorso in casa, magari davanti ad un caminetto, insieme alle persone a cui vuoi bene. Tutto ciò mi faceva stare bene e mi faceva tornare un po’ bambina.
Lui rispose con un sorriso sghembo e prendendomi per mano esclamò: «Allora, Grande Puffo, dove andiamo a prendere l’albero?».
«Da dove spunta tutta questa voglia di accompagnarmi?», domandai sospettosa.
Solo due minuti prima era sprofondato sul divano a leggere il suo libro e a dare manforte agli altri due tontolotti nel prendersi gioco di me e ora spuntava senza preavviso. I suoi cambi repentini mi disorientavano a volte e mi facevano anche venire mal di testa perché faticavo a stargli dietro.
Max era un eterno indeciso; una volta per colpa sua e del suo non saper decidersi tra gli involtini primavera e i noodles  avevamo creato una coda di trenta persone al ristorante cinese ed eravamo stati letteralmente sbattuti fuori dal proprietario.
«Su, Chas, non fare la donna emancipata ed indipendente a tutti i costi! Come avresti fatto a portare a casa un abete alto due metri?», chiese retoricamente sogghignando.
Sbuffai e borbottai: «Non sottovalutare la mia forza».
Lui ridacchiò divertito: «Oh, io non la sottovaluto, anzi, infatti ti farò portare le palline di natale al ritorno».
Gli tirai uno scappellotto, e per farlo dovetti alzarmi sulle punte, ma lui scansò prontamente la mia mano.
Sbuffai infastidita e lo strattonai affinché si fermasse ad aspettare che il semaforo diventasse verde. Lui brontolando mi intrappolò a tradimento tra le sue braccia e mi caricò sulla sua schiena, attraversando la strada, ignorando bellamente le mie proteste.
Infuriata iniziai a scalciare e a tirargli i capelli, urlandogli nelle orecchie: «Neanche i miei bambini fanno così! Anche perché se osano attraversare anche solo con il giallo gli piazzo una bella nota disciplinare sul diario! E se ci investivano?».
«Fossi in te smetterei di agitarmi tanto; se ben ricordo indossi una mini gonnellina e dietro hai un pubblico: non vorrai traumatizzare dei bambini innocenti e puri vero?», mi provocò non accennando a fermarsi e a farmi scendere.
Le mie mani corsero istintivamente al mio fondoschiena e incontrarono la stoffa pesante del mio cappotto.
Questa volta nessuno si frappose tra la mia mano e il retro del suo collo e così SLAP, gli diedi una sberla, giusto per punirlo almeno per lo scherzetto finale.
Poco dopo arrivammo davanti al grande magazzino verso cui eravamo diretti e ci dirigemmo, o meglio io mi diressi sempre in groppa al mio cammello personale, verso il reparto dedicato al natale e alla decorazione della casa.
Una cinquantina di alberi delle più svariate misure facevano bella mostra di sé, piccoli, giganti, verdi, innevati, con pigne o senza, ma tutti tristemente di plastica.
Ero così impegnata a guardare con disappunto quegli alberi finti che quando il mio sedere si abbatté dolorosamente sul pavimento di linoleum del reparto ci impiegai qualche secondo a capire cosa fosse accaduto.
Balzai in piedi e mi scagliai contro quel troglodita che mi aveva scaricata senza preavviso.
«Brutto bambino cattivo che non sei altro!», esclamai riempiendo di pugni il suo petto, dato che il suo viso era decisamente troppo in alto per i miei standard di pigmea, «Babbo Natale non i porterà niente perché sei incredibilmente dispettoso e idiota e non dico di peggio solo perché so che alle tue spalle c’è un bambino che mi sta guardando spaventato e non voglio spaventarlo e rischiare di far arrabbiare Babbo Natale e non ricevere una nuova canna da pesca», esclamai tutto d’un fiato.
Lui si voltò ad incontrare gli occhioni spalancati di un piccoletto di circa cinque anni che ci fissava e io in quel momento ne approfittai per assestargli un bello spintone finale approfittando della sua momentanea distrazione.
Lui perse l’equilibrio e, contro ogni mia aspettativa, caracollò in avanti e cadde tra gli alberi di natale.
Presa in contropiede mi affrettai ad allungare una mano per aiutare Max quando il bimbo si mise a strillare: «Signore, non farlo! Quella donna è pericolosa, non appena ti alzi lei ti prende e con la presa del cobra ti spezza il collo».
Entrambi lo guardammo stupefatti. Come facevano un bimbetto a sapere quelle cose?
Lui si accorse del nostro sguardo perplesso e si strinse nelle spalle con aria furbetta: «Mamma pensa che io guardi Peppa Pig ma poi io giro e guardo il uesling!», spiegò contento.
«Wrestling?», domandai dubbiosa.
Lui mi guardò minaccioso: «Non mi credi? Se voglio ti metto al tappeto!».
Grazie al cielo arrivò sua madre che dopo averci lanciato un’occhiata di rimprovero lo trascinò via.
Una risata proveniente da quel folto bosco di plastica mi fece voltare.
«Ora anche i bambini ti minacciano e ti sfidano a lottare con loro, sapendo di avere già la vittoria in mano ovviamente!», mi prese in giro il gentiluomo degli alberi di natale.
«Taci!», gli intimai, «Alzati da lì e andiamo a cercare un abete vero e proprio».
Lui mi raggiunse e mi spettinò affettuosamente i capelli prima di depositare un bacio sulla mia testa e mormorare sottovoce: «Permalosa».
Nascosi un sorriso e segui la freccia che indicava il giardino interno del negozio dove capeggiavano bellissimi e imponenti decine e decine di splendidi abeti in vaso.
«Ora si che si ragiona!», esclamai contenta avvicinandomi per leggere le etichette dei prezzi.
«Io ho sempre avuto un mini albero di plastica biodegradabile comprato alla bancarella dell’Unicef», commentò piano Max alle mie spalle.
«Come mai?», gli domandai mentre gattonavo tra due vasi alla ricerca del benedetto cartellino che mi avrebbe rivelato che non potevo permettermi quel meraviglioso albero.
«I miei oltre ad essere un po’ hippie sono anche ecologisti e ambientalisti, oltre che un sacco di cose che finiscono con -isti», borbottò come a scusarsi.
«Noi invece ogni anno andavamo a prendere un abete enorme e lo decoravamo con tutti gli addobbi di cristallo di nonna, era meraviglioso», esclamai sognante, «Questo però era prima del divorzio, poi non ci sono più stati né gli abeti veri né le decorazioni di cristallo», conclusi in tono amareggiato.
Perché dovevo rovinarmi l’umore per pensare a cose successe secoli fa? Cose che non avevo ancora accettato e superato ovviamente ma che cercavo di tenere sepolte molto profondamente.
Strappai il cartellino e mi rialzai in piedi: «Costa troppo, andiamocene», esclamai rapidamente, il buonumore sparito nel giro di pochi istanti.
Poco distante da noi c’era una famigliola che stava decidendo di che dimensione acquistare l’albero. Osservai il braccio del marito, amorevolmente allacciato attorno ai fianchi della moglie, la quale sorrideva mentre rifaceva rapidamente la treccia a sua figlia. La bambina guardava sognante verso l’albero più grande presente nel giardino e  tirava la manica della giacca di suo papà per mostrarglielo.
La bambina avrà avuto otto anni, l’età che avevo io quando i miei genitori si separarono. Osservai quasi invidiosa quell’attimo cristallizzato di felicità familiare e, come avevo già fatto migliaia di volte volendo farmi del male da sola, provai a immaginare come sarebbe stata la mia vita se la mia famiglia fosse rimasta unita. Probabilmente sarei rimasta a Boston. Ma non è con i se e i probabilmente che si va avanti. Scossi impercettibilmente la testa e voltai le spalle alla famigliola allegra.
Una mano mi afferrò il polso, costringendomi ad arrestare la mia fuga.
Max mi sollevò il mento e mi guardò preoccupato: «Charlie, tutto bene?».
Sorrisi debolmente per rassicurarlo. Che senso aveva oscurare quella bella mattinata con un ricordo di anni prima? Ormai avevo imparato a convivere con quel senso di non appartenere a nessun luogo, eredità del mio continuo peregrinare tra due città, due case, due genitori.
«Comunque, leggi là!», esclamò per stemperare la tensione, indicandomi un cartello color oro appeso alla parete.
 
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Rilessi sempre più perplessa. A cosa ci servivano due alberi di Natale? Il nostro soggiorno strabordava di oggetti inutili già così. C’era il tapis roulant di Jake, il pianoforte di Max, l’angolo meditazione di Nate e la zona dove io stavo facendo un puzzle da 5000 pezzi.
«Vado a cercare un commesso», mi informò tutto contento Max, «Quest’anno avrai un albero come quello di quando eri una bambina, te lo prometto».
Gli gettai le braccia al collo e lo strinsi forte. Sprofondai il naso nel suo collo e gli sussurrai piano all’orecchio: «Grazie».
 
 
«Bè, non potremo più guardare fuori dalla finestra…»
«E giocare a Just Dance…»
«E fare lo yoga mattutino…»
«E accarezzare il tappeto…»
«Jake, perché mai dovresti accarezzare il tappeto?!», domandai perplessa.
Lui mi guardò con il suo solito sguardo da cucciolo: «Perché è morbidoso».
Beata innocenza!
«Potremmo provare ad infilarci tra i rami degli alberi e sdraiarci sul tappeto a guardare dal basso verso l’alto le lucine…», tentò.
Io gli sorrisi angelica: «Puoi provarci, ma ti avverto: fai cadere anche solo un angioletto di cristallo e userò te come tappeto morbidoso!».
Nat continuava a guardare preoccupato gli alberi di natale giganti che occupavano metà soggiorno: «Dovrei assicurarli? Ho come l’impressione che siano i migliori amici degli incendi».
Ma perché invece di essere contenti trovavano problemi inutili dove non ce n’erano?
«Non prenderanno fuoco», lo assicurai.
«Ehm…in verità lo hanno già fatto…», balbettò impaurito.
COSACOSACOSA???
Mi avventai su di lui: «Come, quando, dove, perché???», strillai scrollandolo.
Lui tentò invano di sottrarsi alla mia presa.
«Stavo salutando il sole che tramontava e discutevo con il mio io quando…ehm uno dei bastoncini di incenso ha appiccato il fuoco all’albero», cercò di giustificarsi.
Ma non c’era giustificazione per il delitto da lui commesso.
Corsi in soccorso del mio povero ed amatissimo albero #1 e quando mi sporsi per vederne il retro feci un balzo all’indietro. Orrore e raccapriccio. La parte inferiore del retro dell’abete era completamente carbonizzata.
«Nat, per farti perdonare dovrai comprarmi un super regalo per natale e ringrazia il fatto che ho fatto la promessa di essere più buona in questi giorni altrimenti alla vigilia avrei sfoggiato i tuoi bulbi oculari come orecchini!».
«E quando avresti fatto questa promessa?», domandò offeso Max, con cui non ero stata propriamente carina.
«Dopo averti gettato tra gli alberi di natale», risposi facendogli una linguaccia, «Su, andiamo a preparare i biscotti che tra poco arriva Kim. Nate, metti il cd di natale per favore».
E così ci spostammo tutti allegri in cucina.
Eh si, il natale si avvicinava.







Perdonate, se potete, l'assenza prolungata.
 
  
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