Messer Ratto
e la Principessa
Purexa
Messer Ratto
si strinse più forte
nel suo mantello grigio e, ignorando la pioggia battente, si diresse a
passo
deciso verso la locanda. Doveva assolutamente asciugarsi i baffi e la
coda, o
gli sarebbe presa una polmonite con i fiocchi.
La bettola era abbastanza gremita
e le fate di luce, agli angoli della stanza, illuminavano per bene i
tavoli ed i
relativi astanti: sulla destra una famigliola di gnomi da giardino
stava
battagliando contro due nani per la conquista dello sgabello
più alto e, dietro
di loro, i troll camerieri facevano il tifo per l’una o
l’altra squadra, così
Messer Ratto piegò immediatamente a sinistra, verso il bar,
in modo da evitare
tutta quella fastidiosa baldoria.
Con studiata noncuranza si
appoggiò al bancone e ordinò del vino al
formaggio groviera, l’orco barista
grugnì un “bleah” e si
allontanò a passo svelto.
Approfittando del cappuccio che
copriva i suoi occhi scarlatti, e anche buona parte del muso appuntito,
Messer
Ratto gettò un’occhiata alle creature intorno a
lui.
Da una parte stava una grassa Maga
Della Palude, ricoperta di fango ed alghe putrefatte. Il suo odore era
la
logica spiegazione al perché ci fosse così poca
gente nei pressi del bancone.
“Bah” pensò Messer Ratto. A lui quella
puzza non dava affatto noia, anzi, gli ricordava la propria casa, le
Paludi di
Jaya, da cui mancava da ormai molto tempo.
Poco lontano dalla Maga Della Palude
– che tra parentesi era totalmente ubriaca – stava
una piccola Ombra Rosa,
avvolta nel suo vivido mantello fuxia da cui spuntavano solo le candide
manine
da bambola di porcellana. A Messer Ratto le Ombre Rosa non piacevano
affatto:
lo terrorizzavano quasi, con i loro sorrisi gioiosi e spensierati.
Non fece in tempo a voltarsi verso
l’ultima creatura, seduta accanto a lui, che questa
balzò in piedi – per modo di
dire visto che era alta un metro e mezzo – e gli tese la
mano, sorridendo con i
suoi denti storti e quasi infilzandogli lo stomaco con le sue lunghe
corna.
Pareva proprio intenzionato ad attaccar bottone con lui, peccato che a
Messer
Ratto i satiri piacessero ancor meno delle Ombre Rosa.
- Io sono Mostuvaglio Del Grigiobianco
Pinot. - si presentò il satiro, cordiale, stringendo con
foga la mano di Messer
Ratto e quasi trascinandolo per terra - E modestia a parte, ai bei
tempi
andati ero
il satiro prediletto di Dionisio: l’anima delle sue feste, la
portata
principale dei suoi banchetti, il perno su cui si basavano le sue
orge… se
capisci cosa intendo. – aggiunse Mostuvaglio, strizzando
l’occhio con fare
complice.
- Oh… sì certo. – mormorò
Messer
Ratto, tentando di liberare la sua mano e di scappare prima che il
satiro
continuasse: erano creature fin troppo logorroiche per i suoi gusti.
Purtroppo
però, l’altro non sembrava affatto intenzionato a
lasciarlo andare.
- Ah, bei tempi quelli, tu nemmeno
puoi immaginare. – continuò infatti, subito
dopo - Fanciulle, e vino, e
scazzottate, e cibo quanto ne volevi, altro non dovevi fare che
schioccare le
dita e mille servi erano al tuo cospetto. Non finivano mai quei giorni,
e non
erano nemmeno giorni, per Bacco! Una nostra giornata durava mesi,
d’altra parte
eravamo immortali, quanto ce ne poteva fregare del tempo? –
sospirò la
creatura, affogando la malinconia in un enorme boccale di birra.
- Molto interessante. – borbottò ironico
Messer Ratto, che però era realmente interessato. Lui non
conosceva il mondo
molto bene, anzi, non lo conosceva per niente: non era un immortale
né una
creatura da fiaba, ma solo un povero ratto di palude.
Quello era uno dei motivi che lo
avevano condotto fin lì, nelle terre di Shaya.
- Eh adesso sai, Dionisio è
proprio in un bel guaio. – continuò Mostuvaglio,
ignorando totalmente i
borbottii dell’altro - Ricordi quando gli ominidi
cominciarono a creare quella
cosa chiamata tecnologia, e noi creature di fantasia ci allontanammo
dal
loro
mondo? Bè, non tutti vollero venire qui a MezzaLuna,
soprattutto le antiche
divinità s’incaponirono a restare, per provare
agli
ominidi di esistere davvero,
ma furono sfortunati. Gli ominidi li ignorarono totalmente. Alcuni
cominciarono
a lavorare al circo o in televisione come conduttori di –
oddio com’era quella
parola? – Tok-show, ecco. Ma il povero Dionisio fu molto
più sfortunato di loro.
– disse malinconicamente il satiro, ingollando
un’altra pinta di birra in un
solo sorso.
- E perché? – chiese Messer Ratto,
ormai conquistato dalla storia, nonostante i suoi buoni propositi
d’indifferenza.
- Perché era un alcolizzato, ovvio!
Per di più un alcolizzato immortale. Figurati! Ci uscirono
scemi gli ominidi,
tra cliniche di disintossicazione ed esami medici, non capivano
perché il
fegato non schiattasse nemmeno dopo le sedute di cura. Un gran casino
te lo
dico io. Ora quel povero dio se ne sta rinchiuso in qualche cella del
mondo
degli ominidi, senza possibilità di scappare. E sobrio
anche.
Per Bacco! È
proprio il caso di dirlo.
Il satiro buttò giù un’altra birra
e Messer Ratto, con un rapido calcolo mentale, stabilì che
doveva essere almeno
la quinta da quando avevano iniziato a parlare.
- Sentite, tutto questo è molto
interessante, ma io devo andarmene, adesso. Ho un rapimento da
organizzare e una
vita intera da riscattare, quindi se vuoi scusarmi…
- Chi devi rapire? Una fanciulla?
– chiese il satiro, come se rapire qualcuno fosse per lui
un’azione totalmente
ordinaria. Cosa probabile tra l’altro.
Messer Ratto si morse la lingua
con i lunghi dentoni. Come diamine gli era venuto in mente di dire una
cosa del
genere così a cuor leggero? Annusò con sospetto
il suo bicchiere di vino: che
il groviera fosse scaduto e lo avesse avvelenato?
Mostuvaglio intanto si era fatto
vicino vicino, e lo guardava con occhi pieni d’aspettativa.
- Scusate, ma questi non sono
affari vostri. Ed io devo andare! – borbottò
bruscamente Messer Ratto, scattando
in piedi. Il satiro spalancò i brutti occhi tondi ma lo
afferrò immediatamente
per la manica del mantello – visto che era il punto
più
alto che riusciva a
raggiungere.
- Amico caro, se davvero hai
intenzione di rapire qualcuno, la mia amicizia ti sarà
certamente gradita. Ho
esperienza sai… in mille anni ho visto e sentito cose che ti
potrebbero essere
davvero utili. – sussurrò con aria complice, ed il
ratto restò su a pensarci
qualche istante.
I satiri non erano certo famosi
per la loro lealtà, ma possedevano un grande ingegno, e poi
perché non fidarsi?
Avrebbe sempre potuto ucciderlo se avesse tentato di tradirlo.
Il fatto di non aver mai ucciso
nessuno in vita sua non scompose per niente il giovane.
- Voi siete un immortale, dovete
conoscere molte storie. – cominciò quindi Messer
Ratto, alzando una zampa per
ordinare un altro giro di alcolici. - Fateci caso: rospi, ranocchie,
scarafaggi
e quant’altro… hanno tutti i loro momenti di
gloria! Ma i ratti? Tutti si dimenticano
dei ratti, nessuno di noi è ben considerato, nessuno di noi
è protagonista di
qualche favola!
- Bè, c’è il pifferaio di
Hamelin…
l’ho conosciuto tra l’altro. Bravo ragazzo, non
fosse per le manie omicide. -
disse il satiro, buttando giù d’un sorso il sesto
boccale di birra della serata.
- Oh sì, proprio lui! Sapete quanti
ne ha ammazzati dei nostri antenati, quel bastardo? E ci si
è
fatto pure la casa
al mare con la ricompensa. Figlio d’un gatto! –
borbottò Messer Ratto, con i
baffi che tremavano d’indignazione.
- Ma stavamo parlando di rapimenti,
o sbaglio? È il Pifferaio che vuoi rapire? –
chiese curioso Mostuvaglio,
tentando di stabilire se Messer Ratto fosse o meno attratto dai bei
ragazzi.
- Certo che no! – sbottò
immediatamente il compagno – che me ne farei mai di uno come
lui? Il mio
obbiettivo è una principessa. Una bella, bellissima
principessa. – concluse,
soddisfatto.
- Ah, le principesse sono
sopravvalutate amico mio. – sospirò il satiro,
rivolgendogli un sorriso
giallastro e alquanto triste. Messer Ratto
s’indignò non poco a quelle parole:
come poteva, quel brutto mostro, criticare una principessa leggiadra e
bella come
il più meraviglioso dei sogni?
Rivolgendogli uno sguardo offeso,
si alzò in piedi e si avviò verso la porta.
- Buona serata Messer Del Grigiobianco
Pinot, la nostra conversazione è giunta al termine.
– dichiarò in tono
altezzoso.
- Hai bisogno del mio aiuto, lo
sai! – gli gridò dietro il satiro. Messer Ratto
s’immobilizzo sulla porta e
rimase così per qualche secondo, prima di fargli un cenno
seccato.
Mostuvaglio, con fare esasperato,
scosse l’enorme testa ricciuta e leccò le ultime
gocce di birra dal bordo del
bicchiere, poi, zampettando sulle sue corte gambe storte, gli corse
dietro.
La curiosità uccise il satiro, si
usava dire lì a MezzaLuna.
****
La
Principessa Purexa
Rosagghindata era davvero molto infastidita. Prima di tutto era in
ritardo di
soli cinque minuti al thè pomeridiano delle cinque, e
certamente avrebbe dovuto
aspettare un bel po’ nella carrozza per accumulare un ritardo
decente; in
secondo luogo il nuovo cocchiere era senz’ombra di dubbio
alle prime armi,
perché aveva assunto un andamento troppo veloce e le
continue scosse la
costringevano a muoversi, stropicciando così il suo
splendido vestito.
Purexa davvero non capiva perché
suo padre le vietasse di prendere una delle nuovissime macchine a
motore, che
erano molto più comode e funzionali. D’accordo che
le tradizioni erano
importanti, ma per la miseria! Il progresso tecnologico bussava alle
porte di
MezzaLuna già da un bel pezzo, perché non
assecondarlo? Va’ a capire quel
vecchio scemo.
Un improvviso sbando della
carrozza catapultò Purexa sul sedile di fronte, distraendola
completamente dai
suoi pensieri.
- Tu, lurido figlio di una
popolana! – sbraitò la principessa, mentre tentava
di rimettersi in piedi, o
perlomeno seduta, cosa comunque nient’affatto facile: il
cerchio di ghisa
cucito sul fondo del vestito si era incastrato tra i due sedili
-strappando la
gonna- e il tacco della sua scarpa destra si era spezzato a
metà, impedendole
di far forza sulla gamba.
Ci fu un altro scossone, più forte
del precedente, e la carrozza iniziò a fermarsi.
- Ti manderò a pulire il recinto
dei troll, maledetto! – strepitò ancora Purexa,
mentre le lacrime le
annacquavano la visuale. In quelle condizioni non poteva presentarsi da
nessuna
parte, e dire che quel thè era fondamentale per la sua vita
sociale.
Cos’avrebbero pensato le
Principesse dei Sei Punti Cardinali, nel non vederla arrivare? Di
sicuro
che era
spocchiosa e viziata, una di quelle principesse algide che preferiscono
essere
chiuse in una torre o in qualche luogo simile, piuttosto che fare vita
mondana
come tutte le Principesse normali. Non l’avrebbero invitata
mai più!
Mentre altre lacrime calde le
solcavano il viso, lo sportello della carrozza venne bruscamente
spalancato,
Purexa si voltò di scatto, pronta a cavare gli occhi al
cocchiere con le sue
lunghe unghie laccate, ma al posto del giovane si trovò a
fissare il volto
appuntito di un ratto di Jaya.
La principessa continuò a fissarlo
con aria completamente sbalordita, fino a quando
quest’ultimo,
con un grazioso
inchino, le si presentò come Messer Ratto, annunciandole
subito dopo che la
stava sequestrando per farla sua sposa.
Purexa ci mise qualche secondo a
registrare l’informazione, e quando il suo cervello
collegò le parole ai fatti,
semplicemente, iniziò ad urlare con tutto il fiato che aveva
in gola, ma ciò servì
decisamente a poco. Intanto che il satiro stendeva il giovane
cocchiere,
il
ratto la trascinò con gentilezza fuori dalla carrozza, se la
caricò in spalla e
pochi secondi dopo la gettò di traverso sulla sella del suo
cavallo.
Mentre agitava i piedi nel vuoto,
Purexa si chiese perché diamine il suo primo rapitore
ufficiale dovesse essere
un ratto. Che fine aveva fatto il principe dai connotati orientali, i
lunghi e
lucenti capelli neri e i muscoli scolpiti?
E soprattutto: perché la sua vita
di principessa doveva fare così schifo?
****
Messer Ratto
non era così brutto
come aveva pensato all’inizio, si ritrovò a
considerare Purexa, adagiata sopra
un alquanto inusuale trono di sacchi di farina.
Era alto, almeno un metro e
ottanta e, a parte i tratti del volto troppo appuntiti, i baffi
spioventi e la
lunga coda, avrebbe potuto fare la sua porca figura anche ad un
banchetto
reale, vista la parlantina antiquata che si trovava.
La principessa sbuffò, tentando di
cacciare via quegli assurdi pensieri, poi strappò un pezzo
della michetta di
pane e lo portò con grazia alle labbra.
- Io sto morendo di fame. –
annunciò, storcendo la bocca.
Immediatamente Messer Ratto le si
avvicinò e, poggiando un ginocchio per terra, la
guardò con espressione
totalmente beota.
- Ditemi cosa desiderate, soave
principessa, ed io ve lo procurerò. Ogni vostro desiderio
è un ordine per me! –
esclamò con fierezza.
Purexa lo guardò stralunata,
chiedendosi ancora una volta perché diamine le fosse
capitato un rapitore del
genere, così pomposo e melenso – anche se carino
– da darle il voltastomaco.
- Va bene qualsiasi cosa si possa
mettere sotto i denti. – rispose secca, e quasi si mise a
ridere nel vederlo
sobbalzare per la risposta così poco principesca.
Messer Ratto, comunque, si riprese
subito, inchinandosi e correndo velocemente fuori dalla stanza. Purexa
scosse
la testa è posò il suo sguardo sulla porticina
appena dischiusa.
Poteva sempre fuggire, pensò tra
sé, ma scartò immediatamente l’idea.
Aveva un tacco rotto, tanto per
cominciare, e poi doveva esserci un qualche altro brutto mostriciattolo
da
qualche parte, a farle la guardia.
Nonostante avesse preso molte
lezioni di lotta e sapesse perfettamente stendere un uomo –
figuriamoci quindi
un satiro - la principessa non aveva tanta voglia di lanciarsi in un
corpo a
corpo. Dopo le scarpe e il vestito, non avrebbe retto il colpo di
un’unghia
spezzata.
- Non tenti di scappare? – chiese
una voce dietro di lei, e Purexa si voltò di scatto.
In uno degli angoli, accovacciato
su una pala meccanica, Mostuvaglio la fissava con i suoi occhi gialli,
che al
buio risplendevano di una luce inquietante. La principessa
arretrò, spaventata.
Da bambina, la balia le aveva
raccontato molte storie sui satiri e nessuna li vedeva coinvolti
positivamente.
- Stammi lontano, mostriciattolo.
Io lo so cosa fanno quelli come te, ma se provi ad attentare alla mia
virtù io…
- strepitò Purexa, cercando di trovare una minaccia
più adatta di un “ti
manderò a pulire il recinto dei troll”.
Il satiro rise, mettendo in mostra
una dentatura orribile.
- Quale virtù? – chiese
sghignazzando – Io vi conosco voi principesse, siete poco
più che prostitute
vestite bene.
Purexa spalancò gli occhi e lo
guardò a metà tra l’inorridito e
l’infuriato.
Aprì la bocca diverse volte, senza
sapere bene se bestemmiargli contro o mettersi semplicemente ad urlare
ma, alla
fine, la rabbia ebbe la meglio e la Principessa si alzò in
piedi di scatto,
digrignando i denti.
- TU! Come osi, sporca creatura
figlia di un troll, inetto scarto di gnomizzante, lurido…
- Basta così principessa, potrei
anche offendermi! – la bloccò il satiro, sempre
ridendo. – Sai fosse stato per me
ti avrei lasciato lì dov’eri, ma mi piace
osservare i giovani e i loro sbagli,
mi aiutano a condurre una vita migliore. – aggiunse poi,
guardandola negli
occhi.
Purexa si limitò a fissarlo con
odio.
- Io so già come andrà a finire, ma
chissà, magari questa volta mi sbaglio. Sarebbe una bella
novità per me sai? –
disse sottovoce, sorridendo.
Mostuvaglio aveva appena finito di
parlare, che Messer Ratto, trafelato, spalancò di scatto la
porta, irrompendo
nella stanza a passo di carica.
- Ecco a voi principessa! – urlò,
raggiante – Ambrosia e carne di Unicorno, pane degli Elfi e
vino delle Fate!
Tutto il meglio che ho trovato! – continuò, con i
baffi che tremavano di
eccitazione. Il ratto dispose velocemente tutte le vettovaglie sul
pavimento e
si voltò verso la ragazza, in evidente attesa di ricevere
complimenti.
- Sai quante calorie ci sono nella
carne di Unicorno? - chiese seccamente la principessa, ancora offesa
per le
parole del satiro – parole di cui non aveva nemmeno capito il
senso.
- E il vino delle Fate di che
annata è? Perché se è
dell’anno scorso ti hanno fregato ben bene: tutte le
vigne incantate sono state affatturate dalle streghe delle verdure, che
volevano
vendicarsi dello scarico dei rimasugli di filtri magici. Tutto il vino
di
questi due anni è avvelenato. Non lo sapevi forse?
Messer Ratto impallidì
visibilmente, mentre Mostuvaglio ghignava sotto i baffi.
- Io… credevo… - provò a mormorare
il topo, ma la Principessa lo guardò con rabbia malcelata e
il poveraccio indietreggiò
fino a toccare il muro con le spalle.
- N-non volevo offendervi, io…
- Non volevi offendermi? Non
avresti dovuto rapirmi! – sbottò Purexa, alzando
il naso per aria.
In realtà non le dispiaceva poi
molto di essere stata rapita: certo non era stato il rapimento dei suoi
sogni,
ma era pur sempre qualcosa da raccontare alle sue amiche principesse,
in totale
confidenza, e senza andare troppo nei particolari ovviamente. Era
comunque un
avvenimento molto più succoso di un banalissimo
thè tra dame di alta nobiltà. E
poi tutto ciò avrebbe forse convinto il vecchio a farle
usare le macchine a
motore che, per definizione, erano molto più difficili da
assaltare a
cavallo.
Messer Ratto, intanto, si era
lanciato ai suoi piedi, stringendo fra le mani l’orlo della
sua gonna.
- Principessa voi avete ragione,
io sono solo un povero ratto. Mai avrei dovuto osare rapirvi o solo
poggiare i
miei sucidi occhi sulla vostra beltà. Ma avevo le mie
ragioni: forse non avete
letto tutte quelle belle fiabe dove a vincere è il
più tapino dei tapini? Ora
sono io questi, nessun altro nei dintorni può essere caduto
più a fondo di me!
Sarò io il principe eroe!
- Messer Ratto parla come mangi o
non ti capirò mai. – ribatté Purexa
stancamente, tentando di liberare il suo
vestito di seta dalla stretta dell’altro.
- Il mio desiderio è quello di
entrare nelle vostre grazie, nient’altro mia dolce
Principessa. Un solo vostro
sguardo e una sola vostra parola, riempiono il mio mondo di luce e
calore. –
mormorò, chinando il capo.
Purexa sollevò di poco le
sopracciglia perfettamente depilate.
- Tutto qui?
- Come tutto qui? – chiese
sbalordito il ratto, alzando finalmente il capo.
- Messer Ratto, hai mai sentito
parlare di udienze reali? Ti sarebbe bastato venire a palazzo per
incontrarmi,
non avrei certo rifiutato, annoiata come sono.
- Ma… io volevo fare di voi la mia
compagna, in realtà. – aggiunse timidamente
l’altro, arrossendo appena. Subito
dopo si chiese se non fosse stato troppo sfacciato nel pronunciare una
frase
del genere, e già stava aprendo la bocca per implorare
perdono, quando si
accorse che la principessa stava sorridendo.
- Sei molto dolce Messer Ratto,
ormai sono in pochi a credere ai vecchi valori come fai tu. Ad esempio
nessuno
più mi dà del voi, né io lo do ad
altri, Re compreso. – disse Purexa, colta da uno dei
suoi rarissimi attacchi di sincerità e comprensione.
- In effetti, io per prima tendo a
distaccarmi dalle vecchie tradizioni, ma ora, nel vederti, riesco a
capire
almeno un po’ perché mio padre ci resti
così attaccato. Dovevano essere bei
tempi, quelli in cui tutti vedevano il mondo come lo vedi tu.
– continuò la
ragazza in tono nostalgico.
Messer Ratto parve illuminarsi di
luce propria, tanto quelle parole lo avevano estasiato.
Mostuvaglio scosse la testa, disgustato, e
zampettò fuori dalla porta.
- Io… vi sono così grato per le
vostre parole! Se il vostro desiderio è questo, io
farò di tutto affinché venga
esaudito! Vi farò rivivere i tempi andati, ci circonderemo
di vecchi saggi che
ancora ricordano com’era vivere una vera favola, andre...-
- Basta così Messer Ratto, hai
appena distrutto anche l’ultima scintilla di romanticismo che
questa assurda
situazione può aver suggerito ai miei nervi stanchi
– sbottò la principessa,
allontanandosi bruscamente dall’altro.
- Io cercavo solo di recarvi
piacere.
- Davvero? – chiese Purexa, con un
luccichio malizioso negli occhi.
- È la ragione stessa della mia
vita, principessa.
- Dimostralo.
Messer Ratto ci pensò su qualche
istante poi, sorridendo, le prese una mano.
- Volete che uccida un drago nel
vostro nome? Ho sentito che su Montefiamma…
- Oh al diavolo! – sbottò la principessa,
esasperata, iniziando a liberarsi velocemente della fascia che le
stringeva la
vita – Vediamo se nei fatti sei bravo quanto con le parole.
– aggiunse poi,
lasciando che il vestito le scivolasse lungo i fianchi.
Messer Ratto provò a fare un passo
indietro, sbalordito, ma Purexa gli artigliò le spalle con
le lunghe unghie
laccate, e lo spinse con forza sulla distesa di sacchi di farina.
- Non è questo che volevi da me,
Messer Ratto? – chiese la ragazza, sorridendo e baciandolo
sul collo. Messer
Ratto, intanto, era davvero troppo sconvolto per rispondere. E se da
una
parte
voleva fermare quelle mani avide che già lo avevano liberato
della camicia e
delle bretelle, dall’altra sentiva il proprio corpo
rabbrividire in un modo decisamente
particolare.
Quando Purexa gli prese una mano e
se la infilò nello stretto corsetto, Messer Ratto
spalancò gli occhi senza
sapere che diamine fare. Rimase immobile, mentre lei iniziava a
strusciare un
capezzolo già indurito contro la sua mano. Ad un certo punto
tentò anche di
ritrarsi, ma Purexa mandò un alto gemito e lui, non sapendo
se fosse di
disappunto o meno, e non volendo contrariarla in alcun modo, le
riafferrò
immediatamente un seno.
Riuscì a spiaccicare qualche
parola solo quando lei, estasiata, iniziò a tirargli
giù i pantaloni.
- Principessa… questo
comportamento… sarebbe imperdonabile una cosa del
genere… - balbettò, ma
l’occhiata che Purexa rivolse alla sua erezione lo fece
azzittire.
Era una situazione maledettamente
complicata per lui: l’onore gli imponeva di smettere
immediatamente, ma il corpo
e la mente volevano a tutti i costi proseguire.
Inoltre la principessa non
sembrava molto intenzionata a lasciarlo andare.
Proprio in quel momento, infatti,
la ragazza gli era montata a cavalcioni sul petto e si stava liberando
del
corsetto e della sottoveste.
Nel trovarsi così avvinghiato al
corpo caldo e candido della principessa, Messer Ratto decise che l’onore,
dopotutto, non doveva per forza andare
di pari passo con la castità.
Purexa sorrise, lasciva, nel
sentire le mani di lui scorrere, insicure, sul suo corpo nudo.
- Noi principesse siamo comunque
donne. Se davvero dovessimo tutte aspettare il Principe Azzurro, tra
una
battuta di caccia, una guerra e un incontro di scherma, quelli si
sveglierebbero solo intorno ai quarant’anni. E per
convincerli a sposarci, poi,
ce ne vorrebbero altri cinque come minimo. La nostra bellezza andrebbe
così
totalmente sprecata: questo è
imperdonabile non credi? – chiese Purexa
mentre scivolava più in basso, tracciando i contorni del
corpo di lui con la
punta delle dita.
Messer Ratto assentì
semplicemente, senza nemmeno ascoltare, poi, lasciandosi
definitivamente andare, la afferrò delicatamente per le
braccia e la spostò al
suo fianco.
Con movimenti incerti, ma comunque
gentili, si portò su di lei, carezzandola piano e
solleticandola sotto il collo
con i suoi lunghi baffi.
La principessa sorrise, poi,
intuendo che le cose per lui stavano diventando difficili, gli prese
ancora una
volta la mano e lo guidò verso il basso, tentando di non far
trapelare il
tenue divertimento
che provava nel
vederlo tremare ed esitare per paura di farle male.
Il coordinamento fu abbastanza
difficile, e la pazienza di Purexa non era certo illimitata. ma alla
fine
riuscirono a trovare un compromesso accettabile.
Certo lei non ne trasse lo stesso piacere
di lui, ma alla fin fine decise di non potersi lamentare. Fare
l’amore con un
vergine le aveva dato una certa soddisfazione.
****
Purexa aveva
appena finito di
fumarsi una sigaretta – la qual cosa avrebbe di certo
scandalizzato Messer
Ratto, se gli avvenimenti di poco prima non l’avessero
lasciato completamente
sotto shock – e si stava graziosamente spalmando della crema
profumata sulle
mani, per mandare via l’odore della nicotina, quando il
veloce
bussare alla
porta fece sobbalzare entrambi gli amanti.
- Chi è là, che disturba il mio
idillio? – urlò Messer Ratto balzando in piedi,
completamente dimentico di non
aver addosso i pantaloni.
Mostuvaglio aprì di poco la
pesante porta, e sgusciò all’interno della stanza.
Dopo aver gettato un’occhiata
veloce intorno a sé, decise di evitare di guardare nella
direzione del ratto per
concentrarsi invece sulla vista del sicuramente più
attraente seno della
principessa, che non si era affatto presa il disturbo di coprirsi.
- Un gruppo di guardie reali si
sta avvicinando di gran carriera, saranno qui al massimo fra cinque
minuti.
Pensavo voleste saperlo – spiegò il satiro.
- Come avranno fatto ad arrivare
qui? Questo posto è isolato dal resto della contea!
– sbraitò Messer Ratto,
mettendosi le mani nei capelli.
- Gliel’ho indicato io. –
intervenne candidamente la principessa, mentre iniziava a rivestirsi.
- Ma… ma io vi ho rapita! Voi
dovete restare qui! – urlò Messer Ratto, quasi in
lacrime.
- Mio caro, tu sei stato un
piacevole diversivo, ma io ho la mia vita, il mio palazzo, il mio
promesso
sposo… il Principe Azzurro, hai presente?
- Ma Principessa Purexa! Non avete
forse appena detto che il Principe Azzurro è vostro
fratello? Questo è incesto!
– balbettò sbigottito il topo.
- Ma no, ma no! – ribatté la
ragazza, agitando graziosamente una mano guantata –
è che i Re e le Regine
hanno poca fantasia con i nomi, e chiamano tutti i loro figli maschi
Azzurro, con poche varianti come Turchese o Bluette. Di buono
c’è che sai sempre come
chiamarli... – rimuginò tra sé - Ad
ogni
modo non posso certo sposare un ratto che
non può mantenere né me né tantomeno i
miei vizi. Se però vorrai passare dal
mio palazzo, le mie camere private sono sempre aperte per te, io non
dimentico i
miei amici. – aggiunse, strizzando l’occhio e
stirando la gonna con le mani.
Messer Ratto non riuscì ad
aggiungere nulla, solo si limitò a guardarla mentre
s’infilava le graziose
scarpine rotte e si avviava verso la porta del vecchio granaio.
Mostuvaglio, in completo silenzio,
si accese la pipa con fare rassegnato.
Per una volta sarebbe stato davvero bello
sbagliare.
****
La locanda
era affollata proprio
come la sera prima, ed anche i clienti erano gli stessi: probabilmente
per
un
villaggio così piccolo e fuori mano dalle principali
metropoli fatate, quella
era la norma. Ancora una volta Messer Ratto si era sistemato al bancone
del
bar, vicino alla Maga della Palude - che gli aveva perfino sorriso nel
riconoscerlo. L’orco barista non gli aveva nemmeno chiesto
cosa desiderasse, si
era limitato a schiaffargli davanti un bicchiere di vino al groviera,
con la
stessa smorfia di disgusto dell’altra volta.
- Cercavo solo un lieto fine! –
singhiozzò Messer Ratto, soffiandosi rumorosamente il naso e
tracannando il
vino in un solo sorso.
- Un lieto fine? Amico mio non
siamo mica in una favola! – replicò il satiro,
seduto accanto a lui.
- Come no? Siamo a MezzaLuna,
questa è la terra delle favole!
- Ah, Messer Ratto, come sei
ingenuo. Le favole non esistono, soprattutto qui che noi creature di
leggenda
conviviamo tutte insieme. Ci fossero ancora gli ominidi, forse le
favole
avrebbero ancora ragione di esistere. Ma ora che i nostri mondi sono
divisi… bè,
non c’è più nessuno che può
considerare una favola la nostra vita.
Messer Ratto rimase in silenzio a
rimuginare su quelle parole.
- Io ci credevo. Ci credevo
davvero – mormorò infine, lasciandosi sfuggire un
ultimo singhiozzo.
- Però hai di che consolarti, no? –
provò a confortarlo il satiro – sei diventato
l’amante ufficialmente approvato
di una bella Principessa, e potrai fare una splendida vita da
mantenuto.
Quanti
ratti possono dire una cosa del genere?
- Ma io… sai volevo qualcosa di
diverso. L’amore della mia vita, il per sempre felici e
contenti… queste cose
qui.
- Messer Ratto, dai retta a me che
sono un immortale e che ho vissuto un’eternità
intera. L’amore che dici tu è
una credenza popolare: non è mai esistito, né mai
esisterà un amore perfetto e senza fine. In compenso,
però, ce ne sono in giro tanti altri
tipi molto diversi,
futili e brevi come temporali di primavera, ma comunque soddisfacenti.
Trovare
un amore che ti soddisfi è già una gran cosa,
puoi credermi.
- Siete molto saggio, Messer Del
Grigiobianco Pinot.
- No, sono molto ubriaco.
- Forse è la stessa cosa.
Il satiro gli rivolse un sorriso
carico di simpatia e alcool.
- Ti porterò con me
all’appuntamento di stasera. Un altro po’ di sano
sesso senza impegno è quello
che ti serve.
Messer Ratto pensò che non era
affatto vero, che il sesso era una cosa volgare e che non andava
affatto bene
per un ratto d’onore come lui.
Poi ripensò a Purexa, al suo corpo
bianco, alle sue mani esperte e alle sensazioni che gli avevano
provocato, quindi,
semplicemente, acconsentì.
Perfino lui aveva sentito dire
che, ad un certo punto, le favole finiscono e bisogna vivere la
realtà così
com’è.
*
Note: Scritta per il
Fiction exchange di Writers Arena. Questa storiella non ha particolari
pretese, vorrebbe solo far sorridere un po' :)
Tra l'altro è la prima originale che pubblico su EFP, non so
perchè ma sono restia a mandare i personaggi creati da me in
giro per il web.
Ho sempre paura che mi facciano fare brutta figura XD
Come sempre commenti e critiche sono ben accetti, anzi diciamo pure sperati.
Shari.