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Autore: Dicembre    09/11/2008    4 recensioni
Inghilterra, 1347.
Di ritorno dalla battaglia di Crécy, un gruppo di sette mercenari è costretto a chiedere ospitalità ed aiuto a Lord Thurlow, noto per le sue abilità mediche. Qui si conoscono il Nero, capo dei mercenari, e Lord Aaron. Gravati da un passato che vorrebbero diverso, i due uomini s'avvicinano l'uno all'altro senza esserne consapevoli. Ne nasce un amore disperato che però non può sbocciare, nonostante Maria sia dalla loro parte. Un tradimento e una conseguente maledizione li poterà lontani, ma loro si ricorreranno nel tempo, fino ad approdare ai giorni nostri, dove però la maledizione non è ancora stata sconfitta. E' Lucifero infatti, a garantirne la validità, bramoso di avere nel suo regno l'anima di Aaron, un prescelto di Dio. Ma nulla avrebbe avuto inizio se non fosse esistita la gelosia di un mortale. E nulla avrebbe fine se la Madonna e Lucifero fossero davvero così diversi.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In effetti Aaron e Nero sono un tantino esasperanti XD Ma dovete anche capirmi, era un po' più inesperta da una parte e - soprattutto - il mio intento era proprio quello di creare una trama  in cui i protagonisti non osano nemmeno sfiorarsi, perchè vivono in un mondo troppo fragile... Sì, ovviamente non sarà, per sempre, così. altrimenti mi meriterei la gogna XD

Capitolo Venti 

- Di noi -

 

 

Prima di uscire dalla propria stanza, Luppolo si guardò intorno, come se stesse vedendo quell’ambiente per la prima volta.

S’era spezzato qualcosa in lui, l’equilibrio che aveva trovato s’era rivelato troppo fragile ed era andato in frantumi. E questo non andava bene. Era imbarazzato e arrabbiato con se stesso per aver pianto per niente, come solo uno sciocco avrebbe fatto. Era irritato per non essere stato in grado di ricostruire la serenità che aveva prima di quel bacio.

Lo maledisse. S’augurò di non averlo mai dato e, sottovoce, imprecò anche contro Cencio, con un moto di stizza ingiustificato.

Era successo tutto troppo velocemente e Luppolo s’era trovato spiazzato.

Picchiò un pugno sul muro.

Quale follia l’aveva colto per chiedere a Cencio un bacio?

Ora, la stabilità di cui tanto andava fiero s’era dissolta, ma si ripromise di ricrearla e riottenerla subito.

Niente più sogni, niente più desideri, ma soprattutto niente più lacrime.

 

 

La tavola era imbandita, c’era frutta fresca nel centro, uva nera traboccava dalle fruttiere, noci e nocciole adornavano i vasi e ghirlande di fichi circondavano i candelabri fra le composizioni floreali.

C’erano maialini al latte ricoperti di crema, frittelle in pastella alla panna e mirtilli pestati, c’era vino del sud e la birra del convento di Saint George.

Cencio non poteva credere ai propri occhi.

“In tutta la mia vita, non avrei mai creduto di vedere così tanto cibo tutto insieme!”

“Cencio, ricordati che devono mangiare tutti…”
”Ce n’è così tanto!”
”Se non ti freno, so che potresti ingurgitare metà delle pietanze sulla tavola”
”Ohhh” continuò Cencio estasiato “guarda cosa arriva!”

Vennero portati altri vassoi.

“Zuppa di cardo con uova e polpettine, mele ripiene… Luppolo, sono morto e sono in paradiso?”

“Cencio, mi raccomando, non mi far fare figuracce!”

Tutti gli invitati si sedettero a tavola, per la cena della notte di Santa Lucia, ma neanche in quell’occasione Lord Thurlow uscì dalle proprie stanze.

“Padre non scenderà neanche stasera” disse Aaron a sua sorella, che scrollò le spalle

“Me l’aspettavo” rispose Lady Davida “ho cercato di andare nelle sue stanze a trovarlo, ma non m’ha lasciato entrare”

“Ormai non esce più, non vuole più vedere nessuno se non la sua cameriera personale…”
”Non so come tu possa sopportarlo. Io sono così grata alla sorte per avermi spinto lontano da qui!” aggiunse in tono melodrammatico allargando le braccia.

“Qualcuno dovrà pur prendersi cura di lui” ribatté Aaron senza troppa cattiveria. Conosceva bene la sorella e non s’aspettava che provasse compassione per un vecchio malato.

“Sarà…” rispose difatti lei “Ma trovo davvero insopportabile che sia così scortese da non ricevere né me né i suoi nipoti, dopo così tanto tempo che non ci vede.”

“Da poco ha ripreso a mangiare da solo, senza necessità che qualcuno insista tutto il giorno…”

“Non dovrebbe riguardarci se non mangia. Penso che sbagli a preoccupartene così tanto. Se davvero ha fame, mangerà. Così la smette di fare inutili capricci da bambino…”
Aaron sospirò e si sedette a quello che, una volta, era il posto del padre.

“In questi giorni ti esorto però a ritornare da lui. Sono sicuro che sarà felice di rivedere William…”

Gli ospiti presero posto, intorno alla tavola. Forgia ancora debole per la ferita, aveva però insistito per esserci anche lui.

Appariva pallido, ma si stava rimettendo in forze. Di fianco a lui aveva preso posto Nero: era preoccupato per l’amico, ma Forgia aveva così tanto insistito per partecipar anche lui alla cena, che aveva dovuto acconsentire. Cencio aveva fatto notare che Forgia aveva l’atteggiamento di un bambino coi genitori, ma Nero aveva preferito non dar troppo peso a questa sensazione che anche lui aveva provato.
L’italiano aveva ragione, questo continuo dipendere dall’opinione, dalla parola di Nero, doveva per forza di cose, pesare sull’animo del cavaliere. Cencio, però, s’era sempre stupito di come  il suo capo sembrasse non soffrirne più di tanto. Ma si chiese se ciò fosse realtà o semplice finzione. Lì, fra la tavola imbandita, fra gli sconosciuti, ebbe la netta sensazione che Nero fosse totalmente padrone della situazione, a suo agio nonostante Forgia fosse per lui un paziente da accudire.

Cencio passò gli occhi su Chiaro prima, e Luppolo dopo.

Il primo guardava con occhi interessati una delle cameriere che ancheggiavano inconsapevolmente vicino a lui, ciononostante continuava a girare lo sguardo verso Nero. Sembrava quasi volesse essere consapevole in ogni momento di quello che il Nero stava facendo. Chiaro era così, Cencio lo sapeva: ossessionato dal fratello che ai suoi occhi lo rifiutava, che agli occhi di tutti gli altri, invece, voleva semplicemente vivere la vita secondo le proprie regole.

Personalmente non aveva nulla contro Chiaro. Però non poteva negare che fosse l’unico che non si fosse ben amalgamato col gruppo, nonostante vi appartenesse da tanto…

Cencio si fermò su questo pensiero. Già, esisteva da tanto, ed era l’unica sua famiglia e la sua casa. Ovunque Nero fosse, lui si trovava bene. E poi c’era Luppolo, seduto lì di fianco a lui, coi sui capelli mossi biondo arancio che lo facevano sorridere ogni volta che voleva prenderlo in giro, quella pelle rosa così chiara…Avvicinò il suo braccio a quello dell’amico.

Luppolo si girò corrugando la fronte.

“Siamo proprio diversi eh?” disse riferendosi alla tonalità della loro pelle.

“Perché ci stai pensando ora?”

Cencio si strinse nelle spalle

“Pensavo che fosse bello stare qui, a tavola, con voi, con Lord Aaron, una sera d’inverno. E’ un peccato che Guardia e Levante siano lontani. Da quant’è che non sentivi questa sensazione di calore e d’intimità, Luppolo?”
”E questo cosa c’entra con la tonalità della tua pelle?”
”Siamo tutti così diversi, eppure guardaci…” disse osservandosi intorno. Tutti, anche Lord Hamill e sua moglie, insieme con William che era stato ammesso per la prima volta al tavolo degli adulti, sembravano perfettamente a loro agio.

Luppolo sorrise “Stai bene qui, vero?”
Cencio annuì convinto “Sto benissimo” e non sembra sia l’unico, avrebbe voluto aggiungere, ma preferì tacere di avere notato un lieve sorriso increspare le labbra di Nero, in direzione del Lord a capotavola. Cencio non capì cosa ci fosse in quel sorriso - non aveva gli elementi per intuire i significati, le parole omesse - ma non se lo lasciò sfuggire.

 

S’era ripromesso di non guardare nella sua direzione troppe volte, aveva il terrore che i suoi ospiti potessero intuire, con un solo sguardo, tutto l’amore che provava per quell’uomo, tuttavia Aaron continuava a cedere. Anche solo per un attimo. Sembrava che i suoi occhi non sottostessero al suo controllo e si girassero a guardarlo.

Quando i loro sguardi si incrociarono ed un sorriso fantasma apparve sulle labbra di Nero, fece fatica a non sorridere a sua volta ed arrossire.

Ma l’insistere della sorella sul comportamento del padre e il suo continuo lamentarsi per le parole che William cercava di scambiare con lei, lo distrassero a sufficienza.

“Non so come tu faccia a badare a tutto, la servitù, le miniere di stagno, le terre… Questo è un lavoro che dovresti fare con tua moglie!”

Di nuovo, Davida non perdeva mai occasione per rimarcare il fatto che Aaron avesse rifiutato troppe delle donne che avrebbero potuto diventare le signore di quel castello – tutte rigorosamente indicate da lei quando viveva al castello Thurlow, o comunque inviate da Suffolk, nonostante Aaron le avesse più volte detto che non aveva bisogno di un aiuto esterno per trovare moglie.

Evidentemente Davida non era dello stesso avviso.

“La figlia di Lord Murray, è una donna deliziosa, per esempio. Pensavo di portarla con me, ma poi ha preferito trascorrere…”

Ma Aaron la interruppe con un gesto della mano, e la zittì.

“Basta, te ne prego, non ho voglia di ascoltare di donne adatte, o presunte tali, ad assumere le responsabilità del castello. Non è affar tuo decidere come e chi vivrà in queste terre” disse freddamente il fratello e lei, indispettita, abbassò lo sguardo com’era suo dovere fare e si strinse le vesti fra i pugni, per quel rimprovero.

“Su, su” disse bonariamente Lord Hamill “sono certo che è solo perché è troppo pignolo, che Lord Aaron non ha ancora una bella moglie da ingravidare e non ha ancora riempito questi prati di bambini”

L’animo del Lord a capotavola era troppo raffinato per trovare dell’ironia nel commento dell’ospite, ma ugualmente educato per non farlo sentire a proprio agio. Sorrise, in direzione di Lord Hamill, sperando che questi non portasse aventi quel discorso.

Ad intrattenere gli ospiti erano anche stati chiamati dei musicanti che, a metà della cena, cominciarono a suonare e a cantare.

 

Cencio aveva ragione, era un’atmosfera così insolita per loro, cercò godersela, temendo di poterla sottovalutare e dimenticare presto.

“Luppolo, pensi che anche noi, un giorno, potremo vivere così”

“Vuoi lasciare tutto quanto ed accasarti?”
”Non adesso, no. Però mi chiedevo se, in futuro, potrà esserci qualcosa di simile anche per noi…”

Luppolo si strinse nelle spalle: “Non so quando tornerò in Scozia, ma sono sicuro che prima o poi lo farò. E lì, non so… vorrei riposarmi e vivere dei soldi che abbiamo ora, una vita tranquilla… Non avrò niente di così sfarzoso” disse indicando il salone “Ma andrà bene lo stesso.”
”E io? Io cosa farò?”
Luppolo sorrise.

“Ma come, a soli vent’anni già ti senti vecchio a sufficienza per parlare di cosa farai?”

Cencio aggrottò la fronte “Ci penso raramente, devo ammetterlo. Ho troppe cose da fare adesso per perdermi in malinconie inutili. Ma questa sera, quest’atmosfera, mi provoca una nostalgia di qualcosa che non ho mai avuto.” Si fermò un istante a guardare gli invitati e sorrise “Devi sempre prendere in considerazione che sono uno con l’aria in testa, non puoi aspettarti dei ragionamenti pieni di senno” sorrise, per stemperare quell’improvvisa tristezza che s’era impadronita di lui.

Luppolo strinse le labbra per  modulare perfettamente il suo tono. Non sopportava di vedere Cencio triste.

“Beh, non mi preoccuperei se fossi in te, comunque tu verrai con me” aggiunse semplicemente, col tono abile di chi sta dicendo una cosa importante, ma la vuole fare apparire come un pensiero appena sopraggiunto.

“Con te? Ma non ti lamenti sempre della mia presenza inopportuna?”
”Nutro speranze che, crescendo, imparerai a comportarti come s’addice ad un adulto. Altrimenti, se quando arriveremo in Scozia continuerai ad essere il moccioso di sempre, non ci saranno problemi…”
Cencio aggrottò la fronte non capendo e Luppolo continuò.

“Ti affogherò in uno dei laghi delle highlands.”

L’italiano scoppiò a ridere:“Allora verrò di certo!”

 

Luppolo sorrise, contento di riuscire a ricostruire l’armonia persa la notte prima.

 

Anche Chiaro si stava divertendo. Quella serata gli ricordava casa propria, quando da bambino era stato, finalmente, ammesso alla tavola degli adulti. Nero non c’era, ma non ricordò esattamente il perché. Il rapporto di parentela fra Nero e lui, così come quello fra Nero e i suoi genitori non era ben noto a Chiaro. Era suo fratellastro, e da quel che aveva sempre saputo condividevano lo stesso padre. Poi, una volta morta la madre di Nero questi se n’era preso cura come un figlio proprio, insegnandoli le lettere e le armi, senza lesinare né mezzi né tanto meno affetto. Aveva provato a chiedere una volta a Nero che cosa avesse generato tanto astio nei confronti di quella casa, ma il fratello non aveva risposto, lasciando cadere l’argomento e facendo intendere che non aveva intenzione di riprenderlo in mano.

A vederlo lì, ad ascoltare musica e a parlare con gli altri invitati, Nero gli parve ancora quello di un tempo, spensierato e allegro come solo lui poteva ricordarselo.
Non era stato per nulla felice quando s’era deciso di rimanere al castello Thurlow, tuttavia ora non poteva non ammettere che era stata la decisione più saggia da prendere. Forgia s’era ripreso, nonostante la ferita alla sua spalla facesse presagire il peggio, e Nero pareva finalmente più sereno, nonostante le loro discussioni non fossero diminuite.

“Voi dovete essere Chiaro”.

Il cavaliere si girò e, per un istante, ebbe l’impressione che a parlare fosse stato Lord Aaron, poi però riconobbe il piccolo William.

“Sì, sono io” gli sorrise

“Sono veramente onorato di fare la vostra conoscenza” disse con entusiasmo “Ho sentito dire che siete il fratello di Nero. Penso che abbiate scelto un bellissimo soprannome!”

“Cosa intendi?”

“Josephine m’ha spiegato che tutti voi ormai avete abbandonato i vostri nomi natali. Scegliere un soprannome in netta contrapposizione a quello del fratello mi sembra una scelta davvero bella.”
Chiaro si stupì.

“E chi ti ha detto che sono stato io a sceglierlo?”

William aggrottò la fronte.

“Non è forse vero? Da quello che m’ha detto Cencio m’era parso di capire così…”

Chiaro imprecò silenziosamente contro il compagno, ma rise al ragazzino.

“E’ così, ma devo ammettere che è stato casuale, più che voluto” Chiaro non voleva assolutamente spiegare a William il perché avesse scelto quel nome, quindi deviò il discorso per dissuadere il ragazzo dal curiosare ulteriormente, “E se fossi tu, quale nome sceglieresti?”
William ci pensò un pochino “Non saprei” disse “lo farei probabilmente scegliere a mio zio. Lui certamente ne troverebbe uno appropriato”.

Chiaro sentì un profondo dolore allo stomaco: la frase lo infastidì così tanto che fu incredibilmente grato a Lady Davida quando questa richiamò il figlio. Non riuscì a capire esattamente che cosa l’avesse irritato e non ammise potesse essere invidia. Persino Lord Aaron, un uomo senza qualità militari, storpio e fragile, aveva una persona che pendeva completamente dalle sue labbra. Perché un uomo così riusciva, dove lui falliva da sempre?
Sospirò, cercando di allontanare quella brutta sensazione e si lasciò coinvolgere dalla musica e dalle danzatrici.

 

Nero guardava i suoi compagni rilassarsi, finalmente a loro agio fra quelle mura estranee.

Sorrise.

Per lui non c’era nulla di estraneo, gli sembrava di vivere lì da sempre e mai come in quel momento stava bene.

Di nuovo, sorrise. Sapeva che sarebbe dovuto rimanere seduto lì, a fare conversazione, ma aveva tutt’altro in mente ed una frenesia che non riusciva a controllare. Posò gli occhi sull’unica persona con la quale voleva stare in quel momento: niente stanze affollate, niente danzatrici, solo lui. Aveva una veste arabescata blu notte su cui i capelli risplendevano, quasi fossero illuminati…

Qualcosa nella sua coscienza gli ricordò quanto in realtà fosse sbagliato anche solo desiderare, ma lui prepotentemente la scansò.

Doveva scegliere, era di fronte ad un bivio e ancora una volta, come mille nel suo passato, doveva scegliere che cosa fare.

Era così stanco di scegliere, così stanco di essere obbligato a rinunciare a qualcosa per qualcos’altro che si ritrovò esasperato, senza che in realtà avesse ancora scelto nulla. Ma il suo passato era lì, a bussare alla sua mente, ed era impossibile dimenticare le tante, le troppe volte in cui era stato obbligato a scegliere.

Ora aveva la possibilità di scegliere liberamente, però, senza costrizione: semplicemente scegliere quello che voleva fare.

Esitò, perché sapeva che, intrapresa una strada, non c’era la possibilità di tornare indietro, ma durò un attimo. Gli bastò riguardarlo per sapere esattamente cosa volesse e come ottenerlo.

Avrebbe scelto anche questa volta. Si chiese se Dio lo stesse mettendo alla prova o se semplicemente il destino si stesse burlando di lui.

Non era importante. La foga che l’aveva colto non gli permise nessuna esitazione. Sapeva che l’alzarsi da quella sedia sarebbe stato un gesto definitivo e assoluto.

L’avrebbe fatto per l’unico uomo a cui aveva mai rivelato il proprio nome.

 

Si alzò di scatto e s’avvicinò a Luppolo bisbigliandogli qualcosa. Lo scozzese annuì, Chiaro aspettò che Nero rivolgesse anche a lui la parola, per spiegare che cosa stesse succedendo, ma questi non lo fece e, semplicemente, salutò tutti gli invitati.

“Mi scuso, signori, ma devo prendere congedo” e così dicendo, indicò Cleto che era in stanza con loro. Il falco immediatamente spiccò il volo e ne uscì, mentre gli altri invitati annuirono fingendo di capire l’importanza di quel dialogo sordo fra Nero e Cleto.

“Conosco quello sguardo” disse con immodestia Lady Davida “mio fratello l’ha sul suo viso troppe volte quando parla con le sue bestie e racconta loro segreti a noi ignoti. Ho sentito che anche voi riuscire a comunicare con loro”.
Nero annuì “Sì, è un dono che ho sin da piccolo” s’inchinò “Scusatemi di nuovo, a domani mattina” e così dicendo seguì Cleto che lo stava ad aspettare fuori dal salone.

“Prometto che non mi lamenterò mai più di conoscere l’unico falco di tutt’Inghilterra che preferisce il tepore di una stanza al volare nei cieli notturni” disse prendendo in giro l’amico. Affrettò il passo, troppo impaziente per rimanere calmo.

 

  
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