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Autore: Hermione Weasley    20/12/2014    3 recensioni
Lei è in fuga da se stessa. A lui sono stati offerti due milioni di dollari per ucciderla. Ma le mire di qualcun altro, deciso a riunire sei persone che non hanno più niente da perdere, manderanno all'aria i loro piani.
-
“Chi cazzo è questo idiota?” Blaterò qualcuno.
“Un forestiere!” Decise un altro.
“Che razza di accento era quello?” Indagò un terzo.
Si sentì spingere bruscamente verso l'arena, senza poter far granché a riguardo. Quando le fu ad un misero metro di distanza, tra le grida che si alzavano dal gruppo, fu la voce bassa e pacata della donna a sovrastare tutte le altre.
“E' l'uomo che mi ucciderà.”

[Clint x Natasha + Avengers] [Dark!AU] [Completa]
Genere: Azione, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Capitolo 17 -

 

 

 

Tutte quelle voci sovrapposte lo stavano facendo uscire di testa: sembrava che il suono rimbalzasse incessantemente sulle pareti, in una sottospecie di cacofonica sfida di ping pong di cui non beneficiava proprio nessuno, men che meno la sua psiche. In fondo alla stanza, la stessa in cui avevano partecipato alla prima, illuminante riunione, Maria Hill e il colonnello Fury li stavano osservando così come avrebbero tenuto sotto controllo una nidiata impazzita di bambini intenti a creare il caos in un parco giochi.

Tra urla, strepiti ed insulti, Clint era più che sicuro che si stessero pentendo amaramente del loro diabolico piano votato all'assemblaggio di una squadra che neppure poteva definirsi tale.

“Chi cazzo ti ha dato il permesso di decidere per tutti?” Thor, a cui – ormai era abbondantemente assodato – giravano le palle da almeno un paio di giorni, non aveva alcuna intenzione di piegarsi alle direttive di Rogers.

“Non è colpa mia se sono il più qualificato qua dentro,” ribatté Steve. Quella particolare discussione (ripetuta almeno per la terza volta nel giro di quelle ultime quarantotto ore di inutili pianificazioni) aveva avuto lo straordinario effetto di farlo uscire dai gangheri... per quanto il capitano stesse sforzandosi di trattenere l'agitazione e il nervosismo, la frustrazione stava chiaramente avendo la meglio.

“Il più qualificato in cosa?” Odinson si rifiutò di mollare il colpo.

“Per decidere come diavolo muoverci! Ecco per cosa!”

“La volete smettere di urlare?” Banner, abbandonato sulla sedia più distante dall'occhio del ciclone, si era preoccupato di alzare la voce affinché i due bestioni riuscissero a sentirlo. Si massaggiò la fronte con aria esausta, “mi state facendo venire il mal di testa.”

“Ha ragione,” intervenne Tony, l'aria baldanzosa di sempre venata da evidente irritazione, “stare qui ad urlarci contro non servirà a niente. E' divertente, ma a meno che non decidiate di decretare il vincitore di questa discussione con uno scontro di wrestling, bè non sono interessato,” stabilì astiosamente, scoccando una rapida occhiata in direzione di Natasha, “oppure una scazzottata nel fango.” Si voltò verso Fury alle sue spalle, “Ce l'avete del fango qua sotto?” Lo sguardo fulminante che ricevette in risposta fu sufficiente a sedare quell'unico sprazzo di idiozia che era riuscito ad invocare tanto faticosamente.

“Questa non è un'operazione militare,” decretò la donna in tono artificiosamente pacato.

“Ah no? E cosa, allora? Illuminami,” la invitò Steve in modo semplicemente odioso.

“E' un'operazione di spionaggio,” sibilò lei, fissandolo dritto negli occhi, come se avesse potuto convogliare tutti gli insulti che avrebbe voluto scagliargli contro in quell'unica, implacabile occhiata.

“Ha ragione,” Clint decise di darle man forte. “Non siamo soldati.”

“Io non sono una spia,” puntualizzò acremente Rogers.

“Non dirlo come se fosse un fottuto insulto,” lo rimbrottò l'arciere. “Sbaglio o hai accettato di seguirci fin qui ben sapendo di finire tra le mani di un intero sottosuolo di spie?”

“Questo non è affatto ciò che vo-”

“O ci decidiamo a dare una svolta ragionevole a quest'incontro, o me ne torno in laboratorio,” li informò apaticamente Bruce, “ho delle cose da finire.” Sembrava si stesse sforzando di isolarsi il più possibile da quel marasma, per convincersi che non lo riguardava... né lui, né tantomeno l'Altro. Natasha, che doveva aver avuto il suo stesso pensiero, lanciò un lungo, preoccupato sguardo in direzione del dottore: fargli perdere il controllo con una riunione del cazzo sarebbe stato quantomeno paradossale.

“Va bene,” Steve si era lasciato ricadere sulla sedia, esasperato, “allora illustrateci il piano.”

Clint alzò gli occhi al soffitto: tutto quello che gli mancava per rendere perfetta quella giornata era proprio un maledetto militare ferito nell'orgoglio. Gli avrebbe volentieri ficcato tutte le sue dannate stellette al merito in fronte, se le avesse avute a portata di mano.

“La prima cosa che dobbiamo fare è mettere fuoriuso le telecamere,” parlò solo quando la stanza si fu fatta sufficientemente silenziosa. “Bruce,” lo interpellò, “tu te ne intendi di complessi di questo genere, giusto?” Doveva pur aver lavorato in un luogo molto simile a quello prima dell'incidente. Ottenne solo un confuso cenno d'assenso in cambio. “Sai da dove si può disattivare il sistema di sicurezza?”

“Una struttura tanto grande deve avere un circuito per ciascuna area,” replicò il dottore dopo un attimo di riflessione. “Ma dovrebbe anche esserci una stanza comandi capace di controllare tutte le telecamere contemporaneamente.”

“Potrei hackerare il sistema e far sì che vedano solo quello che devono vedere,” li interruppe Stark.

“Ti riesce sul serio?” Clint si pentì dell'inflessione incerta che aveva dato alla domanda nel momento esatto in cui l'aveva pronunciata.

“Certo che mi riesce,” replicò piccato l'altro, “cosa credi che faccia nel mio tempo libero?”

“Ahm... niente?”

“Non fare niente è troppo noioso.”

“Va bene, abbiamo capito,” Natasha, di nuovo, a riportarli all'attenzione. “Che cosa ti serve?”

“Il loro computer e un miracolo.” Stark le rivolse un ampio, fintissimo sorriso.

“Quindi dovrai entrare con noi,” ragionò lei, scegliendo deliberatamente di ignorare tutto ciò che non riguardava la missione in senso stretto. “Puoi riuscire a cancellare tutti i loro database dallo stesso apparecchio?”

“Ovvio che ci riesco, Ivy.”

“Chi diavolo è Ivy?” Clint non riuscì a trattenersi di chiedere.

“Ivy... come Poison Ivy,” precisò seccamente Stark.

“Wow. Ce ne hai messo di tempo per farti venire in mente un'altra rossa famosa,” Bruce si era messo a ridere. L'intervento aveva a tal punto dell'incredibile, che una risata – più o meno convinta – sfuggì a tutti e sei.
“Natasha,” Steve la invitò ad andare avanti con un cenno del capo.

“Non possiamo permetterci che Stark venga visto,” proseguì lei, “se anche una sola telecamera riuscisse ad intercettarlo, non avremo virtualmente alcuna via di scampo. Sapranno che è coinvolto e verranno a cercarci qui.”

Facendo crollare l'intero SHIELD per la seconda volta nel giro di... Clint non ricordava affatto quanti anni fossero passati da quell'ultima catastrofe. Fury, sullo sfondo, aveva indurito i tratti del volto, senza curarsi di far segreto del proprio nervosismo.

“Qualcuno di noi dovrà scortarlo fino alla sala di comando e assicurarsi che resti al sicuro,” continuò la donna.

“Posso farlo io,” si offrì Steve.

“No,” Clint si sporse coi gomiti sul tavolo. “Senza offesa, cap, ma credo che sia meglio che ti occupi di Selvig.”

“Perché?”

“Perché Natasha ed io non abbiamo mai salvato nessuno,” fece semplicemente notare. “La nostra specialità è entrare ed uscire senza essere visti, non il recupero ostaggi.”

“Quindi che suggerite di fare?”

“I laboratori si trovano ai piani superiori del blocco C, no?” Puntò un dito sull'enorme mappa dispiegata sul tavolo. “Accompagnerò Bruce a recuperare qualsiasi sia la diavoleria che stiamo cercando,” dopotutto chi meglio di lui poteva raccapezzarsi in un laboratorio? “Entreremo dal tetto... quei figli di puttana non si renderanno conto di niente finché non capiranno di essere stati fottuti.”

“Allora io mi occupo di portare Stark alla sala comando,” intervenne Natasha.

“E Odinson ed io ci occuperemo di Selvig,” concluse Steve per loro.

“Thor, tu e il dottore avete una conoscenza in comune,” si limitò a spiegare la donna, rivolta al gigante biondo, “è più facile che si fidi di te che di chiunque altro in questa stanza.”

“... e se i dormitori dello staff sono al piano interrato, Selvig avrà bisogno di tutta la protezione possibile,” specificò l'arciere. Chi meglio di due omoni grandi e grossi a fargli da guardie del corpo?

Rogers e Odinson si scambiarono solo una breve occhiata, rivolgendosi un cenno d'assenso appena percettibile. Per quanto lasciasse a desiderare, quello era decisamente il piano meno folle che avessero messo a punto in quelle ultime ore.

“E l'estrazione?” Domandò Steve.

“Di quella, ce ne occupiamo noi.” La voce imperiosa del colonnello li raggiunse dal fondo della stanza.

Mentre più o meno tutti prendevano atto delle sue parole, Clint non poté fare a meno di scoccargli un'occhiata tagliente. Il modo in cui li avevano persuasi ad accettare il lavoro (leggi: missione suicida) ancora non gli andava giù; eppure non poteva tirarsi indietro, non adesso, non ora che c'era la prospettiva di sapere che fine avesse fatto Barney, se fosse effettivamente ancora vivo...

“Se abbiamo finito, credo che mi ritirerò in laboratorio,” sentenziò Stark.

“Vengo con te,” convenne Bruce, rimettendosi in piedi per seguire Tony fuori dalla stanza. Thor e Steve si accodarono poco dopo, lasciandolo solo con Natasha e la coppia Fury-Hill impegnata in una concitata e privatissima discussione in prossimità degli schermi appesi alla parete di fondo. Distolse lo sguardo dai due, prestando piuttosto attenzione alla donna ancora chinata sulla mappa, una ruga di preoccupazione a solcarle la fronte.

“Che ne dici?” La interpellò. “Abbiamo qualche chance?”

“Il piano fa acqua da tutte le parti,” mormorò lei, senza sollevare lo sguardo dalla piantina: sembrava si stesse adoperando per impararla a memoria. “Ma ho affrontato situazioni peggiori.”

“Magari ha ragione Stark,” l'affiancò silenziosamente, “magari abbiamo bisogno di un fottuto miracolo.”

“Un miracolo non ci tirerà fuori da questo casino.”

“Pensavo credessi in dio.”

Natasha sollevò lo sguardo nel suo, rivolgendogli un microscopico, amaro sorriso.

“Ti ho detto che credo nell'inferno, non in dio.”

 

*

 

24 ore dopo

quartier generale dell'ex SHIELD

 

La divisa che le avevano procurato stringeva fastidiosamente... in più punti. Non che il tessuto della tuta non possedesse delle arcane proprietà: il sarto della base si era preoccupato di elencargliele tutte, una per una; prima fra tutte quella di tenerla al sicuro dalle rigide temperature artiche che li attendevano. Non era scomoda, ma neppure il suo massimo ideale di praticità: sperò ardentemente di non dover fare una capatina al bagno proprio nel bel mezzo della missione, tanto per cominciare. Se non altro ci aveva guadagnato un paio di stivali nuovi che le calzavano alla perfezione.

Tirò su la cerniera sul davanti almeno fin sotto la gola, un attimo prima che qualcuno bussasse alla porta della sua stanza.

“Nat?” La voce di Clint la spinse ad andare ad aprire prima che l'arciere potesse avere il tempo di aggiungere una qualsiasi altra cosa. Si ritrovò a fronteggiarlo, non senza un impercettibile sussulto a farla trasalire: non fosse stato per le braccia scoperte – sicuramente per facilitargli i movimenti – fino alle spalle, anche l'uomo sarebbe stato ricoperto di nero da capo a piedi.

“Bè almeno tu non rischi di fartela addosso,” fu l'unico commento semi-sensato che le uscì di bocca. Chi diavolo aveva pensato che cucirle quel glorificato body di plastica scura sarebbe stata una buona idea?

Clint era indietreggiato di un misero passo, come per ottenere una migliore visuale d'insieme: se non altro ebbe il buon senso di non trattenercisi più del dovuto.

“Che stai facendo?” Gli chiese, nonostante lo sapesse benissimo.

“Sei...” scosse il capo come alla ricerca delle parole giuste, “pericolosa.”

“Ero pericolosa anche prima,” sottolineò con irritazione, beccandosi un sorriso in risposta.

“Andiamo, Tony ci vuole vedere nel suo laboratorio.”

“Siamo qui da neppure tre giorni e lui ha già un suo laboratorio?” Si chiuse la porta alle spalle, invitandolo a fare strada.

“Il terreno, in fin dei conti, gli appartiene,” le ricordò. “A quanto pare neppure l'inflessibile Fury è riuscito a negarglielo.”

“Non credo che Stark sia abituato a sentirsi dire di no,” convenne. “Perché vuole vederci?”

“Non lo so. Suppongo abbia a che fare con tutte le ore che lui e Bruce hanno trascorso là dentro.”

Percorsero il resto della distanza che li separava dal laboratorio in silenzio, ignorando le occhiate smarrite – ma molto più spesso sospettose – degli abitanti del quartier generale che incontrarono sulla loro strada. Le parve, via via, di star scendendo ancora di svariati metri sotto terra. Clint la condusse attraverso altri corridoi, fino a fermarsi davanti ad una doppia porta metallica, dietro la quale riusciva chiaramente a sentire Stark, impegnato in una qualsiasi delle sue bizzarre tirate.

“Oh, eccovi finalmente!” Esclamò, puntando loro un dito contro non appena li vide varcare la soglia del laboratorio.

Natasha si prese il tempo di passare in rassegna i presenti: qualcuno si era preoccupato di infilare Steve e la sua imponente mole in una tuta nera molto simile alla sua; Thor, invece, sembrava condividere la praticità della divisa di Clint, le braccia muscolose lasciate scoperte per una mobilità maggiore; Bruce e Tony, d'altro canto, indossavano semplici abiti scuri.

Tutt'intorno erano disposti banconi dall'aria innocua, provette, macchinari di ogni genere e forma; il soffitto sembrava più alto e l'aria più asciutta. Su uno dei tre tavoli che occupavano la stanza, invece, erano stati stati sistemati dei teli neri a coprire... qualcosa di non meglio definito.

“Sembriamo un gruppo hard-metal,” commentò l'arciere, probabilmente senza sapere se ridere o piangere.

“Perché voi due siete vestiti normali?” Natasha non poté fare a meno di chiedere, rivolgendosi prima a Tony e poi a Bruce.

“Perché noi useremo le nostre menti,” Stark si puntò un dito alla tempia. “Non abbiamo bisogno di strani aiuti di nient'altro,” si calò il cappuccio della felpa scura sugli occhi, stringendone i lacci fino a coprirsi gran parte del volto, “se non di questo.”

“Molto divertente,” si ritrovò a commentare, affatto impressionata.

“Siccome sei intrattabile, parlerò prima con Barton,” decretò il miliardario, voltandosi verso Clint dopo averle rivolto un'occhiata che poteva tradursi con un così impari. “Mi hanno detto che ti diletti di tiro con l'arco,” esordì, avvicinandosi al tavolo ricoperto di oggetti misteriosi. Scostò uno dei teli, tirando fuori quello che aveva tutta l'aria di essere l'arco di Clint. “Ta-daaaa!”

Se Stark era estasiato, Natasha non mancò di notare come all'arciere stesse per venire un colpo.

“C-Che cazzo gli hai fatto?” Domandò con tanto d'occhi, la voce piccina e un pallore cadaverico a tingergli il viso.

“Sei contento o arrabbiato?” Tony glielo porse con un'occhiata allucinata. “Non riesco a capirlo.”

“Chi ti ha d-dato il permesso di manomettere il mio... ar-”

“Non l'ho manomesso,” ribatté prontamente Stark, “l'ho migliorato. Scusami tanto se in questo posto dimenticato da dio – ma non dal fisco! – non dispongono di una nutrita selezione di armi paleolitiche.”

Clint continuava ad ignorarlo, studiando attentamente le modifiche che erano state apportate alla sua arma prediletta: dopo un lungo istante di puro panico, i tratti del suo volto parvero rilassarsi. Evidentemente il danno non era poi così catastrofico come aveva inizialmente ipotizzato.

“Che ne sai tu di archi, comunque?” Lo interpellò, provando ad imbracciarlo per testarne la stabilità: dall'espressione che gli si dipinse sul volto, Natasha non stentò ad intuirne la soddisfazione.

“Di archi? Niente. Di fisica, però, bè... e non è finita qui!” Gli porse una manciata di frecce dall'aria estremamente tecnologica. “Freccia taser, freccia al C4, freccia rampino, freccia...” andò avanti ad elencare tutta una serie di tipologie che Natasha era piuttosto convinta si stesse inventando di sana pianta, “... e infine frecce. Normali, intendo. Ma chi si diverte ad usarle, quelle?” Sorrise ampiamente.

L'arciere si limitò a fissare alternativamente i dardi e Stark con tanto d'occhi, vistosamente sconcertato da quell'inaspettato sviluppo. Lo seguì con lo sguardo mentre si metteva seduto in disparte su uno dei tanti sgabelli che punteggiavano la stanza, analizzando le frecce una ad una. Tony parve aver deciso di prendere il suo attonito silenzio come il più sentito dei ringraziamenti, dopodiché fu di nuovo su di lei.

“Se stai per darmi un rossetto laser giuro che ti prendo a calci in culo,” l'avvertì preventivamente.

“Rossetto laser? Ma per chi mi hai preso? Il tardone dei film di James Bond?” Si voltò per recuperare qualcosa dal tavolo su cui – adesso l'aveva capito – aveva disposto quelli che dovevano essere dei prototipi, lanciando una rapida occhiata in direzione di Bruce e mormorando qualcosa di molto simile a: nascondilo subito! Natasha intrecciò le braccia al petto, osservandolo con aria di sfida, come in attesa di essere sconvolta.

“Tanto per cominciare... braccialetti,” decretò Stark, voltandosi di nuovo verso di lei per mostrarle dei grossi bracciali neri.

“A questo punto avrei preferito il rossetto,” commentò, senza tuttavia sottrarsi alle manovre di Tony che la invitò a tendergli un braccio affinché potesse mostrarle il funzionamento della sua straordinaria (ma era ancora tutto da vedere) invenzione. “Ho anche un collier di diamanti esplosivi?”

“Il tuo sarcasmo non mi scalfisce,” puntualizzò lui dopo averle assicurato l'aggeggio al polso. Recuperò quelli che assomigliavano a dei proiettili troppo allungati, tenendone uno tra pollice ed indice. “Pronta a perdere le mutande?”

“Stark...” lo redarguì.

“Va bene, va bene. Il concetto è lo stesso delle frecce del tuo ragazzo,” le spiegò, “ognuno di questi gioiellini ha una sua funzione specifica: quattro sono esplosivi, due contengono del gas soporifero, due un filo metallico iper-resistente, uno dotato di rampino automatico e l'altro no... nel caso tu voglia garrotare qualcuno piuttosto che svolazzare dal soffitto e infine, i miei preferiti...,” ne prese un altro, del tutto uguale al primo nell'aspetto, “li ho chiamati Widow Bites. Danno una scarica elettrica fino a trentamila volts... su per giù.”

Natasha inarcò un sopracciglio, facendo di tutto pur di non mostrarsi sorpresa... perché, se doveva essere del tutto sincera, lo era eccome.

“Fammi vedere come funzionano,” lo invitò con quello che sembrò più un ordine che altro.

“Non ti emozionare troppo,” la prese in giro Stark, “è solo perché sei tu quella che mi deve parare il culo, quindi tanto vale...”

“Sta' zitto.” Stavolta era solo un suggerimento amichevole... ma sentito.

“Oh e ovviamente ognuno di voi avrà con sé un'arma da fuoco, ma i silenziatori a disposizione non sono molti, e non credo che fare rumore sia il nostro obbiettivo principale,” proseguì Tony, adoperandosi ad inserire tutti i lunghi proiettili che le aveva mostrato negli appositi scompartimenti del bracciale – e, successivamente, del relativo gemello – che le cingeva il polso. “Dobbiamo cercare di dare nell'occhio e... nell'orecchio il meno possibile,” aggiunse.

“Partiamo tra tre quarti d'ora,” li avvertì Steve, soppesando quello che aveva tutta l'aria di essere uno... scudo.

“Qualcuno mi ricordi di pisciare prima d'uscire,” stabilì Stark, beccandosi occhiatacce più o meno indignate da ogni direzione. “Che c'è? Quando sono agitato la mia vescica dà di matto.”

Forse era vero che avrebbero avuto bisogno di un miracolo.

 

*

 

4 ore dopo

Point Hope, Alaska

 

Il generatore che alimentava i sensori di movimento ronzò sinistramente per qualche istante prima che la freccia taser non completasse il lavoro: il rumore del corto circuito si perse nell'aria gelida e tagliente, contribuendo a tranquillizzarlo almeno un poco.

Si portò una mano alla trasmittente nascosta nell'orecchio, voltandosi verso Banner, accucciato al suo fianco.

“Via libera per il perimetro,” bisbigliò, sentendosi estremamente stupido a parlare al niente. I ricevuto di Natasha e Rogers lo raggiunsero poco dopo, distanziati da un misero nanosecondo di silenzio.

Non era ancora sicuro che tutta quella bislacca idea del lavoro di squadra gli piacesse, ma, se da una parte la presenza di individui dei quali non poteva controllare le azioni lo agitava, dall'altra era contento di non trovarsi in quella marea di merda da solo.

“Procediamo verso la scala anti-incendio dell'edificio C,” proseguì Clint a beneficio di tutti, scambiando una rapida occhiata con Bruce accanto a lui. “Eliminare le guardie sarebbe troppo rischioso,” lo avvertì a mezza voce. “Basterà muoversi lentamente e non ci vedranno, okay?”

Il complesso si estendeva su un'esigua porzione di terra completamente pianeggiante, affacciata sul mare dei Ciukci, che – a detta di Natasha – era tutto ciò che li separava dalla Siberia.

Durante il viaggio in elicottero da Cordova a Noalak, lungo e scomodo, persino lo scambio di inutili nozioni che avrebbe senza dubbio rimosso in toto di lì a qualche ora, gli avevano dato un certo sollievo. Il silenzio e la tensione che li avevano accompagnati fin lì erano stati a dir poco insopportabili: parlare non l'aveva solo aiutato a distrarsi, ma anche a non focalizzarsi ossessivamente sul freddo che minacciava di entrargli fin nelle ossa nonostante il pesante giubbotto che avevano avuto il buon senso di fornirgli.

Giunti a ridosso di quell'ultima località, alcuni alleati dell'ex SHIELD li avevano trasportati per circa duecento chilometri in direzione nord-ovest – a bordo di certi mezzi che ricordavano in egual misura una jeep e una fottuta slitta – avvicinandoli il più possibile alla ridente (come no) cittadina di Point Hope: una manciata di container dimenticati al di sopra del circolo polare artico. Non poteva proprio fare a meno di ricordarsi quella ridicola promessa che – sfiancato dall'opprimente calura del deserto – si era fatto, di non accettare più incarichi che non si collocassero al di sopra di quello stramaledetto parallelo che separava il resto del globo da una delle zone più gelide del mondo: bè, aveva ottenuto quello che voleva e adesso avrebbe volentieri preferito frantumarsi le palle a suon di mazzate piuttosto che restare là sopra un secondo di più. Si sforzò di pensare a spiagge bianche, sole caldo, mari cristallini e Natasha in bikini... giusto perché non gli sembrava giusto lasciarla fuori da quel roseo quadretto che si era appena costruito (di nuovo, come no).

La struttura dell'HYDRA era composta da svariati blocchi di cemento circondati da una recinzione metallica corredata da simpatici cartelli che segnalavano pericolo di morte imminente o – meno definitivamente – invitavano improbabili visitatori ad andarsene a fanculo il più rapidamente possibile (parafrasi personale di Clint). I tre gruppi avrebbero raggiunto tre diverse ali del complesso da altrettante direzioni: a loro era toccato il lato est. Penetrare attraverso quella precaria barriera era stato un gioco da ragazzi, individuare il generatore che teneva in vita i sensori d'allarme esterni, però, non tanto.

La notte era buia e spessa, solo pochi fasci di luce semoventi illuminavano questa o quella zona della struttura, lasciando intravedere occasionali guardie bardate di piumini, sciarpe e cappelli di lana.

“Al mio tre,” annunciò al dottore, tenendo un occhio puntato su di lui per assicurarsi che fosse pronto, l'altro sui fari che continuavano a muoversi... il momento propizio sarebbe arrivato fra, “uno, due... tre!”

Uscì rapidamente allo scoperto, guadagnando l'oscurità offerta da un gabbiotto abbandonato in mezzo ai sentieri asfaltati che separavano ciascuno di quei cinque blocchi. “Doc?”

“Ci sono,” biascicò l'altro, schiacciandosi il più possibile contro il vetro opaco della casupola deserta. Clint non ebbe bisogno di guardarlo per accorgersi della sua agitazione.

“Di nuovo doc,” ribadì a mezza voce, contando i secondi che lo separavano dal raggiungere la scala anti-incendio. “Andrà tutto bene, capito?”

Non aspettò un cenno d'assenso per tornare a muoversi: scattò oltre la barriera del gabbiotto, correndo silenziosamente fino ai piedi della scala. Non esitò ad imboccarla, a macinare velocemente gradino dopo gradino finché non ebbero raggiunto il tetto piatto e deserto. Si gettò a terra, strisciando fino al ciglio per cercare gli altri due gruppi con lo sguardo: Natasha e Tony erano appena penetrati all'interno dell'edificio E, lasciandosi alle spalle una guardia priva di sensi nascosta nell'ombra; il blocco B, invece, gli oscurava la visuale su Thor e Steve.

“Siamo sul tetto,” informò gli altri. “Iniziamo a scendere.”

“Io e Stark siamo dentro,” la voce di Natasha lo raggiunse come un soffio.

“Odinson ed io ci stiamo lavorando,” il tono di Rogers non prometteva niente di buono.

“Avete bisogno di una mano?” Chiese Clint, sforzandosi di mantenere la calma.

“No, abbiamo tutto sotto controllo. Andate.”

 

*

 

“Come diavolo hai fatto ad atterrare quel coso alto due metri?”

“Stark, sta' zitto,” lo redarguì in un sibilo appena udibile. Vederla in azione, alle prese con la guardia alla quale avevano molto convenientemente sottratto il badge d'accesso, sembrava avergli provocato una paresi cerebrale dalla quale non dava segno di volersi di riprendere.

“Dove le hai imparate tutte quelle mosse?” Riprese, totalmente indisturbato, rischiando di precederla nel corridoio che intersecava quello d'ingresso; Natasha allungò un braccio per tagliargli bruscamente la strada e costringerlo ad indietreggiare.

“Sta' attento alle telecamere,” ci tenne a ricordargli con sguardo di fuoco, ottenendo in cambio un religioso cenno d'assenso. Era riuscita a mettere fuoriuso quella che sorvegliava l'ingresso, ma di occhi puntati addosso rischiavano di averne ancora: individuò almeno un paio di quegli aggeggi infernali in altrettanti angoli del soffitto. La buona notizia era che, proprio come le luci esterne, anche quelle ruotavano più o meno lentamente di centottanta gradi, il che dava loro una finestra di tempo sufficiente ad eluderle... o neutralizzarle.

“Tirati giù il cappuccio,” gli ordinò a mezza voce.

In fondo al corridoio di sinistra si intravedeva una rampa di scale che – se i loro calcoli erano esatti – li avrebbe condotti al piano superiore. Trovata la sala di comando, tutto quello che le sarebbe rimasto da fare era osservare Stark all'opera e, soprattutto, impedire che qualcuno li disturbasse.

“Fa' quello che faccio io.” Fu l'ultima indicazione che gli impartì prima di prendere la mira e accecare con un colpo di pistola la telecamera di destra; lo sparo silenziato rimbombò impercettibilmente tra le pareti prima di estinguersi del tutto. Mentre quella di sinistra era puntata altrove, Natasha uscì allo scoperto, percorrendo il corridoio rasente al muro, ricordandosi a malapena di respirare finché non ebbero guadagnato la rampa di scale.

“H-Ho appena perso vent'anni di vita,” balbettò Stark, che l'aveva seguita a ruota.

“Tu aspetta qui,” tagliò corto, ignorando il suo smarrimento, “controllo che non ci sia nessuno.”

Si assicurò che avesse capito prima di imboccare le scale, due, tre gradini alla volta. Neutralizzò la telecamera che minacciava di scoprirla con un altro, silenzioso colpo perfetto, dopodiché proseguì fino a raggiungere il primo piano: l'ennesimo dedalo di porte e corridoi dall'aria tutta uguale. Un paio di guardie armate stavano sorvegliando la porzione di destra, quella su cui si apriva la sala comandi. Aspettò che una delle due svoltasse in un corridoio adiacente per avvicinare l'altra alle spalle e spezzargli il collo con un unico movimento fluido. Il leggero tonfo che ne seguì attirò l'attenzione del collega, costringendola ad afferrare il cadavere e a trascinarlo all'indietro fino a nasconderlo sulle scale da dov'era appena arrivata.

“Ed? Hai detto qualcosa?”

Restò nascosta dietro la parete ad osservare il morto accasciato sui gradini, mentre la voce dell'altra guardia si faceva sempre più vicina. Socchiuse gli occhi alla ricerca di assoluta concentrazione, così come suo padre le aveva insegnato: riuscì a calcolare i passi che ancora separavano lo sconosciuto dal punto in cui si trovava. In tre, due...

Sferrò un pugno alla cieca, colpendo l'uomo dritto in faccia: lo schiantò al muro, attivando uno degli Widow Bites che Stark aveva creato appositamente per lei, eliminando qualsiasi contatto tra lei e la guardia un secondo prima che una scossa elettrica non lo folgorasse sul posto, impedendogli di urlare o chiedere aiuto. Natasha dovette convincersi a distogliere lo sguardo dal sinistro spettacolo offerto dagli inquietanti singulti che scuotevano ancora il corpo dell'uomo mentre si accasciava al suolo: la sala di comando, Natasha. Datti una cazzo di mossa.

“Rogers, Odinson, siete riusciti ad entrare?” La voce di Clint, inaspettata, a farla sussultare sul posto.

“Siamo dentro,” confermò Steve, “stiamo cercando la stanza di Selvig.”

Si lasciò accompagnare da quel breve scambio di battute mentre spalancava la porta dell'ufficio che costituiva la sua meta: una uomo calvo, il berretto della sicurezza abbandonato sulla scrivania accanto a lui, stava distrattamente osservando le diverse porzioni in cui era diviso il grande schermo del computer centrale, ognuna di quelle afferente ad altrettante telecamere sparse per il complesso.

“Bert, va' a chiamare Kate,” le si rivolse con la convinzione che si trattasse di un collega. “C'è qualcosa che non va con le nostre telecamere...” Pausa in cui Natasha avanzò lentamente, silenziosa come un gatto. “... e anche con quelle dei blocchi B e C. Dev'essere un altro di quei cali di tens-”

Strinse tra le mani le estremità del filo metallico che Stark le aveva dato in dotazione, cingendo bruscamente il collo taurino della guardia che prese a dimenarsi come un pazzo. Natasha serrò la presa, tagliandogli le riserve d'ossigeno e trascinandolo all'indietro con tutta la sedia per impedirgli di dare l'allarme schiacciando il bottone anti-panico che aveva già individuato sotto la scrivania.

Trattenne il respiro e tirò finché le mani non le si imbrattarono di sangue e l'uomo non cadde a terra con un ultimo gorgoglio.

“C-Cazzo.”

Una voce alle sue spalle la costrinse a voltarsi: stava quasi per scagliarglisi contro, quando si accorse che altri non era se non Stark.

“Ti avevo detto di restare dov'eri,” sibilò.

“Credevo... a-avessi bisogno d'aiuto, ma...” scoccò un'occhiata inorridita all'uomo sgozzato che giaceva proprio ai suoi piedi, “... evidentemente no.”

“Datti una mossa,” gli ordinò, indicandogli bruscamente il computer.

Tony non se lo fece ripetere due volte.

 

*

 

“Le telecamere sono a posto,” l'annuncio di Natasha arrivò come una manna dal cielo.

“Sentito, doc?” Clint si voltò ad apostrofare Banner, schiacciati com'erano contro la porta che li separava dall'area dei laboratori. “Via libera.”

“E le guardie?” Ne avevano individuate almeno due a sorvegliare il corridoio su cui si sarebbero immessi a breve.

“Me ne occupo io.” Si spostò leggermente di lato. “Al mio via apri la porta, mh?” Bruce annuì con aria determinata. “Ora.”

Uscì allo scoperto incoccando e scoccando una freccia taser dopo l'altra: i due uomini caddero a terra contorcendosi malamente in preda alle convulsioni, prima ancora d'aver capito cosa li avesse colpiti.

“Ci siamo,” avvertì Bruce, facendogli cenno di seguirlo là fuori. “Ti ricordi qual è il laboratorio di Selvig?” Banner annuì, dirigendosi a passo sicuro verso la porta in fondo al corridoio che tagliava perpendicolarmente quello in cui si trovavano, dandogli il tempo di recuperare le frecce ancora conficcate nelle braccia dei due: l'elettricità era andata, ma in caso di emergenza sarebbe stato meglio avere tutte le risorse possibili a disposizione.

Stavolta fu lui a seguire il dottore all'interno del laboratorio, un enorme stanzone che in quanto a tecnologie sofisticate avrebbe fatto morire di vergogna quello dell'ex SHIELD. Bruce parve impressionato tanto quanto lui, ma non disse niente: si lanciò, piuttosto, ad esaminare tutto ciò che gli capitava a tiro, documenti lasciati in giro, becker e fiale dall'aria arzigogolata.

“Oh, di questa mi ricordo,” ci tenne a dire, avendo individuato l'unica cosa che gli era familiare: una bilancia dall'aspetto piuttosto antiquato. “Il signor Pavlov ne usava una durante le lezioni di scienze, alle elementari.”

“Barton, ho bisogno di luce,” Bruce – che l'aveva bellamente ignorato – lo esortò ad avvicinarsi. Clint gli fu subito di fianco, sfoderando una delle due torce elettriche che aveva con sé.

“Ne ho un'altra.”

“No, devo avere entrambe le mani libere.” Ne prese atto, seguendolo passo passo mentre scartabellava fascicoli e documenti, apriva armadietti, vetrinette, cassetti, tutto quello che gli capitava a tiro. “Questo,” gliene schiaffò in mano uno, e poi un altro e prima che potesse rendersene conto era sobbarcato.

“Ehi, doc,” lo richiamò, indicandogli una valigetta abbandonata su uno dei tanti banconi, “là sopra c'è lo stesso simbolo dei documenti.” Una specie di cubo dall'aria piuttosto banale, se doveva dirla tutta.

Bruce si illuminò, avventandocisi sopra come un assetato che ha appena trovato un'oasi nel deserto.

“Abbia... ato... ig,” doveva esserci una qualche interferenza, perché le parole di Steve lo raggiunsero solo frammentariamente.

“Ripeti, Rogers,” lo invitò.

“... mo trova... Sel...”

“Sono sotto terra,” la comunicazione con Natasha era invece chiara e limpida. “Il segnale non è altrettanto forte.”

“Credo abbiano trovato Selvig,” interloquì Clint, sperando solo che fossero davvero a buon punto.

“Bar... no... ato... allar...” Per quanto volesse rimanere positivo, quegli spezzoni suonavano inquietantemente simili a un: Barton, hanno dato l'allarme.

“Merda,” l'imprecazione della donna, che doveva essere arrivata alla sua medesima conclusione.

“A che punto siete?” Chiese con urgenza.

“Stark sta finendo di hackerare il loro database. Voi?”

“Banner ha trovato quello che ci serve.”

Un'esplosione improvvisa pose fine a quel breve scambio: le finestre andarono in mille pezzi e un lungo, basso fischio gli riempì l'unico orecchio buono. Non... di nuovo. Cazzo!

“Bruce!” Si rimise in piedi, chiamando il dottore nonostante non riuscisse neppure a sentire il suono della propria voce. Lo afferrò sotto le ascelle aiutandolo a rimettersi dritto dopo aver tolto di mezzo la stufetta a gas che gli era rovinata addosso: la forza della deflagrazione gli aveva fatto perdere l'equilibrio, spazzando via i pochi oggetti sparsi sui tavoli tutt'attorno. “Dobbiamo andare!” Gli gridò in faccia, sperando che fosse capace di decifrare il movimento frenetico delle sue labbra. “Prendi tutto quello che ci serve!”

Si assicurò che Banner avesse capito, vedendolo annuire un paio di volte prima di recuperare la valigetta a cui era ancora aggrappato e almeno tre dei fascicoli che Clint aveva lasciato cadere a terra nell'esplosione. Dopodiché lo vide armeggiare con quella che pareva una bombola di...

“Propano?” Domandò confuso, mentre Bruce continuava a blaterare di cose che non riusciva a distinguere.

Vaffanculo ai sordi, vaffanculo alle bombe e vaffanculo a Nick Fury!

Gli bastò guardarlo mentre ne apriva la manopola, però, per capire cos'è che avesse intenzione di fare. Lo assecondò senza neanche rifletterci: tirò fuori una bombola gemella e imitò le sue mosse, afferrando poi l'accendino che Banner aveva recuperato da chissà dove e che adesso gli stava porgendo, scattando poi immediatamente verso la porta.

Clint se lo rigirò tra le mani per un misero istante: ma che cazzo ne sapeva lui? Lo scienziato era Bruce e Bruce aveva deciso di darsi alla piromania notturna, quindi al diavolo! Ravvivò la fiamma dell'accendino scagliandolo sul fondo della stanza prima di lanciarsi in una folle corsa attraverso il corridoio: il turbine di fuoco della deflagrazione li inseguì fino a quando non ebbero imboccato le scale per il piano terra.

Percorsi tutti quegli incroci tutti uguali, come in un fottuto labirinto, Clint fu il primo ad uscire all'aria aperta, l'arco imbracciato e la sirena dell'allarme a tormentare quel suo unico orecchio funzionante.

Oh... merda.



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Note:
E alla fine arriva anche un po' d'azione con tutti i problemi del caso. Spero non sia risultato *troppo* caotico (c'è qualcosa di più complicato da descrivere di una scena d'azione? Non credo XD). Invece mi sono divertita tantissimo a scrivere il pezzo di Tony che distribuisci giocattolini in giro (giusto per non farci mancare nessun cliché dei film spionistici!).
Ringraziamenti di rito alla sclerobetasocia Eli e a tutti coloro che leggono, leggono & commentano, ecc. Mi fa sempre piacere :)
Buon weekend e al prossimo aggiornamento!
S.
  
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